Ascesa del Monte Sinai in solitaria: relazione di una impresa spirituale – Emanuele Franz
I preparativi alla missione in Egitto
Dopo il mio ritiro sul monte Athos ¹ e l’avvicinamento alla ritualità sorgiva della Chiesa ortodossa serba nella primavera del 2022 ho maturato molte riflessioni e soprattutto un progetto che ho intitolato “Voi siete Uno” in riferimento a un passo della lettera ai Galati di San Paolo (Galati 3,28). Ci sono determinati luoghi che sono dotati di vita propria, essi hanno un’anima che si pone in relazione con gli oggetti che vi dimorano e con le entità biologiche che vi sono partecipi, il tutto interagisce in una somma vivente che viene percepita e riconosciuta dai popoli antichi, anche da popoli di diversi costumi e religioni. Si tratta di una metafisica del territorio che un mondo sempre più globalizzato ci ha disabituati a sentire, spostando merci e persone con velocità e considerando il luogo un mero spazio fisico. Ma non è così. È il caso, come si diceva, del Monte Athos, ritenuto sede del Divino da millenni. Ed è il caso del Monte Sinai (conosciuto anche come Monte Horeb, 2285 metri di altitudine) una montagna sacra collocata nel deserto del Sinai, in Egitto, che secondo la tradizione biblica ospitò il celebre incontro fra Mosè e Dio attraverso il quale Mosè trascrisse le tavole della Legge deposte poi nella leggendaria Arca dell’Alleanza.
“Il Signore scese dunque sul monte Sinai, sulla vetta del monte, e il Signore chiamò Mosè sulla vetta del monte. Mosè salì” (Esodo 19,20).
L’incontro di Mosè con Dio fu così -carnale- che: “La pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con Lui.” (Esodo 34,29). Sulla montagna Sacra del Sinai, evidentemente, qualcosa di enorme ha preso dimora e questa enormità è riconosciuta sia dal Cristianesimo sia dall’Islam, si tratta di luoghi contesi spesso con attriti e guerre (vedasi ad esempio Gerusalemme), rivendicati con la forza da più schieramenti.
Mi ero dunque deciso e partire da solo per interrogare quei luoghi sul destino del mondo e soprattutto chiedere la Sua intercessione per mitigare le divergenze fra gli uomini in nome di un Sacro che va oltre il linguaggio umano. Tuttavia il compito non era facile perché sono un uomo che ha paura, ha difficoltà e vive l’incertezza con inquietudine: partire per quei luoghi era rischioso dal momento che sono sconsigliati per via delle diverse violenze e attentati verificatisi nel passato ed in molti luoghi non c’è sicurezza. Rischi, fatiche, tensioni, paure erano il conto che dovevo fare, ma nello stesso tempo sentivo una Chiamata alla quale non potevo sottrarmi.
Anzitutto dovevo arrivare al Monastero di Santa Caterina, a 1500 metri di altitudine, alle pendici del Monte Horeb, nel più antico monastero cristiano del mondo. Dal VI secolo dopo Cristo infatti questo eremo fra le montagne ha una tradizione monacale ininterrotta nel luogo dove Mosè ha avuto la visione del roveto ardente e la chiamata di Dio. Esso è Monastero ortodosso che conserva documenti e libri di inestimabile valore e che a sua volta è conteso. Infatti l’Islam ha sempre risparmiato questo monastero perché avrebbe dato rifugio e protezione a Maometto mentre fuggiva dai nemici. Napoleone, nella campagna di Egitto, lo fece addirittura restaurare. Insomma è un caput mundi della sacralità mondiale, e proprio per questo circondato da una tensione che si taglia col coltello. Gli estremisti non hanno mancato di fare attentati in quella zona e pure di mostrare ostilità verso i pellegrini, per cui le mie paure erano molte e non ero assolutamente convinto della riuscita dell’impresa. Eppure, sono partito, alla volta dell’ignoto.
