Appunti di fisiologia ermetica: l’estinzione del soffio – Luca Valentini
«…fino a a che non avrà superato il livello della vita psico-mentale, l’uomo potrà solo formulare congetture circa gli stati trascendentali che saranno il premio della scomparsa della coscienza normale…» (1)
In un’importante e fondamentale opera di Massimo Scaligero (2), si accenna ad una problematica di natura sottile e tecnico-operativa di non poco conto nell’ambito dello spiritualismo contemporaneo, attinente alla dimensione della cosiddetta pratica del respiro. Nei riferimenti esotici, così di moda nella società contemporanea, circa la trasposizione in Occidente di pratiche respiratorie ad opera di sedi- centi santoni orientali (lama, guru e presunti risvegliati vari) oppure di occidentalissimi yoghin autorealizzati, con l’ovvia commercializzazione a stelle e strisce, si diffonde sempre più la profonda ed erronea convinzione che una certa ascesi possa essere attuata senza alcun aggiornamento e adattamento in terra d’Europa, non considerando la necessaria diversità di fisiologia occulta esistente tra l’uomo d’Occidente e l’uomo d’Oriente.
Brevemente accenneremo, anche se non è il tema di questo scritto, a come spesso lo Yoga e la connessa respirazione siano intesi come un mezzo per raggiungere un rilassamento psico-fisico, quale strumento di sollievo contro lo stress della civilizzazione moderna. Nulla di tutto ciò, ovviamente, è stato mai contemplato nelle dottrine ascetiche che insensatamente si importano dall’Oriente, nelle quali il fine non è mai stato il benessere fisico – per quello ci sono i centri di bellezza – ma, come in tutte le espressioni tradizionali, quello di esplicitare e sublimare in vita la componente divina e spirituale presente in ogni essere umano purificando e trasfigurando con dolore, sacrificio, pazienza e dedizione tutte le componenti saturniane presenti e domi- nanti nell’interiorità:
«Le contemplazioni irradianti si associano, per tal via, al potere di una patientia, alla capacità di sopportare incrollabilmente tutto ciò che può venire dal mondo degli uomini, facendo svanire nella vastità dell’animo svincolato tutto quel che questi possono» (3).
Si delinea una prassi introspettiva che presuppone un atteggiamento altresì ermetico, pur se contemplativo, rispetto agli istinti e alle passioni che interferiscono rispetto al nostro perfezionamento animico: la conoscenza delle dinamiche interne al nostro microcosmo si impone dinanzi a qualsiasi pratica avventurosa.
Chiarito tale punto essenziale, possiamo ora riferirci a ciò che abbiamo precedentemente definito pratiche del respiro. L’errata convinzione neospiritualista ed esotica si focalizza spesso e gravemente sulla conoscenza e il ritmo di inspirazione ed espirazione, ricercandone un controllo e un equilibrio, per l’affioramento del cosiddetto soffio di vita, cioè la prima componente sottile e di Luce interiore. Nello scritto di Scaligero citato, si mette saggiamente in guardia il lettore sull’efficacia e la vera natura dissolutoria di certe pratiche, spiegando tecnicamente il senso dell’incomprensione. A questo proposito è utile notare come la quadripartizione sottile dell’Uomo (Saturno – Luna – Mercurio – Sole) (4) sia associabile alla quadripartizione delle forze universali (Terra – Ac- qua – Aria – Fuoco) (5), e come tale inquadramento induca il ricercatore sorretto dalla dottrina tradizionale – ovviamente completamente ignorata dagli yoghin americanizzati – a prendere coscienza del fatto che sussista necessariamente una gerarchizzazione delle componenti sottili, che devono essere interessate ed attivate gradualmente e secondo il loro preciso senso palingenetico. Da tutto ciò, si può serenamente e pacificamente comprendere come l’uomo