La Tradizione ed il Cristianesimo tra mito, rito e storia – Giandomenico Casalino
Il cosiddetto Medioevo, o Evo medio, è l’espressione fattuale quindi storica dell’imporsi della cultura cristiana nell’Europa già romana, pertanto è da considerare, nella sua esplicitazione concettuale, l’epoca in cui la medesima spiritualità cristiana, nonostante l’incontro-scontro con le popolazioni di ceppo nordico-germanico, ormai succedute alla classe dirigente imperiale romana o con i residui della stessa mescolatesi nel governo dell’Occidente, è, comunque, egemone e contraddistinta proprio dalla natura arcaica e quindi mistico-fideistica di cui ogni epoca storica all’inizio del suo ciclo è sempre caratterizzata.
In tale contesto sono da esporre alcune considerazioni che, nel trattare, anche se per linee essenziali, un tema come il presente, sono propedeuticamente necessarie. V’è da contestualizzare, infatti ed innanzitutto, che, in tema di antropologia religiosa, la fenomenologia relativa sia al fatto spirituale del Mito quanto a quello del Rito, è da collocare entro, appunto, il contesto “ideologico” nel senso di psichico (come tipo di atteggiamento della coscienza…) del cristianesimo medesimo che, non bisogna trascurare, è un atteggiamento religioso assolutamente nuovo ed inedito sia per le culture del Mondo Antico che per quelle germanico-indoeuropee; in quanto esso è un complesso di credenze, di convinzioni, di natura fideistica, che hanno come fondamento eziologico un evento materiale nel senso fattuale e cioè storico: il cristianesimo è la prima religione di natura storica che appare all’orizzonte dell’umanità, in quanto la stessa trova la sua legittimità e si riconosce, come testimonianza, non in un evento mitico “in illo tempore” eventuato e che poi viene rinnovato ciclicamente mediante il Rito che è l’oggetto del Culto, ma bensì in un fatto circostanziato, avvenuto in un dato momento della vita delle genti e dei popoli (cosa che in seguito verrà chiamata “storia”, nel significato moderno della parola…), un fatto che ha una precisa, documentata e testimoniata collocazione nello spazio e nel tempo: la nascita, la vita, la predicazione e la morte, avvenute in Giudea nel I secolo della nostra era, di un uomo chiamato Gesù il Nazareno.
Ciò premesso, appare evidente che, attesa la rivoluzionaria natura moderna nel senso di storica e storicistica del fenomeno cristiano, e, poiché a fondamento e a inizio, proprio come arché, dello stesso non c’è il Mito, come era sempre avvenuto per le religioni tradizionali o premoderne, ma la storia, un fatto semplicemente storico, lo stesso cristianesimo non solo non contempla la spiritualità mitica ma la rifiuta esplicitamente e con vigore e, aggiungiamo noi, con coerenza. Per lo effetto esso, come la stessa religione ebraica, derivando dalla medesima, è informato da una visione lineare della storia che è per sua natura immersa nel tempo e quindi escatologica, contemplando infatti una successione quantitativa di punti-eventi che si succedono meccanicamente, dove il Sacro e l’Eterno sono nel “futuro” della linearità storica ma sempre fuori dal Mondo: ciò è coerente con l’essenza acosmica della visione cristiana della vita che, pertanto, nega alla radice la visione sacrale del tempo che è quella ciclica, presente in tutte le Tradizioni, poiché il Circolo o il Cerchio è l’espressione grafica e quindi simbolica dell’Eterno che, nel suo rituale ritorno, viene rinnovato e quindi tràdito, cioè consegnato: ed è la Tradizione.
È vero infatti, che i cicli spirituali o le Età del mondo, per usare un linguaggio schellinghiano, di origine e legittimazione mitica non conoscono il concetto moderno (nostro…) di “storia” ed è altrettanto vero che la modernità, come categoria dello spirito, che si può quindi presentare alla coscienza in ogni momento o epoca della vicenda umana, non sa nulla della realtà spirituale del Mito, considerandolo anzi una favoletta per bambini, essendo quasi ossessionata dalla ricerca spasmodica di “prove” materiali e cioè esperibili solo con la “conoscenza” sensibile, attesa la sua infantile e primitiva natura psichica, a fondamento del medesimo fenomeno religioso (vedi gli stessi racconti storici, o quantomeno dichiarati tali, dei cosiddetti “vangeli” o la problematica giudiziario-documentale sottesa a tutta la materia miracolistica oggetto delle indagini ufficiali della chiesa cattolica in uno con la tematica legata alla autenticità o falsità, sempre di natura storica, del telo detto “sindone”…).
