Il manoscritto Voynich – Luigi Angelino
Tra quelli che sono considerati i libri più misteriosi ed oscuri della storia, il manoscritto Voynich di sicuro occupa un posto di ragguardevole rilievo. Si tratta di un codice illustrato che, secondo il metodo della datazione al radiocarbonio, risalirebbe al XV secolo e, più precisamente, ad un arco temporale compreso tra il 1404 ed il 1440 circa. A onor del vero, la datazione al carbonio 14 è stata messa in discussione da alcuni scienziati, poiché non è stato possibile analizzare l’inchiostro con il quale era stato vergato il codice. La caratteristica più enigmatica di tale testo consiste nel fatto che è stato redatto con un sistema di scrittura che ancora non è stato decifrato in maniera certa, appartenendo ad un idioma che non ricorre a nessun alfabeto conosciuto. In più, il manoscritto in questione contiene le immagini di alcune piante che non sono state riconosciute in alcun vegetale tuttora noto alla scienza. Attualmente il manoscritto è custodito nella Biblioteca Beinecke, specializzata in libri rari, presso l’Università di Yale negli Stati Uniti (1).
Il nome dello strano testo è legato ad un certo Wilfrid Voynich, un mercante di libri rari di origini polacche, ma residente nel Regno Unito. Egli acquistò il manoscritto nel 1912 nel collegio gesuita di Villa Mondragone, non lontano da Frascati, nella zona chiamata dei “Castelli romani”. Sembra che l’ordine dei gesuiti avesse bisogno di soldi per poter restaurare il convento e che questo fosse il motivo per cui si decise a vendere trenta preziosi volumi, di cui alcuni provenivano dalla raccolta del Collegio Romano. All’interno del libro, Voynich trovò anche una lettera firmata da Jan Marek Marci, rettore dell’Università di Praga nella prima metà del diciassettesimo secolo, nonché medico personale del re Rodolfo II di Boemia. In poche righe, si chiedeva all’amico poligrafo Athanasius Kircher (2), poligrafo a Roma, di mettere in campo tutta la sua esperienza per poter decifrare il libro. Nella stessa lettera, Marci sosteneva di aver ricevuto il libro da un amico che successive ricerche identificarono in un noto alchimista, Georg Baresch (3). Concludeva, affermando che il precedente proprietario era stato l’imperatore Rodolfo II che, a sua volta, l’aveva acquistato, per una cifra molto elevata, ovvero per 600 ducati, ritenendolo opera di Ruggero Bacone. La proprietà del codice fu trasferita da Voynovich all’esperto di libri antichi Hans P. Kraus che lo donò alla già citata università americana.
Già l’aspetto esteriore del manoscritto suscita interesse: esso è scritto su pergamena di vitello, presentando dimensioni piuttosto ridotte. Gli esegeti, osservando le numerazioni annotate sui margini, hanno dedotto che il testo in origine fosse formato da 116 fogli suddivisi in 20 fascicoli, ma 14 fogli non sono giunti ai nostri giorni. Inoltre, la successione delle pagine non è del tutto lineare: i diversi fogli sono di dimensioni diverse ed altri appaiono “ripiegati”. Il manoscritto è stato suddiviso, seguendo le tematiche delle molteplici illustrazioni a colori di cui è corredato, nel seguente modo: sezione I botanica (fogli 1-66); II astronomica o astrologica (fogli 67-73); III biologica (fogli 75-86); sezione IV farmacologica (fogli 87-102). Tra la terza e la quarta sezione, si incontra un foglio ripiegato sei volte, dove risultano disegnati nove medaglioni che riportano le figure di stelle stilizzate, raggiere di petali e una sorta di fasci di tubi. Da pagina 103, poiché compaiono solo stelline a sette punte a sinistra delle righe, gli studiosi credono che il testo si concluda con una specie di indice (4).
Gli esperti, alla luce del contenuto e delle relative illustrazioni, hanno supposto che il manoscritto fosse in realtà una specie di almanacco di medicina, anche se le immagini “botaniche” appaiono profondamente diverse da quelle riportate nei consueti volumi di erbologia in voga tra il tardo Medioevo e l’inizio del Rinascimento. Alcuni hanno voluto vedere nei vegetali rappresentati particolari riferimenti allegorici ed enigmatici, mentre altri ritengono che l’opera sia stata semplicemente redatta non da un “professionista” nella disciplina botanica, che magari si era basato su una vasta gamma di descrizioni vaghe e poco precise di tipologie di piante realmente esistenti.
