L’uomo, i diavoli e gli spiriti notturni – Gabriele Bux
La demonologia giudaica tra contesto normativo, dimensione psicologica e antropologica e sostrato mitologico. Un itinerario teoretico dal maligno all’uomo.
La costellazione terminologica del discorso sui demoni nell’ebraismo riguarda una molteplicità di significati. Ogni vocabolo afferente la demonologia giudaica pare contenuto in qualche misura negli ambiti menzionati nel titolo di questo lavoro. Ci proporremo di rinvenire all’interno della religione ebraica un’interpretazione della demonologia in cui sia preminente la dimensione antropologica. È a quest’ultima che attiene l’aspetto psicologico del concetto di demone visto nell’ebraismo anche come una sorta di entità malvagia che alberga nell’animo umano inducendolo alla malvagità. Si è comunque tentato di risolvere il problema teologico-filosofico dell’origine del male – almeno parzialmente – giustificandolo tramite l’azione dei demoni. Ciò a partire dal II sec. a. C. dove l’elaborazione di raffinati miti dalla cospicua presenza del demoniaco include anche il tema della violazione dell’ordine divino nella sfera cosmica e in quella sociale. Utilizzeremo l’espressione “contesto normativo” per sussumere all’interno di questa macro categoria non solo la “Legge” cosmica in cui si regola e dispone l’universo ma anche la più ampia e variegata sfera legislativa in seno al giudaismo. Sul piano letterario la questione demonologica è affrontata da prospettive eterogenee; nella Bibbia[1] si delinea un’ininfluenza degli spiriti maligni negli eventi. L’ipotesi a sostegno della scarsa importanza loro attribuita nella narrazione biblica si fonda sul monoteismo: la «coscienza dell’unicità originaria e assoluta di Dio»[2]. Tale tendenza della religione yahwista si afferma con compiutezza con il profeta Isaia (circa seconda metà del VI sec. a. C.)[3]per cui Dio è al di sopra dei principi metafisici del bene e del male da lui stesso creati: «Io formo la luce, creo le tenebre, do il benessere, creo l’avversità»[4]. Ravvisiamo il riconoscimento di un unico Dio anche in Deuteronomio 6,4: «Ascolta, Israele: Jahwe, nostro Dio, è l’unico Dio»[5]. L’incontrastata potenza di Yahweh scarta l’idea che nell’Antico Testamento le creature diaboliche possano opporvisi. Ciò è tutt’al più spiegabile nell’assenza di descrizioni che vedono i demoni come entità indipendenti, autonome e preesistenti a Dio[6]. Un tòpos narrativo questo più diffuso in quel periodo del giudaismo detto del “secondo tempio”[7]. Quindi si direbbe che il Pentateuco e i testi profetici e sapienziali[8] restituiscono un’immagine della religione di Israele «spiccatamente antidemoniaca»[9]. Agli spiriti malvagi nella Bibbia si accenna poco ma in modi disparati. Troviamo «i demoni del deserto e della notte» o s´ͤ‘īrīm traduzione letterale di: «spiriti sotto le sembianze di caproni»[10] anche detti śā´īr (“i pelosi”) abitatori di luoghi sinistri come rovine di città oppure deserti[11]. Sull’identità degli spiriti caproni qualcosa di più la si apprende dal fatto che il lemma s´ͤ‘īrīm venga usato anche per sminuire gli dei stranieri e ricondurli «nella sfera degli spiriti inferiori e cattivi»[12]. Un altro sinonimo per indicare le divinità degli altri popoli è ŝēdīm cioè demoni[13]. Gli scritti biblici citano i ŝēdīm in diverse occasioni che vanno esaminate con cautela poiché la letteratura veterotestamentaria – abbiamo detto – relega i demoni a esseri di second’ordine. Inoltre è stato affermato riguardo le forze demoniache che «queste concezioni provenissero soprattutto dalla pietà popolare»[14]. Secondo una prescrizione del Levitico:
«chiunque della casa d’Israele uccida nel campo un toro o un agnello o un capro o chi lo uccida fuori del campo e non lo porti all’ingresso della tenda del convegno per farne un’offerta al Signore davanti alla dimora del Signore, quell’uomo sarà considerato reo di sangue: ha sparso sangue e sarà eliminato dal suo popolo»[15].
Poco dopo vien detto che i figli d’Israele non faranno più «sacrifici ai satiri[16] ai quali essi si prostituiscono»[17]. Ciononostante sono due i passaggi che riteniamo di fondamentale interesse demonologico nell’Antico Testamento rispettivamente in Deut. 32, 17 e nel Salmo 106, 37. Il primo è presente nel componimento poetico: Il cantico di Mosè, inno di esaltazione e lode al Dio d’Israele alla sua forza che si abbatte sugli infedeli e permea di bontà i fedeli. Si descrive la condizione di Israele precedente alla venuta di Yahweh: un regno immerso «nella terra del deserto, nel disordine urlante delle solitudini»[18]. Seguono, a questo iniziale momento di perdizione, le cure e la benevolenza di Dio verso il suo popolo
«Come un’aquila incita la sua nidiata e aleggia sopra i suoi piccoli, egli spiega le ali, lo prende e lo porta sulle sue penne. Il Signore è il solo a condurlo, non c’è con lui dio straniero. Lo fa cavalcare sulle alture della terra, gli fa mangiare i prodotti dei campi, gli fa succhiare il miele della roccia e l’olio dalla pietra silice, latte cagliato di vacca e latte di pecora, col grasso degli agnelli, gli arieti di Basan e capri, con la polpa del frumento, e i sangue del grappolo, che bevi spumeggiante»[19].