Attraverso il deserto del Sinai
Sbarcato all’aeroporto di Sharm el-Sheikh ho intrapreso un viaggio nel deserto del Sinai con un mezzo di trasporto locale. Dopo essere arrivato al monastero di Santa Caterina in qualche ora attraverso il deserto egiziano in cui non c’era nulla a parte qualche installazione militare, mi ritrovo infine davanti un’oasi nel deserto, è il caso di dirlo. Mi sono trovato addirittura 12 posti di blocco con blindati, giubbotti anti- proiettile, mitra e schieramenti militari imponenti, non da ultimo sono stato controllato approfonditamente nei bagagli, e tutto ciò in un luogo distante ore e ore dalla prima città. Se mi fosse successo qualche cosa in quel luogo non so cosa sarebbe stato di me. Il Monastero di Santa Caterina non è da intendersi un luogo turistico pur tuttavia al mattino qualche forestiero arriva per visitare l’esterno del complesso religioso. Ma il mio caso era diverso, poiché preventivamente avevo contattato sia il responsabile della accoglienza dei pellegrini, sia il referente dei monaci per esporre loro il mio progetto e la mia necessità di un ritiro con me stesso. A tal proposito mi erano state quindi concesse due notti in una cella riservata ai pellegrini.
Una volta nella mia branda mi sono parzialmente tranquillizzato e nello stesso tempo reso conto di quanto rischiosa e difficile fosse l’impresa. Va bene l’arrivo al monastero, ma avventurarsi per le montagne nelle quali ogni crocicchio diventa occasione di un’imboscata lo trovavo molto rischioso. Ero esausto dal viaggio e credevo di non essere in grado oggi di tentare l’impresa l’indomani e invece ho dormito 13 ore consecutive (ero veramente esausto). La mattina ho preso la rodiola, un’erba miracolosa che limita l’affaticamento e ho deciso di tentare. Il dislivello si rivela subito maggiore dello stimato perché la foresteria è più bassa del monastero stesso e il percorso è anche lungo e fatto di diversi avvicinamenti. L’area è militarizzata e pure per entrare all’area del monastero occorre una perquisizione ai bagagli.
Deciso a tentare l’ascesa mi spiegano che non è possibile scalare la montagna da soli, ma che è obbligatorio servirsi della guida di un beduino locale e questo per ragioni di sicurezza. Inizio l’avvicinamento quindi a dorso di cammello. Pazzesco. Mentre ero a dorso di cammello nel deserto egiziano d’improvviso mi compare davanti il massiccio del Monte Horeb: la vita mi appare come un miracolo. A casa tranquilli sul divano non si corrono rischi, ma nello stesso tempo non è possibile nessuna trasformazione. “Guarda qua dove sono finito, è in credibile” ripetevo a me stesso, e vedendo la sommità della montagna Sacra non sono riuscito a trattenermi dal piangere.
L’ascesa in solitaria al Monte Sinai
Salendo faccio conoscenza con Arthur un ricercatore dell’università inglese che lavora per il monastero alla digitalizzazione di importanti documenti. Gli racconto del mio battesimo ortodosso e dei miei scritti filosofici e nasce fra noi una simpatia. All’attacco finale della montagna la guida beduina si ferma in un’area di sosta e lascia salire Arthur e me con lui, convenuto che, essendo con un referente del monastero, la mia sicurezza sarebbe stata tutelata. A quel punto, trovatomi da solo con il mio nuovo amico, dico ad Arthur che vorrei scalare il tratto sommitale in completa solitudine e quello acconsente e mi dice che posso prendermi il mio tempo e che ci saremmo visti sulla cima. In questo modo e attraverso questa circostanza fortuita ho potuto raggiungere la vetta del Monte Sinai in completa solitudine e vivere l’ascesa finale in un rapporto intimo con me stesso, cosa che altrimenti in compagnia non avrei potuto vivere. Così sono riuscito ad arrivare in solitaria sulla cima dell’Horeb o Monte Sinai dove Iddio è apparso a Mosè e gli diede le tavole della Legge.
