Eudaimonia tra etimologia e significato: dall’Etica Nicomachea di Aristotele (1, 7, 1097° 15) – Rosa Maria Convertini
La felicità è un tema centrale per molti filosofi antichi, ne hanno dato una definizione profonda e differente. Per Aristotele, la felicità è l’Eudaimonia, un concetto che rappresenta la realizzazione di sé attraverso la virtù e la saggezza. In Oriente, d’altra parte, vedono la felicità come uno stato di serenità interiore, ottenuta attraverso l’accettazione delle cose che non possiamo controllare e il dominio sulle nostre emozioni. In questo articolo, esploreremo le due visioni, mettendo a confronto i loro approcci e scoprendo come queste filosofie possano guidarci verso una vita più felice e significativa. Proponiamo qui uno schematico riassunto dell’Etica a Nicomaco di Aristotele. L’opera, divisa in dieci libri, venne così intitolata perché fu il figlio di Aristotele, Nicomaco, a raccogliere e divulgare le lezioni tenute dal padre. Soprattutto nei libri V, VI e vi si notano frequenti interpolazioni e manipolazioni dovute a discepoli del maestro e a successivi compilatori. L’opera fu pubblicata perla prima volta, insieme al corpus delle altre opere aristoteliche, da Andronico di Rodi (50-60 a.C.).
Tra le tante opere di Aristotele, si sottopone all’attenzione del lettore l’Etica Eudemia, uno dei quattro scritti a carattere morale del filosofo greco e che, qui, sarà esaminato limitatamente alla struttura e al contenuto dei diversi libri che costituiscono l’opuscolo aristotelico. Il perno della trattazione filosofica dell’Etica è costituito dal concetto della ‘felicità’, sostantivo che traduce il corrispettivo greco εὐδαιμονία (Eudaimonia), termine di difficile e controversa traduzione. Le diverse trattazioni aristoteliche presenti nell’opuscolo si legano, in un certo senso, alla ricerca di questa ‘felicità’, che cos’è e perché costituisce il ‘fine’ di ogni essere umano. La ‘felicità’ rappresenta, in Aristotele, il sommo dei beni cui l’uomo può accostare la sua opera ed indirizzare le sue azioni. Dal punto di vista strutturale, l’opera è suddivisa in otto libri (qui saranno esaminati soltanto i libri I–II–III–VII–VIII con l’esclusione dei libri IV–V–VI dal momento che quest’ultimi sono stati assegnati – non si sa se quest’assegnazione sia fedele o meno, ma non ci si dilungherà sulla questione – all’Etica Nicomachea):
LIBRO I: i primi sei capitoli del libro costituiscono il proemio dell’opera e lo si deduce dalle stesse parole di Aristotele che, all’inizio del capitolo settimo, afferma: πεπροοιμιασμένων δὲ καὶ τούτων «Detto questo a guisa di proemio»; subito dopo il filosofo passa alla trattazione della tematica della ‘felicità’, focalizzando l’attenzione, soprattutto, su cosa essa sia
LIBRO II: il contenuto di questo libro verte principalmente sul concetto della ‘virtù’, che traduce il sostantivo greco ἀρετή (areté). Aristotele focalizza l’attenzione su cosa essa sia e se abbia dei legami con la ‘felicità’.
LIBRO III: dopo aver presentato il concetto della ‘medietà’, in questo libro Aristotele prende in considerazione una serie di ‘medietà’ analizzandone, altresì, le degenerazioni in eccessi e difetti.
