Livio e i prodigi – Claudia Santi
Premessa
A Roma, in epoca repubblicana, ogni prodigium, ogni profonda alterazione dell’ordine naturale, era considerato il segnale attraverso il quale gli dei comunicavano il loro dissenso e l’apertura di una crisi cosmica 1; il prodigium non aveva o meglio non aveva più, in epoca repubblicana, una funzione predittiva, non annunciava più eventi futuri, ma rendeva noto il fatto che la civitas aveva commesso una o più colpe rituali e che gli dei pretendevano una piena riparazione2. Ogni anno, durante la relazione de religionibus, venivano riferiti al senato i prodigia accaduti nel periodo precedente, e, per quelli cui era riconosciuto un rilievo pubblico3, veniva disposta la consultazione dei libri (Sibyllini), un repertorio oracolare di origine probabilmente magno-greca4custodito nei penetralia del tempio di Iuppiter Optimus Maximus5 dalla cui lettura il sacerdozio preposto, i viri sacris faciundis6, ricavava l’indicazione dei riti (preghiere, sacrifici, feste, ludi, istituzione di nuovi culti) da celebrare per placare l’ira de- gli dei e ripristinare la paxdeorum7. Quando l’equilibrio tra gli dei e la civitas si incrinava, l’intero sistema religioso-giuridico romano entrava in crisi; per tale motivo, il reperimento di strumenti rituali in grado di placare l’ira divina era di importanza vitale per Roma e per lo stesso motivo i prodigia e, con ogni probabilità, anche le cerimonie espiatorie (piacula) venivano registrati negli annales, la cronaca della città sacra, la cui redazione fin dall’epoca arcaica era affidata al collegio sacerdotale dei pontifices8. Le brevi note riguardanti i piacula avevano lo scopo di testimoniare che la crisi era stata superata e che non vi era dis-armonia tra Roma e i suoi dei, perché ogni colpa rituale era stata emendata in modo appropriato allo stesso livello rituale in cui si era prodotta. Conformandosi a questa antica prassi, Livio, nel suo imponente lavoro di storico, ha annotato, talvolta anno per anno, le sequenze prodigia–piacula che trovava nelle sue fonti, per lo più di natura sacerdotale; per cercare di delineare in maniera il più possibile adeguata l’atteggiamento dello storico patavino su questo punto, esamineremo alcuni casi paradigmatici di prodigi con relativa cerimonia espiatoria, avvenuti in varie epoche della storia romana e riferiti negli ab Vrbe condita libri.
Un prodigio in età regia
Nell’opera di Livio, il primo caso di prodigium che riguardi l’intera collettivitàavviene in epoca regia, secondo la tradizione, durante il regno di Servius Tullius, il quinto re di Roma, quando, dopo aver sconfitto i Sabini, l’Vrbs si apprestava a stabilire la propria egemonia sul Lazio:
nuntiatum regi patribusque est in monte Albano lapidibus pluisse. Quod cum credi vix posset, missis ad id visendum prodigium in conspectu haud aliter quam cum grandinem venti glomeratam in terras agunt crebri cecidere caelo lapides9.
Fu annunciato al re ed ai senatori che sul monte Albano erano piovute pietre. Dal momento che il fatto era a stento credibile, furono inviate delle persone a verificare l’accaduto; alla loro vistasi presentarono molte pietre che cadevano dal cielo come quando i venti fanno addensare la grandine sulla terra 10. In seguito all’annuncio di una forte pioggia di pietre sul mons Albanus11, il re e il senato deliberarono di inviare una delegazione con il compito di verificare l’attendibilità della notizia; la delegazione non poté far altro che constatare gli effetti di una violenta grandinata di pietre. Mentre gli incaricati inviati da Roma si trovavano ancora sul posto, una voce risuonò dal bosco sulla sommità del monte, ordinando di celebrare secondo l’antico rito un sacrificio ormai trascurato e caduto in oblio.
Visi etiam audire vocem ingentem ex summi cacuminis luco ut patrio ritu sacra Albani facerent, quae velut dis quoque simul cum patria relictis oblivione dederant, et, aut Romana sacra susceperant aut fortunae, ut fit, obirati cultum reliquerant deum. Romanis quoque ab eodem prodigio novemdiale sacrum publice susceptum est, seu voce caelesti ex Albano monte missa – nam id quoque traditur- seu haruspicum monitu12.
Dal bosco in cima alla vetta sembrò loro anche di udire una voce possente la quale ordinava agli Albani di celebrare, secondo il rito tradizionale, i sacrifici che essi avevano lasciato cadere nell’oblio quando, con la città, avevano abbandonato anche i loro dei e o adottato culti di Roma o rinnegato i propri, come spesso succede, per un sentimento di ira nei confronti della sorte. Anche i Romani, a causa di questo stesso prodigio, celebrarono unsacrificio del nono giorno, o per la voce celeste che proveniva dal monte Albano -infatti è tramandato anche così- o per ordine degli aruspici.