ordinario della modernità sia nel dominio sottile di Saturno, indi della componente Terra, in cui la coscienza di veglia è subordinata al subconscio istintuale, con la falsa presunzione di essere presenti a sé stessi in ogni circostanza dell’esistenza. La non facile consapevolezza dei propri meccanicismi cerebrali, almeno a livello teorico, permetterebbe di rendersi conto di come le suddette pratiche del respiro, inerenti al soffio, all’elemento Aria, attuino un salto gerarchico nel microcosmo umano, non ponendo in essere una dovuta e fondamentale purificazione delle precedenti componenti terrestri e lunari. Cosa comporta tale incomprensione? Scaligero ci illumina in tal senso. L’attivazione del respiro nelle pratiche ascetiche, per quanto premesso, non consente la ricercata liberazione animica secondo l’assunzione del soffio interno ma, al contrario, determina l’aumento dei vincoli istintuali, che si vorrebbero illusoriamente trasmutare. L’azione sul soffio è azione sul respiro psico-fisico non purificato: pertanto, un’operatività in tale direzione rafforza le componenti saturniane e lunari, perché si dona loro l’energia esercitata, che serve a porre nuove catene, nuovi legamenti interni, anziché eliminarli:
«[…] il discepolo occidentale […] può giungere a una esperienza superiore del respiro, se riconosce, mediante puro pensiero, l’indi- pendenza della vita interiore dalle funzioni del respiro, e inoltre riconosca la inanità e la pericolosità di un Yoga moderno tendente a sottoporre l’attuale tipo umano alla tecnica respiratoria propria a una cultura e ad una razza trascorse, ossia ad una tecnica che non gli è pertinente in quanto fu conforme ad un’altra costituzione e ad una tradizione non più afferrabile nella sua oggettività mediante il presente conoscere» (6).
Da un punto di vista alchimico, tali considerazioni non mutano e acquisiscono una valenza ancor più particolareggiata. Nell’ambito di una data fisiologia occulta, la pratica del respiro, attingendo alla zona sub–diaframmale, esalterebbe negativamente ciò che viene comunemente denominata la dimensione emozionale, il centro del Sentire, le componenti complementari di Marte e Venere non equilibrate, esplicitando scompensi di natura onirica, inconscia, se non peggiori:
«[…] non vi autorizzo a praticare esercizi respiratori insegnati nei libri o da pseudo-esperti, perché è preferibile, prima di questo, cam- biare molte altre cose in voi […]» (7).
Tali problematiche, pertanto, impongono una cautela nell’accostarsi a certe dinamiche respiratorie. La dottrina tradizionale, al contrario, così come indicato da Scaligero ma non solo, si riferisce, per il conseguimento del Soffio di Vita, non all’attivazione del respiro fisico, ma alla sua estinzione, al conseguimento del Vuoto in termini di pensiero, al controllo della cerebralità mediata dalle sensazioni esterne ed istintuali, che solo può determinare la completa cessazione delle influenze basali. Il respiro fisico, erroneamente confuso col Soffio di Vita, dal Gichtel (8) viene anche definito «soffio della carne», magia del lato oscuro della cattiva volontà. Quanto riportato dalla Scuola del Pensiero Vivente, ma anche l’ambito ermetico e magico, ci permette di comprendere come il primo contatto con la dimensione sottile si debba esplicitare nei termini di una contemplazione attiva, con l’uso di tecniche di immaginazione, come espresso da Scaligero, da Kremmerz, da Fulcanelli, o con tecniche di natura mnemonica, come intese da Bruno: sono quelle tecniche che si riferiscono agli insegnamenti del Dhyana-yoga e Hatha-yoga, quali prassi di estreme purificazioni, sostenute da una volontà assoluta, metallica, che presieda «un rito mentale propiziatorio usato come introduzione ad ogni pratica […] (9).