Premesso, pertanto, che nel cristianesimo come fatto umano, relativo alla categoria “visione del Mondo”, non è dato parlare né riscontrare alcunché di mitico; resta da chiedersi se nell’epoca che definiamo Evo Medio, l’assenza di ogni atteggiamento spirituale mitico o dello stesso pensiero mitico sia stata generale ed assoluta.
E qui abbiamo da evidenziare che, proprio il fatto che così non è avvenuto e che il pensiero mitico come categoria dello Spirito, lungi dall’essere totalmente assente nella civiltà, intesa in senso spengleriano come Kultur, medievale è presente in essa invece in guisa ricca e alquanto variegata, dimostra, se ve ne fosse necessità, quanto sia veridica la esposta premessa generale sulla natura del cristianesimo. Vogliamo, cioè, esplicitare che l’unica forma e realtà vivente come complesso di mitemi che hanno condotto alcune dimensioni della umanità medievale verso esperienze spirituali di cui abbiamo ampia conoscenza, sono quelle relative al ciclo del Graal, con tutto ciò che tale mondo ha espresso in tema di natura sia esoterica che essoterica, intrecciati con la esperienza avente come centro la ricerca del “calice” che in termini spirituali equivale alla rinascita dell’uomo dalla ignoranza e dalla materialità così come la medesima restaurazione dell’Impero Sacro e Divino, essendo le due realtà, facce della stessa medaglia.
Qui si evidenzia la forza probatoria, in relazione alla nostra analisi, di tale evento dello spirito, in ordine proprio alla natura storica e non mitica del cristianesimo medesimo, così come da noi evidenziata: il ciclo del Graal, la Teologia ghibellina dell’Impero, il medesimo mondo della spiritualità guerriera che poi si istituzionalizzò nell’Ordine Templare, non sono che realtà spirituali radicalmente periferiche nei confronti della centralità sociale della stessa cristianità, tollerate a mala pena dalla medesima e da essa guardate sempre con sospetto poiché considerate intrinsecamente estranee alla sua natura più intima, provenendo esse in guisa ancestrale dalla spiritualità pagana precristiana, sino all’esito conflittuale che poi ne derivò: tutto ciò per la ragione essenziale, relativa al fatto spirituale, che tutto questo mondo di natura inequivocabilmente mitica, l’intera letteratura avente lo stesso come tema, il percorso formativo che lo qualifica, la medesima visione eroico- guerriera allo stesso sottesa, in una parola la sua più profonda “visione del mondo”, non ha nulla in comune con il mondo cristiano, con la sua spiritualità essenzialmente asiatico-femminile né con la sua religiosità devozionale né, quindi, con le sue radici che restano palesemente medio-orientali nonché semitico-giudaiche, nonostante la superficiale ed apparente romanizzazione e germanizzazione nei secoli subita dal cristianesimo medesimo durante la sua diffusione nella parte occidentale dell’Impero .