In occasione della pioggia di pietre sul mons Albanus durante il regno di Servius Tullius, i Romani, secondo la narrazione liviana, per ordine degli dei o dietro suggerimento degli haruspices, avrebbero celebrato per la prima volta il novemdiale sacrum un rituale del cerimoniale funebre, consistente nella proclamazione di un ciclo festivo di nove giorni (feriae per novem dies), che si chiudeva con il «sacrificio del nono giorno» (novemdiale sacrum)13. La funzione originaria di questo rito sembra essere stata quel- la di pacificare il defunto e trasformarlo inantenato, ossia in una figura extraumana cui rivolgere culto e da cui ricevere benefici14. La pioggia di pietre sul mons Albanus, così come è riportata da Livio, si configura come la conseguenza di una neglegentia rituum di gravità tale da provocare l’ira deorum15; quanto alla cerimonia espiatoria, Livio dimostra di aver con- sultato più fonti a riguardo e di fatto riporta due versioni, una secondo la quale il rito espiatorio del novemdiale sacrum sarebbe stato ordinato direttamente da una voce extra-umana senza quid medium, l’altra che ac- cenna al ricorso agli haruspices per individuare un efficace rituale piacolare. Nella sua narrazione, Livio sembra accreditare la prima versione, a nostro giudizio, per il fatto che essa mostra un più alto grado di coerenza rituale da attribuirsi, con ogni probabilità, alla sua provenienza da una fonte sacerdotale16. Il novemdiale sacrum, infatti, si impose come rito espiatorio da celebrarsi in caso di pioggia di pietre e restò, per quanto è nella nostra documentazione, l’unico esempio di procuratio standard o di routine17; questa standardizzazione si addice maggiormente all’esecuzione di quanto prescritto dal volere divino piuttosto che alla realizzazione di quanto indicato da un responso degli haruspices. Gli dei infatti comunicavano a volte direttamente con gli uomini, dando ordini imperativi che non potevano essere elusi: questi ordini, che i Romani chiavano monitus18, avevano dato nel tempo origine a nuovi culti pubblici, come nel caso di Aius Locutius19, e continuavano a manifestarsi anche a livello privato, in special modo in sogno, come testimoniato dai numerosissimi casi di formule dedicatorie ex monitu accompagnate dal nome della divinità o da un generico riferi- mento all’universo divino20. Livio registra in quello stesso arco di tempo un caso di comunicazione divina attraverso il sogno; l’episodio ha come protagonista un plebeo Titus Latinius, cui Iuppiter appare in sogno per richiedere la replica dei ludi Romani, che erano stati contaminati da un episodio di violenza da parte di un cittadino nei confronti del suo schiavo21. Come per il verificarsi di prodigia, il sogno di Titus Latinius rende nota l’esistenza di una colpa rituale da emendare in questo caso attraverso la ripetizione del rito stesso. Quindi, nel caso della pioggia di pietre sul mons Albanus, Livio, a nostro giudizio, non può essere accusato di aver assunto una disposizione d’animo superstiziosa; il suo racconto, infatti, si accorda in tutto con la teologia ufficiale della religione di Roma antica e mostra i segni di un’accurata analisi critica dei documenti disponibili.
Una battaglia per la vita
Analogo atteggiamento di Livio si può riscontrare ex contrario in un celebre episodio ambientato questa volta nella protostoria repubblicana. Della battaglia combattuta dai Romani contro Tarquinius Superbus e contro la lega dei popoli Latini presso il lago Regillo, correvano due versioni:
una, testimoniata in Cicerone22 e in Dionisio d’Alicarnasso23 attribuiva la vittoria dei Romani all’intervento divino di due cavalieri divini, subito identificati con Castor e Pollux; l’altra, riportata da Livio, riconosceva tutto il merito del successo al dictator Aulus Postumius, che nel momento più critico del combattimento, aveva promesso premi ai soldati e aveva espresso il votum di dedicare un tempio a Castor nel caso che l’esercito di Roma avesse sbaragliato i nemici:
Tum ad equites dictator advolat, obtestans ut fesso iam pedite descendant ex equis et pugnam capessant24. (…) Ibi nihil nec divinae nec humanae opis dictator praetermit- tens aedem Castori vovisse fertur ac pronuntiasse militi praemia. Hoc modo ad lacum Regillum pugnatum est25.
Allora il dittatore, essendo i fanti ormai sfiniti, vola in direzione dei cavalieri e li invita a smontare da cavallo e a gettarsi nella mischia. Si dice che allora A. Postumius, non trascurando nessun aiuto né divino né umano, votò un tempio a Castor e promise dei premi per i soldati. Così si combatté al Lago Regillo.
