Arte e Mistero nel Rinascimento italiano – Umberto Bianchi
Quello rappresentato dal Rinascimento, è sicuramente un periodo che ha avuto pochi eguali nella Storia. Nel suo palesarsi, costituì una perfetta sintesi tra arte e pensiero, tale da avere eguali solo nella Grecia classica di Pericle. Con la differenza, di avere come epicentro e motore propulsore, quella penisola italiana che, a partire dalla fine del 14° secolo, era andata entusiasticamente riscoprendo il retaggio della civiltà classica, proprio attraverso gli scritti di autori come Petrarca, Dante e Boccaccio. Quell’Italia che, agli inizi del Quattrocento, doveva ospitare quel Concilio di Ferrara che avrebbe costituito uno degli svariati (e vani…sic!) tentativi di riunire le due grandi famiglie della cristianità, ovverosia quella greco-ortodossa di Costantinopoli e quella cattolica/”universale” di Roma. Stante questa situazione, all’interno della delegazione greca, spiccheranno due nomi sopra tutti:: quello del Cardinal Bessarione e quello di Gemisto Pletone. Ambedue provengono da quella Mistrà, nel Peloponneso, in quel momento assurta sotto il dominio dei Paleologhi, a vera e propria capitale culturale e spirituale, dell’oramai decadente impero bizantino. Ambedue questi personaggi, porteranno in dono il bagaglio sapienziale del neoplatonismo, trovando nella Firenze di Cosimo De’ Medici, il ricettacolo adatto alla diffusione ed all’irraggiamento di questa cultura. E qui sarà necessario operare una piccola, ma decisiva contestualizzazione, del clima culturale di quel m omento.
(Marsilio Ficino)
A partire dalla più tarda fase dell’Ellenismo, l’eredità culturale del Platonismo, si dividerà in due branche simili, ma ben distinte: la prima rappresentata dal Neoplatonismo, dei vari Plotino, Ammonio Sacca, Porfirio, Proclo, Giamblico ed altri. La seconda è rappresentata dalla Gnosi o Gnosticismo, dei vari Marcione, Carpocrate Basilide, Valentino ed altri ancora. Ambedue le scuole saranno caratterizzate dalla centralità del motivo dell’ “emanazione” del principio Primo o Uno, in base alla quale lo spirito discende e si fa materia. Con la differenza che, mentre nel Neoplatonismo, tale emanazione è vista come fenomeno positivo, che interconnette tutta la realtà del Cosmo, nella Gnosi tale fenomeno è visto in un’accezione profondamente negativa, animata dalla necessità prima di risalire alla Luce dell’Uno, anche attraverso un atteggiamento di disprezzo e rinuncia nei riguardi della realtà materiale. E così, il pensiero gnostico inaugurerà l’Evo Medio, con la predicazione dell’iranico Mani, sino a arrivare ai gruppi dei Catari, dei Bogomili, dei Pauliciani e dei Templari stessi. Non solo, tale filone di pensiero considerato “eretico”, si accompagnerà durante l’Evo Medio tutto, alla predominanza dei due massimi sistemi ideologici e politici dell’epoca: quello della romana “ecclesia”, poi influenzata dal Tomismo e dalla Scolastica e quella dell”Imperium” di romana derivazione, ma ora rappresentata dal Sacro Romano Impero di germanica matrice.
Con il progressivo sgretolamento del Sacro Romano Impero, ed il sorgere degli Stati Nazionali in Europa, il grandioso ideale universalistico dell’Età di Mezzo, sempre più sarà sostituito da un’idea di Stati, frutto della forte individualità dei loro “Signori”, come per l’appunto in Italia andava verificandosi., con le varie Signorie. Ed il rinascimentale “antropocentrismo”, non poteva trovare miglior espressione, se non attraverso le elaborazioni della filosofia “magica” del neoplatonismo, proprio incentrata sul ruolo di centralità dell’individuo in grado di agire e manipolare la sovrastante , ma onnipresente, realtà del numinoso.
