Picasso e le tecniche artistiche del ‘900 – Giovanni Antonio Bassoli*
Di Pablo Picasso si sono scritti fiumi di parole e non è certo mia presunzione cercare di portare un nuovo punto di vista nella lettura dell’opera di questo straordinario artista. Ciò che desidero sottolineare in questa sede, tuttavia, è il primato che il pittore spagnolo ha avuto ed ancora detiene nella rivoluzione della percezione della forma e della manifestazione dell’emozione nel coglierla. Partendo dall’assunto che la funzione dell’artista è quella di mostrare al mondo ciò che i sensi non potrebbero ancora riconoscere, Pablo Picasso si attesta forse a maggior interprete della cerniera storica e stilistica manifestatasi nel primo quarto del ‘900, a cesura tra la rappresentazione formale e l’arte astratta, interpretata dai movimenti del cubismo e del futurismo che evolveranno, nel dopoguerra, nell’arte informale. L’ardita sintesi compositiva e dell’immagine di Picasso si è incuneata nella visione di una dimensione fino ad allora inconsueta fruita dall’osservatore, giungendo ad una rivoluzione percettiva paragonabile alla svolta di umanizzazione trecentesca che Giotto condusse più di 500 anni prima. In questo senso il ‘900, secolo di grandissime innovazioni tecnologiche ed altrettante mostruosità, si rivela un periodo estremamente interessante per l’altalenarsi di modelli rappresentativi che si pongono ora ad interruzione del romanticismo proprio del secolo precedente, ora a ponte di transito tra la rappresentazione della forma e dell’emozione trasmessa, intesa come azione dell’artista che va oltre la forma permettendo di compiere un salto evolutivo capace di trascinare la percezione in una nuova dimensione. Si dice che prima che gli artisti raffigurassero il cielo azzurro, e qui reputo fondamentale la lezione dei pittori tardogotici senesi e fiorentini, le persone vedessero il cielo grigio quasi come se i sensi non fossero allenati alla percezione di una manifestazione della natura che oggi ci pare inconfutabile.
Il ‘900 è dunque l’epoca nella quale da un lato la tendenza di numerose correnti spinge verso l’uscita dalla forma come tensione artistica, dall’altro altrettante si ri-ancorano alla tradizione metafisica restaurandone la figurazione. Sicuro di non rendere completa giustizia a tutti mi sento di citare, a questo proposito, gli studi che Gino Severini compì sul celebre testo tardo medioevale del pittore e trattatista Cennino Cennini (1370/1440), il manuale di tecniche pittoriche di Giogio De Chirico ed il manifesto della pittura murale a firma di Mario Sironi, Massimo Campigli, Carlo Carrà e Achillle Funi, l’esperienza de Les Italiens de Paris nonché la maestria di Pierre Puvis de Chavannes nell’affresco, tecnica principe del Medioevo e del Rinascimento. Nell’età, quindi, dove la tecnologia si evolve in maniera esponenziale e, contemporaneamente, molti artisti si collocano a restaurazione di schemi compositivi antichi e tradizionali ri-ancorandosi alla tradizione metafisica riorientandosi alla figurazione, sta la lezione di Pablo Picasso, artista poliedrico che, forse più di altri, ha saputo fare della propria stessa vita un’opera d’arte connaturata alla prodigiosa transizione delle epoche nell’età che incerniera, forse più di altre, l’arte del passato con la trasformazione fondamentale delle manifestazioni artistiche orientandone, di fatto, il modo di percepire la realtà ed il mondo nei tempi successivi.