Sulla cima è presente una cappella ortodossa antichissima, che per ragioni di sicurezza è chiusa. Tuttavia Arthur aveva le chiavi che gli avevano consegnato i monaci in persona per un sopralluogo e così l’ha aperta e io vi sono entrato. Non mi sembrava vero. Appena dentro al luogo eterno, esattamente quello in cui Mosè dal volto lucente parlò con Dio, e davanti alla pietra stessa sulla quale Mosè scrisse le tavole della Legge, mi sono gettato a terra ho baciato il terreno e ho pianto chiedendo perdono a Dio. Lo spettacolo inenarrabile di quelle cime sempiterne e inanellate al Divino merita il contegno, il silenzio e l’austerità. Grazie all’Altissimo ho potuto sentire nel mio cuore un verde melograno, una rugiada celeste, un palpito azzurro, fra le scoscese pareti dell’Horeb, un Dio parla ancora agli uomini.
Accolto come un figlio dai monaci del Monastero di Santa Caterina Ridisceso dalla montagna sacra mi ero deciso a entrare a parlare con i monaci ortodossi all’interno del monastero di Santa Caterina e non solo visitare il perimetro esterno, già quest’ultimo non privo di una certa impenetrabilità essendo nel bel mezzo di un deserto, incastonato fra le montagne e blindato da una dozzina di controlli militari. Peraltro, come se non bastasse l’isolamento estremo di questo Monastero, affacciato a questo si trova una scoscesa parete di roccia nel bel mezzo della quale è scavato nella pietra un eremo con una singola cella dove, così mi hanno spiegato, a turno i monaci si ritirano per vivere tre mesi in assoluta preghiera, solitudine e silenzio. Una potenza inaudita, ben lungi dalla chiacchiera del mondo contemporaneo e le finte spiritualità consumistiche del mondo occidentale. Scoperta è inevitabilmente sacrificio, e il sacrificio è eliminazione dell’inessenziale. Volevo in cuor mio interrogare i monaci su quanto e come fosse possibile sperare ancora, nel giorno di oggi, in una grande unificazione della Fede nel nome del Sacro.
Cosicché mi presento all’ingresso del monastero e subito una guardia mi barra la strada e mi dice che il monastero è chiuso, niente visite. Presumo mi abbia scambiato per un turista e allora gli spiego che precedentemente uno dei monaci con il quale mi ero scritto via epistola mi aveva invitato a incontrarlo al mio arrivo. Allorché la guardia non si scompone, mi chiede quando, come e perché e il nome del monaco, dunque vado al dormitorio e prendo la mail stampata che mi aveva scritto il monaco. Corro dalla guardia e gliela mostro. Poi mi dice di aspettare e passano minuti interminabili. Fa alcune telefonate, poi si allontana. Dopo un lungo lasso di tempo in cui, al freddo e in silenzio, ho atteso qualche riscontro, pagando con disciplina la mia ferma volontà, viene infine un frate e mi chiede se sono ortodosso. Gli dico del battesimo ortodosso e del fatto che sono stato accolto dai monaci del Monte Athos durante la Settimana Santa ortodossa. Mi chiede di poter vedere le carte del mio battesimo e della mia visita al monte Athos che io, per mia lungimiranza, mi sono portato nello zaino per il viaggio, una sorta di sesto senso. Una volta mostrategliele, mi conduce da un altro vicario di Dio di più alto grado, credo fosse un vescovo, e da questo vengo interrogato sulle mie intenzioni. Vengo valutato, messo alla prova, interrogato, allora spiego loro del mio progetto di Unità e questi mi consentono, benedicendomi, a entrare nella Chiesa interna e partecipare alla cerimonia dei Vespri ortodossi. Qui assisto alla liturgia. Un momento solenne è stato il venerare delle reliquie quivi custodite con devozione altissima, le reliquie di Santa Caterina in persona. Una emozione che mi palpitava il cuore. Io, come gli altri, con la fronte a terra a rispettare l’Altissimo baciando il suolo calpestato dal vescovo con le mie labbra. I canti della liturgia, gli incensi, la bruma di soavità che si spandeva su noi tutti mi fece cadere in estasi e vidi segni nell’aria. Un alito mi disse “Nulla si trasforma, tutto è tutto. Uno è ognuno. Ogni cosa è Uno” e così baciando le reliquie e gemendo ho ringraziato Iddio di quanto mi concedeva, spogliarmi di me stesso, dopo la fatica e l’umiliazione, per vedere oltre.