Il Cardinal Bessarione sarà grande studioso di tale bagaglio, accompagnato dal lavoro di rielaborazione filosofica di Gemisto Pletone, volto a tratteggiare una comune linea di pensiero che, attraverso i secoli avrebbe accomunato Zoroastro, i Gimnosofisti Hindu, Orfeo, Pitagora, Ermete Trismegisto, i Profeti Israeliti, Licurgo, i filosofi greci Parmenide, Eraclito ed Empedocle, Plotino ed altri ancora, sino alla rivelazione cristiana, il tutto nel nome di una “prisca theologia”. Motivi questi, che saranno successivamente ripresi ed integrati dalle varie “Accademie” che, nella nostra penisola, daranno il via ad una stagione di ricchezza spirituale senza precedenti. A primeggiare, tra tutte, sarà quell’Accademia “platonica”, il cui principale ed entusiasta promotore, sarà quel Marsilio Ficino che effettuerà un lavoro di ulteriore rielaborazione del concetto di “prisca theologia”. Il Ficino andrà ad incardinare quest’ultima con una forma di “magia naturalis”, volta attraverso un’azione di potenziamento magico (dall’iranico “mag”) degli elementi naturali a nostra disposizione, a poter operare sulla realtà in una forma di interazione con la dimensione del numinoso, senza mai travalicare quei limiti stabiliti dall’on nipresnte ed occhiuta presenza delle autorità cattoliche, specialmente nella penisola italiana.
In Italia, l’elaborazione di un pensiero filosofico, sulla falsariga del Neoplatonismo, procederà con nomi del calibro di un Pico della Mirandola, Nicola da Cusa (di origine germanica, ma poi trasferitosi nella nostra penisola…), Pietro Pomponazzi, Telesio, Giordano Bruno, Machiavelli, Da Vinci, Lorenzo Valla, Leon Battista Alberti , con la particolarità, difficilmente riscontrabile altrove, di andare ad intersecarsi direttamente con la pratica artistica. Ma procediamo con ordine. A tal proposito, potremmo citare numerosi esempi di quanto detto, ma al fine della nostra trattazione, ne saranno abbondantemente sufficienti solo alcuni.
(Gemisto Pletone)
Il primo esempio, è sicuramente rappresentato dalla “Primavera “ di Sandro Botticelli, da questi dipinta anche sotto l’ispirazione dei versi del poeta Angelo Poliziano e delle elaborazioni dei Marsilio Ficino, della cui Accademia i due facevano parte, a pieno titolo. In un unico dipinto, sono rappresentati vari motivi, dalla forte valenza simbolica. Iniziando da destra, il soffio di Zefiro, trasforma la fanciulla Cloe, dalla cui bocca fuoriescono fiori, nella Dea Flora, mentre di fronte ad una dea Venere, profondamente ieratica e distaccata le tre Grazie, Castità/Pudicitia, Bellezza/Pulchritudo ed Amore/Amor, intrecciano una danza, mentre Mercurio/Hermes disperde qualsiasi minaccia di nubi, che dal cielo possa venire.
Il soffio di Zefiro, altri non è che il “pneùma” che, di sé, discendendo, investe la realtà dei mortali, rendendo, una tra di essi, una immortale. La Venere botticelliana è qui ieratica, delicata, ma al contempo immedesimata nella propria “fortitudo”. Dea della bellezza e dell’Amore, è qui nel ruolo di divina sovrintendente a quel continuo processo di emanazione, discesa e risalita che conferisce un ritmo di ieratica danza, all’Essere tutto e dove, a dover trionfare, deve essere il puro e spiritualizzato Amore, rappresentato da Pudicitia, sopra la materiale sensualità delle Grazie Pulchritudo ed Amor. Medesimo tema, sembra riecheggiare potente in Marte incatenato a Venere, di Francesco Cossa, in palazzo Schifanoia a Ferrara. L’Amore di Venere, nel sottomettere la furia guerriera di Marte, si dota esso stesso di uno spirito marziale che, al di sopra dell’istintiva irosità, ne fortifica la valenza.