Come si diceva in premessa, la principale particolarità del manoscritto sta nella lingua sconosciuta adoperata dall’autore o dagli autori. Molti analisti, nel corso dei secoli, hanno cercato di dare un senso al testo, a partire da William Newbold, docente di filosofia medievale presso l’Università della Pennsylvania. Egli fu il primo a credere di essere riuscito nella straordinaria opera di decrittazione, pubblicando nel 1921 un articolo in cui illustrava un procedimento per tradurre il testo, per la verità molto oscuro e farraginoso. Newbold credeva che il manoscritto fosse stato redatto da Bacone in un “latino” mascherato, arrivando alla conclusione che già nel tardo Medioevo fossero state elaborate nozioni alquanto sofisticate in materia di biologia molecolare e di astrofisica (5). Circa vent’anni dopo, i crittografi Joseph Martin e Leonel C. Strong tentarono di interpretare il manoscritto, ricorrendo al sistema della “decifratura sostitutiva”, allo scopo di ottenere un testo che presentasse i presunti caratteri latini in chiaro. Dal lavoro dei due studiosi, tuttavia, fu ricavato un elaborato che non racchiudeva in sé alcun significato sensato. Di seguito, si aggiunse una curiosa peculiarità: il manoscritto fu uno degli unici testi che superò indenne perfino le accurate decrittazioni degli operatori della Marina statunitense, al punto che gli stessi dovettero ripiegare su una improbabile composizione del libercolo da parte del grande Bacone. All’indomani della seconda guerra mondiale, nel 1945, il professor William F. Friedman formò a Washington un’equipe di ricercatori, alla quale fu dato il nome di “First Voynich Manuscript Study Group” (FSG) che si dedicò all’interpretazione del testo con una metodologia più oggettiva e pragmatica, mettendo in luce la ripetitività e l’artificialità del linguaggio adoperato nel manoscritto, senza conseguire però un risultato concreto. Altri esperti, come Robert Brumbaugh , professore di filosofia medievale a Yale, sostennero la teoria che il Voynich non fosse altro che un’opera truffaldina, collazionata al fine di far leva sul successo che i testi esoterici riscuotevano, in quel tempo, presso i più nobili casati d’Europa (6). Negli anni Settanta del secolo scorso si arrivò ad altre incredibili teorie, come quella di John Stojko che credeva di aver identificato il sibillino linguaggio nell’ucraino senza vocali, oppure l’ipotesi di William Raigh Bennett che, sottolineando la ripetitività e la basilarità linguistica del testo, sostenne che poteva trattarsi di un idioma simile all’hawaiano. Interessante, ma ugualmente poco concludente, si rivelò la teoria del fisico Leo Levitov nel 1987 (7), secondo la quale il manoscritto sarebbe stato elaborato dai Catari in una lingua simbolica che comprendeva termini di diversi idiomi parlati nel Tardo Medioevo nell’area mitteleuropea. Lo stesso scienziato, tuttavia, riscontrò che la sua traduzione aveva poco senso e non faceva emergere riferimenti alle credenze filosofiche e religiose proprie dei Catari.
Tra le teorie più suggestive, segnalo il cosiddetto “idioma analitico” di John Wilkins (8), che catalogava tutti gli enti in 40 categorie, suddivise in sezioni, ciascuna delle quali associata ad una sillaba o ad una lettera. La predetta teoria sarebbe in grado di spiegare il perché della frequente ripetizione di sillabe analoghe, anche se ancora non era in grado di decifrare i prefissi ed i suffissi aggiuntivi. Per dare una spiegazione razionale alla mancanza di significato apparente del testo, nel 2003 Gordon Rugg ha supposto che l’autore, o gli autori, avessero potuto adoperare un metodo per produrre una specie di “rumore casuale” che avrebbe dato forma alle sillabe. Questa idea rafforzerebbe l’ipotesi che il testo sia stato il risultato di una truffa del periodo rinascimentale per carpire la buona fede di qualche nobile o sovrano. In particolare, Rugg fece riferimento al metodo combinatorio, noto come “griglia di Cardano”, creata dall’omonimo studioso nel 1550. La tecnica inventata da Cardano (9) consiste nel sovrapporre una tabella di caratteri ad una seconda griglia, ritagliando solo alcune caselle per consentire la lettura della tabella inferiore. In questo modo la sovrapposizione elimina le parti inutili del testo che si vuole ricavare dall’operazione. Successivamente, ampliando lo studio di Rugg con analisi di carattere storico, la paternità del manoscritto è stata attribuita a John Dee e ad Edward Kelley (10). Secondo alcune ricostruzioni Dee avrebbe introdotto il secondo personaggio presso la corte di Rodolfo II verso il 1580. Kelley, noto per essere un mago truffatore, ricorrendo ai trucchi matematici di Cardano, avrebbe elaborato il testo per riuscire ad ottenere una notevole somma di denaro da parte dell’imperatore. E’ stato obiettato giustamente che tale ricostruzione si scontra con la data al carbonio 14 che retrodata il libercolo a circa due secoli prima.