La prima purificazione è quella della mente. La condizione attuale della nostra percezione mentale è quasi esclusivamente passiva, nel senso che ogni sua elaborazione null’altro è se non una riproduzione di input esterni, un’imposizione di percezioni di un oggetto sensibile dall’esterno agli indifesi sensi umani. La purificazione di tale stato di sudditanza può essere realizzata comprendendo l’essenza della kàtharsis platonica (10), intesa come separazione dalle cose sensibili, liberando le facoltà percettive, rendendole pure. Pratyàhàra o controllo delle varie impressioni e dei corsi accidentali di associazioni e di pensieri, Dhàranà o concentrazione su un solo oggetto escludendo tutto il resto, Dhyàna o assorbimento in un oggetto non più sensibile, Samàdhi o eliminazione dell’oggetto mentale e congiunzione con la nuda potenza dell’essere, sono le quattro fasi che nel Patanjali indù (11) attuano la suddetta purificazione, che culmina con la possibilità, da parte della mente, di crearsi da sé la propria percezione.
La successiva purificazione è quella della volontà. L’impurità da eliminare in questo caso consiste nell’errata convinzione che ogni azione umana debba avere una ragione sufficiente, esterna a sé stessa: eteronomia! È necessario che risorga il principio dell’autarchia, dell’autonomia, di colui che si dà legge da sé, al di là di categorie come possono essere quelle del «buono» o del «cattivo», del «bello» o del «brutto»; una dura disciplina che sappia accrescere il possesso di sé, che sappia qualificare un’impersonalità attiva.
Tramite tale ascesi, paragonabile al tapas degli Orientali, non si accede al benessere fisico o alla pace universale, ma si attiva ciò che iniziaticamente è configurabile col «calore magico» o «luce interiore», quale primo accesso ai regimi ermetici del fuoco, quale percorso teurgico di identificazione tra essenza divina nell’umano ed essenza ignea nell’infinito (12).
L’estinzione del soffio, pertanto, si determina come uno svincolamento dalla natura ferale dell’uomo, non come un ulteriore incatenamento ad essa, conseguito con il superamento di precise modalità fisiologiche sinanco metaboliche, delle quali il respiro non purificato degli asceti dell’ultima era costituisce una delle componenti più nefaste in termini di sanità ed equilibrio interiore. Doverosa, pertanto, è la conoscenza immaginativa del respiro stesso (13), che prima di attivare meccanismi corporali, possa interagire con lo stato fluidico e sottile, mutando la polarità del respiro stesso, divenendo «atto dello spirito vivente» (14).
Tale stato ontologico si pone come un traghettamento intermedio tra le sfere noetiche e la percezione puramente fenomenica, senza il quale nessun percorso di intellezione è attuabile ivi consistendo, altresì, i vincoli e le resistenze sensibili, tramite cui la percezione sensoriale permane dominante nei confronti della facoltà cosciente, a cui consente un solo contatto, quello con la rappresentazione razionale, perché è l’unico con cui la propria sensibilità interna è in stato di «somiglianza». L’estinzione autentica del soffio tramite la catarsi ermetica, quale introspezione maieutica, che si palesa essere l’unico ed essenziale superamento attivo delle dinamiche fenomeniche e sensiste, si pone come base fondante di ciò che poi la prassi ermetica realizzerà come identità dell’anima invisibile del mondo e del Dio con la propria coscienza ri- svegliata. Pertanto, la vissutezza, profonda, in cui il moto dell’espe- rienza del soffio presuppone il suo perfetto contrario, cioè la fissità di un animo, di un moto centripeto che ricerca certezze e solidità nel mutevole, nell’incontrollata foga del divenire, la contemplazione visibile del molteplice presuppone la conoscenza invisibile dell’intero di una fraternità naturale con il Divino. Notiamo, nel merito, come il chiarimento che abbiamo inteso realizzare si rivolga a un preciso tipo umano contemporaneo, attratto da quella che Evola definiva la seconda religiosità, cioè una propensione confusa al Sacro, che dirige verso le nebbie dell’infraumano anziché del sovraumano. Non è un caso che compagni perfetti di tali guru esotici siano spesso l’analista e lo psichiatra, sinto- mo che forse qualcosa non vada spesso a buon fine:
«Ci si può mettere a far pratiche respiratorie anche per decine di anni e riuscirvi perfettamente, ma finché dal respiro non sia reso in atto pràna, finché il processo respiratorio non sia smaterializzato e dato in funzione del flusso delle correnti di luce animata, tutta la fatica è vana» (15).
