Antitesi tra dialettica del politicamente corretto e lingua taumaturgica –
Assenza della coscienza e conoscenza di sé in Plotino e Hegel – 2^ parte – Giandomenico Casalino
(prosegue, Seconda Parte)
Tutto quello che si è già esplicitato in relazione a come Plotino affronta la tematica che stiamo trattando, con l’auspicio di farlo in guisa quanto più esaustiva sia possibile, vale totalmente per lo stesso Hegel, anzi soprattutto e solo per il sapiente Svevo; e ciò per la semplice ragione che la quaestio fondamentale che egli ha affrontato in tutta la sua esperienza di vita e di pensiero è stata proprio ed esclusivamente, e ci esprimiamo obbligatoriamente in un lessico filosofico moderno, quella relativa alla tragica frattura tra soggetto ed oggetto, tra Pensiero ed Essere, madre oscura e tenebrosa di tutte le fratture dalla stessa provenienti quali: Stato e Società, Etica e Morale, Etica ed Economia, Scienza e Religione, Fede e Sapere, Uomo e Natura; ed Hegel è stato il primo a comprendere filosoficamente, cioè concettualmente, che la frattura, la separazione, il diabàllo è la Modernità e che per uscire dalla catastrofe della stessa è vitale e necessario cancellare o, meglio, rendere evidente la Verità che quella separazione, quella frattura non solo non è naturale ed inevitabile o addirittura ovvia, come vuol far credere la modernità, ma essa è falsa, non è vera, non è reale, poiché non è razionale. Essa infatti è solo frutto dell’ignoranza e della cecità dell’uomo moderno ed Hegel ci rammenta che la benda che lo stesso ha sugli occhi egli medesimo se l’è posta, vittima del dualismo che è figlio sia del soggettivismo razionalistico cartesiano dell’Illuminismo che dell’altrettanto soggettivistico sentimentalismo fideistico-religioso; negazione ambedue ed in egual misura della vera essenza dell’uomo che è il Pensiero in quanta autentica natura cosmica e quindi divina e dell’uomo e del Mondo.
È manifesto che un simile approccio alla terribile crisi del mondo moderno, che già Hegel profeticamente vedeva sin dai suoi prodromi all’alba dello “stupido XIX secolo”, per dirla con il Daudet, contiene in nuce, anzi è la riapparizione, in piena contemporaneità, dell’arcaica sapienza ellenica, e parliamo di Parmenide, Eraclito, Empedocle, Anassagora e dell’antica Stòa per poi manifestarsi in guisa splendidamente divina nella sapienza di Platone, sintesi armoniosa di tutta quella “nascita grande”, come dice Heidegger, che nello spirito eccelso di Plotino diede vita a quella che sarebbe stata la millenaria Tradizione Platonica. Vogliamo, in sostanza, affermare che, essendo la visione o “intuizione mistica” del Mondo come Uno, come si esprime Nietzsche nella sua opera giovanile La filosofia nell’età tragica dei greci, il fine e la natura stessa della Filosofia, tale non può non essere il Sapere di Hegel, poiché egli è l’ultimo dei Greci o, come sentenziò Feuerbach, il “Proclo tedesco”.