Crediamo di aver dimostrato in altra sede che Livio può aver derivato la sua versione proprio dagli annales pontificali 26: il ricorso ad un votum nel momento più critico di una battaglia vitale per la sopravvivenza della giovane res publica appare, infatti, perfettamente in linea con l’orientamento ufficiale demitizzato della religione romana in epoca repubblicana, un orientamento che rifiutava ogni proiezione nel tempo del mito e aveva spogliato le divinità del loro repertorio mitico, riversando questi temi su personaggi presentati e percepiti come storici 27, laddove al contrario l’apparizione di due cavalieri celesti, ponendosi in aperto contrasto con questo orientamento, non avrebbe potuto perciò stesso trovare posto nella memoria pubblica 28. Se la nostra proposta è da accettarsi, ciò vuol dire che Livio avrebbe ricercato e accolto la fonte più risalente e più coerente sotto il profilo teologico e rituale; Cicerone, al contrario, nonostante il suo noto scetticismo nei confronti della divinazione, avrebbe dato spazio ad una variante mitizzante elaborata certamente in ambienti non-ufficiali29. Anche in questo caso, Livio sembra aver consultato documenti sacerdotali e, discostandosi dalla versione più ‘popolare’ (nel doppio senso di diffusa e di non-ufficiale), aver preservato nella sua narrazione un racconto più corretto dal punto di vista teologico e rituale.
Crisi, prodigia e espiazioni nella Seconda Guerra Punica: alcuni casi paradigmatici
Il banco di prova dell’atteggiamento di Livio nei confronti dei prodigia è per giudizio unanime rappresentato dal drammatico racconto della Seconda Guerra Punica. Nei libri dedicati alle vicende della guerra contro Cartagine (21-30)30, Livio ha tramandato il ricordo della fitta serie di prodigi che si verificarono a cadenza regolare ogni anno a partire dal 218 a.C.. In molti casi, l’a. sottolinea due elementi: il fatto che l’animo delle persone fosse pieno di terrore per l’annuncio dei prodigi31; il fatto che dopo l’espiazione dei prodigi la maggior parte dei cives fosse riuscita, almeno per il momento, a liberarsi tanto della paura quanto dei pensieri superstiziosi che li avevano assaliti. In questo contesto, alcuni casi ci sem- brano particolarmente significativi. Nel 218 a.C., all’indomani delle prime vittorie di Annibale, il panico si impadronì della popolazione e conseguentemente vennero annunciati molti eventi prodigiosi cui si dette credito senza difficoltà; a proposito, così si esprime Livio:
Romae aut circa urbem multa ea hieme prodigia facta aut, quod evenire solet motis semel in religionem animis, multa nuntiata et temere credita sunt32.
A Roma e nei pressi della città quell’inverno si verificarono molti prodigi o, come succede di solito quando l’animo è scosso dalla superstizione, furono annunciati in gran numero e furono creduti veri in modo avventato. La narrazione prosegue con l’enumerazione di una grande quantità di fatti fuori dalla norma33 e con la lista delle procurationes disposte per ordine dei viri sacris faciundis, a seguito della consultazione dei libri (Sibyllini)34; in conclusione, Livio aggiunge questo commento.
Haec procurata votaque ex libris Sibyllinis magna ex parte levaverant religione animos35.
Dopo che furono celebrati questi riti espiatori e furono pronunciati questi voti secondo quanto prescritto dai libri Sibillini sollevò in parte l’animo da ogni scrupolo religioso. Dalle parole di Livio possiamo ricavare una conclusione che i riti espiatori ivi compresi i vota espressi in quella tragica circostanza avevano il preciso scopo non solo di placare l’ira degli dei ma anche di prevenire l’insorgenza di fenomeni religiosi aberranti incompatibili con il sistema religioso di Roma antica. Un’esplosione di questi fenomeni superstiziosi si verificò nel 213 a.C., quando, permanendo le difficoltà nella condotta della guerra, cominciò a propagarsi a Roma una crescente sfiducia circa l’efficacia delle forme rituali tradizionali36. Operatori rituali improvvisati e indovini carpirono la buona fede delle persone in preda al panico: le forme della religione consacrate dal mos maiorum furono abbandonate e sostituite da strani culti e inusitati riti rivolti a nuove divinità37. La fisionomia della religione tradizionale rischiava di essere stravolta dall’irruzione incontrollata di queste novità. Si rese, perciò, necessario l’intervento del praetor che dispose il sequestro di tutti i testi di predizioni e di sacrifici in possesso di privati, e vietò ogni forma di rito che non fosse riconosciuto dal mos38. La situazione però non tornò alla normalità39 e si verificarono altri terribili prodigi. Come è noto, in quella occasione, furono rinvenuti due carmi composti da un vates della stirps dei Marcii, uno che preannunciava la sconfitta di Canne, l’altro che ordinava la celebrazione dei ludi in onore di Apollo per respingere il nemico invasore e assicurarsi la vittoria sul campo 40. Abbiamo già analizzato questo episodio nell’ambito dell’introduzione del culto di Apollo ed abbiamo sottolineato come i ludi Apollinares, che in seguito verranno istituiti come ludi Saeculares, rappresentino un importante passaggio nella definizione della figura e della teologia di Apollo da dio guaritore a divinità salvatrice 41. Sarebbe un errore valutare la condotta religiosa di Roma durante la Seconda Guerra Punica secondo il metro di giudizio attuale: come osservato da Dumézil, quella fu la prima grande prova per il pantheon sincretico di Roma, pantheon che si era andato formando nei secoli precedenti42, e