Tra Sciamanesimo e Modernità: appunti da un viaggio nelle Filippine
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Tra Sciamanesimo e Modernità: appunti da un viaggio nelle Filippine – Umberto Bianchi
Improvvisamente proiettato nel caotico traffico di Manila, nelle Filippine, in un contesto fatto di degrado urbano, inquinamento e quanto di più negativo una metropoli del Terzo Mondo ci possa offrire, non avrei mai pensato di scoprire una realtà, così sorprendentemente ricca di spunti e di storia, come quella in cui mi trovavo. Dopo una visita al centro storico di Manila, il cui fulcro è costituito dalla cittadella coloniale di Intramuros, non poteva chiaramente mancare una più che doverosa, visita ai locali musei. Constatata la colossale fila di fronte al Museo Nazionale, più che altro impostato sulla locale produzione artistica, istintivamente mi dirigevo verso il bianco e lindo edificio neoclassico del museo antropologico che, circondato da una serie di giardini, stonava vistosamente con il circostante bailamme urbano. Dopo aver dovuto lasciare i miei dati all’ingresso del museo (N.B.- in casa propria, gli altri sanno tutelare con molta efficienza ed attenzione i propri beni culturali, contrariamente a quanto accade da noi…sic!), mi sono ritrovato in una, quanto mai inaspettata, dimensione di immagini, colori, reperti, che mi hanno trascinato indietro nel gorgo dei millenni.
D’altronde, la presenza umana nelle Filippine, non è cosa nuova. I ritrovamenti dei primi resti umani di “Homo Sapiens”, provenienti dal continente asiatico, datano ad almeno 30.000 anni fa. Successivamente, un’ondata di popolazioni di origine melanesiana, (i cosiddetti “negritos”), costituite da cacciatori-raccoglitori, antenati delle attuali popolazioni Ati ed Aeta, si sarebbero sovrapposte ai primi arrivati di origine asiatica. Ma è approssimativamente tra i cinque ed i seimila anni fa, che si verifica il più massiccio ed importante arrivo di quelle popolazioni che costituiranno il nucleo fondante dell’identità filippina. Parliamo delle popolazioni cosiddette “austronesiane”, la cui origine è fatta risalire a circa settemila anni fa e la cui provenienza è, ipoteticamente, fatta risalire da una originaria migrazione proto-austronesiana dal continente asiatico verso l’isola di Formosa /Taiwan ove, successivamente, si sarebbero consolidate identità e lingua austronesiane. Successivamente, si verifica una migrazione a raggiera di entità e vastità tali, da poter esser tranquillamente comparate a quelle di matrice indoeuropea. Dall’originario Ur-Heimat taiwanese, gli austronesiani si espandono tra Filippine, Borneo, Malesia, Indonesia,Thailandia, Cambogia, Cina meridionale, Oceania vicina, Isola di Pasqua, Polinesia, Micronesia, Nuova Zelanda, Madagascar, caratterizzandosi per una precisa identità culturale, nonostante le molteplici differenze, dovute ai differenti contesti di insediamento. Popolazioni dedite all’agricoltura stanziale ed all’allevamento, gli austronesiani sono caratterizzati da una forma di religiosità politeista, che pone al di sopra di ogni cosa un principio primo, sovente rappresentato da un’entità di natura uranica o solare, (come l’ Iho dei Polinesiani, sic!), contornato da tutta una serie di “Mana” o entità numinose che, della realtà, rappresentano i molteplici aspetti, in continua correlazione e sinergia con la vita della comunità tribale, il cosiddetto barangay, originariamente costituito da un semplice gruppo parentale guidato da un datu(capo).