In realtà fin dall’800 assistiamo alla nascita di opposte tendenze in apparente contrasto con l’accademismo, tanto che, per esempio, i macchiaioli, il divisionismo e l’impressionismo conclamati nelle tecniche classiche della pittura a olio, degli acquerelli e dell’incisione s’iniziarono al processo di uscita dalla percezione della forma che nel ‘900 troverà coronamento. Secondo questa elaborazione l’eclettismo dell’architettura ottocentesca integrò gli edifici preesistenti concependo nuove progettazioni dello spazio e coniugando uno stile puramente decorativo alle tecniche costruttive per l’epoca avveniristiche come l’uso del metallo per le strutture, contemporaneamente nelle arti grafiche e decorative si diffuse l’esplorazione dei recenti procedimenti industriali anche nel campo della stampa e dell’editoria. Da questo contesto storico e culturale emergerà che il Cubismo si può legittimamente considerare la più completa e radicale rivoluzione artistica dai tempi del Rinascimento appoggiandosi alle nuove correnti novecentesche ad opposizione dell’Ottocento. Ciò va notato in ragione del fatto che già era nata la contrapposizione al rigorismo della raffigurazione neoclassica-illuminista, lasciando prevalere un modo diverso di concepire le basi stesse di tutte le arti, conservandone tuttavia la memoria dell’antico. Di contro la nascita del Futurismo in Italia ed i Russia si affacciava sul primo quarto del ‘900 decantando la bellezza nella velocità delle stazioni ferroviarie, delle automobili e delle officine per arrivare ad una cesura totale col passato ed esaltando, provocatoriamente, addirittura l’abbattimento dei musei, delle biblioteche e delle accademie.
Pablo Picasso, sebbene sia stato uno degli interpreti più importanti di questa rivoluzione artistica con il baricentro nel Cubismo, mantiene saldamente un piede nella tradizione antica non solo per lo straordinario talento figurativo espresso, ma anche perché percorse di fatto tutte le tecniche d’opera indagandole in maniera approfondita e quasi maniacale. Ed è sul ponte che travalica il fiume che scorre tra la tradizione e la spinta futuristica che l’artista catalano transita, regalandoci forse la più straordinaria sintesi tra indagine tecnica della natura e dell’animo umano ed ancora via inedita di esplorazione dei suoi segreti. Ed è proprio nell’esplorazione delle tecniche, le più diverse, che Picasso eccelle. Picasso non è un autodidatta, frequenta l’ Accademia di Barcellona con successo ed i suoi riferimenti vanno a ricercarsi nella pittura realista di Velasquez, Zurbarán, Francisco Goya come testimoniano le sue opere giovanili come Ciencia y Caridad del 1897, i ritratti realisti dei suoi genitori del ’96 o ancor più la Prima Comunione di sua sorella Lola del 1890.
La straordinaria maestria nelle tecniche artistiche è dunque il genio che accompagnerà il maestro per tutta la sua carriera. Oltre alla pittura ad olio, a tempera su diversi supporti quali cartoni, tavole, masonite etc non va dimenticata l’immane produzione grafica dell’artista che denuncia l’eccezionale proprietà tecnica nelle discipline quali l’acquaforte, l’acquatinta, la puntasecca e la maniera nera. Ne sono testimonianza gli eccezionali tori che Picasso cominciò a produrre, pare, dopo aver visitato le grotte di Altamira coperte di pitture rupestri di età paleolitica, scoperte nel 1879, due anni prima della nascita di Picasso il quale sembra che ebbe a dire “dopo Altamira, tutto è decadenza” affascinato dalla folgorante modernità estetica di quei disegni che influenzarono le giovani sperimentazioni surrealiste dell’epoca.
E così, in virtù della rielaborazione dell’arte magica ed apotropaica del periodo neolitico, tutta l’arte contemporanea ne ebbe una impronta che modificò il corso della figurazione moderna per il secolo successivo fino alle stupefacenti acqueforti dei Minotauri, il messaggio dell’antica arte propiziatoria è stato veicolato magistralmente dall’artista catalano con il virtuosismo della grafica a cavallo del surrealismo degli anni ‘30 del secolo. L’esperienza che l’artista comincia in Italia si inizia con il suo tour del 1917 esattamente il 17 di febbraio, quando da Parigi scese nella penisola insieme con Jean Cocteau e Igor Stravinskij.
