Qualcuno salvi Satana: il prometeismo punk delle Demon Tears di Steve J. Drakos – Camilla Scarpa*
Se nella maggior parte dei romanzi distopici e delle teorie complottistiche più o meno elaborate Satana, la sua coorte di demoni e i suoi adepti umani sono considerati responsabili di tutti i mali del mondo (si pensi ai “Versetti satanici” di Salman Rushdie, ma anche al titolo del bel saggio critico sul nazionalsocialismo di Ernst Niekisch, “Il Regno dei Demoni”, e alla Cuspide che propaga ovunque le sue ramificazioni verminose nel mastodontico e distopico romanzo “La Mano di Gloria” di Renato “Mercy” Carpaneto, anche lui musicista e leader degli IANVA), Steve J. Drakos, nella prefazione alla sua ultima fatica, “Demon Tears”, edita per Front of Hell Press, torna con determinazione alla concezione romantica miltoniana del Diavolo. Nel discorso di Satana del “Paradise Lost” compare infatti la famosa frase “Better to reign in Hell than to serve in Heav’n”, che sintetizza perfettamente la concezione di chi, con Drakos, vede nel Demonio un rivoluzionario elitista che, come Prometeo, si ribella alle convenzioni sociali “date”, buone per la massa in una società narcotizzata dove il massimo dell’azzardo è inneggiare formalmente al “Nessuno tocchi Caino”.
Nella prefazione autografa del volume il prometeismo e il superomismo un po’ nicciano dell’autore, fondatore dei NABAT e poi bassista degli Skrewdriver (quelli di “Blood & Honour”, per intenderci), non solo richiama l’attenzione sulla sua via “alla potenza attraverso la gioia”, che riecheggia il teutonico “Kraft Durch Freude” tanto quanto il titolo della raccolta dei testi delle canzoni del Drakos Klan edita per Italia Storica Edizioni qualche anno fa richiama, seppur alla lontana, il Blut und Boden di Darrè, ma inserisce un provvidenziale correttivo mediterraneo, dionisiaco e comunitario alla pretesa individualistica dell’anarca-Satana e alle influenze gotiche e germaniche. Già, perché i Drakos sono cani sciolti ma sono anche un Clan, la forma più pura e “barbarica” dell’aggregazione sociale e familiare, e spiegano così le loro scelte estetiche dark, con la loro consueta semplicità quasi brutale: “Se dalle tenebre guardi verso la luce vedi molte cose, se sei in piena luce e guardi verso le tenebre vedi all’incirca nulla”.
Nel volume “Demon Tears/Lacrime di Demonio” la passione e la perizia fotografica – rigorosamente analogica! – di Drakos si combina con una serie di composizioni poetiche bilingui nate da esperienze paranormali “di trance, psicoscrittura, tavola e seduta spiritica, evocazione, presenze, possessione”, una poesia attraverso ispirazione sovrannaturale che ricorda un po’ una versione erotico-esoterica postmoderna degli arcani dei tarocchi, il cui simbolismo è ben illustrato da un libriccino di Ouspensky recentemente ripubblicato da De Piante.
E in queste brevi composizioni, facili da immaginare in musica, ritornano ciclicamente i temi cari all’autore, con una ritmicità quasi ossessiva, tarantolata, di menade: il corpo, il sesso, la rabbia, il sangue, l’amore, la magia, lo specchio, l’artefice, la giovinezza, il tempo, l’eterno ritorno e il serpente, l’Ouroboros.
Dice infatti lo scampolo dedicato al serpente, la vipera: “I am the Viper, in every century, at any instant, in any place, I WILL BE REBORN”. E gli antichi greci concordano.
Camilla Scarpa