Seppur beneficiario della benevolenza divina il popolo d’Israele – privo di ogni riconoscenza – provoca Yahweh «con dèi stranieri, con abominazioni che lo irritano»[20] fa sacrifici «ai demoni che non son dio, a dèi che non conoscono, nuovi, venuti da poco, che non hanno temuto i vostri padri»[21]. I demoni qui somigliano a idoli o falsi dei la cui venerazione è oggetto di empietà similarità questa riscontrata anche nel salmo 106 «sacrificarono i loro figli e le loro figlie ai ŝēdīm, e sparsero il sangue innocente, il sangue dei loro figli e delle loro figlie, che sacrificarono agli idoli di Canaan[22]»[23]. Gli estratti dei Salmi e di Deuteronomio appena osservati sono gli unici dell’Antico Testamento dove è presente la parola ŝēdīm per riferirsi ai demoni[24]. Le divinità degli altri popoli nella traduzione greca della Bibbia detta dei “Settanta”[25] sono chiamate demoni[26]. La refrattarietà dei testi biblici a dar rilievo alla presenza e all’azione degli spiriti maligni non è stata comunque sufficiente ad evitare un loro parziale inserimento negli scritti veterotestamentari. Ciò è stato possibile per una coppia di fattori: la contaminazione culturale e il folklore. La credenza in esseri spirituali malevoli era diffusa in Mesopotamia e nelle popolazioni semitiche[27] per i babilonesi ad esempio gli “spiriti cattivi” disturbano e perseguitano gli uomini nella quotidianità e spesso – ma non sempre – sono causa di malattie ed altri mali[28]. Visti i contatti tra giudei e babilonesi (i quali occuparono dal 586 a.C. Gerusalemme sottomettendo gli israeliti al loro dominio) è impensabile che anche sul piano delle superstizioni non vi fosse nessuna fattispecie di sincretismo[29]. D’altro canto nelle rovine di Edom[30] si aggira la demonessa Lilītu appartenente alla cultura assiro-babilonese; in ebraico Lilit
«uno dei demoni più diffusamente temuti fra gli ebrei fino all’epoca moderna; è contemporaneamente un succubo che priva gli uomini del loro vigore sessuale congiungendosi con loro durante il sonno e una lamia che rapisce i bambini o succhia loro il sangue»[31].
Nella religiosità babilonese Lilītu è una creatura che «vagava nella notte»[32] una fase della giornata denotata come tenebrosa e preferita dagli spiriti malvagi[33]. I satiri e Lilit abitano quindi nelle rovine di una regione (Edom) in posti spettrali e minacciosi anche per la fauna che vi risiede esse divengono «dimora di sciacalli, riparo degli struzzi. Cani selvatici s’incontreranno con le iene»[34]. Altrettanto cupo è però anche il deserto in cui risiede il demone Azazel
«al quale annualmente nel Giorno dell’Espiazione veniva inviato il famoso capro espiatorio, un ariete sul quale il sacerdote scaricava — con un articolato rituale precisamente descritto in Levitico 16 — i peccati commessi dal popolo nell’arco dell’anno»[35].
Tale figura viene ritenuta «capo dei “figli degli dei” o degli angeli nella mitologia e nell’antico folclore palestinese»[36]. Nel racconto di Lev 16, 7-10 si afferma che il sacerdote Aronne prenderà « due capri e li porrà alla presenza del Signore […] e tirerà a sorte i due capri, destinandone uno per il Signore e uno per Azazel»[37]. Sul secondo, ribadiamo, verranno “trasferite”«tutte le iniquità dei figli d’Israele e tutte le trasgressioni di ogni loro peccato»[38]. È prescritto che il soggetto incaricato di scortare il capro per Azazel[39] – terminato il suo compito – «sciacqui le sue vesti e si lavi con acqua»[40]. Sul piano semantico si è voluto trovare[41] il significato del nome Azazel nell’espressione: ««colui che deve essere respinto»»[42] a sua volta intesa come «una perifrasi per indicare Satana, il nemico che risiede nel deserto, cioè il vero destinatario del secondo capro»[43]. Allora la demonologia biblica si radica nell’impurità e nel peccato; è l’uomo in quanto peccatore che con la sua ignominia invoca e idolatra falsi dei attirandosi l’ira di Yahweh. La distruzione delle città edomite è in Isaia conseguenza della punizione divina attuata ai danni dei loro abitanti. Dunque i satiri e Lilit errano proprio nelle macerie di territori dove si sono consumati sofferenza e morte di un popolo indegno agli occhi del Dio d’Israele. Quindi il problema del demoniaco nell’Antico Testamento riguarda «l’eterno dramma della debolezza e della cattiveria dell’uomo»[44] ciò perché il male non è causato «da Dio o da qualsiasi essere diabolico che sta tra Dio e l’uomo. La malvagità proviene piuttosto dal cuore dell’uomo»[45]. Enunciamo allora un modello sul quale poggiarci: l’uomo in quanto peccatore e radunatore delle forze delle tenebre. Egli vive impuro e contaminato dal peccato perciò attorno a sé spuntano fuori demoni. Ciononostante svilupperemo il paradigma dell’uomo “radunatore” di diavoli evolvendolo nell’uomo “generatore” di diavoli: colui che direttamente li incuba o li partorisce incubando e partorendo il male. Il passaggio da un archetipo all’altro non appare così intuitivo perché la distanza che ne intercorre è centrata teoreticamente su dei punti fermi. Innanzitutto affermiamo che il concetto di “radunatore” sembra prevalente nell’Antico Testamento cosa che non si può affermare dell’uomo “generatore” emerso in epoca posteriore. Un secondo motivo di separazione è rintracciabile nella natura dei demoni descritti nella Bibbia subordinati ad essere prodotti del folklore o comunque entità dalle funzioni irrilevanti. In più non si hanno certezze per dire siano all’effettivo degli spiriti maligni. Abbiamo riportato che nella versione dei settanta, per riferirsi agli dèi stranieri, è usato il termine daimónion che traduce l’ebraico ŝēdīm: demone. Tuttavia «i ŝēdīm, come si è già visto nel Salmo l06, vengono identificati con le divinità di Canaan […]. Non si dice tuttavia che si tratti di spiriti o demoni cattivi»[46]. Emblematico è sull’argomento il personaggio di Satana che nella Bibbia compare tre volte Zaccaria 3, 1-7, Giobbe l, 6; 2, l e I Cronache 21, l. Nella visione di Zaccaria Satana svolge la funzione di “accusatore” o “querelante”:«mi mostrò il sommo sacerdote Giosuè che stava in piedi davanti all’angelo del Signore e Satana stava alla sua destra per accusarlo»[47]. Nel libro di Giobbe è scritto che dei figli di Dio che andarono «a presentarsi davanti al Signore […] venne anche Satana»[48]; questi vuole mettere alla prova l’integrità spirituale e morale nonché la fede di Giobbe:«Non hai forse protetto con uno steccato lui, la sua casa e tutto ciò che possiede? […] Ma stendi la tua mano e colpisci i suoi beni e vedrai come ti maledirà in faccia»[49]. Il caso di I Cronache, 21,1 espone l’opera di convincimento di Satana che «insorse contro Israele e sedusse Davide perché facesse il censimento d’Israele»[50]. L’impronta data al śātān[51] – termine che significa “avversario” o “colui che si oppone” – è quella «dell’”accusatore” o del “querelante, fa cioè il “śātān“, ponendosi alla destra dell’imputato. Questo śātān ha anche il compito di occuparsi dell’ordine nel mondo di Dio e di togliere di fronte a Dio coloro che disturbano tale ordine»[52]. Per cui «ha il compito di ricercare ogni azione cattiva degli uomini e di sottoporla al giudizio di Dio. Śātān assume quindi sia l’aspetto di testimone che quello di accusatore, ed ha, per certi aspetti, la funzione di “occhio di Dio”»[53].
La violazione del “contesto normativo” afferisce allora al mancato riconoscimento da parte dell’uomo della signoria di Yahweh venerando creature che gli sono sottoposte. Ciò si concretizza nella disubbidienza a Dio immaginabile «come si può vedere anche nel testo di Zaccaria, come un re umano, attorniato da una corte celeste»[54]. Non a caso anche il śātān non fa nulla più se non segnalare le nefandezze umane. I feroci castighi inferti a causa dell’idolatria dei falsi dei o ŝēdīm celano probabilmente l’intenzione di far risplendere l’imperio divino sul mondo. Fuori dalla “recinzione” della Bibbia la “condizione” dei demoni subisce una metamorfosi. Bistrattati – per così dire – nelle opere bibliche hanno una loro rivalsa teologica nel giudaismo del secondo tempio. Molto più tardi, dalla conformazione che la demonologia ebraica ha in quest’epoca, si svilupperanno interessanti sfumature antropologiche che esamineremo nella Qabbalah[55] cioè la tradizione esoterica ebraica e nella Torah orale o Talmud[56]. Ci addentreremo prima nei meandri di un male metafisico del quale l’umanità è vittima poiché debole per salvarsene. L’origine di malvagità e impurità in una realtà preterumana[57] scardina la centralità del comportamento degli uomini messaggio che trapela cristallino dal Libro dei Vigilanti. L’opera appena menzionata delinea gli elementi teologici portanti della cosiddetta corrente enochica[58] dei quali però ci occuperemo solo di quello del male peraltro argomento principale del testo. Lo sfondo mitico delinea l’atto impuro originario dal quale scaturisce la malvagità cosmica: la “caduta” degli angeli. Si adduce una doppia trasgressione del piano normativo cosmico viene esposto
«un mito duplice sulla ribellione degli angeli: a) sette tra le stelle del cielo —ossia gli angeli incaricati di controllarle— si rifiutarono di osservare le orbite che Dio aveva stabilito per esse b) gli “angeli Vigilanti” guidati da Semeyaza ebbero intercorso con le “figlie degli uomini”, generando così i Giganti, una progenie mista e perciò impura»[59].
L’inosservanza del punto b) è nota come “caduta degli angeli” un gruppo di ministri celesti, al seguito del loro capo Semeyaza, cedono alla tentazione della carne:
«disse loro Semeyaza, che era il loro capo «Io temo che può darsi che voi non vogliate che ciò sia fatto e che io pagherò il fio di questo grande peccato». E tutti gli risposero e gli dissero:«Giuriamo tutti noi, e ci impegniamo che non recederemo a questo proposito e che lo porremo in essere» […]. Si impegnarono vicendevolmente ed erano, in tutto, duecento […]. E si presero, per loro, le mogli ed ognuno se ne scelse una e cominciarono a recarsi da loro. E si unirono con loro ed insegnarono ad esse incantesimi e magie e mostraron loro il taglio di piante e radici. Ed esse rimasero incinte e generarono i giganti»[60].