All’interno del barangay, sussiste una precisa gerarchia, al vertice della quale stanno i maharlika (nobili), i timawa o uomini liberi e un gruppo privo di diritti di proprietà, per vari motivi, sino ai cosiddetti alipin (schiavi), la maggior parte dei quali sembrano essere stati prigionieri di guerra. L’organizzazioine sociale di queste popolazioni, costituita da una molteplicità di elementi, ripete in chiave terrena, quella religiosa a cui abbiamo poc’anzi accennato, costituita da una molteplicità di aspetti tra loro strettamente interrelati. Il culto dei morti, anzitutto, consistente nel collocare i resti mortali dei defunti in grotte, sormontati da statue colorate, rappresentanti le fattezze in vita di questi ultimi. Un’usanza questa, praticata anche nell’isola indonesiana di Sulawesi, presso la tribù dei Tana Toraja. Secondo poi, il sacrificio animale, sovente praticato con l’uccisione di un bue, frequentemente praticato dai Mentawai di Sumatra, ma anche in certi areali delle Filippine. Terzo poi, la guerra e la collezione dei crani dei nemici uccisi, assieme ad infrequenti pratiche antropofagiche, il tutto volto a far assimilare al vincitore, virtù e forza del vinto. Ma a far più impressione, sopra tutto, la collezione di ceramiche, vasi e ritratti antropomorfi, risalenti a qualche millennio fa e che presentano delle straordinarie analogie, con quelli etruschi e generalmente arcaizzanti del periodo “villanoviano”, riscontrabili in vari contesti del Mediterraneo e non solo. Il che ci riporta all’idea di una comunanza di archetipi, che caratterizza l’intero genere umano ed i cui motivi vanno manifestandosi, via via nelle varie fasi di una determinata civiltà.
Quella degli austronesiani filippini, precedentemente all’arrivo degli spagnoli, può esser tranquillamente definita una civiltà “in bilico” tra i culti primordiali legati alla presenza del drago o serpente cosmico, che minaccia di ingoiare il creato intero, alla pratica agricola ed alla Madre Terra, (vista anche quale custode dei defunti, come nel caso delle pratiche a cui abbiamo accennato…), oltrechè all’animismo ed all’adorazione di divinità teriomorfe, accompagnate a tutta una serie di divinità femminili legate all’elemento dell’acqua, ma anche tra una primigenia forma di religiosità di matrice uranica o solare, evidenziata da una moltitudine di pratiche sciamaniche, in connessione con le dimensioni superne, dal sacrificio di capi di bestiame bovino ( che non possono non rammentarci un primigenio antecedente della, sicuramente più raffinata, tauroctonia mitraica…), dalla pratica guerriera, incentrata sull’introiezione della forza dell’avversario. Pratiche queste, tutte istintivamente volte ad un perfezionamento dell’ “Io”, in rapporto alla dimensione numinosa. Corazze leggere, elmi, e raffinate armi da taglio, presenti in gran numero nelle sale del museo, ci rammentano una civiltà bellicosa, con cui i colonizzatori spagnoli dovettero fare i conti, tanto da dover arrivare a stipulare un vero e proprio “patto di sangue” tra il proprio governatore ed il capo guerriero delle locali tribù. Gli stessi caratteri “baybayin”, in cui viene scritto il “tagalog” filippino, ci riportano ad una originalità che si manifesta anche nella scrittura e nell’alfabetizzazione, che precede di gran lunga, sia le influenze hindu, che quelle islamiche, che quelle successive spagnole.
La successiva colonizzazione spagnola, ha fatto sì che i motivi delle antiche forme religiose si andassero ad unire con quelli della religiosità cattolica, dando luogo a motivi sincretici che ci ricordano da vicino, quanto verificatosi in ambito caraibico e latino americano. Di contro, le autentiche radici spirituali filippine sono state significativamente stravolte, dal contatto con l’Occidente americanizzato, il cui epicentro culturale è qui stato rappresentato dall’episodio della colonizzazione americana, tra gli inizi del 20° secolo ed il 1946. Il che ci lascia con l’amara considerazione, sul carico di miseria ed alienazione che il modello occidentale ha saputo esportare, dovunque abbia poggiato il proprio mefitico piede.
BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO:
- Natale Spineto: “Religioni. Studi storico-comparativi”, in Alberto Melloni (a cura di),Dizionario del sapere storico-religioso del Novecento, Bologna, Il Mulino
- Mircea Eliade: Trattato di Storia delle Religioni, Torino, Bollati Boringhieri
UMBERTO BIANCHI