Terminato il cerimoniale ho potuto cenare con i monaci e scambiare con loro alcuni convenevoli. Ecco, mi è parso di poter prendere parte al culmine stesso dell’impenetrabilità, dell’inviolabilità. Un numero di monaci assisi nell’austerità che fra le rocce rubiconde del deserto tengono in piedi il mondo e impediscono, con il loro perpetuo sacrificio, che la totalità dell’esistente venga inghiottita nel nulla infinito.
Il rientro a Sharm: dal paradiso all’inferno, dall’austerità al consumismo
Rientrato nella civiltà, se si può chiamare così lo sperpero di forze morali, sono rimasto confinato a Sharm per due/tre giorni in attesa del rientro. Vera prova per il mio carattere trovarmi alieno in un mondo di plastica. Il resort turistico in cui mi trovavo a Sharm era per me un grande disagio ed è un ambiente totalmente alieno ai miei desideri e ben distante dalla vita austera dei monaci per i quali mi sono recato in Egitto. Il mio obiettivo l’avevo raggiunto ed era il monte Sinai e il monastero di Santa Caterina. Il villaggio turistico dove mi trovavo mi induceva una agitazione e un malessere reali. La notte non chiudevo occhio dal caos e dal frastuono fra musica, boati, rumori, motori. Questo mi ha causato una emicrania molto forte e ho avuto forti coliche addominali durante la notte e al mattino scariche di dissenteria che mi stavano debilitando. Non so se per via di qualcosa che ho mangiato e/o bevuto oppure la tensione o entrambi, sta di fatto che inizio a dare segni di cedimento e avrei voluto soltanto riposare prima della mia ripartenza. Io non sono qui in vacanza e di Sharm non ho alcun interesse. Peraltro circondato da persone che sono lì solo e al solo scopo di consumare, sperperare, senza alcun sogno, progetto e ideale.
Il culmine dell’immobilità umana è stare seduti su una sdraio davanti al mare, si tratta di una paralisi morale e spirituale prima ancora che fisica. Quel sole che languisce la pelle col suo calore andrebbe venerato come Potenza e non ridotto a scaldabagno, quel mare che ondeggia e ammollisce andrebbe solcato e poi oltre nell’oceano alla cerca di un ignoto che è incertezza, brivido, tremore, euforia e vittoria, solco inalienabile fra la mollezza e il rischio. Su quella spiaggia il primo uomo si ferma assiderato nel suo niente, ma l’uomo che va oltre dietro a quelle onde che giocano con la sabbia vede nuovi mondi da conquistare, oltre all’apparenza, oltre al piacere personale. Pensieri da Sharm el-Sheikh, dove d’un tratto mi sono trovato dall’austerità monacale del deserto e delle montagne sacre al pozzo immorale e caduco del consumismo, vera e unica prova da superare per lo spirito eroico.
Note:
1- https://www.paginefilosofali.it/monte-athos-sulla-montagna-sacra-emanuele-franz/
2- Ci tengo a ringraziare Alberto della Hangar34 per l’aiuto logistico con i biglietti e Walid per essere stato con me come un angelo custode.
Emanuele Franz
(L’ascesa al Monte Sinai avvenuta il 23 novembre)