Il mito proposto illustra degli aspetti concettuali assenti nella demonologia dell’Antico Testamento. A differenza della Bibbia; nel testo enochico delle creature decidono in completa autonomia di corrompere il proprio status ontologico di«figli del cielo»[61]. Alcuni degli angeli vigilanti[62] scelgono liberamente di contaminarsi, tramite unione sessuale[63], con le donne a cui donano una sapienza proibita ai mortali ricordando l’analoga figura di Prometeo[64]. Oltretutto Semeyaza appare quasi come un comandante di schiere angeliche colpevole di essersi “sporcato” compiendo assieme ai suoi compagni «impurità sulle donne» che «avete fatto generare col sangue della carne e (le) avete amate col sangue degli uomini»[65]. L’ accoppiamento tra i vigilanti «costoro che prima erano fondamento di purezza»[66] e le «figlie degli uomini»[67] origina mostri: i giganti. L’unione tra puro e impuro produce i nefilim o giganti[68] menzionati anche da Gen. 6,4. «C’erano i giganti sulla terra a quei tempi»[69] espone la Genesi, ed è forse di questi che l’autore del Libro dei Vigilanti parla[70].Essi vengono denotati come «spiriti malvagi»[71] le cui anime, una volta morti, sarebbero continuate a vagare sulla terra tormentando gli uomini[72]. L’operazione di identificazione nefilim-demoni/spiriti cattivi sarebbe un tentativo di «spiegare che cosa sono i demoni. L’esistenza del demoniaco è presupposta; in questo modo è spiegata e inserita nella tradizione biblica»[73]. Tutta la malvagità del mondo proviene da potenze esterne all’uomo; maligni spiriti errabondi pervadono la Terra e causano afflizioni: «gli spiriti dei giganti, dei Nafil oppressori sono corrotti, cadono, sono violenti, fracassano sulla terra, causano dolore»[74]. L’enochismo degrada il male umano, pur prodotto del peccato, rendendolo inferiore al mescolarsi dello spirito con la carne e alla consequenziale commistione di terreno e ultraterreno. Gli angeli non sono stati creati da Dio per le «figlie degli uomini» e la pena eterna per aver osato sfidare la norma divina è la prigionia[75]. Il sostrato mitologico include una dimensione infera dove si espleta la dannazione. Ma un ulteriore accorgimento che ci proponiamo di evidenziare è il concetto della “proliferazione” del male sulla terra che Dio lascia compiere alle anime dei nefilim senza arrestarle. Lo scenario demonologico della Bibbia è stravolto; in esso la malignità che richiama esseri diabolici era di sola responsabilità umana quando nella tradizione enochica è ricondotta ad un piano divino. Ma che lo stesso creatore del mondo lasci che si dissemini costernazione[76] ci fa supporre che gli uomini, ebbri di peccato, siano per lo meno complici delle brutalità commesse dai giganti. I «figli della terra»[77], traspare dalla visione dell’autore, sono tutti colpevoli anche solo di essere tali in quanto impuri a priori[78] le «figlie degli uomini»[79] congiungendosi sessualmente accolgono nel ventre il frutto dell’empietà angelica nutrendo creature diaboliche. Quantunque non siano i diretti portatori della malvagità del mondo – in direzione allora opposta al messaggio del Tanakh[80] – gli uomini rimangono pur sempre facili prede delle entità demoniache. Se nella Bibbia i ŝēdīm, i śā´īr e Lilit erano solo strumenti di Yahweh per redarguire le impurità del genere umano il Libro di Enoch[81] invece sembra offrire un primo spunto di quel soggetto generatore di diavoli di cui abbiamo detto sopra. Ciononostante la presenza del demoniaco di cui si è trattato pertiene solo il “contesto normativo” e il piano mitologico; non inerendo troppo alla ruolo psicologico e antropologico della demonologia giudaica. In sostanza “l’uomo generatore di diavoli” è una nozione che si vuole far attenere anche a queste due sfere in quanto interessa la formazione di un modello che vede l’uomo come demoniaco.
L’evoluzione speculativa che tentiamo di costruire è il paradigma dell’uomo-demone o generatore di demoni prodotto della natura fragile e imperfetta dell’essere umano dovuta alla sua inferiorità ontologica. Gli uomini sono intrappolati nelle briglie degli spiriti malefici; ai quali si concedono sprigionando la loro intrinseca perfidia in essi da sempre esistente. Crediamo di trovare un riscontro effettivo di questa tesi nel Talmud e nello Zohar. I talmudisti hanno avvertito la necessità di legiferare sui demoni[82] attraverso disparate prescrizioni ciò perché «i Dottori considerano delle circostanze che implicano la realtà dei demoni»[83]. Come nel pensiero enochico anche in quello talmudico permane la considerazione dei demoni come creature a sé stanti e autonome, ma «sul problema delle origini di questi esseri malefici non sono concordi le opinioni»[84]. Volgeremo il nostro sguardo su alcune tesi talmudiche che si riallacceranno a delle prospettive qabbalistiche sul tema del demoniaco e da entrambe estrarremo il concetto di uomo-demone. Nell’interrogarsi sulla genesi degli spiriti malefici viene esposta nel Talmud a riguardo una teoria. Si racconta che fra: «i dieci oggetti che si dissero creati nella vigilia del primo Shabbath figuravano anche i mazzikin o spiriti malefici»[85]. E nel momento in cui Dio originò i demoni malvagi «il Santo che benedetto sia, creò le anime; quando venne però a crearne i corpi, osservò il Shabbath e non li creò»[86] per cui i mazzikin si «concepivano in conseguenza come spiriti disincarnati»[87]. Questa spiegazione mitica dell’esistenza dei demoni ha una sua variante «che vede nei demoni le anime dei malvagi mutate da Dio per punizione in spiriti maligni»[88]. Tale argomento si trova nel trattato talmudico Sanhedrin[89] secondo cui gli uomini
«erano divisi in tre categorie. Gli uni dicevano: Saliamo al cielo e abitiamovi; gli altri dicevano: saliamo e pratichiamo l’idolatria; i terzi infine dicevano saliamo e muoviamo guerra (a Dio). La prima categoria Dio la disperse; la terza fu convertita in scimmie, spiriti, demoni e diavoli della notte; quanto alla seconda, Egli confuse le loro lingue»[90].