bisogna riconoscere che il sistema religioso demitizzato, organizzato intorno a Iuppiter Optimus Maximus, suprema divinità di Roma, reagì in maniera superlativa, riuscendo a superare tutti i momenti di ‘crisi’, respingendo il nemico, ricacciandolo nella sua sede e sconfiggendolo addirittura sul suo territorio. Potrà farci sorridere il fatto che all’indomani della sconfitta del Trasimeno, con il nemico alle porte, si pensò di poter vincere la guerra istituendo il culto di Venus Erycina e impetrando dalla dea la venia, ossia il favore elargito senza sforzo e conseguito senza merito43; eppure la splendida vittoria di Zama, solo quindici anni dopo, dimostra che il popolo Romano pensava ed agiva in maniera prudens, nihil nec divinae nec humanae opis (…) praetermittens. Dalla battaglia del lago Regillo (inizio del V sec. a.C.) alla battaglia di Canne (202 a.C.) si può cogliere una linea di continuità, l’idea che Roma non sarebbe mai potuta diventare quella che era se non fosse stata in pace con gli dei. Questa idea si trova espressa in maniera molto chiara anche in Cicerone, laddove, all’inizio del terzo libro del de natura deorum44, il pontefice massimo C. Aurelius Cotta, rigettando le dottrine dei filosofi e conformandosi all’opinione tradizionale, afferma che:
mihique ita persuasi, Romulus auspiciis, Numam sacris constitutis fondamenta iecisse nostrae civitatis, quae numquam profecto sine summa placatione deorum immortalium tanta esse potuisset45.
E mi sono persuaso che Romulus con gli auspici Numa con le cerimonie sacre hanno gettato le fondamenta di questa nostra città, che certamente non sarebbe mai potuta diventare tanto grande senza una completa pacificazione degli dei immortali. Il pontifex sostiene che il segreto della grandezza di Roma sta nel perfetto accordo tra la civitas e i suoi dei; ogni qualvolta si manifestava una crisi dovuta ad una colpa rituale si rendeva necessaria un’azione rituale di ‘pacificazione’ completa in ogni sua parte e al massimo livello (summa): in epoca repubblicana, alle richieste di riparazione rituale segnalate dagli dei attraverso i prodigia, la civitas, conformandosi al mos maiorum, risponde- va ritualmente con i piacula disposti dai suoi sacerdoti, senza introdurre novità aberranti (nova religio), ma ripristinando la pax metastorica degli deiin perfetto accordo con l’historia degli uomini.
Un animo antico
Come emerge anche da questi pochi casi esaminati, Livio, nella sua opera, ha conservato lunghe liste di prodigi e dettagliati elenchi di cerimo- nie espiatorie, mostrando un atteggiamento religioso, che come egli stesso ammette, non era del tutto in linea con lo spirito dei suoi tempi:
Non sum nescius ab eadem neclegentia, quia nihil deos portendere vulgo nunc credant, neque nuntiari admodum ulla prodigia in publicum neque in annales referri. Ceterum et mihi vetustas res scribenti nescio quo pacto anticus fit animus, et quaedam religio tenet, quae illi prudentissimi viri publice suscipienda censuerint, ea pro indignis habere, quae in meos annales referam46.
Sono consapevole che i prodigi non sono più riferiti pubblicamente né riportati negli annali con quella stessa diligenza di allora perché ora si crede in generale che gli dei non annuncino niente agli uomini. Ma a me mentre scrivo degli avvenimenti antichi anche l’animo si fa in qualche modo antico, e un certo scrupolo religioso si impadronisce di me, scrupolo che mi impedisce di ritenere indegno di essere ricordato nei miei annali ciò che quegli uomini quanto mai prudenti ritennero degno di essere accolto nella memoria pubblica. Con queste celebri parole, Livio propone un confronto tra la neclegentia dei suoi contemporanei e la prudentia degli antichi, motiva la sua fede nei prodigia aventi rilevanza pubblica e giustifica la sua decisione di includerne il ricordo nei suoi annali. Il pensiero dell’autore, è stato variamente interpretato 47, ma, a nostro giudizio, non si può ignorare il fatto che, secondo Livio la generale indifferenza nei confronti degli avvenimenti prodigiosi avesse la sua origine in un diffuso atteggiamento di scetticismo, che comprendeva tanto un sentimento religioso che potremmo definire ‘popolare’ quanto l’abbandono della pratica pontificale di redigere gli annales, pratica ormai caduta in disuso da tempo48. Mentre i maiores che avevano fatto grande Roma e la res publica credevano nella providentia deorum, nell’intervento provvidenziale degli dei, che si manifestava anche attraverso i signa, all’epoca di Livio, ma già dal periodo tardo repubblicano, si era affermata una progressiva sfiducia nella possibilità che gli dei dialogassero con la civitas, inviando come segnali di crisi i dira prodigia. Riguardo questa materia, l’a. ammette di avere due anime, una antica e una “moderna”, una che si esaltava nel rivivere le pagine gloriose della storia di Roma e una che si adeguava al clima culturale della sua epoca. Come dobbiamo conside- rare, allora, il doppio atteggiamento di Livio nei confronti dei prodigia? È in parte superstizioso in parte scettico-razionale? Un confronto con Sallustio, storico della generazione precedente, servirà a chiarire meglio l’atteggiamento di Livio nei confronti dei prodigi. Nel de coniuratione Catilinae, Sallustio offre l’esempio di una narrazione ‘laica’ in cui l’elemento religioso ha un’importanza limitata: come è stato notato, in Sallustio non vi è traccia dei prodigi verificatisi nel 63 a.C., anno della congiura49, prodigi che al contrario si trovano annotati nel liber di Iulius Obsequens 50.
