Antitesi tra dialettica del politicamente corretto e lingua taumaturgica –
Il mito dei Dioscuri – Luigi Angelino
Come è noto, i Dioscuri, ossia Castore e Polluce, sono due importanti personaggi della mitologia greca, entrati poi nella vita religiosa e cultuale anche del popolo degli Etruschi e della civiltà romana. I due giovani sono conosciuti anche con la denominazione di “Càstori”, “Gemini” e “Tindaridi” (1), fermo restando che il loro appellativo più usato è rimasto nel tempo proprio quello di “Dioscuri” che, dal punto di vista etimologico vuol dire “figli di Zeus” e, pertanto, “di natura divina”. Non tutti i racconti mitologici che ricordano i due fratelli, tuttavia, concordano sulla loro “paternità divina”, in quanto alcune citazioni li riportano come figli di Tindaro, mentre le narrazioni sono quasi del tutto concordanti nell’attribuire loro la maternità di Leda. Vi sono anche versioni ulteriormente articolate, secondo le quali Zeus avrebbe generato Polluce, mentre Tindaro sarebbe stato il genitore di Castore. Trattando la versione più conosciuta del mito, Leda partorì due coppie di uova, dopo che il padre degli dei l’ebbe fecondata nelle sembianze di un maestoso cigno. Da una delle due coppie sarebbero nati appunto Castore e Polluce, mentre dall’altra le sorelle Elena e Clitemnestra (2). A memoria delle loro origini, infatti, i due fratelli furono già dall’antichità, raffigurati con un copricapo che richiama in maniera inequivocabile la forma dell’uovo. Nell’ambito letterario ellenico, Castore e Polluce furono annoverati tra gli Argonauti, impegnati nell’avventuroso viaggio verso la Colchide alla ricerca del vello d’oro e del cinghiale calidonio. Non dobbiamo pensare a due gemelli simili in tutto, ma ciascuno dei due fratelli era descritto con attitudini particolari: Castore era un formidabile domatore di cavalli, mentre Polluce brillava negli scontri pugilistici. Tra le sue più importanti imprese, si ricorda il memorabile incontro di pugilato con il forte e temibile re dei Bebrici, Amico (3).
I due “gemelli diversi” furono, comunque, protagonisti insieme di gesta eroiche celebrate in tanti scritti, come la fondazione della città eponima di “Dioscuria”, fondata nella già citata Colchide, e la distruzione della città di Iolco, con la collaborazione di altri eroi, come Giasone e Pelea, allo scopo di infliggere una dura lezione al re Pelia che li aveva traditi. Nella vicenda dei Dioscuri, entrò in gioco anche la famosa Elena, così contesa nella guerra di Troia, tanto da diventarne il simbolo più emblematico. I due fratelli invasero l’Attica per salvarla dalle mani di Teseo e per ritorsione rapirono Etra che condussero a Sparta, dove la fecero diventare schiava della stessa Elena. Risulta abbastanza chiaro come sia facile leggere in questa trasfigurazione mitologica, i riferimenti alla secolare rivalità politica, sociale e culturale tra Atene e Sparta.