LIBRO VII: in questo libro Aristotele passa ad esaminare un altro concetto fondamentale nell’antichità – ripreso più e più volte e affrontato da diversi filosofi e scrittori che ne hanno elaborato una propria e determinata concezione -, ovvero la φιλία (filía) ‘amicizia’. L’amicizia secondo virtù, che è quella più duratura; rappresenta l’autentica affermazione del legame tra due persone che è destinato a non avere fine perché è la stessa ‘virtù’ a tenerlo in vita, motivo per cui essa, come afferma lo stesso Aristotele: «[…] non si stringe tra molti perché è difficile far la prova di molti». L’amicizia secondo utilità, che è finalizzata alla ricezione di un bene o un contraccambio e che può essere sintetizzata con il celebre motto latino del do ut des; essa rappresenta, secondo Aristotele, quella più comune, infatti il filosofo afferma: «Di queste forme [riferendosi alla tripartizione dell’amicizia], quella fondata sull’utile – χρήσιμον (chrésimon) – è l’amicizia dei più». L’amicizia secondo piacere, tipica dell’età giovanile, finalizzata al mero ritrovo e ‘passatempo’, solitamente è destinata a mutare ad ogni cambiamento dello stesso ‘piacere’ che l’ha costituita. L’amicizia secondo piacere, tipica dell’età giovanile, finalizzata al mero ritrovo e ‘passatempo’, solitamente è destinata a mutare ad ogni cambiamento dello stesso ‘piacere’ che l’ha costituita.
LIBRO VIII: l’ultimo libro dell’Etica Eudemia tratta, in tre capitoli, della ‘saggezza’, ‘fortuna’ e della καλοκαγαθία (kalokagathίa), ovvero ‘bello e buono’ che rappresenta uno dei concetti più importanti del pensiero greco antico, fondato sull’ideale che si sostanziava nella perfezione fisica e morale dell’uomo.
I caratteri fondamentali e peculiari della civiltà ellenica, che hanno favorito la nascita della filosofia: la democrazia, il commercio e l’attitudine critica. Sentiamo parlare spesso di Felicità, ma realmente cosa intendevano gli antichi filosofi? Nell’antica Atene un giovane allievo di Platone volle sperimentare concetti importanti acquisiti dal gran maestro. Il suo nome era Aristotele, attento e disciplinato, vigile e astuto, intraprese il percorso filosofico con serietà e grande devozione. Dopo la morte di Platone, Aristotele lasciò l’Accademia e viaggiò tanto, conobbe nuove terre e nuove anime, potè sperimentare il concetto di Felicità su se stesso. Come? Osservò come l’uomo fosse felice quando realizzava le proprie “Virtù” , quando commetteva azioni “virtuose”, Aristotele era descritto come un generale e uno scienziato. Perché? Il filosofo sosteneva che la felicità bisognava costruirla mattone dopo mattone, proprio come una casa! Senza sosta, proprio come un generale! Inoltre potette osservare, nei suoi lunghi viaggi, uomini in galera che partivano le pene dell’inferno, nella totale infelicità dopo aver commesso reati ferocissimi! Esattamente come uno scienziato! Ma nulla è accaduto per caso, immaginiamo di toglierci i sandali, e di camminare a piedi nudi nell’antica India tra guru e i grandi illuminati, sentiremo parlare della “Legge del Karma”. Cosa dice esattamente?
Il principio karmico è legato a quello di “Sara” e “Moksa”, le vie che conducono alla liberazione dal ciclo delle rinascite. Il “Dharma” o legge universale, nel significato di “corretto agire”, senza inganno, evita l’accumulo di karma “negativo”, quindi ogni essere senziente contribuisce con il suo comportamento, all’ordine cosmico. Ecco cosa dice Krisna ad Arjuna nella Bhagavad-Gita:
“È meglio adempiere il proprio dharma anche se senza merito (e in maniera imperfetta), che fare bene il dharma di un altro. Chi compie il dovere prescritto dalla propria natura innata non commette peccato“.
Quindi possiamo dedurre che le nostre azioni riflettono noi stessi e la nostra felicità? Possiamo affermare che siamo noi artefici del nostro destino? Eudemonia è il connubio di due parole FELICE & DEMONE, vi siete mai chiesti come la parola FELICITÀ possa avere una radice così controversa dal suo reale significato? Felice & Demone = Felicità come YIN & YANG = Notte e Giorno Maschile & femminile = Caldo & freddo…abbiamo bisogno di abbracciare la parte occulta di ognuno di noi, la sfera sottile poco visibile per raggiungere quel delicato equilibrio che ogni giorno tentiamo di riportare nella nostra vita, nella nostra anima.
Rosa Maria Convertini