La soluzione al problema si realizza tramite un’immedesimazione orga- nica e completa con l’oggetto del conoscere, l’Aria, quale sintesi delle opposizioni polari dell’esistenza e del Sacro, in una comprensione noetica e non dianoica. La pratica trasfigurante dell’antica magia operato- ria, come dell’ermetismo italico, consente la divinizzazione dell’umano tramite l’identificazione immaginativa con il Sacro che pervade egualmente uomini e cosmo, non solo in un rito filosofico interiore, come nelle indicazioni di Plotino, ma soprattutto tramite una propensione di natura sapienziale, che recepisce l’essenziale nell’invisibile, quale assunzione della matrice prima tramite simboli e pratiche rituali, che i Numi stessi hanno indicato agli antichi sacerdoti dei templi arcaici d’Occidente. Si attua un processo che separa e galvanizza le correnti di fuoco all’interno della fisiologia occulta dell’uomo, verso una raffinazione sensibile delle componenti organiche, non tramite una solo iperestensione:
«Non devi cercare la potenza, ma la potenza deve cercare te» (16).
Note:
1 -Mircea Eliade, Lo Yoga – Immortalità e Libertà, Bur Rizzoli, Milano, 2014, p. 47.
2 – Massimo Scaligero, La Via della Volontà Solare, Edizioni Tilopa, Roma, 1986, p. 125ss.
3 – Julius Evola, La Dottrina del Risveglio, Edizioni Mediterranee, Roma, 1995, p. 180.
4 – Giuliano Kremmerz, Appendice, in La Scienza dei Magi, vol. III, Edizioni Mediterranee, Roma, 2003, p. 658: «la modalità lunare (coscienza del proprio corpo astrale), la modalità mercuriale (coscienza del proprio mercuriale o IBI) e la modalità solare (coscienza del proprio corpo igneo) per la sua finale trasformazione ammonea (igne natura renovatur integra). In conseguenza di queste tre modalità di essere, trasmutatorie della sua unità psichica, egli potrebbe (cum grano salis) separare la sua forma, cioè tutto quanto di lui fa avvertire a lui e agli altri la sua realtà (separando lunare); muovere e proiettare a distanza la sua forma (separando mercuriale o IBI); irradiare la sua forma (separando solare)».
5 – Empedocle, frammento B 6, I presocratici, Gallimard, p.376:» Conosci innanzitutto la qua- druplice radice di tutte le cose: Zeus è il fuoco luminoso (Fuoco), Era madre della vita (Aria), e poi Idoneo (Terra), Nesti (Acqua) infine, alle cui sorgenti i mortali bevono».
6 – Massimo Scaligero, op. cit., p. 127-8.
7 – Solazaref, Introitus ad Philosophorum Lapidem, Edizioni Mediterranee, Roma, 2007, p. 339.
8 – Johann Georg Gichtel, Theosophia Practica, Edizioni Mediterranee, Roma, 1982, p. 169.
9 – Julius Evola, Lo Yoga della Potenza, Edizioni Mediterranee, Roma, 2006, p. 194.
10 – Platone, Fedone, 67 a, 69 b-c.
11 – Ivi., p. 88ss.
12 – Mircea Eliade, op. cit., p. 308ss.
13 – Abraxa (Ercole Quadrelli), Istruzione per la conoscenza del respiro, in Ur 1927, Edizioni Tilopa, Roma, 1980, p. 132.
14 – Ivi., p. 133.
15 – Julius Evola, L’Uomo come Potenza, Edizioni Atanor, Roma, 1926, p. 269ss.
16 – EA, Sul senso dello stato di potenza, Edizioni Tilopa, Roma, 1980, p. 255.
(fonte: DELTA, Rassegna di Cultura Massonica a cura di Michele Leone, che ringraziamo per la collaborazione)
Luca Valentini