Eppure Sallustio considera i Romani delle origini religiosissimi mortales e implicitamente riconosce che la grandezza di Roma è dovuta alla benevolentia deorum; che cosa è intervenuto nel frattempo? Nel celebre passaggio in cui Sallustio analizza le cause del declino di Roma, come è noto, tutti i mali di Roma vengono ricondotti ad un’unica causa, l’avidità che ha sovvertito la fedeltà, la rettitudine e tutte le altre migliori qualità; al loro posto ha insegnato ai cives ad essere superbi, crudeli a trascurare gli dei e ritenere che ogni cosa sia in vendita51. Il riferimento alla trascuratezza nei confronti dei doveri religiosi verso gli dei deos neglegere è ribadito da Sallustio e anzi aggravato poco più avanti, laddove lo storico afferma che il degrado morale comportò tra l’altro la perdita della consapevolezza del limite tra divino ed umano, e, aggiungiamo noi, la generalizzazione di quella perdita del limite (lascivia-hybris) dai cui pericoli l’oracolo di Delphi consultato all’indomani del Trasimeno aveva messo in guardia i Romani 52.
Igitur ex divitiis iuventutem luxuria atque avaritia cum superbia invasere: rapere, con- sumere, sua parvi pendere, aliena cupere, pudorem, pudicitiam, divina atque humana promiscua, nihil pensi neque moderati habere53.
Quindi in conseguenza della ricchezza vennero il lusso e l’avidità insieme con la superbia a conquistare i giovani; si diedero a rubare, a scialacquare; senza curarsi del proprio, desideravano le cose altrui; non tenevano in nessun conto il pudore e la pudicizia, confondevano le cose umane e quelle divine; non si curavano di niente e né si moderavano affatto. Se nei giorni drammatici della Seconda Guerra Punica la continua attenzio- ne degli dei e verso gli dei aveva offerto la verifica a posteriori del fatto che Roma godeva del favore delle divinità e che dal loro appoggio procedevano tutte le vittorie e le conquiste del populus Romanus Quiritum, le vicende luttuose della fine della repubblica e le guerre civili avevano provocato una “crisi” sicuramente sanabile ma di certo non sanata tra la civitas–Vrbs e la communitas deorum. Di questa crisi Sallustio si fa interprete, trasferendola nelle sue opere. Come è noto, Augusto propose un revival del sistema prodigium–piaculum e, disponendo il trasferimento dei libri Sibyllini dal tempio di Iuppiter Optimus Maximus all’aedes di Apollo sul Palatino 54, aedes che si configurava quasi come la parte pubblica della sua residenza privata, diede un chiaro segnale di ri-conferma della pratica rituale e del sistema prodigium–piaculum. Livio si trova ad operare nel “nuovo” clima religioso inaugurato da Augusto, un clima in cui i prodigia non appaiono più come un accessorio superstizioso della storia, ma sembrano tornati ad esserne parte integrante 55. Anche la vicenda di Ottaviano, infatti, fu segnata da prodigi: l’apparizione della cometa, in seguito denominata sidus Iulium, attraverso cui gli dei comunicarono che Giulio Cesare era stato accolto nel loro consesso, e che perciò Ottaviano era Divi Filius56; lo straripamento del Tevere la notte stessa in cui Ottaviano ricevette il titulus di Augustus, straripamento che fu interpretato come il segnale della grandezza di Augustus e come consenso divino nei confronti del titulus attribuitogli dal senatus57. Nell’ambito del recupero del prodigium come signum divino, si realizzò, come notato da La Penna, una piena e spontanea convergenza di Livio con la restaurazione di Augusto58, restaurazione che mirava a stabilire la pax metastorica con gli dei sotto la garanzia del princeps per far sì che Roma potesse realizzare il suo fatum.
Note:
1 Un elenco delle tipologie dei prodigia in Dion. Hal. 6, 5; per la nozione di pro- digium in Roma cfr. Santi 1996; Santi 2008: 89-102.
2 Cfr. Cic. nat. deor. 3, 2, 5: mihique ita persuasi, Romulus auspiciis, Numam sacris constitutis fondamenta iecisse nostrae civitatis, quae numquam profecto sine summa placatione deorum immortalium tanta esse potuisset; v. infra **; l’idea di completezza è contenuta anche nel termine tecnico expiare, che esprime l’attività religiosa di ripa- razione: infatti il verbo pio è riservato all’utilizzo poetico, mentre in prosa si incontra regolarmente il composto con ex-: in questo caso il preverbo sembra rimandare pro- prio ad un’azione che si compie in toto, in ogni sua parte (cfr. ex–haurio, rispetto al semplice haurio).