Nella prima tappa a Roma albergò per circa un mese nella celeberrima via Margutta dove venne coinvolto nella realizzazione delle scenografie del balletto russo di Djaghilev per l’opera Parade del drammaturgo francese su musica di Satie. A Roma conobbe la ballerina russa Olga Chochlova che divenne sua prima moglie. Il viaggio proseguirà poi verso Napoli e Pompei dove alla ricerca di nuovi percorsi della sua ricerca espressiva, contrariamente a Braque, ritenne forse chiusa la fase decennale del cubismo, cambiando completamente stile e soggetti e riscoprendo il mestiere dell’artista preconizzato dal grecizzante De Chirico, riallacciandosi alla tradizione figurativa “classica”, chiudendo la fase dello sperimentalismo delle avanguardie. Il sipario dipinto di Parade ha rappresentato, oltretutto, una vera sfida in termini di conservazione e di esposizione. La gigantesca tela di iuta dipinta a tempera con il pittore Carlo Socrate misura più di 10 metri di altezza per 16 di lunghezza, è, soprattutto un oggetto fragile e difficile da appendere. La sua sopravvivenza ha richiesto una campagna di restauro impegnativa attuata inizialmente nel 1987-1989 e basata su una tecnica innovativa progettata da un team tecnico del Centro Pompidou di Parigi in collaborazione con il Museo Picasso ed il Museo della moda di Parigi. Con degli sponsor importanti si partecipò a questo progetto rivoluzionario nell’ottica di mantenere il buono stato di conservazione di quest’opera d’arte iconica nel lungo termine per le generazioni presenti e future. La tecnica della tempera su tela, presumibilmente scelta per le amplissime campiture dell’opera, presenta ancora oggi una problematica d’intervento di non facile risoluzione.
Le tecniche moderne ad ora in uso nelle scenografie le cui opere sono eseguite con colori acrilici o silossanici accompagnati spesso da preparazioni adatte hanno, ci auguriamo, risolto la problematica delle sollecitazioni della tela sulla pennellata a tempera che, spesso di magra consistenza del legante, ha creato nella fase storica picassiana, purtroppo, crettature e scodellamenti della materia risarcibili solo con un intervento millimetrico che abbia potuto ridonare consistenza alla sostanza pittorica. È presumibile, secondo chi scrive, che il ritorno alla classica esecuzione ad olio su tela, e ad acrilico su numerosi supporti soprattutto nel dopoguerra, siano stati i compagni d’avventure preferiti dall’artista spagnolo, insieme con le tecniche grafiche di si tratterà successivamente. L’immersione in un territorio, quello italiano, tradizionalmente così fertile dal punto di vista delle arti in forma straordinariamente stratificata non può non aver influito sull’esperienza di Picasso, persona entusiasta ed affamata di cultura artistica nelle sue forme le più ampie.
Durante il periodo italiano Picasso ebbe altresì a pronunciarsi così su Mario Sironi: “Avete un grande artista, forse il più grande del momento e non ve ne rendete conto”. La frase, che poteva risuonare come fortemente provocatoria, rivela la condizione fondamentale all’interno della quale l’arte, non conoscendo il fili spinati delle trincee che impigliano gli uomini nelle ideologie, costruisce ponti tra le culture e non barricate, consci del fatto che quando Sironi morì fu poi sepolto culturalmente da quasi tutti i critici di arte contemporanea per la sua appartenenza, anche entusiasta, al fascismo.
Rimanendo collegati a questo esempio possiamo affermare che sia Picasso sia Sironi, seppure percorrendo strade parallele, riscoprirono la grande tradizione figurativa prima, europea poi, alla quale guardare non con romantica nostalgia ma da ricercatori attenti a non tagliare le vecchie radici per farne nascere delle nuove in sintesi tra l’aulico passato col frenetico presente senza rinnegare le esperienze personali vissute.
Se da un lato Sironi infatti stende sul cavalletto un’umanità nuda, con l’inquietante presenza dell’immersione nelle periferie milanesi dei casoni popolari, delle strade deserte, dello sferragliare dei tram che scorrono cigolando insieme con le prime automobili, Picasso in contemporanea esplora tutta la forza esplosiva che si veicolerà delle avanguardie del ‘900 a cavallo tra le due guerre. Avanguardie non dimentiche, nel caso dell’artista catalano, delle tecniche artistiche le più eclettiche, non ultima la grafica che nel ‘900 trova importante coronamento stilistico dalle prime Arts and Crafts alla Wiener Werkstätte, alla mai troppo rimpianta Bauhaus cancellata dalle dittature che stavano prendendo piede in Europa. Nella grafica artistica Picasso si segnala con personalità sorprendente. Il tratto del pittore catalano spazia dalla ricerca sbalorditiva del dettaglio nelle acqueforti alla sintesi del tratto disegnato che diventerà impensato pilastro della grafica del 900 e oltre. Chi conosce la tecnica dell’acquaforte, va notato, troverà ancora una volta in Picasso un capostipite della saldissima capacità virtuosa dei bagni e delle incisioni ed inchiostrature che giunge alfine alla completa padronanza della tecnica. Nei ritratti, nel periodo surrealista e nei molti capricci mitologici di cui era entusiasta.