Di grande rilevanza simbolica sono le circostanze relative alla morte di Castore e Polluce, che offrono la possibilità di intraprendere diversi filoni interpretativi. Secondo il racconto di Apollodoro (4), i Dioscuri avrebbero razziato del bestiame accordandosi con i fratelli Idas e Linceo. Tuttavia, ad impresa compiuta, insorse una grave lite al momento della spartizione del bottino, a causa di uno stratagemma poco trasparente utilizzato da uno dei sue soci, Idas. Per questo motivo, Castore e Polluce attaccarono la città di Messene, tendendo un’imboscata ai perfidi compari. Nello scontro Castore fu ucciso per mano di Idas, ma Polluce li inseguì per vendicare il fratello, trafiggendo Linceo con la sua lancia. Questi, però, nell’atto di cadere lo avrebbe colpito con un masso determinandone la morte. Tale versione è interessante, perché accordandosi con la versione che ricorda il solo Polluce come figlio di Zeus, riporta l’evento finale dell’ira e della vendetta del dio che, per completare il quadro di morte già di per sé drammatico, avrebbe giustiziato Idas superstite con una sua tremenda saetta. Le narrazioni di Igino (5) e di Teocrito (6), invece, sono incentrate sul matrimonio che i Dioscuri avrebbero contratto con le due sorelle Febe ed Ileria, su disposizione del loro padre Leucippo, blandito dai generosi doni offerti da Castore e Polluce. Si dà il caso, però, che l’avido Leucippo avesse già promesso le due fanciulle in moglie ai soliti antagonisti, Idas e Linceo che, dopo aver appreso la violazione unilaterale del patto di nozze, non esitarono a marciare verso Sparta per farsi giustizia. Il prosieguo del racconto incarna il tipico esempio di religiosità ellenica in tema di defunti. Castore avrebbe ucciso Linceo, rifiutando ad Idas la possibilità di seppellire la vittima, onoranza alla quale i Greci davano molta importanza, per assicurare al caro defunto un regolare trapasso dalla dimensione mortale a quella immortale. Il fratello deluso dalla mancanza di pietas da parte dell’avversario, colpì mortalmente Castore alla coscia, ma fu, a sua volta, ucciso da Polluce. Appare molto poetica una delle varianti di quest’ultima versione, secondo la quale Polluce avrebbe implorato di rendere immortale anche il fratello Castore, riuscendo ad ottenere soltanto una sorta di “soluzione condizionata”. Egli ottenne, infatti, che potessero vivere, a fasi alternate, un giorno nell’Olimpo, simbolo della luce, ed un giorno nell’Ade, simbolo dell’oscurità. Il grande Euripide (7) innestò l’interpretazione astrologica ed astronomica nel mito, peraltro in sintonia con il fenomeno della precessione degli equinozi, per la quale il magnanimo Zeus, commosso dal dolore di Polluce, avrebbe permesso che i due fratelli vivessero sempre insieme ed inseparabili nel Cielo, trasfigurati nella forma della costellazione dei Gemelli. In fondo i due fratelli rappresentavano le due facce della stessa medaglia ontologica, sulla quale si interrogavano gli autori dei miti ellenici: la mortalità e la immortalità.
Il culto dei Dioscuri ebbe molta fortuna e si diffuse soprattutto fra i naviganti, in quanto una leggenda sosteneva che Poseidone aveva affidato a loro il potere di dominare il vento ed i flutti del mare. Dalla Grecia continentale, in particolare dall’area spartana, il mito dei due fratelli fu esportato nell’Italia meridionale, nel territorio geografico-culturale che i Romani chiameranno “Magna Graecia”. Nel V secolo a.C. la venerazione dei Dioscuri iniziò a diffondersi anche in area latino-italica, diventando progressivamente parte integrante della religiosità propria della “Res publica” romana. In tale ambito i due gemelli erano maggiormente conosciuti con l’appellativo di “Castori”. A Roma il tempio dedicato ai Dioscuri era situato all’interno del Foro, non lontano dal tempio di Vesta (8). L’edificio sacro sarebbe stato edificato per volontà del dittatore Aulo Postumio nel 495 a.C. durante la battaglia del lago Regillo, quando un indomito Tarquinio il Superbo cercò di riprendere il controllo di Roma da cui era stato scacciato. La