Se per i Greci, è particolarmente per la sapienza platonica, la Conoscenza è la Scienza dell’Essere, dove quel “del” è in relazione sia all’Essere come “oggetto” della Scienza che come genitivo della stessa, per lo effetto essa non può avere nessun rapporto o relazione con ciò che non è Pensiero puro, che nel lessico hegeliano è detto Ragione, atteso che esso è il Logico (das logische) e cioè l’Eterno, talchè solo l’Eterno può conoscere se stesso o come già insegnava Empedocle: “Il simile è conosciuto solo dal simile (DK 31b, fr. 109). Nella medesima guisa in cui si trova in Plotino, come abbiamo già avuto modo di riscontrare, anche in Hegel il Sapere Assoluto, al quale si giunge con la perfezione del cammino iniziatico, che è l’oggetto dalla Fenomenologia dello Spirito, è manifesto a quella che credeva erroneamente di essere coscienza, senso dell’Io, posta di fronte al Mondo quale Altro (ecco il dualismo…!), solo nel reale è necessario dileguarsi della stessa coscienza, avendo essa acquisito la consapevolezza, e cioè il Sapere, di essere il Mondo e di esserlo da sempre e da prima di iniziare il Cammino fenomenologico medesimo, atteso che, come è legge universale del processo di anamnesi iniziatica, così come tematizzata dal Divino Platone, il movimento, il cammino, il tempo, il presunto, apparente e solo pedagogico “mutamento” o metànoia, non sono mai stati reali poiché il reale è solo lo Spirito, che è l’Istante in quanto Eterno in cui “l’Uno muta fuori dal tempo e quando muta, nell’Istante, non si muove e non sta fermo” (Platone, Parmenide, 155d); è, quindi, la certezza sensibile iniziale che è Spirito da sempre, solo che non ne è a conoscenza e ciò nel senso sia plotiniano che hegeliano del termine, che è come dire coincidenza intima ed unione di conoscente e conosciuto dove il primo è il nòesis ed il secondo è il nòeton. In altre parole, in tanto si può e si deve essere il Sapere Assoluto (Pensiero è Essere in Hegel come, d’altronde, in Plotino) in quanto la coscienza, che non è Sapere di sé, non è Pensiero puro, non è ritornata in se dopo essere stata per se, non ha operato la Visione che è oggetto della “unione mistica”, (ed in Hegel Mistico è sinonimo di Speculativo…!) ed in essa l’Assoluto è ancora oggetto della rappresentazione che se ne fa quella che, appunto, persiste nella convinzione di essere coscienza nella sua radicale natura dualistica, essa, pertanto, deve decentrarsi, deve trasfigurarsi, deve “suicidarsi” come coscienza, cioè deve divenire il luogo in cui il concetto giunge a sapere se stesso e, quindi, la coscienza deve perdere se stessa (G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, Firenze 1996, p. 52). Così Hegel, a chiare lettere, afferma che la coscienza in quanto tale ed a causa della sua “naturalità” che la spinge a cercare il proprio soddisfacimento, peraltro mai appagato e definitivo, nei più variegati rapporti con l’ “oggetto” (qualunque esso sia o il Mondo o il Divino…) è il vero ostacolo al Sapere Assoluto in quanto esso è la Forma del concetto come attività del Se che, nella Religione è ancora rappresentazione coscienziale di un Altro (Io e il Divino) mentre nel Sapere Assoluto è Sapere di Essere l’Altro, l’oggetto e quindi il Divino che non è più (anzi non lo è mai stato…!) “oggetto”. Il Sapere consiste proprio nella conoscenza di essere la cosa, di avere il suo stesso contenuto che è il Pensiero e ciò è il Se quale “unione mistica” o pensiero speculativo per la ragione che il Pensiero pensante (nòesis) si è specchiato (speculum) nell’Altro (nòeton) e ha visto e conosciuto se stesso ed è divenuto ciò che è sempre stato: Spirito che è la coincidenza del Pensiero pensante con il Pensiero pensato.
Hegel, pertanto, afferma che nel Sapere Assoluto la coscienza, essendo struttura rappresentativa dell’oggetto in quanto questa la fa essere quello che è ed atteso che la coscienza, non essendo pensiero puro, non può non essere tale struttura proprio per la ragione che essa “crea” di fronte a se stessa l’“altro”, quasi ne avesse bisogno, (la coscienza) pertanto deve estinguersi insieme al suo irreale movimento per raggiungere il definitivo punto di quiete: e questa è la medesima calma, serena e divina dell’Intelletto, di cui parla Plotino e che Hegel definisce Idea Assoluta che è la nòesis noèseos cioè il Dio di Aristotele (G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, parte prima, La Scienza della Logica, Torino 2004, p.457). L’“irreale movimento” della coscienza in Hegel è tutto il viaggio iniziatico che è la Fenomenologia dello Spirito la quale ha per unico fine la autoestinzione della coscienza medesima, cioè della sostanza che deve sapere di essere anche e soprattutto Soggetto, il Se, di natura cosmica in quanto è Spirito, unione di Pensiero ed Essere, ed è la Scienza della Logica: come in Platone il Timeo ha per “oggetto” il Mito che è il racconto verosimile dell’origine del Mondo e dei Viventi e non la Verità dell’Idea e dell’Uno che sono l’ “oggetto” del Parmenide, così in Hegel la Fenomenologia dello Spirito è il racconto verosimile della “storia” simbolica della coscienza che giunge al Sapere Assoluto (capitolo finale dell’opera…) dopo che nel Pensiero e con il Pensiero, oramai puro da tutte le naturalità coscienziali, ha acquisito, suicidandosi come tale, la consapevolezza di essere Pensiero che pensa a se stesso, che “era” l’Altro, la “Cosa”, il “Dio”, l’oggetto: il soggetto e l’oggetto quindi sono Uno, ed è il Sapere Assoluto! Tutto ciò, come si è accennato, prelude, è propedeutico alla Scienza della Logica che è, in Hegel, simile al Parmenide di Platone: “….La Scienza della Logica sono le Idee di Dio prima della creazione del mondo e di ogni ente finito…” afferma Hegel, in un lessico creazionistico e, pertanto, molto poco sapienziale però abbastanza comprensibile; qui è esplicitata infatti la Verità che l’Eterno, che in Hegel è il Logico cioè la Ragione cosmica, è il Pensiero e che esso “…e la vera natura delle cose sono un solo e medesimo contenuto…” in quanto è l’Idea assoluta, “unione mistica” dell’Idea della Vita con l’Idea della Conoscenza; e Platone non insegna altro, come lo stesso Plotino: “… Ebbene questa parte [dell’anima] è simile al Dio [cioè la parte che conosce e pensa è simile al Dio] e chi la contempla e conosce tutto ciò che è Divino, cioè Dio e il Pensiero, giunge a conoscere anche se stesso il più possibile…” (Alcibiade Maggiore, 133,c; le parentesi quadre sono nostre).