(sigillo cabalistico del demone Azazel)
Leggiamo poi una descrizione che delinea «quali sono le loro caratteristiche: «Per tre rispetti assomigliano agli angeli del divino ministero e per tre sono simili agli esseri umani. Come gli angeli del divino ministero hanno ali, volano […] e conoscono il futuro. Come gli esseri umani mangiano e bevono, si riproducono e muoiono»[91]. Gli oggetti di questi estrapolati ovvero la mutazione delle anime dei malvagi in diavoli o le somiglianze fra umani e demoni malefici potrebbero introdurci allegoricamente al concetto del yèṣer ha-ra‘: “istinto cattivo”. Il principio dell’istinto malvagio è relativo alla letteratura rabbinica classica «comincia a “dominare sull’uomo” non dall’“uscita” (yeṣi’ah), cioè dalla nascita, ma già dalla “formazione” (yeṣirah), cioè dal concepimento»[92]. Esso è «l’istinto umano a creare e a procreare: un istinto che rende possibile la costruzione della società e della civiltà ma nondimeno è malvagio, così come le arti e le tecniche insegnate dai Vigilanti agli uomini»[93]. Nel «Talmud Babilonese esso viene identificato con il “dio estraneo” (el zar) […] pur avendo la sua sede nel corpo dell’uomo»[94] perciò è circoscritto alla fragile anima umana. Lo yèṣer ha-ra‘ è un tassello cruciale per il paradigma dell’uomo diavolo giacché circoscrive nell’anima la radice del male. D’altra parte non possiamo non riconoscere anche nella letteratura apocrifa dei Testamenti dei dodici patriarchi un accenno alla dimensione psicologica della malvagità pur secondaria rispetto a quella metafisica e preterumana. Ciò fa pensare che «l’ebraismo non ebbe bisogno di attendere Freud e Kafka per capire che, piuttosto che il Diavolo, è l’anima dell’individuo a poter creare autonomamente le occasioni in cui l’individuo cade in preda al Diavolo stesso. Ciascuno, come poteva diventare “Adamo a se stesso”, così poteva diventare a se stesso anche un diavolo —o magari il Diavolo»[95]. L’individualità diabolica[96] maturata nei Testamenti reca comunque dei fondamenti enochici indiscutibili. È Satana (nei vari testamenti è chiamato Beliar) inteso pressoché come principe delle tenebre a indurre l’uomo al male tramite l’azione di sette spiriti maligni al suo servizio. Perciò gli uomini sono vittime di un male preesistente compiuto in virtù dei servi di Beliar, affiancati a sette spiriti di Dio che «“furono dati a lui [all’uomo] fin dalla creazione, così che in essi [oppure: per mezzo di essi] fosse ogni azione dell’uomo” e che corrispondono ai sensi e agli istinti»[97]. Nonostante ciò gli individui possono fare il bene o il male secondo il loro arbitrio che li salva o condanna perché la connaturata «debolezza della buona volontà dell’uomo rispetto all’influsso degli spiriti è detta essere la condizione perché l’uomo cada sotto il dominio di Beliar»[98]. Dunque in seno alla volizione umana si è provato a scorgere, pur in uno stato germinale, quell’inclinazione primigenia al male costitutiva del soggetto per cui «l’anima dell’individuo non sceglie il male in quanto è dominata da Beliar; anzi, è per il suo avere scelto il male a priori per un atto di volontà che essa appunto ricade sotto il dominio di Beliar, e le diviene ulteriormente impossibile desistere dal fare il male»[99]. Stando a quanto affermato sull’uomo generatore di diavoli vorremmo chiarirne il senso adoperando un’espressione ironica: egli è solo un “ povero diavolo” arrendevole la cui finitezza ontologica funge da culla della sua intrinseca malignità. Ci avvarremo di questa chiave di lettura per affrontare la spiegazione che uno dei brani dello Zohar espone relativa all’esistenza dei demoni. L’episodio narra dei rapporti sessuali che Adamo intrattenne con due «spiriti femminili»[100] dopo che
«per centotrentanni, Adamo restò separato da sua moglie, e non generò. Dopo che Caino ebbe ucciso Abele, Adamo non voleva unirsi a sua moglie. […] Subito smise di avere rapporti con la moglie, ma due spiriti femminili solevano giungere, accoppiarsi con lui e generare. Coloro che furono generati sono gli spiriti maligni, che affliggono il mondo e sono chiamati le battiture dei figli degli uomini (2 Sam. 7.14): vagano tra la gente e prendono dimora sulla porta di casa, nei pozzi e nelle latrine»[101].
È esplicitato anche che
«il serpente si unì a Eva e la insudiciò, ella generò Caino. Di là trassero origini tutte le generazioni malvagie del mondo […] e per questo, tutti gli spiriti e i demoni hanno una metà che proviene dagli uomini in basso e una [che viene] dagli angeli sublimi in alto. Così, quando nacquero da Adamo quegli altri [demoni], tutti vennero fuori in questo modo: metà dagli inferiori e metà dai superni»[102].
Gli spiriti malefici generati da Adamo ed Eva nelle loro copulazioni abiette condividono con i mazzikin della tradizione talmudica una costituzione mista. Essi sono per metà impuri e inferiori come gli uomini per l’altra superni come gli angeli in più il loro habitat è pressoché lo stesso. La causa «adamologica»[103] della nascita dei demoni si ritrova pure nell’opera talmudica Erubin[104]. In entrambi i casi (sia nello Zohar che nel Talmud) l’unica soluzione per scacciare le forze maligne e l’impurità è la protezione divina cosa ribadita nello Zohar per cui gli «gli uomini non possono infatti salvarsi se non per mezzo del consiglio della Torah»[105]. Adamo ed Eva generano quindi diavoli e la loro impudicizia e lascivia se tematizzata nell’ottica del modello uomo-demone è compresa nel loro essere indotti in tentazione e quindi inclini al male. Tralasciando le prospettive dei dottori sul peccato originale di Adamo vorremmo vedere il racconto zoharico proposto come una possibile conferma dell’archetipo antropologico che abbiamo tratteggiato. I progenitori biblici della razza umana appaiono in tal caso i fautori della malvagità. Acquista ancor più valore la nozione rabbinica di “istinto cattivo” o “cattiva” “inclinazione”che ci appare analoga alla peccaminosità di Eva e Adamo dei passi precedenti nonché elemento fondativo dell’uomo generatore di diavoli. Dato che Dio nel creare gli individui pose in loro «due inclinazioni l’una buona e l’altra cattiva» ognuno di loro può essere buono o malvagio a seconda di quale delle due inclinazioni li domini. Dunque l’uomo può essere il più demoniaco dei demoni il più pernicioso dei mostri notturni e la creatura per certi versi più paurosa e crudele «come è scritto: La colpa parla al malvagio, nel mezzo del cuore, non c’è timore di Dio dinanzi ai suoi occhi»[106]. Gli uomini generatori si distinguono dai radunatori per essere l’immagine della malvagità, riproducendola indiscriminatamente, non per essersi allontanati dal bene[107] e da Dio come emerge dal Tanakh ma perché intrinsecamente perversi. L’uomo-demone è in ultima istanza l’individuo malvagio rappresentato nel giudaismo come creatura diabolica il cui unico scopo è la volontà di turbare e danneggiare contesti normativi (che nell’ebraismo sono sia la società che l’universo) fatti cioè di regole e ordini prestabiliti.