credenza popolare attribuì la vittoria considerata miracolosa, in uno scontro iniziato in maniera del tutto sfavorevole, all’apparizione dei Dioscuri che avrebbero guidato l’esercito romano contro i nemici. Lo storico Tito Livio afferma che, nel momento più tormentato della battaglia, Aulo Postumio fece voto di erigere un tempio ai due fratelli nel caso avesse conseguito una ormai insperata vittoria. In epoca repubblicana fu fissata anche una ricorrenza annuale per onorare i Dioscuri, il 15 luglio, quando un gran numero di cavalieri (equites) sfilava per le strade dell’Urbe, in una forma molto simile ad una moderna parata militare. L’immagine di Castore e di Polluce fu anche rappresentata nel Circo Massimo, in segno di protezione degli atleti ed anche perché le uova, uno dei principali simboli associati ai due fratelli, erano usate come “contagiri” nel corso delle varie esercitazioni. Gli studiosi ritengono che a Roma vi fosse anche un altro tempio dedicato ai Dioscuri che, probabilmente, sorgeva nella zona del Circo Flaminio. I Dioscuri furono presenti anche nella cultura etrusca con i nomi di Kastur e Pultuce, considerati come i figli di Tinia, cioè il corrispondente italico di Zeus. Anche gli Etruschi raffiguravano i due fratelli in maniera simbolica, come testimoniano alcuni dipinti ritrovati nelle tombe. In particolare, si ricordano i dipinti della tomba “del Triclinio” scoperta presso l’acropoli di Tarquinia, in cui i due gemelli sono immaginati con un copricapo a forma di pileo a punta e coronati di alloro, alla maniera dei berretti diffusi soprattutto in Frigia.
Nel periodo medievale, quando la Chiesa cercò di sostituire le decadute istituzioni politiche dell’impero romano d’occidente, il culto dei Dioscuri continuò a sopravvivere nella tradizione popolare, al punto che le immagini di Castore e di Polluce furono riprodotte nelle ceramiche e nelle sculture, soprattutto in area nord-africana, accanto ai dodici apostoli, con alcuni santi e perfino nelle rappresentazioni della resurrezione di Lazzaro, come simbolo di immortalità, o più semplicemente di vittoria della vita sulla morte. Per ovviare a questa credenza, malamente definita “pagana”, papa Gelasio (9) nel V secolo con acume strategico e cinico opportunismo sancì la definitiva assimilazione del culto dei Dioscuri nella dottrina cristiana, sostituendoli con coppie di santi di diversa provenienza (vedasi i santi Pietro e Paolo, non a caso indicati come i patroni dei viaggi ed i santi Cosma e Damiano, suggeriti come protettori dei medici).
La presenza dei “gemelli diversi” è attestata in altre civiltà di origine indoeuropea e ciò costituisce l’ennesimo segnale di un archetipo evolutivo nato da un unico ceppo culturale. Lo stesso Tacito, uno dei padri della storiografia moderna, associa i Dioscuri agli “Alcis” considerati altrettanto semidivini nella mitologia germanica, Nell’antica cultura baltica si attesta la presenza di Autrympus e di Potrympus, corrispondenti a Castore e a Polluce e, andando più lontano, nella penisola indiana troviamo gli Ashvin (10), menzionati nel libro sacro dei Veda, esplicitamente collegati alla costellazione dei Gemelli.
Ed il mito dei Dioscuri lo possiamo considerare, in maniera figurata, nato proprio sotto il segno zodiacale dei Gemelli. La lettura psicologico-astrale di questo mito simbolico è di grande suggestione, portando in sé un principio dualistico che lo stesso precitato segno zodiacale accentua. I gemelli, come Castore e Polluce, solo in apparenza potrebbero essere scambiati l’uno con l’altro, ma in realtà ciascuno dei due conserva la propria individualità, tanto da risultare profondamente diversi e per certi versi complementari. Inseparabili nella vita è, tuttavia, nel momento della morte di Castore che emerge l’impossibilità della loro definitiva separazione, come espressione tangibile del più puro amore fraterno, ma anche come simbolo dell’indivisibilità tra corpo e anima, materia e spirito, poli entrambi indispensabili affinché le potenzialità umane possano raggiungere il loro massimo livello (11).