Tale conflittualità è ciò che, nel profondo, nelle viscere della vicenda spirituale del Medioevo, sta dietro il medesimo scontro epocale tra chiesa e Impero: non si è mai trattato, infatti, solo ed esclusivamente, come la ignoranza della parte prevalente della storiografia contemporanea ha osato pensare ed argomentare, di questioni solo politiche o di semplice fatto di “potere” o territoriale o addirittura economiche; nessuno vuole negare che tali ragioni o motivazioni fossero presenti nell’animo degli uomini e delle donne, in guisa contestuale, dell’era di cui stiamo trattando ma ,come nell’epoca attuale, pur essendo presenti tante e differenti ragioni o spinte acché i popoli o gli stati si muovano in un senso o nell’altro, il “brodo” in cui tutte quelle ragioni trovano la loro “cottura” o “cultura” è, senza alcun dubbio, la ideologia economicistica o, come si è autorevolmente detto, “i principii del regno della quantità”; così, nel cosiddetto Evo Medio, il “brodo”, per restare nell’immagine, era certissimamente il religioso, il metafisico, e, quindi, il conflitto non poteva che avere, nell’essenza, la natura, in termini ontologici, di un conflitto tra due visioni metafisico-politiche: una era quella essenzialmente cristiano-ecclesiale e quindi sacerdotale e l’altra era quella di ascendenza nordico-indoeuropea e pertanto di natura spirituale regale e guerriera, con il fine rivendicato di restaurare l’Impero, come riunificazione delle due autorità, separate dal cristianesimo, la sacerdotale e la imperiale. Si trattava, in una parola, da un lato della genuina spiritualità cristiana che resisteva alla rivendicazione primordiale del pensiero mitico, difendendosi in forza della legittimità storica della sua fonte e dall’altra della natura più autentica, mai spentasi, dei ceppi nordici indoeuropei che, pur avendo “accettato”, quanto mai in superficie, la teologia e la ritualità cristiane, le vivevano e le sentivano, in termini di religiosità, secondo la loro mai sopita spiritualità guerriera, gerarchica e regale; anzi il cristianesimo, è da dire, con l’appello al Trascendente, con la visione della vita come servizio nei confronti di una Idea superiore, aveva talmente risvegliato la primordiale e genuina tendenzialità verso il Cielo, quasi dimenticata e materializzatasi nel tempo, nello spirito degli popoli del Nord che pur nei primordi della loro civiltà avevano posseduto (vedi ciclo dell’Edda e della cultura runica…), che gli stessi poi, divenuti e sentitisi autentici soldati dello Spirito, monaci guerrieri, restauratori del Divino Impero, che non poteva che essere Romano, entreranno inevitabilmente in conflitto con la chiesa medesima.
E siamo così già nel centro della grande cultura degli Svevi, della visione esoterico-religiosa universale di un Federico II e della sua ferma e sincera convinzione di essere autentico e genuino discendente della Casa Divina dei Cesari e, pertanto, legittimato ad essere sacro Imperatore, scelto da Dio medesimo senza alcuna mediazione o intercessione del Papato che pur egli riconosceva legittimo nella sua sfera e dimensione; non è d’altronde questa, che la medesima visione religioso-politica di un Dante e del suo sogno della restauratio Imperii.
Alquanto simile, peraltro, appare la stessa tematica intorno al Rito ed alla sua natura in relazione alla cultura medievale. Infatti quest’ultima, essendo, come si è già esplicitato, l’epoca in cui l’elemento religioso-trascendente ha rivestito i caratteri della fondatività e della pervasività assoluta, non poteva non manifestare la presenza del medesimo pilastro di ogni cultura religiosa che è il Rito.
Come si accennava, però, anche in questo caso vi è la dicotomia, la distinzione e quasi la reciproca estraneità tra la ritualità ufficiale, teologale della chiesa (ritualità, peraltro, abbastanza singolare e “strana”, atteso il fatto che il Rito religioso nella cristianità non rinnova un evento accaduto nel “tempo” del Mito e cioè fuori dalla vicenda umana ma, bensì, un evento, come si è già detto, precipuamente storico, avvenuto in un passato certo e collocato nel tempo… E ciò che è nel tempo non può che essere ricordato essendo un evento fisico, mentre solo ciò che non è nel tempo e nello spazio ma nello Spirito, può e deve essere rinnovato nello Spirito, come è precipuo della funzione creativa, nel metafisico, del Rito. È da evidenziare inoltre che dopo il Concilio Vaticano II e la effettuale “riforma” del messale tridentino, di fatto è stata cancellata ogni residua parvenza di una fattispecie rituale della messa cristiana, divenendo la stessa una sorta di assemblea di aderenti ad un credo che si incontrano con il solo fine di ricordare l’evento storico relativo alla vita ed alla morte del loro fondatore. Basti qui rilevare, succintamente, per ovvie ragioni di spazio, la significativa e conseguenziale scomparsa della essenziale natura magica della transustanziazione, elemento archetipico della medesima natura religiosa del cristianesimo nonché fondativo di ogni