Nel 2012 l’almanacco viene inserito in una spy-story internazionale: sul National Geographic viene pubblicato un articolo, secondo cui il manoscritto sarebbe stato elaborato da un tal Antonio Averlino, detto il Filarete, come resoconto di spionaggio industriale contro la Repubblica di Venezia a vantaggio dell’Impero Ottomano, sulla scia del libro pubblicato da Nicholas Pelling nel 2006, “Curse of the Voynich . The secret history ot the world’s most mysterious manuscript” (11), nel quale emergeva che alcune raffigurazioni potessero ricollegarsi a città di notevole importanza storico-culturale come Gerusalemme, Bagdad, Milano o Venezia. Più circostanziata è apparsa la ricerca completata da Stephen Bax nel 2014, che avrebbe proposto la decodifica di una decina di termini, corrispondenti a piante e a costellazioni, come quella del Toro. La teoria di Bax si basa sul fatto che il testo del manoscritto non sia stato né volontariamente cifrato e nemmeno privo di senso compiuto, ma che sia stato redatto in una zona geografica dell’Asia centrale (forse il Caucaso) in un idioma con un proprio alfabeto, estinto da secoli (12). A sostegno della propria ipotesi, Bax menziona quel particolare alfabeto creato dai santi Cirillo e Metodio, noto con il nome di “glagolitico” (13), per adattare alcune peculiarità fonetiche dell’antico slavo. Qualche anno dopo, nel 2018, lo studioso turco Ahmet Ardic, ha creduto di riconoscere nel linguaggio utilizzato nel manoscritto una rielaborazione fonetica del turco antico. L’anno successivo, nel 2019, Gerard Cheshire dell’Università di Bristol, Regno Unito, ha pubblicato un articolo molto contestato dalla comunità accademica, attribuendo il manoscritto alla penna di un gruppo di monache domenicane che lo avrebbero redatto a beneficio della regina di Aragona, Maria di Castiglia, alla metà del quindicesimo secolo. Il testo costituirebbe una specie di almanacco illustrato di rimedi erboristici e di terapie mediche, confermando precedenti ipotesi sul contenuto, nonché comprenderebbe un resoconto delle conoscenze dell’epoca di carattere pseudo-scientifico, su tematiche astrologiche legate a varie attività psicologiche umane considerate in chiave astrologica. Di recente, nel 2023, la filologa Elena Matarrese ha sostenuto di aver identificato il linguaggio del manoscritto come un dialetto germanico parlato ancora oggi tra la Carnia e la Slovenia (14). Secondo la studiosa italiana, il codice quattrocentesco racchiuderebbe quattro trattati: il primo riguardante le erbe, il secondo corrisponderebbe ad un “lunario”, il terzo da ritenere un trattato di scienza idraulica, mentre il quarto potrebbe essere inquadrato come un compendio agronomico. Oltre che ricorrendo ad un minuzioso lavoro di ricerca filologica, la Matarrese ha acutamente individuato notevoli similitudini dell’erbario “Ger der Gesundheit” (15), conservato all’interno del Museo Gortani (Museo Carnico delle Arti popolari di Tolmezzo), con alcune immagini presenti nel Voynich. In più, grande meraviglia ha destato un’ulteriore sorprendente coincidenza: all’ingresso del Museo Carnico, vi è un affresco che raffigura la città di Tolmezzo nel XV secolo, con in primo piano quattro figure femminili. La figura posta al centro, adorna di un velo e di una corona, vicina ad un corso d’acqua e con un globo in mano, appare molto simile ad una delle immagini raffigurate nel folio 57v del manoscritto, compreso nel cosiddetto “trattato delle acque”.