Note:
[1] Utilizzeremo per riportare i passi biblici la seguente edizione della Bibbia: La Bibbia, EDIZIONI SAN PAOLO s.r.l., Milano 1997.
[2] P. Sacchi, in Ebraismo, a cura di G. Filoramo, Laterza, Bari 1999, p. 66.
[3] Ibidem.
[4] Isaia 45, 7.
[5] Deuteronomio 6,4.
[6] Cfr. H. Haag, La credenza nel diavolo, trad. italiana a curi di A. Gecchelin, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1976, p. 35.
[7] Il giudaismo del secondo tempio è una formula con cui si designa quel periodo della società e cultura ebraica che va dalla fine della fase monarchica (515 a. C.), sino alla distruzione di Gerusalemme da parte dei romani nel 70 d. C.(Cfr. P. Sacchi, in op. cit., a cura di G. Filoramo, p. 53).
[8] La Bibbia è la testimonianza letteraria tramite cui ci è nota la religione dell’antico Israele che a sua volta rappresenta una particolarità ovvero quella di essere l’unica delle religioni semitiche del Vicino Oriente ad essere nota grazie ad una fonte scritta. Inoltre è da evidenziare che la Bibbia è composta da un’insieme di scritti (“rivelati” dal Dio della nazione) connessi e raccolti all’interno di canoni. I testi esclusi da questi ultimi non erano sacri e autorevoli per gli ebrei che reputano ancora oggi valido il “canone palestinese”. Esso comprende i cinque libri della Torah (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio) gli scritti detti “storici” o “narrativi” dei profeti anteriori (Giosuè, Giudici, Samuele, Re I e II), i libri dei profeti posteriori (Isaia, Amos, Osea, Michea ecc.) e infine i Ketubim (letteralmente “scritti”) di cui fanno parte i testi sapienziali: Proverbi, Giobbe, il libro del profeta Daniele e i Salmi oltre al Cantico dei Cantici e il libro di Ester sulla cui ammissione si è riflettuto a lungo (Cfr. C. Grottanelli, in op. cit., a cura di G. Filoramo, pp. 3-7).
[9] H. Haag, op. cit., p. 35.
[10] S. Schwertner, in Dizionario Teologico dell’Antico Testamento, vol. I, Marietti, Torino 1978 p. 147.
[11] Cfr. H. Haag, op. cit., p. 35.
[12] Cfr. Ibidem.
[13] Cfr. Ibidem.
[14] H. Haag, op. cit., p. 35.
[15] Lev. 17, 3-4.
[16] Cioè i śā´īr o s´ͤ‘īrīm.
[17] Lev. 17, 7.
[18] Deut.32, 10.
[19] Deut. 32, 11-14.
[20] Deut. 32, 16.
[21] Deut. 32, 17.
[22] Il territorio di Caanan e una zona geografica situata tra Siria ed Egitto e in cui si stabilì a partire dal III secolo a.C. il popolo di Israele. Le divinità cananee nell’Antico Testamento sono spesso ricordate «come la tentazione idolatrica più pericolosa per il monoteismo» (Cfr. AA. VV., Enciclopedia del Cristianesimo, Istituto Geografico De Agostini S. p. A., Novara 1997, p. 126).
[23] Salmi, 106, 37-38.
[24] Cfr. H. Haag, op. cit., p. 37.
[25] L’espressione “Bibbia dei Settanta” o “la LXX” denota generalmente la versione della Bibbia in lingua greca composta in età ellenistica cioè III e II a.C. (epoca in cui Gerusalemme – nel 332 a.C. – divenne parte dell’impero alessandrino e la Palestina fu successivamente – nel 312 a.C. – affidata al sovrano d’Egitto Tolomeo I Sotere) riceviamo la notizia della prima traduzione greca del Pentateuco da un documento risalente al II sec. a. C. la Lettera di Aristea. L’epiteto dei “Settanta” deriva dalla leggenda esposta nella Lettera secondo cui Tolomeo I comandò al direttore della biblioteca di Alessandria, Demetrio Falereo di far tradurre dall’ebraico al greco la Tanakh «ordinò di scrivere al sommo sacerdote degli ebrei per poter realizzare il progetto». Quest’ultimo (detta dello scritto a capo del tempio di Gerusalemme)fornì il testo ebraico della Bibbia e «provvide anche a formare un’ équipe di traduttori di tutto riguardo: «Alla presenza di tutto il popolo abbiamo scelto nobili e venerandi Anziani, sei per ogni tribù, e li abbiamo mandati consegnando loro la Legge»»(Cfr. Introduzione, in La Bibbia dei Settanta I. Pentateuco, a cura di P. Lucca, Morcelliana, Brescia 2012, pp. 10-11).
[26] Cfr. La Bibbia dei Settanta I. Pentateuco, nota 1393, p. 997.