autentica forma di Rito; messa cristiana, peraltro, presa direttamente dai Riti dell’antica Tradizione romana. Coerente, infine, con tale manifesta opera di desacralizzazione, che è insita nella “riforma” conciliare, è la inversione della postura celebrativa dell’officiante che, durante la celebrazione della messa, non rivolge più la propria persona verso l’altare, che è l’Eterno ma verso il popolo che è la storia, volgendo così le spalle all’Eterno e quindi all’Invisibile. In tale guisa la vera natura antimetafisica del cristianesimo si manifesta e si rivela in questa sua modernizzazione post conciliare, e tutto ciò non è assolutamente casuale!). Dicotomia, dicevamo, tra la ritualità ufficiale della chiesa ed una forma di Riti alquanto differenti tra loro, appartenenti a determinate fenomenologie spirituali e mistiche, specifiche nella loro natura e processualità, che però hanno tutti in comune un elemento che è quello di non avere alcun archetipo da rinnovare che sia collocato nel tempo, che sia cioè un’esperienza storica, ma, anche qui, come nel caso del pensiero mitico, trattasi della forma classica, tradizionale e premoderna del Rito (così come è presente in tutte le civiltà tradizionali e non nella cultura cristiana…) in cui tale Azione dello Spirito ha per contenuto l’Evento accaduto “in illo tempore”, nel Tempo Sacro ed essendo l’Evento fondativo della Civiltà medesima in cui il Rito è eseguito, è vitale per la stessa che tale Evento venga ciclicamente ricreato, rinnovato, quasi eternato al fine di rifondare letteralmente quella civiltà medesima che è, così, sempre giovane come eternamente fanciulla. Ed anche in questo caso si tratta, nella cultura medievale, di forme di ritualità che, se sono essenzialmente religiose e, come veste esterna, apparentemente cristiane, nell’intimo della loro natura si ispirano però, come l’intero ciclo del Graal e della Teologia Imperiale ghibellina, al mondo spirituale precristiano che è quello del paganesimo prevalentemente germanico. E stiamo parlando di tutto quel mondo, abbastanza celato ai più, sempre periferico nei confronti della ritualità cristiana egemone, quasi esoterico nella sua essenza spirituale, che è il Mondo della Cavalleria, come Ordine guerriero, con le sue leggi, Riti di iniziazione e regole di condotta, con la cerimonialità dell’investitura del Cavaliere, in uno con la complessa e densa di significati simbolici iniziazione preparatoria; ci riferiamo, in particolare ed inoltre, all’Ordine Templare ed a quello dei Fedeli d’Amore, a cui apparteneva Dante, con i loro linguaggi segreti, con i vari livelli di lettura dei loro scritti (vedi la Divina Commedia), con le loro ritualità quasi sconosciute, sino agli stessi mondi spirituali del ciclo arturiano e carolingio; tutta questa fenomenologia spirituale non ha nulla in comune con il cristianesimo se non un riferimento ufficiale, esterno ed estrinseco ed assolutamente non essenziale, essendo, invece, correnti e culture, esperienze dello spirito, di origine quasi misteriosa, riconducibili sempre al mondo precristiano, estranee comunque alla visione dello stesso, essendo nella sostanza fenomenologie mistiche aventi per oggetto l’iniziazione eroica o Via del guerriero a Dio o, come nel caso di Dante, Via della Gnosi e della Conoscenza, o come è dato riscontrare per la stessa Tradizione ermetica ed il suo “nascondersi” dietro al linguaggio “metallurgico”, non per niente tutelate cripticamente dai sospetti di eresia ventilati dalla stessa chiesa sino poi al processo e distruzione dell’Ordine Templare, avvenuti, anche qui, non solo per ragioni latamente “politiche” ma bensì per ragioni alquanto più profonde, attesa la maestosa potenza spirituale realizzata in tutto il continente europeo dai medesimi Templari.
Tali conflittualità e dicotomie, così come evidenziate, sono pertanto non solo la caratteristica fondamentale di un epoca complessa e ricca di varie venature spirituali come il cosiddetto Evo Medio, ma la conseguenza principale proprio della contraddizione insita nella stessa visione del mondo cristiana la quale, proprio perché pervasa da un atteggiamento di natura inequivocabilmente moderna nei confronti del mondo e delle vicende umane, non può che entrare in conflitto con la medesima fenomenologia religiosa che per sua natura è rivolta al trascendente e non certo al secolare e al mondano.
Tale contraddizione, come tante altre di cui qui non è possibile trattare, rende il cristianesimo da un lato adattabile ad ogni situazione culturale e spirituale e quindi “potente” nella sua capacità di penetrazione nelle culture diverse, dall’altro però lo espone a tutte le forme conflittuali e dicotomiche che hanno sempre caratterizzato la sua storia; sino all’attuale suo scomparire come semplice “fatto” religioso, inabissandosi nella nebbiosa palude della presente Età Oscura, quasi riconoscendo, nella fase terminale della stessa, la medesima sua originale natura!
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Giandomenico Casalino