Noi dobbiamo Sapere che l’Assoluto è vicinissimo a noi stessi anche se non lo vediamo, anzi è necessario Sapere che noi siamo l’Assoluto poiché in quanto pensanti lo portiamo sempre con noi anche se non abbiamo coscienza del pensiero quale semplice e necessaria azione dello Spirito, azione pura, serena calma, divina, in quanto autentica natura di noi stessi, dovendo però noi ritornare ad essere, coincidere, riconoscere tale vera ed unica natura salendo verso la purità, la immutabile essenzialità, la semplicità, la luminosa ed armoniosa potenza magica cioè creatrice che è la realtà del Principio: l’Intelletto, il Pensiero puro, (termine che proviene dal radicale indoeuropeo pu, sanscrito pu, germanico fiur, greco pyr) nel significato semantico di Fuoco onde purificare (fare fuoco) cioè lavare con il Fuoco, lo Spirito in un Rito filosofico interiore simile alla Via Secca ermetico-sapienziale; liberandosi da tutte le impure complessità della natura inferiore con il solo fine di tornare alla nostra vera Patria, verso Ciò che siamo da sempre: “Tu sei Quello” (Svetaketu, VI, 8,7 Upanishad).
Sia Plotino che Hegel, pertanto, dicono il Medesimo: la dimensione della coscienza, del sensus sui (del senso di se stessi) non ha nulla a che fare con il Pensiero, con l’Intelletto che è la “parte” superiore dell’anima; insegnano inoltre che la nostra unica e vera natura è questa “parte” superiore che è divina ed è la dimensione dell’Intelletto che è quella dell’Intelligibile cioè delle Idee; per lo effetto, concludono, all’unisono con tutta la veneranda Tradizione classica platonica, che lo stato di coscienza non ha alcuna relazione con il Divino che è il Pensiero puro, essendo questo assolutamente superiore a quella, poiché la natura del Pensiero procede da quella del Pricipio, dall’Arché divino del Mondo, che è l’assolutamente semplice ed è l’Uno che è al di là del pensiero e del pensato, dal quale questi procedono in quanto Intelletto quale unità di pensiero pensante e pensiero pensato. Ragion per cui ed in conclusione, sia Plotino che Hegel, insegnano la Verità (scandalosa ed incomprensibile per l’uomo moderno, ammalato terminale di antropocentrismo) che per vedere quindi conoscere in quanto riconoscere la propria vera natura che è il Dio cioè il Pensiero, conoscendo così se stessi, è assolutamente necessario essere incoscienti, liberarsi cioè dalla dimensione del sentire e del volere, da quello che l’esoterismo occidentale chiama “corpo astrale” è salire verso il sovracosciente mediante la thèoria cioè l’indicibile visione dell’Idea che è l’Intelligibile, Visione che è pura, semplice, intensa, libera dal tempo e dallo spazio, densa di stupore, calma e serena tale da essere Uno con essa, identificandosi nell’intima unione con la stessa, quasi “entrando nella stessa come la rete nel mare”, dice Plotino: non si ha più coscienza di alcunché poiché non si possiede alcunché di estraneo a se stessi, si è semplicemente se stessi in quanto si è Lui!
Giandomenico Casalino