Una menzione a parte merita l’affascinante ricerca ermeneutica portata avanti da Giuseppe Fallacara e da Ubaldo Occhinegro, illustrata nel volume “Manoscritto Voynovich e Castel del Monte” (16). Secondo i due precitati ricercatori, che offrono un’interessante rilettura della funzione storica del magnifico edificio fatto costruire da Federico II, il castello non dovrebbe essere considerato una semplice dimora del Puer Apuliae, seppure impreziosito di ricchi simboli esoterici, ma come centro alchemico per la cura del corpo e dello spirito, con l’ambizioso obiettivo finale di ottenere l’immortalità. Ed il manoscritto Voynovich, secondo Fallacara e Occhinegro, nasconderebbe la chiave principale per avvalorare questa ipotesi. In tale ottica, il testo sarebbe stato elaborato da Bacone o da altri alchimisti, alla corte di Federico II, per delineare un percorso di “immortalità”, tramite pratiche a metà strada tra le conoscenze mediche ed astrologiche del tempo e la magia. E’ un’idea sicuramente affascinante ma che non trova riscontro con la datazione del manoscritto, anche se essa non può dirsi definitivamente determinata, come anticipato in premessa.
Ha suscitato interesse anche il recentissimo studio condotto da Keagan Brewer della Macquarie University di Sidney, in Australia, che ha pubblicato un saggio, sostenendo che il Voynovich possa rappresentare un trattato di sessuologia, con particolari nozioni sul concepimento e sulla riproduzione. Un argomento così particolare avrebbe indotto gli autori, secondo la morale censoria dell’epoca, ad adoperare un linguaggio artificiale ed indecifrabile. Alcune immagini, infatti, raffigurano donne nude, con evidenza delle relative parti intime. Brewer e la sua equipe, in particolare, hanno analizzato e comparato i trattati di Johannes Hartlieb, medico bavarese vissuto nella prima metà del quindicesimo secolo, quindi in un periodo compatibile con la datazione secondo il carbonio 14. In tali scritti sono emersi numerosi codici o alfabeti criptati per fare riferimento ai “segreti femminili” che, se fossero stati spiegati esplicitamente, sarebbero stati considerati scabrosi , o quanto meno inopportuni (17). Gli studiosi australiani, inoltre, hanno ripercorso le credenze tardo medievali in materia, rilevando come fosse generalmente condivisa l’idea della forma dell’utero in “sette camere” e la credenza che la vagina avesse due aperture, l’una verso l’esterno e l’altra verso l’interno. I nove cerchi rappresentati in una delle principali illustrazioni del manoscritto sarebbe in grado, pertanto, di ricreare una sorta di disegno dell’apparato riproduttivo femminile, basato sulle conoscenze dell’epoca. Dal punto di vista simbolico, vengono indicati altri elementi significativi: all’interno del cerchio in alto a destra è delineato un castello, “schloss” in tedesco (18), termine che nella medesima lingua verrebbe utilizzato anche per menzionare i genitali delle donne; i due soli presenti in alto a sinistra ed in basso a destra potrebbero richiamare la teoria aristotelica, secondo cui il calore del sole fornirebbe l’energia necessaria per lo sviluppo dell’embrione all’interno dell’utero.
In estrema sintesi, si può dire che il manoscritto Voynich rappresenti tuttora un vero enigma: quel che è certo, secondo molti studiosi, è che il suo contenuto fosse destinato alla conoscenza di pochi prescelti, altrimenti non si spiegherebbe il perché dell’utilizzo di una lingua artificiale, cifrata o, comunque, caduta in disuso, a seconda delle varie ipotesi avanzate. In linea generale, nei testi esoterici, redatti tra Medioevo e Rinascimento, di frequente si adoperavano simboli per nascondere ai non iniziati preziose informazioni che, se rese di dominio pubblico, potevano essere adoperate per scopi non meritevoli o sottoposti alla dura censura della Chiesa Cattolica, minando la tradizione delle scuole misteriche. Gli analisti, per questi motivi, si sono chiesti se il testo possa ritenersi collegato a dottrine esoteriche. Al momento il problema è tutt’altro che risolto e si rimane con un grande punto interrogativo.
Alla fine ci chiediamo se il codice Voynich, nonostante la miriade di diverse tesi interpretative, non sia altro che un’opera d’arte fantastica, creata senza finalità truffaldine o con l’intento di conservare oscuri segreti. Si potrebbe trattare del prodotto del desiderio umano di forgiare un modo di esprimersi mediante un linguaggio universale, magari solo compiendo esercizi dialettici e logico-matematici. L’enigma, alla luce di questa riflessione conclusiva, assume una visione prospettica del tutto diversa….