3 Questa operazione era detta ‘prodigium suscipere’; non a tutti i prodigia veniva riconosciuta una valenza pubblica, cfr. Liv. 43, 13, 6:Duo non suscepta prodigia sunt, alterum, quod in privato loco factum esset,—palmam enatam in inpluvio suo T. Marcius Figulus nuntiabat —, alterum, quod in loco peregrino: Fregellis in domo L. Atrei hasta, quam filio militi emerat, interdiu plus duas horas arsisse, ita ut nihil eius ambureret ignis, dicebatur..
4 Il mito di acquisizione dei libri ha come protagonista un’anziana donna straniera e sconosciuta, che propose al rex Tarquinius l’acquisto di nove libri di vaticini; al primo rifiuto del rex, ne bruciò tre, e al secondo rifiuto altri tre; infine cedette i libri restanti allo stesso prezzo richiesto per l’intera collezione; del ‘mito’ esistono diverse varianti Var., Ant. rer. div. frg. 56a Cardauns (= Lact., Div. Inst. 1, 6, 10-11): septimam Cumanam nomine Amaltheam, quae ab aliis Herophile vel Demophile nominetur, eam- que novem libros attulisse ad regem Tarquinium Priscum ac pro iis trecentos philippeos postulasse regemque aspernatum pretii magnitudinem derisisse mulieris insaniam; illam in conspectu regis tris combussisse ac pro reliquis idem pretium poposcisse; Tarquinium multo magis insanire mulierem putavisse: quae denuo tribus aliis exustis cum in eodem pretio perseveraret, motum esse regem ac residuos trecentis aureis emisse; Gell., Noct. Att. 1, 19, 1-9; Dion. Hal, 4, 62, 4; Plin., N.H. 13, 88; Zon. 7, 11b; Serv., ad Aen.
6, 72; Solin. 2, 17; Lyd., de mens. 4, 47; App., Reg. 8; analisi delle varianti in Santi
2008: 103-112. Cf. Gillmeister 2010.
5 Dion. Hal. 4, 62, 5; Santi 2008: 106-107.
6 Per il collegio dei viri sacris faciundis cfr. Santi 1985; Santi 2008: 112-220; Gillmeister 2007; nella formula sacris faciundis, il termine sacra, a nostro giudizio, do- vrebbe avere il significato tecnico di ‘riti a carattere espiatorio’, cfr. Santi 2004: 62-64.
7 Per il concetto di pax deorum, cfr. Sordi 1992: 288-2918 Rawson 1971, 166; Mac Bain 1982; Montanari 1990; North 1998; San- ti 2008.
9 Liv. 1, 31, 1-2.
10 Tutte le traduzioni proposte nel testo sono opera dell’autrice.
11 Il mons Albanus, l’attuale Monte Cavo, era compreso nel territorio dell’antica città di Alba, Tomassetti 1926: 468, 476, 509; fin da epoca arcaica, era sede del culto federale di Iuppiter Latiaris, celebrato durante le Feriae Latinae.
12 – Livio, I, 31, 3-4.
13 Seguiamo l’interpretazione del termine data da Dumézil 19742: 458 n. 1, il quale ritiene che il sacrificio del novemdiale sacrum fosse celebrato in chiusura delle feriae, ossia del periodo festivo.
14 Brelich 1966: 23-24.
15 Esempi di questa neglegentia in Sordi 1992: 289-291.
16 Su questo tema rimandiamo al sempre valido Sini 1983 e al fondamentale saggio Scheid 1998.
17 Alcuni casi di espiazione di pioggia di pietre attraverso il novemdiale sacrum si trovano anche in Iul. Obs. 44: Novemdiale sacrum fuit, quod in Tuscis lapidibus plue- rat (102 a.C.); 51: Novemdiale sacrum fuit quod Volsca gente lapidibus pluerat (94 a.C.).
18 Santi 2015.
19 Il dio Aius Locutius (o Loquens) fu protagonista di un unico episodio, nel quale annunciò (Locutius<loquor) l’avvenuta sconfitta dei Romani ad opera dei Galli e ordinò (Aius<aio) di ricostruire le mura e le porte, Cic., de div.1, 45, 101; Liv. 5, 50, 5; per l’etimologia, Benveniste 1969, II, 258-260.
20 Belayche 2011: 285.
21 Liv. 2, 36, 1-5; 2, 37, 1; lo stesso episodio è riferito anche da Dionisio d’Alicar- nasso, che introduce anche il particolare dell’epidemia di aborti, Dion. Hal. 7, 70; per questo episodio, Harrisson 2013: 106-108.