Se alziamo lo sguardo verso lo spazio siderale, notiamo che la costellazione dei Gemelli non è difficile da rintracciare, grazie alla coppia di stelle brillanti, che appunto sono associate ai due protagonisti della nostra trattazione, mentre le altre stelle appaiono più deboli, presentandosi allineate su due tratti paralleli che disegnano i margini di una figura quasi geometrica simile ad un rettangolo. Ricondotto alla dimensione astrologica, il mito dei Dioscuri abbraccia i vorticosi cambiamenti dell’essere umano che oscilla di continuo tra i richiami dell’istinto e le aspirazioni dell’intelletto, nonché, come già accennato, rievoca il significato della dualità contrapposta tra Ade ed Olimpo, tra vita e morte, tra luce ed oscurità. Il mortale Castore rappresenta la materia, mentre il divino Polluce si identifica con lo spirito. E non può sfuggire come il segno dei Gemelli sia successivo a quello dell’Ariete, associato al principio maschile, ed a quello del Toro legato, invece, al principio femminile. Sotto questo profilo, si può leggere lo stesso significato etimologico del termine “gemelli” (gemini in latino) affine al greco gamos, traducibile in italiano con la parole “unione”, o in maniera più traslata “matrimonio”. In questa breve rassegna sul valore emblematico del mito dei Dioscuri, è anche opportuno ricordare come gli alchimisti, nell’ambito delle loro operazioni ermetiche mercuriali, procedessero ad unire come “fratello” e “sorella” quegli elementi opposti indicati come contenitori della lapis, detta anche “pietra filosofale” (12).
Nella vicenda dei Dioscuri assume un’importanza fondamentale anche la simbologia dell’uovo dal quale, secondo il mito, i due fratelli hanno origine. Se ci soffermiamo alla nostra alimentazione quotidiana, salta subito alla mente come le uova siano importanti, soprattutto come fonte di proteine alternativa alla carne. Il significato simbolico dell’uovo è solidamente radicato in tutte le culture del mondo ed in tutte le epoche. Basti pensare a concetti così significativi e sincretici come l’uovo cosmico, chiamato anche “uovo del mondo”, diffusi presso tutte le civiltà antiche e che poi hanno trovato una certa corrispondenza semantica nella teoria scientifica del “Big Bang” che descriverebbe l’origine dell’universo. L’uovo è stato da sempre rappresentato nelle raffigurazioni artistiche, come simbolo di fecondità e di immortalità. Nell’arte sacra cristiana si trovano statue della Madonna con l’uovo fra le mani, fino ad arrivare al sincretismo emblematico sintetizzato nell’icona dell’uovo pasquale, come segno tangibile della presenza divina e della resurrezione di Cristo. In ambito alchemico, l’uovo era considerato il contenitore di quel tipo di trasformazione da materia grezza ad oro filosofale, denominata “Grande Opera”. L’idea dell’uovo, come origine del mondo, è anche fondamentale per lo sviluppo ideale della cosmogonia dei Misteri Orfici. Seguendo una tradizione che risale a Damascio, prima della fondazione della nascita del cosmo, esistevano tre forze primordiali: Chronos, il tempo, Aither, il soffio vitale e Chaos, il disordine. La creazione dell’universo avrebbe avuto inizio quando Chronos formò all’interno dell’Aria un uovo, dal quale si formò Phanes, la luce. Lo stesso Phanes si sarebbe accoppiato poi con la Notte, dando origine al Cielo e alla Terra. Viene da chiederci con stupore se si possa trattare di una descrizione paradigmatica di un fenomeno che tanti secoli dopo, come detto in precedenza, sarebbe stato conosciuto con l’espressione di “Big Bang”. E non è detto che nel futuro la scienza non ci riservi ancora molte sorprese, avvicinandoci ulteriormente alle conoscenze degli antichi, soltanto in apparenza ingenue e primitive. Per questo, Castore e Polluce, simboli dell’unione inseparabile tra la vita e la morte, non potevano che nascere da un uovo, allo scopo di ben incarnare il ciclo dell’esistenza e della continua rigenerazione.
