Sul Bestiario di Roma di Alfredo Cattabiani – Giovanni Sessa
Alfredo Cattabiani, scomparso nel 2003, è stato intellettuale di grande valore, troppo presto dimenticato dal milieu culturale cui fece riferimento. Attraverso le opere e, soprattutto, con la direzione di case editrici quali Dell’Albero, Borla e Rusconi (il cui catalogo, di fatto, è stato, più tardi, riproposto dall’Adelphi di Calasso), Cattabiani ha esercitato un’azione di pervicace pedagogia tradizionale. È, da poco, apparso nelle librerie un suo libro di indiscutibile valore, Bestiario di Roma, pubblicato da Iduna (per ordini: associazione.iduna@gmail.com, pp. 392, euro 25.00). In queste pagine, assai dense sotto il profilo contenutistico, l’autore introduce il lettore alla comprensione del senso profondo di Roma e della sua missione. Lo fa decodificando e chiarificando il senso del bestiario simbolico che i visitatori della Città eterna non possono fare a meno di notare nei fregi dei palazzi nobiliari, negli antichi templi sopravvissuti o sulle facciate delle chiese rinascimentali e barocche: «Un lussureggiante bestiario scolpito o dipinto popola il sottosuolo e le strade di questa città dalla opulenta bellezza […] un babilonico labirinto nel tempo» (p. 7). Il volume è arricchito da un rilevantissimo apparato di illustrazioni e fotografie, atto a semplificare la comprensione del narrato.
Lo straordinario patrimonio della Sapienza tradizionale è custodito dalle effigi animali del sacro bestiario: per delucidarlo, l’autore guida il lettore attraverso un’erudita esegesi di miti e leggende, accattivante e coinvolgente sotto il profilo della narrazione. La penna di Cattabiani ha tratto lieve, rende immediatamente intelligibili, anche per il neofita, complesse questioni simbolico-teologiche. Per essere accortamente immessi nell’universo ideale della Tradizione è necessario muovere da una premessa di ordine generale: il cosmo è teofania. Ogni cosa, ente o animale è simbolo, incarnazione di una potestas divina: «Ogni animale […] ha evocato alla fantasia umana vizi e virtù, stati psicologici e spirituali, dèi e demoni » (p. 7), in una polisemia di significati che, nella storia di Roma, è andata incontro a successive stratificazioni. Nella Città eterna, sotto il profilo urbanistico, architettonico e pittorico, l’antica religiosità classica è affiancata dalle basiliche cristiane. Ciò che si evince entrando nel “labirinto” Roma-Amor è la glorificazione del cosmo e delle sue energie. Il serpente, ad esempio, è animale che ha assunto, via via, valore di icona celeste e di presenza tenebrosa, per alludere, infine, alla vita rinascente in ogni primavera. Per questo Cattabiani, nelle analisi del bestiario romano, si serve del metodo comparativo che, di volta in volta, chiama in causa mito, teologia e contingenze storiche. Dedica, inoltre, un capitolo estremamente interessante all’araldica, in quanto: «gli stemmi nobiliari si riferiscono a un codice emblematico che soltanto in parte corrisponde a quello dei bestiari antichi» (p. 8). Di particolare rilievo risulta l’esegesi delle api barberiniane nonché quella dei draghi e delle aquile dei Borghese.
L’idea di bellezza, intesa in senso tradizionale, si sottrae alla reductio cui l’hanno condannata i nuovi filistei: è sostanza di vita, in quanto: «l’armonia non può suscitare attorno a sé altre armonie, anche sociali» (p. 9). Il bello ha tratto educativo, è paradigma civile. L’incipit del volume ha al centro il simbolo, per antonomasia, della romanità, la Lupa. Discutendo i miti di fondazione dell’Urbe, Cattabiani mostra che il lupo è l’animale totemico di Roma: «Gli Etruschi adoravano infatti un dio degli inferi raffigurato con la testa di lupo» (p. 14), dai tratti sintonici a Soranus, in onore del quale si tenevano riti di purificazione sul monte Soratte. Si badi, queste potenze divine, come chiarito da Kerény, avevano anche tratto uranico, venendo raffigurate quali tipi divini sintonici all’Apollo greco, con arco e capra al seguito. Luperci erano, altresì, coloro che, durante il passaggio dall’inverno alla primavera, celebravano un rito simboleggiante la rifondazione della vita cosmica e sociale. Il Palatino, in antico, era denominato Ruma, mammella che infonde vita, in un’ottica di evidentissima geografia sacra. Gli stessi nomi, Romolo e Remo, rinviano etimologicamente a Ruma, la mammella della Lupa. L’essere uno di Dioniso e di Apollo trova ulteriore conferma nel fatto che il fico ruminale, sotto il quale si arenò, lungo il corso del Tevere, la cesta con i due gemelli, era consacrato al dio dell’entusiasmo. A Roma, inoltre, lupe erano dette le prostitute sacre, incarnanti la forza riconnetteva di eros.
Tra i tanti animali presenti nel Bestiario di Roma soffermiamoci brevemente anche sulla farfalla. Platone, nel Fedro, sostenne che questo leggiadro insetto alludeva alle ali dell’anima che, in forza del processo anamnestico, ambiva a ricongiungersi con le realtà ideali. Per questo: «La Psiche, custodita nel museo Capitolino, [..] è una figura muliebre con ali di farfalla» (p. 110). Psiche-farfalla vive in intimità con la forza celeste, amata dal divino e anagogicamente protesa in un iter che la eleva al Bene-Bello. Dante nella Commedia mostrò di aver contezza di tale contesto, quando scrisse: «Non v’accorgete voi che noi siam vermi/ nati a formar l’angelica farfalla/ Che vola alla giustizia senza schermi?» (p. 120).
Bestiario di Roma custodisce il patrimonio spirituale e intellettuale della Tradizione. Oggi esso non è visibile data la povertà del tempo presente, ma è sempre vigente nel tempo. Cattabiani invita il lettore a riattualizzarlo. Un lascito essenziale, da tenere in seria considerazione.
Giovanni Sessa