Note:
1 – Raymond Clemens, “The Voynich Manuscript”, Yale University Press 2016;
2 – Kircher pubblicò circa quaranta opere, spaziando dagli studi orientali, fino ad arrivare alla geologia ed alla medicina;
3 – Il nome latinizzato dell’alchimista, secondo la consuetudine dell’epoca, era Georgius Barschius;
4 – Marcelo Dos Santos, curatore G. De Turris, traduttore M. Ciullo, “L’enigma del manoscritto Voynich. Il più grande mistero di tutti i tempi. Edizione illustrata”, Edizioni Mediterranee, Roma 2009;
5 – “Penn Biographies”, William Romaine Newbold , su archives.upenn.edu, University of Pennsylvania, 6 settembre 2026, consultato in data 18 settembre 2024;
6 – Robert S. Brumbaugh, Most Mysterious Manuscript: The Voynich “Roger Bacon” Cipher Manuscript, Carbondale, Southern Illinois, University Press, 1978;
7 – Leo Levitov, Solution of the Voynich Manuscript: A liturgical Manual for the Endura Rite of the Cathari Hersey, the Cult of Isis, Laguna Hills, Aegean Park Press, 1987;
8 – L’idioma analitico di Wilkins è diventato noto grazie all’omonimo racconto di Jorge Luis Borges, contenuto nella raccolta “Altre inquisizioni”, pubblicata nel 1952;
9 – Gerolamo Cardano (1501-1576), latinizzato in Hieronymus Cardanus, è indicato soprattutto come uno dei principali fondatori dei sistemi della probabilità, del coefficiente binomiale e del teorema binomiale;
10 – Sul tema interessante è l’approfondimento di Mariassunta Picardi, Il geroglifico della natura. Filosofia, scienza e magia in John Dee, Sismel Edizioni del Galluzzo, Firenze 2019;
11 – Il libro è stato pubblicato in lingua inglese il 1/10/2006 dalla Campelling Press;
12 – Stephen Bax, A proposed partial decoding of the Voynich script, su stephenbax.net, consultato il 20 settembre 2024;
13 – Si tratta del più antico alfabeto slavo conosciuto, creato dai fratelli Cirillo e Metodio, nel Monastero di Polychro, negli anni 862-863;
14 – Eleonora Matarrese, “Beinecke 408- Il manoscritto Voynich”, opera in self-publishing, 2023 (attualmente non risulta disponibile); cfr. “Manoscritto Voynich, la filologa italiana…” su https://www.ilmessaggero.it consultato il 20 settembre 2024;
15 – Si tratta del primo “erbario” pubblicato in lingua tedesca, formato da 435 capitoli e da 380 xilografie;
16 – Il libro è stato pubblicato nel 2015 a Roma dalla Gangemi Editore;
17 – Keagan Brewer, “ The Voynich manuscript, Dr. Johannes Hartlieb and the encipherment of Women’s secrets” su https://academic.oup.com , consultato il 21 settembre 2024;
18 – Il termine tedesco schloss, oltre a significare castello o palazzo, significa anche “serratura”: da questa ulteriore accezione deriva il legame con i genitali femminili.
Luigi Angelino,
nasce a Napoli, consegue la maturità classica e la laurea in giurisprudenza, ottiene l’abilitazione all’esercizio della professione forense e due master di secondo livello in diritto internazionale, conseguendo anche una laurea magistrale in scienze religiose. Nel 2022 ha pubblicato con la Stamperia del Valentino 8 volumi: Caccia alle streghe, Divagazioni sul mito, L’epica cavalleresca, Gesù e Maria Maddalena, L’epopea assiro-babilonese, Campania felix, Il diluvio e Sulla fine dei tempi. Con altre case editrici ha pubblicato vari libri, tra cui il romanzo horror/apocalittico “Le tenebre dell’anima” e la sua versione inglese “The darkness of the soul”; la raccolta di saggi “I miti: luci e ombre”; la trilogia thriller- filosofica “La redenzione di Satana” (Apocatastasi-Apostasia-Apocalisse); il saggio teologico/artistico “L’arazzo dell’apocalisse di Angers”; il racconto dedicato a sua madre “Anna”; un viaggio onirico nel sistema solare “Nel braccio di Orione”ed una trattazione antologica di argomenti religiosi “La ricerca del divino”. Con auralcrave ha pubblicato la raccolta di storie “Viaggio nei più affascinanti luoghi d’Europa” ed ha collaborato al “Sipario strappato”. Nel 2021 è stato insignito dell’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica italiana.