[27] I semiti erano un gruppo di popolazioni che condivideva lo stesso ceppo linguistico e «avevano tutte un sistema di vita abbastanza simile». Malgrado non si possa «stabilire con certezza se i semiti abbiano avuto origine nella penisola arabica, ma è fuor di dubbio che in epoca storica questa regione era una costante riserva che periodicamente gettava fuori popolazioni di lingua semitica» ( C. G. Starr, Storia del mondo antico, Editori Riuniti, Roma 1997, pp. 83-84)
[28] Cfr. H. Haag, op. cit., p. 26.
[29] Isaia 13, 21 esprime la presenza dei satiri anche tra le rovine di Babilonia. Per un breve accenno alla demonologia babilonese e mesopotamica (v. H. Haag, op. cit., pp. 25-27).
[30] Edom era un regno situato tra i territori meridionali della Giudea (in particolare il Negheb) e la parte più a sud dell’attuale Giordania. Viene conquistato verso il I sec. a. C. da Israele durante il regno di Davide ed è spesso menzionato dai vari profeti, nei loro testi il popolo edomita viene spesso attaccato e criticato aspramente. La ragione delle accuse contro Edom si pensa non fossero dovute alla partecipazione della distruzione di Gerusalemme nel 587 a. C., quanto in realtà all’occupazione della Giudea meridionale (Cfr. È. Lipiński, “Edom”, in Dizionario enciclopedico della Bibbia, Borla/Città nuova, Roma 1995, p. 450).
[31] P. Capelli, Il male. Storia di un’idea nell’ebraismo dalla Bibbia alla Qabbalah, Società Editrice Fiorentina, Firenze 2012, p. 27.
[32] J. B. Russell, Il diavolo nel mondo antico, trad. italiana di F. Cezzi, Edizione cartiere del Garda S.p.A. Divisione Euroclub Italia, Milano 1990, p. 51.
[33] Cfr. H. Haag, op. cit., pp. 25-30.
[34] Isaia 34, 13-14.
[35] P. Capelli, op. cit. p. 21.
[36] È. Lipiński, “Azazel”, in Dizionario enciclopedico della Bibbia, p. 223.
[37] Lev 16, 7-10.
[38] Lev. 16, 21.
[39] Lev. 16, 26.
[40] Ibidem.
[41] Filone fornisce la suddetta formula che si trova in controtendenza con le traduzioni greche più comuni fra cui: “emissario” (Cfr. C. Peri, Il regno del nemico, Paideia editrice, Brescia 2003, p. 181).
[42] C. Peri, op. cit., p. 182.
[43] Ibidem.
[44] Cfr. H. Haag, op. cit., p. 43.
[45] Ibidem.
[46] H. Haag, op. cit., p. 37.
[47] Zaccaria 3,1.
[48] Giobbe 1,6.
[49] Giobbe 1, 10-11.
[50] I Cronache 21, 1.
[51] Vocabolo ebraico utilizzato per indicare Satana (Cfr. H. Haag, op. cit., p. 41).
[52] H. Haag, op. cit., p. 41.
[53] H. Haag, op. cit., p. 42.
[54] H. Haag, op. cit., p. 41.
[55] Qabbalah (in ebraico “ricezione” ) «si è soliti indicare la tradizione segreta del misticismo giudaico, e in particolare il movimento di pensiero di connotazione esoterica che prese l’avvio in Europa, a partire dal XII-XIII secolo» (G. Busi, La Qabbalah, Laterza, Economica, Bari 2016, p. 3).Fra le opere qabbalistiche più rinomate e importanti vi sono il Sefer ha Zohar (Libro dello Splendore)e il Sefer Yetzirah (Libro della Formazione) (Cfr. H. Sérouya La Cabala. Le sue origini. La sua psicologia mistica. La sua metafisica, Edizioni Mediterranee, Roma 1989, pp. 45-58).
[56] La traduzione del vocabolo Talmud è la parola: “studio”. Questa espressione si indica più specificatamente lo “studio della legge” (Talmud Torah). Tuttavia il termine riguarda anzitutto la Legge orale (Torah she-be ‘al peh) che si dice fosse stata tramandata da Mosè sul monte Sinai assieme a quella scritta (Torah she-be- ketàv), la prima fu trasmessa di generazione in generazione ma la metterla per iscritto era severamente vietato dalla tradizione ebraica. Inoltre al lemma Talmud attiene pure lo sterminato corpus di testi prevalentemente di materia giuridico-legale e prescrittiva che sono in realtà le trascrizioni degli insegnamenti dei rabbini (dall’ebraico rabbi: “maestro” ) cioè gli studiosi e interpreti delle sacre scritture. La letteratura talmudica nasce e matura nel lasso temporale compreso fra il I a.C. e il VI d.C., dall’esigenza di contenere l’ormai sconfinato insieme di insegnamenti orali dei vari maestri e metterli per quel che possibile a riparo da catastrofi sociali (come ad esempio la distruzione del tempio di Gerusalemme nel 70 d.C. ad opera dei romani). È composto da una raccolta di norme collegate alla legge scritta suddivise in sessantatré trattati: la Mishnah e una sorta di suo commentario la Ghemarà (cioè “studio”o “completamento”) (Cfr. G. Tamani, in op. cit, a cura di Giovanni Filoramo, pp. 137-144).
[57] Il male preterumano è quello originatosi «in una sfera superiore a quella umana» (Cfr. P. Sacchi, in op. cit., a cura di G. Filoramo, p.81).
[58] Pensiero religioso nato attorno al IV sec. a.C. nel regno di Giuda prende il suo nome dal Libro di Enoch, un agglomerato di scritti che comprende il Libro dei Vigilanti (IV a.C.) e altre opere: Libro dei Giganti (circa 30 a.C.), Libro dell’Astronomia III a.C., Libro dei Sogni, Epistola di Enoch (circa nel 50 a.C.) alla tradizione enochica si connettono le idee escatologiche attestate nei manoscritti di Qumran una serie di testi di argomento teologico e etico databili tra III sec. a.C. e I sec. d.C.. L’originalità rispetto all’austero monoteismo giudaico sta nel considerare l’anima come principio immortale disincarnato e capace di avere una vita ultraterrena presso Dio e nel proporre una nuova concezione del male (Cfr. G. Ibba, Qumran. Correnti del pensiero giudaico, Carocci, Roma 2007, p.13 e P. Sacchi in op. cit., a cura di G. Filoramo, pp. 80-82).