22 Cic., nat deor. 2, 5-6.
23 Dion. Hal. 6, 17, 2-4
24 Liv. 2, 20, 10.
25 Liv. 2, 20, 12-13.
26 Santi 2017: 31-41.
27 La teoria della demitizzazione fu formulata per la prima volta in Koch 1937, e perfezionata grazie agli studi di G. Dumézil e D. Sabbatucci; sintesi della teoria della demitizzazione connessa alla storificazione dei miti in Santi 2016a.
28 Santi 2017: 32.
29 Santi 2017: 35-36.
30 Levene 2010.
31 Liv. 21, 46, 2: Apud Romanos haudquaquam tanta alacritas erat, super cetera recentibus etiam territos prodigiis.
32 Liv.21,62, 1.
33 Liv.21,62, 2-5: in quis ingenuum infantem semenstrem in foro holitorio trium- phum clamasse, et [in] foro boario bovem in tertiam contignationem sua sponte escendisse atque inde tumultu habitatorum territum sese deiecisse, et navium speciem de caelo adful- sisse, et aedem Spei, quae est in foro holitorio, fulmine ictam, et Lanuvi hastam se commo- visse et corvum in aedem Iunonis devolasse atque in ipso pulvinari consedisse, et in agro Amiternino multis locis hominum specie procul candida veste visos nec cum ullo congressos, et in Piceno lapidibus pluvisse, et Caere sortes extenuatas, et in Gallia lupum vigili gla- dium ex vagina raptum abstulisse.
34 Liv. 21, 62, 6-10: Ob cetera prodigia libros adire decemviri iussi; quod autem lapi- dibus pluvisset in Piceno, novendiale sacrum edictum; et subinde aliis procurandis prope tota civitas operata fuit. Iam primum omnium urbs lustrata est hostiaeque maiores quibus editum est dis caesae, et donum ex auri pondo quadraginta Lanuvium Iunoni portatum est et signum aeneum matronae Iunoni in Aventino dedicaverunt, et lectisternium Caere, ubi sortes attenuatae erant, imperatum, et supplicatio Fortunae in Algido; Romae quoque et lectisternium Iuventati et supplicatio ad aedem Herculis nominatim, deinde universo populo circa omnia pulvinaria indicta, et Genio maiores hostiae caesae quinque, et C. Ati- lius Serranus praetor vota suscipere iussus, si in decem annos res publica eodem stetisset statu.
35 Liv. 21, 62, 11.
36 Liv. 25, 1, 6: quo diutius trahebatur bellum et variabant secundae adversaeque res non fortunam magis quam animos hominum, tanta religio, et ea magna ex parte externa, civitatem incessit ut aut homines aut dei repente alii viderentur facti.
37 Liv. 25, 1, 7-10: nec iam in secreto modo atque intra parietes abolebantur Romani ritus, sed in publico etiam ac foro Capitolioque mulierum turba erat nec sacrificantium nec precantium deos patrio more. sacrificuli ac vates ceperant hominum mentes quorum nume- rum auxit rustica plebs, ex incultis diutino bello infestisque agris egestate et metu in urbem compulsa; et quaestus ex alieno errore facilis, quem velut concessae artis usu exercebant. primo secretae bonorum indignationes exaudiebantur; deinde ad patres etiam ac publicam querimoniam excessit res. incusati graviter ab senatu aediles triumvirique capitales quod non prohiberent, cum emovere eam multitudinem e foro ac disicere apparatus sacrorum conati essent, haud procul afuit quin violarentur.
38 Liv. 25, 1, 11-12: ubi potentius iam esse id malum apparuit quam ut minores per magistratus sedaretur, M. Aemilio praetori urbano negotium ab senatu datum est ut eis religionibus populum liberaret. is et in contione senatus consultum recitavit et edixit ut quicumque libros vaticinos precationesve aut artem sacrificandi conscriptam haberet eos libros omnes litterasque ad se ante kalendas Apriles deferret neu quis in publico sacrove loco novo aut externo ritu sacrificaret.
39 Liv. 25, 7, 7-9: tempestates foedae fuere; in Albano monte biduum continenter la- pidibus pluvit; tacta de caelo multa, duae in Capitolio aedes, vallum in castris multis locis supra Suessulam, et duo vigiles exanimati; murus turresque quaedam Cumis non ictae modo fulminibus sed etiam decussae. Reate saxum ingens visum volitare, sol rubere solito magis sanguineoque similis. horum prodigiorum causa diem unum supplicatio fuit et per aliquot dies consules rebus divinis operam dederunt et per eosdem dies sacrum novendiale fuit.
40 Liv. 25, 12.
41 Santi 2008: 165-167.
42 Dumézil 19742: 458.
43 Per il concetto di venia, cfr. Schilling 1954: 438.
44 Come è noto in quest’opera Cicerone tratta il problema teologico della provi- dentia deorum, della natura provvidenziale degli dei; il dialogo, ambientato nella domus di C. Aurelius Cotta durante le Feriae Latinae tra il 77 a.C. e il 74 a.C. (ma composto tra l’estate del 44 e le Idi di maggio del 43 a.Cic., ad Att. 13, 39, 2), ha come protago- nisti C. Velleius tribuno nel 90 a.C., che espone il punto di vista degli Epicurei, Q. Lu- cilius Balbus, che appartiene alla corrente stoica, e C. Aurelius Cotta (nato nel 124, console nel 75 a.C.) seguace delle dottrine scettiche della Nuova Accademia, delle qua- li Cicerone era seguace.