Dopo il periodo drammatico della guerra l’artista visse a Parigi con la possibilità di continuare a dipingere sebbene gli gravasse la limitazione di non poter esporre le proprie opere perché sancite dai nazisti come arte degenerata (entartete Kunst), Picasso decise di trasferirsi in Costa Azzurra, inizialmente ad Antibes e poi a Vallauris, dove iniziò la sua attività di ceramista, lasciandoci altresì una straordinaria testimonianza contro i conflitti con una pittura murale ancora perfettamente conservata. Proprio a Vallauris, infatti, in una cappella sconsacrata, dipinse nel 1953 il capolavoro La Guerra e La Pace. Il dipinto è caratterizzato dall’esaltazione del contrasto tra la Morte portata dai conflitti che cavalca un carro nero dal quale fuoriescono insetti e scarafaggi su di uno sfondo con un carro trainato da cavalli che calpestano un libro infuocato, simboleggiante la cultura bruciata e schiacciata dai regimi che impediscono la libertà di parola e di pensiero e vogliono mantenere il popolo ignorante. La cupa raffigurazione fa da contraltare alla Giustizia che, sulla sinistra, tiene in mano la bilancia e lo scudo, ed al cui interno è raffigurata la famosa colomba picassiana dal volto di donna, quello della sua compagna Francoise Gilot.
Dirimpetto, proprio dove viene raffigurata la Pace, la scena si illumina di colori sgargianti e si anima di persone e di vita sotto ad un grande sole con le spighe in luogo dei raggi, splendente nella volta ed all’ombra di un albero verde, colmo di frutti, dove una mamma allatta il suo bambino, un uomo legge, un altro scrive, un ragazzo ara la terra con un cavallo alato, ed intorno a lui si danza e si suona mentre un bambino gioca con una curiosa struttura con una boccia per i pesci piena di uccelli. Sullo parete di fondo infine le quattro persone di etnie diverse ci riconducono all’idea dell’armonia tra i popoli, protetta dall’iconica colomba. Il dipinto murale risulta un poco diverso dalla produzione successiva dell’artista che, come da sua multiforme natura, ritorna da un lato all’esplorazione della linea e della pura forma grafica dall’altro ad uno stato avanzato del primo cubismo abbracciando ed estendendo la figurazione dei disegni ed delle acqueforti di un tempo a tecniche scultoree ed architettoniche ancora più ardite, anche grazie a committenze sempre più prestigiose. Interpretando lo stile dell’avanguardia scultorea tra gli anni ‘60 e ‘70 del 900, spesso inserito in contesti urbani e non solo museali, Picasso realizza, nel 1962, con lamiera tagliata e dipinta Jacqueline con un nastro giallo forse prodromo al cosiddetto Chicago Picasso del 1967, poderosa scultura metallica in COR-TEN alta 15,2 metri e pesante 162 tonnellate, posizionata nell’area direzionale del Chicago Loop, l’area dell’alta finanza chicagoana. Ed è proprio quella sintesi della linea figlia di uno studio approfondito della forma della natura che Picasso realizza i suoi ultimi lavori a cavallo tra il 1960 ed il 1970.
Da citare, a questo proposito, i bellissimi cicli decorativi al Chateau de Castille, nei pressi della cittadina medioevale di Uzes nel sud della Francia, realizzati per Douglas Cooper, collezionista d’arte e amico di Picasso proprietario di una delle più grandi collezioni d’arte del XX secolo e amico altresì dei più famosi artisti moderni come Braque, Léger, Klee, de Staël. E nei pressi della Cattedrale di Barcellona, l’artista ci stupisce con i tre fregi per la decorazione esterna del Collegio degli architetti della Catalunya, disegnati inizialmente su carta da Picasso e trasposti su intonaco cementizio dal fotografo e scultore norvegese Carl Nesjar. La tecnica utilizzata Nesjar per trasporre le tre opere picassiane il Fregio dei bambini in Carrer dels Arcs, il Fregio dei giganti in Plaça Nova e il Fregio della bandiera sulla strada dei Capellani è consistita nel tracciare le linee grafiche con una microsabbiatrice che ha inciso ed eroso lo strato di cemento Portland, formandone i rilievi desiderati. La tecnica sopraddetta è stata, per altro, citata, quale primo esperimento di superficie decorata dell’architettura tramite un modo nuovo di interpretarne l’antica tecnica del graffito, o sgraffito di memoria rinascimentale, ed è entrata nel novero dello studio sulla conservazione delle tecniche artistiche contemporanee soprattutto su materiali deperibili quali il cemento Portland, sebbene apparentemente inscalfibile.
La collaborazione con Carl Nesjar diede i natali, contemporaneamente, tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’70, ai cinque murales progettati da Picasso La spiaggia, Il gabbiano, Il satiro e il fauno e due versioni del Pescatore per gli edifici Regjeringskvartalet (= quartiere governativo) nel centro di Oslo in Norvegia, nella fattispecie sugli e negli edifici progettati dall’architetto norvegese Erling Viksjø, tra i primi esponenti del modernismo architettonico, noti come “H-block” o Highrise (1959) e “Y-block” (1968). Queste ultime opere dell’artista catalano sono state motivo di aspre critiche per la scelta del loro spostamento nel 2020 da parte del governo norvegese, piuttosto avvezzo, per lo meno nella capitale Oslo, alla cancellazione di beni culturali soprattutto lapidei ed architettonici.
Le opere monumentali, composte da due blocchi di cemento del peso rispettivamente di 250 e 60 tonnellate, si trovavano nei pressi dell’esplosione della bomba collocata in un furgone nel 2011 da Anders Behring Breivik, autore della strage di Oslo e Utoya, nella prima tappa dei suoi sanguinosi attentati. In luogo della conservazione e l’eventuale intervento di conservazione e e restauro in situ, il governo decise arbitrariamente per lo spostamento. La rimozione sarebbe andata contro, anche secondo chi scrive, al primo desiderio degli artisti Picasso e Nesjar che desideravano regalare alla popolazione, con la nuova tecnica di sabbiare graficamente il cemento, un’opera d’arte pubblica monumentale e permanente. E proprio con la passione relativa alla conservazione delle tecniche artistiche le più diverse che salutiamo il genio, l’ecletticità e, forse, l’unicità di Pablo Picasso, autore di una vita interpretabile come totale dedizione alla produzione artistica.
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA:
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AA.VV. Picasso in Italia, Fondazione Mazzotta Milano 1990.
Gino Severini: Dal cubismo al classicismo, Abscondita Milano 2001.
Serge Lemoine: Da Puvis de Chavannes a Matisse e Picasso. Verso l’arte moderna. Bompiani Milano 2002.
- Chiantore, A. Rava: Conservare l’arte contemporanea Electa, Milano 2005.
Gino Severini: La vita di un pittore, Abscondita Milano 2008.
Bruno R. Bruni: Restauro e funzionalizzazione dei sipari storici, Atti del X Congresso nazionale IGIIC, Roma 2012
Salvatore Vacanti: Il piccolo trattato di tecnica pittorica di Giorgio De Chirico, Nardini Firenze 2014.
Valentina Petrilli: Problematiche di conservazione e restauro di opere d’arte di grandi dimensioni: i sipari storici. Atti del XVI Congresso nazionale IGIIC, Trento 2018.
Sito spagnolo di pittura murale: https://cursopinturamural.blogspot.com/
La Repubblica 07/07/2020 Oslo, iniziata la contestata rimozione dei murales di Picasso dall’Y-Block
Giovanni Antonio Bassoli