[59] P. Capelli, op. cit., p. 74.
[60] Libro dei Vigilanti, in Apocrifi dell’antico testamento, a cura di P. Sacchi,, UTET, Torino 1981, parte II, paragrafo VI, pp. 472-473.
[61] Ibidem.
[62] Gli angeli vigilanti non sono tutti ribelli nel testo si parla anche di vigilanti fedeli a Dio (Cfr. Libro dei Vigilanti, in op. cit., a cura di P. Sacchi, parte III, paragrafo XII, verso 3, nota a margine, p. 482).
[63] L’atto sessuale viene considerato di per sé quasi sempre impuro nella tradizione religiosa ebraica del Secondo Tempio (Cfr. P. Sacchi, in op. cit., a cura di G. Filoramo, p. 64).
[64] P. Capelli, op. cit. p. 76.
[65] Libro dei Vigilanti, in op. cit., a cura di P. Sacchi, parte III, paragrafo XV, p. 488.
[66] Libro dei Vigilanti, in op. cit., a cura di P. Sacchi, p. 489.
[67] Libro dei Vigilanti, in op. cit., a cura di P. Sacchi, p. 487.
[68]Cfr. J. Vermeylen, “Giganti”, in Dizionario enciclopedico della Bibbia, p. 619.
[69] Gen. 6,4.
[70] L’interpretazione enochica di Gen. 6, 1-4 sopravvive anche nel pensiero rabbinico (cfr. P. Capelli, op. cit., p. 92).
[71] Libro dei Vigilanti, in op. cit., a cura di P. Sacchi, pp. 488-489.
[72] Libro dei Vigilanti, in op. cit., a cura di P. Sacchi, nota 9, p. 488.
[73] Libro dei Vigilanti, in op. cit., a cura di P. Sacchi, nota 8, p.488.
[74] Libro dei Vigilanti, in op. cit., a cura di P. Sacchi, p. 489.
[75] Gli angeli vigilanti ribelli subiscono una pena eterna per la loro spregiudicatezza nell’interferire nell’ordine del mondo sarebbe allora interessante valutare la prigionia nel senso dell’ottenebrarsi e nel deperire, «nell’inferno di fuoco […] per l’eternità in tormenti e in carcere» (Libro dei Vigilanti, in op. cit., a cura di P. Sacchi, parte II, paragrafo X p. 479) come espressione fulgida del peccato in quanto trasgressione della normatività dell’universo.
[76] Sebbene Dio abbia dato l’ordine di distruggere i nefilim all’arcangelo Michele questo è stato in qualche misura disatteso. Le anime dei giganti infatti continuano a vagare sulla terra a «spargere lutti e a fomentare l’inclinazione al male degli uomini» (Cfr. Libro dei Vigilanti, in op. cit., a cura di P. Sacchi, nota 15, p. 480).
[77] Libro dei Vigilanti, in op. cit., a cura di P. Sacchi, p. 488.
[78] Cfr. Libro dei Vigilanti, in op. cit., a cura di P. Sacchi, verso 6, nota a margine, p. 497.
[79] Libro dei Vigilanti, in op. cit., a cura di P. Sacchi, p.
[80] Parola con cui si designa la Bibbia ebraica è un «acronimo che lega in sé inscindibilmente le tre parti di cui è composta (Torah, Nebiìm e Ketubim) e, al contempo, è definita Mikrà(lettura) in quanto oggetto di lettura» (D. Frascio, La Bibbia come classico dei classici, in “Chiasmo” rivista online, URL: https://www.treccani.it/magazine/chiasmo/lettere_e_arti/Esclusione/IUSS_La_Bibbia_come_classico_dei_classici.html ).
[81] Spieghiamo cosa è nella nota n. 57.
[82] Cfr. A. Cohen, Il Talmud, Laterza, Bari 1999, p. 312.
[83] Ibidem.
[84] Ibidem.
[85] A. Cohen, op. cit., p. 312.
[86] A. Cohen, op. cit., p. 313.
[87] Ibidem.
[88] Ibidem.
[89] Sanhedrin (“Tribunali”) è il titolo di uno scritto della Mishnah che si occupa è il funzionamento dei tribunali, delle loro procedure e del diritto criminale. (Cfr. Mishnaiot, trad. italiana di V. Castiglioni, Tipografia Sabbadini, Roma 1962, p.121).
[90] A. Cohen, op. cit., p. 313.
[91] Ibidem.
[92] P. Capelli, op. cit., p. 153.
[93] P. Capelli, op. cit., p. 154.
[94] Ibidem.
[95] P. Capelli, op. cit., p. 152.
[96] Che utilizzeremo come sinonimo di uomo-demone.
[97] P. Capelli, op. cit., p. 154.
[98] P. Capelli, op. cit., p. 148.
[99] P. Capelli, op. cit., p. 149.
[100] Zohar, a cura di G. Busi, Einaudi, Torino 2016, p. 388.
[101] Zohar, a cura di G. Busi, p. 389.
[102] Ibidem.
[103] P. Capelli, op. cit., p. 161.
[104] Altra opera mishnica, in italiano Erubin è stato reso con “Amalgamazioni”. Concerne «questioni tecniche sorte dall’applicazione di una legge sabbatica, concernente i limiti di territorio da non oltrepassarsi di Shabbath e il modo di estenderli» (A. Cohen, op. cit., p. 14).
[105] Zohar, a cura di G. Busi, p. 391.
[106] A. Cohen, op. cit., p. 122.
[107] In tal senso, nell’ebraismo, Yahweh.
Gabriele Bux