45 Cic., nat. deor. 3, 2, 5.
46 Liv. 43, 13.
47 Levene 1993: 22–24 e 115–116; ampia discussione in Feldherr 1998:
67-69.
48 Drews 1988.
49 Santangelo 2013: 185 n. 9.
50 Iul. Obs. 61: M. Cicerone C. Antonio coss. [A.U.C. 691 / 63 B.C.] Fulmine pleraque decussa. Sereno Vargunteius Pompeiis de caelo exanimatus. Trabis ardens ab oc casu ad caelum extenta. Terrae motu Spoletum totum concussum et quaedam corruerunt. Inter alia relatum, biennio ante in Capitolio lupam Remi et Romuli fulmine ictam, signu- mque Iovis cum columna disiectum, aruspicum responso in foro repositum. Tabulae legum aeneae caelo tactae litteris liquefactis. Ab his prodigiis Catilinae nefaria conspiratio coepta; cfr. Plin., N.H. 2, 137 : in Catilinanis prodigiis Pompeiano ex municipio M. Herennius decurio sereno die fulmine ictus est.
51 Sall., Con. Cat.10, 4: Namque avaritia fidem, probitatem ceterasque artis bonas subvortit; pro his superbiam, crudelitatem, deos neglegere, omnia venalia habere edocuit.
52 Liv. 23, 11, 1-3: Dum haec geruntur, Q. Fabius Pictor legatus a Delphis Romam rediit responsumque ex scripto recitavit. Divi divaeque in eo erant quibus quoque modo supplicaretur; tum: “si ita faxitis, Romani, vestrae res meliores facilioresque erunt magi- sque ex sententia res publica vestra vobis procedet victoriaque duelli populi Romani erit. Pythio Apollini re publica vestra bene gesta servataque lucris meritis donum mittitote de- que praeda manubiis spoliisque honorem habetote; lasciviam a vobis prohibetote”; il con- cetto di lascivia copre, in latino, un’area semantica dai contorni ben definiti: esso espri- me voluptas animi ‘mancanza di moderazione’ (e in questo significato può essere acco- stato al greco ὕβρις), ma soprattutto indica la ricerca di emozioni ‘forti’, in ogni senso ed in ogni sfera della vita pubblica e privata, Gagé 1955: 270.
53 Sall., Con. Cat. 12, 2.
54 Ignoriamo la data esatta del provvedimento: il fatto che Virgilio (Aen. 6, 72) e Tibullo (2, 5) collochino entrambi i libri Sibyllini nel tempio di Apollo farebbe cre- dere, come opportunamente richiamato da Gagé 1955: 546, che il trasferimento sia stato disposto prima del 19 a.C., anno di morte di entrambi i poeti, e quindi verosimil- mente tra il 21 e il 19 a.C.; Suetonio, Suet. Aug. 31, 1, lo attribuisce ad Augusto in qualità dipontifex maximus, e quindi propone implicitamente come termine post quem il 12 a.C..
55 Cfr. Gillmeister 2007: 69-71; Gillmeister 2015.
56 Plin., N.H. II, 93-94: Cometes in uno totius orbis loco colitur in templo Romae, admodum Faustus Divo Augusto iudicatus ab ipso, qui incipiente eo apparuit ludis, quos faciebat Veneri Genetrici non multo post obitum patris Caesaris in collegio ab eo instituto. namque his verbis in gaudium prodit is: Ipsis ludorum meorum diebus sidus crinitum
per septem dies in regione caeli sub septemtrionibus est conspectum. id oriebatur circa un- decimam horam diei clarumque et omnibus e terris conspicuum fuit. eo sidere significari vulgus credidit Caesaris animam inter deorum inmortalium numina receptam, quo no- mine id insigne simulacro capitis eius, quod mox in foro consecravimus, adiectum est; nel testo di Plinio sono riportate le parole pronunciate in quell’occasione da Ottaviano.
57 Cass. Dio 53, 20, 1: Αὔγουστος μὲν δὴ ὁ Καῖσαρ, ὥσπερ εἶπον, ἐπωνομάσθη, καὶ αὐτῷ σημεῖον οὐ σμικρὸν εὐθὺς τότε τῆς νυκτὸς ἐπεγένετο ὁ γὰρ Τίβερις πελαγίσας πᾶσαν τὴν ἐν τοῖς πεδίοις Ῥώμην κατέλαβεν ὥστε πλεῖσθαι, καὶ ἀπ᾽ αὐτοῦ οἱ μάντεις ὅτι τε ἐπὶ μέγα αὐξήσοι καὶ ὅτι πᾶσαν τὴν πόλιν ὑποχειρίαν ἕξοι προέγνωσαν; Santi 2016b: 128.
58 La Penna 2013: 333.
Claudia Santi
prof.ssa ordinaria di Storia delle Religioni presso Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli