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Allegoria e racconto attraverso le lame dei Tarocchi – 1^ parte – Veronikque Luce
Non esiste NULLA di più magico del REALE, la dimensione in cui lo Spirito si svolge e realizza, liberandosi dalle ombre creatrici solo di illusorie proiezioni. La finalità dell’arte di leggere i tarocchi è liberare lo spirito, sempiterno, dalla psiche, ingannevole, frammentata, che ci crocifigge alla ruota del tempo e del ciclo infinito di morte e reincarnazione, attraverso la rievocazione di immagini archetipiche come i 22 arcani maggiori, detti anche lame ermetiche. L’essere umano, fin dalla sua comparsa sulla terra, è rimasto prigioniero dei demoni, delle streghe, degli incubi e le isterie collettive fino ai complotti e le teorie risibili che oggi corrono in rete ma, proprio per la loro assurdità, seducono migliaia di ciechi. Cambia la forma non la sostanza: il buio della caverna platonica avvolge la pura visione, il velo deve essere squarciato attraverso un dialogo profondo con il Sè.
“Io sono il mio mondo”: “esse est percipi”, senza il soggetto che pensa e percepisce il mondo, questo, semplicemente, non esiste. Chi si pone al centro del proprio mondo non è un arrogante o un egocentrico ma un ricercatore filosofico, sempre in cammino! La superficialità contemporanea, le immagini usate per essere consumate, può impedire di visualizzarci come Persone in un mondo di cose e merci.
Le lame dei Tarocchi svelano in che misura l’ espressione simbolica del Sacro sia reale e il loro quotidiano utilizzo, in senso sottile, ha ispirato la scrittura del romanzo “Vaporescenze”, inedito, di cui esponiamo, di seguito, brevi estratti.
Arcano 0 -Il Matto:
“Spuntava, da un cumulo fumante di immondizia, un torso di bambola di plastica color rosa pesca, nuda, la testa coronata da capelli ispidi, quelli su cui le bambine si accaniscono quando non possono fare le bizze conclamate, fino a sfibrare il materiale sintetico di cui sono composte e renderlo simile alla paglia. Lo stesso capriccio, evidentemente, le aveva fatto perdere gambe e braccia snodabili, staccate di netto dalla sede originale rimasta un buco vuoto dai bordi taglienti.
Era uno spettacolo osceno nella sua desolazione e sembrava suggerire una metafora delle condizioni dell’essere umano: dall’orrore del giocattolo usato, che si fa usare e poi gettato, alla tristezza di un destino comune e incolpevole, quello della decadenza che tutto dissolve, dissacrandolo, fino al simbolo del gioco, elemento beffardo che ci aspetta all’improvviso proprio lì dove mai siamo pronti a incontrarlo per canzonare le nostre certezze, forse alleggerirle e comunque portarle in giro, dal salotto alla discarica e ritorno.
La realtà fu che quell’immagine gli si aggrappò alle viscere come una tenaglia e le strizzava con ostinazione: un bambino aveva abbandonato il suo compagno forse perché non lo rendeva più felice o qualcuno glielo aveva sottratto, il risultato è che, in quel momento, erano entrambi soli, chi ha lasciato e chi è stato lasciato, lontani, dimenticati. La superficialità è un peccato mortale che prima o poi si sconta, a doccia fredda, sul proprio cammino anche se ci si crede abbastanza veloci da evitarla, emerge squallidamente sulla cima delle nostre azioni quotidiane, accumulate come quella torre di scarti incoronata dal balocco mùtilo e ci getta nello sconforto inconsapevole: è il nostro specchio quello spettacolo indecente? […]”.
Arcano 8 – Giustizia:
“ [..]C’è una Ragione superiore che a noi può sembrare il vuoto solo perché non ci siamo dentro, con le nostre pretese e le nostre spiegazioni, ma lei esiste ugualmente ed è più importante ed eterna. E’ per lei che siamo nati, in una combinazione assurda di eventi. […] Il concetto di Giustizia, infatti, non è un temino da fare per ricevere un bel voto o per sfidare il professore: nessuno ti premierà né ti punirà perché sei stato bravo secondo le tue regole, le regole non esistono.
Non esiste una legge che ti restituisce la Verità sulle persone, sugli eventi della Vita, l’ho cercata ma … non esiste.
Indurre gli altri a rispondere alle nostre sollecitazioni, portarli a darci ragione non ci sfama, non ci disseta. Avere ragione non significa partecipare alla RAGIONE SUPERIORE. Per arrivare a quella bisogna osare l’esperienza del dolore, il più cieco e disperato, tanto da riuscire ad amarlo e imparare da esso: solo così avviene il sacrificio, la primizia che i pagani offrivano agli dei assieme ai frutti migliori, il raccolto, il bestiame, addirittura i figli. Bisogna bruciarlo questo dolore insieme all’incenso che col suo odore cancella il resto e sale in alto.
Comprendimi, non voglio dire di lasciare le nostre faccende quotidiane senza padrone, tocca a noi guidare la nostra esistenza, mettere i mattoni uno sopra l’altro per garantirci un tetto di copertura, alimentarci, curarci. Dico solo che l’anima del mondo si nasconde altrove, fuori dagli uffici e dalle norme sociali e non ci promuove se facciamo i compitini a casa: è un fuoco che brucia e noi siamo quello che resta dopo l’incendio. […]”-
Veronikque Luce