A memoria del mito dei Dioscuri, a Sparta presso il tempio chiamato “delle Leucippidi” (13), si rendeva un culto di venerazione al guscio spezzato di un uovo gigante, appeso con un filo alla volta. Ed allora ai fedeli presenti, in una trasfigurazione quasi onirica, sembrava che Leda si unisse di nuovo a Zeus nelle sembianze del cigno divino: il mondo poteva, quindi, rigenerarsi un suo perpetuo susseguirsi di vita e di morte. Non a caso l’uovo stesso è stato di frequente associato al serpente, come nella raffigurazione del simbolo del caduceo, dove i serpenti attorcigliati sembrano formare uova di dimensioni crescenti dal basso verso l’alto. Il disegno dell’Ouroboros, il serpente divino che si morde la coda, senza né un inizio e nemmeno una fine, non evoca forse l’immagine di un uovo?
Note:
(1) Tindaridi deriva ovviamente dalla presunta paternità di Tindaro;
(2) Clitemnestra, moglie di Agamennone, lo tradì col cugino Egisto e lo uccise quando tornò vittorioso da Troia. A sua volta fu uccisa, insieme all’amante, dal figlio Oreste;
(3) Era considerato fglio di Poseidone e della ninfa Melia;
(4) Apollodoro (Pseudoapollodor), Biblioteca, libro III;
(5) Igino, Fabulae, 80;
(6) Teocrito, Idilli, XXII;
(7)I Dioscuri sono inseriti nella tragedia di Euripide, Elena;
(8) Cfr. Elisa Marroni, Il culto dei Dioscuri in Italia, Edizioni ETS, Pisa 2019;
(9) Papa Gelasio era di origine africana e fu vescovo di Roma dal 492 al 496;
(10) Gli Asvin, chiamati anche “domatori di cavalli” sono i gemelli divini della religione induista;
(11) Cfr. I Dioscuri, Castore e Polluce. Psicologia del mito, filosofia ed astri su https://ilchaos.com consultato in data 13 marzo 2024;
(12) Cfr. La costellazione dei Gemelli:il mito dei Dioscuri su https://lastland.org consultato in data 14 marzo 2024;
(13) Il tempio fu edificato a Sparta in onore delle figlie di Leucippo, presunte mogli dei Dioscuri. Nel tempio si tenevano veri e propri rituali di guerra.
Luigi Angelino,
nasce a Napoli, consegue la maturità classica e la laurea in giurisprudenza, ottiene l’abilitazione all’esercizio della professione forense e due master di secondo livello in diritto internazionale, conseguendo anche una laurea magistrale in scienze religiose. Nel 2022 ha pubblicato con la Stamperia del Valentino 8 volumi: Caccia alle streghe, Divagazioni sul mito, L’epica cavalleresca, Gesù e Maria Maddalena, L’epopea assiro-babilonese, Campania felix, Il diluvio e Sulla fine dei tempi. Con altre case editrici ha pubblicato vari libri, tra cui il romanzo horror/apocalittico “Le tenebre dell’anima” e la sua versione inglese “The darkness of the soul”; la raccolta di saggi “I miti: luci e ombre”; la trilogia thriller- filosofica “La redenzione di Satana” (Apocatastasi-Apostasia-Apocalisse); il saggio teologico/artistico “L’arazzo dell’apocalisse di Angers”; il racconto dedicato a sua madre “Anna”; un viaggio onirico nel sistema solare “Nel braccio di Orione”ed una trattazione antologica di argomenti religiosi “La ricerca del divino”. Con auralcrave ha pubblicato la raccolta di storie “Viaggio nei più affascinanti luoghi d’Europa” ed ha collaborato al “Sipario strappato”. Nel 2021 è stato insignito dell’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica italiana.