In “Amor Sacro ed Amor Profano”, di Raffaello Sanzio, tale motivo si arricchisce e chiarifica con il ruolo mediatore ed unificatore di Eros tra due, apparentemente inconciliabili, aspetti di Amor che, in tal modo nella figura di Eros, proprio sulla falsariga di un motivo orfico, dimostra la propria forza di catalizzatore universale. In “Leda e il cigno” di Leonardo da Vinci e Michelangelo Buonarroti, la figura di Leda, è strettamente legata al principio neoplatonico del binomio discordia-concordia e sul concetto pitagorico dell’armonia degli opposti: il cigno, principio fecondante, sotto le quali spoglie si nasconde Zeus, dà origine ad una covata, da cui nascono quattro gemelli, due maschi e due femmine: rispettivamente i Dioscuri Castore e Polluce (simboli di concordia), Elena e Clitennestra (simboli di discordia). Da tutto questo, traspare una sostanziale “omoiusìa/identità”, tra il principio di Amore e quello di Morte, in virtù del quale non si può amare un Dio, senza poi esserne riassorbiti, assimilati, travolti, sino a “morire”, confondendo la propria identità con quella dell’Assoluto. “Lo scorticamento di Marsia” di Raffaello, ci mette dinnanzi ad un vero e proprio procedimento ”iniziatico”. Ben lungi dalla semplice rappresentazione di un arcaico e cruento mito, quella del Satiro Marsia è, invece, la rappresentazione del cammino iniziatico in virtù del quale, colui che si avvicina ad una forma di superiore ed armonico sapere, deve saper rinunciare alle proprie mortali e sensuali spoglie, ovverosia all’attaccamento alla materialità, tramite una sofferta rinunzia (squartamento…sic!), sino a mettere a nudo la propria vera e più celata natura spirituale e di lì, rinascere a nuova vita.
Il famoso, michelangiolesco “Tondo Doni”può esser, invece, definito, una tra le massime rappresentazioni, assieme alla creazione dell’uomo della cappella Sistina, dell’antropocentrismo rinascimentale. Laddove nel primo dipinto, tutto questo, è sintetizzato nelle tre distinte, figure della Sacra Famiglia, qui ritratte all’insegna di un gigantismo e di una possenza fisica, altrove non riscontrabili. Egual motivo riscontrabile nel secondo dipinto, in cui la elegante possenza del Creatore e del figlio suo Adamo, è tale da far sorgere la domanda su un interscambio dei ruoli o su chi sia veramente, tra i due, il Dio. Forte permane, in questa rappresentazione, l’idea di uno stretto legame di necessità che lega i due e che ci rimanda al motivo prima ermetico e poi hegeliano, della cosiddetta “autoctisi”, ovverosia della necessità di Dio di creare l’uomo, al fine di prender coscienza di sé stesso. Da quel che abbiamo potuto sinora constatare, l’arte rinascimentale va essa stessa, facendosi veicolo operativo dei vari motivi misterici, legati al neoplatonismo rinascimentale. La pittura, la scultura e la stessa architettura, si fanno realizzatrici di quell’ “Opus Alchemicum” del quale, in Italia, contrariamente a quanto accadeva in altri contesti nazionali, come la Germania del sacro Romano Impero o l’Inghilterra elisabettiana, non si può parlare così liberamente né si può far apertamente pratica. La pittura e la ritrattistica rinascimentali, come nel caso della “Gioconda” o della “Vergine delle rocce” di un Leonardo, ci rappresentano volti che celano un enigma, il cui significato è nascosto tra i mille risvolti misteriosofici della filosofia neoplatonica. Quella del Rinascimento, è l’Italia del superuomo, eclettico, colto, ma anche spiritualmente pragmatico, a suo agio nell’ interagire con la dimensione del numinoso, in un ruolo attivo e cosciente.
Quell’Italia che Nietzsche prese a modello, proprio per l’edificazione di un nuovo tipo umano, in grado di andare oltre il semplicemente umano. L’Italia farà ancora parlar di sé e della sua arte nei secoli a venire, con gli ultimi bagliori del Barocco e del Neoclassico, lasciando al mondo un retaggio immenso e di cui, ad oggi, gli stessi italiani non hanno ancora compreso l’importanza e la centralità.
Bibliografia di riferimento:
- Edgar Wind, Misteri pagani nel Rinascimento, Adelphi Edizioni;
- La civiltà del Rinascimento in Italia, edizione integrale, Jacob Burckhardt, Newton Compton Editori.
Umberto Bianchi