Divinazione e Civitas – Claudia Santi
1 – L’orientamento demitizzante presente nella religione romana (1) determina, come è noto, I’assenza della funzione mitopoietica e I ‘incompatibilità dell’area della possessione -sia essa bellica oracolare poetica- con il sistema civico-statuale romano. Nel campo della divinazione, la scelta che vuole il cives in ogni occasione compos sui, si traduce nell’istituzionalizzazione unicamente dei due collegi sacerdotali degli augures e dei decemviri sacris faciundis, tra i quali può cogliersi una solidarietà logica ed al contempo un’opposizione funzionale. I caratteri della pratica augurale, infatti, sono rinvenibili nella verifica dell’assenso o del dissenso degli dèi, in ordine ad un’azione da intraprendere (2); la risposta divina alla domanda formulata dal collegio, non potendo essere che affermativa o negativa, non ammette articolatezza ed è riconducibile all’interno di un codice del tipo binario (presenza/assenza sì/no 0/ 1). I decemviri sacris faciundis (3), per contro, dovevano rispondere per iscritto, dietro ordine del Senato, ad una “domanda” posta dagli dèi per il tramite del prodigio, segno articolato di una crisi “cosmica”, che richiedeva risposta ed interpretazione. La procedura mediante cui si giungeva a consultare i decemviri risulta composta di diversi momenti: innanzi tutto, I’annuale relazione de religionibus al Senato, prima dell’entrata in carica dei magistrati, riferiva tutte le “manifestazioni anomale” verificatesi entro i confini della Res Publica, e nel riferirle, le accentrava concettualmente in Roma. Successivamente spettava al Senato pronunciarsi circa il valore pubblico o privato dei prodigia annunciati; solo allora, e solo per i prodigia cui era stato riconosciuto carattere pubblico, si poteva ordinare il ricorso al collegio sacris faciundis. I decemviri, al fine di ricomporre la frattura fra la civitas ed i suoi dei, fornivano indicazioni circa le pratiche espiatorie da attuare (piacula), derivando tali indicazioni dalla lettura e dall’interpretazione di un repertorio oracolare tradizionalmente attribuito alla Sibylla (i cd. libri Sibyllini). Il prodigio, quale segnale della compromessa pax deorum, rompe I’ordine naturale, si pone in antitesi alle sue leggi, ed in questo senso può intendersi come un “mito” che si attualizza secondo modalità spontanee che si sottraggono all’intervento umano. AlI’intervento umano, tuttavia, è dato, per il tramite dei libri e dell’intervento dei decemviri, ristabilire una corretta relazione tra il livello divino e quello umano. Va infine sottolineato il fatto che, pur essendo compito precipuo dei decemviri sacris faciundis la lettura dei libri, nella definizione del collegio il momento del “leggere” risulta sottinteso quale azione mediale del facere: ciò significa che, dal punto di vista romano, veniva ad avere rilevanza pubblica solo il risultato, I’individuazione del remedium, il sacra facere, così come non era resa pubblica I’interpretazione del testo sibillino, che doveva rimanere esso stesso segreto, né poteva essere divulgato. Se quindi ci è ignoto il reale contenuto dei libri (distrutti nel 4O8 d.C. ad opera di Stilicone) (5), ciò non esclude, tuttavia, la possibilità di considerare la funzione che attraverso di essi e attraverso i decemviri si esplica, nonché di verificare I’eventuale esistenza di una connessione o sintassi tra il piaculum ed il prodigium che lo ha determinato.
2 – Per far questo prenderemo le mosse dal caso studiato da E. Montanari nel lavoro dal titolo Mens (6): si tratta del complesso di vicende che, per ordine dei decemviri, porta nel 217 a.C. al voto e, a distanza di due anni, alla dedica dei templi a Venus Erycina e a Mens sul Campidoglio. Per intendere appieno i fatti cui ci riferiamo è necessario risalire agli avvenimenti del 218, anno in cui, all’indomani della sconfitta subita dalle legioni romane ad opera di Annibale, si registra una serie di prodigi, alcuni dei quali appaiono interessare, in misura più o meno diretta, divinità ed “ingredienti” cultuali connessi alla sfera di Fortuna ed alla dimensione del “fortuito”7. L’espiazione di tali prodigi non vale a scongiurare il ripetersi di segnali di crisi con gli dèi e, ancora una volta, tra I’altro, con Fortuna, la cui relazione con Mars appare chiarita da un sortilegio spontaneo fornito dalla non provocata caduta di una sors con I’iscrizione “Mavors telum suum concutit” (8). I nuovi prodigi vengono espiati (9), ma neanche questa volta gli interventi piacolari si dimostrano sufficienti a riassorbire la negatività e a contrastare la “sfortuna” delle armi romane. In questo contesto Q. Fabio Massimo, nel discorso pronunciato davanti al Senato in occasione della nomina a dictator nel 217 (per la seconda volta), può interpretare la recente sconfitta del Trasimeno come indice della crisi con gli dèi, attribuibile alta negligenza religiosa del console C. Flaminio più che alla sua temeritas atque inscitia. L’indicazione delle azioni compensatrici idonee a placare l’ira deum deve discendere, secondo il dictator, dagli dèi stessi e pertanto egli richiede ed ottiene dal Senato che si ricorra alla consultazione dei libri Sibyllini, secondo una procedura affatto nuova, in assenza di taetra prodigia (10). La risposta umana in questo caso precederebbe la domanda divina: invero I ‘eccezionalità della lettura voluta da Fabio appare motivata dall’eccezionale gravità della situazione politico-militare della Res Publica. Il responso fornito in questa occasione dai decenrvrri suggerisce, nella parte relativa al voto dei templi a Venus Erycina e a Mens (11), una correzione ed un potenziamento del sistema politeistico romano, mediante I ‘integrazione di nuove qualità e quantità divine, in alternativa a Fortuna perché operanti in un ambito religioso “concorrenziale”, ma riconducibili al e nel “mondo di Iuppiter” (nei cui riguardi, ossia, si può attuare un’azione tale da piegarne il potenziale destrutturante trasformandolo, al contrario, in agente sinergico). In questa prospettiva, I’introduzione di Venus Erycina, dea dispensatrice della venia, della grazia “ricevuta senza sforzo ed elargita senza riserye” (12), viene a modificare dall’interno le relazioni tra le divinità nel lectisternium celebrato nello stesso anno, la figura di Mars -che in precedenza era apparsa strettamente legata a Fortuna- risulta invece associata a Venus (13), che viene così a canalizzare nel positivo esito della guerra la venia di cui è detentrice. D’altronde appare necessario rimarcare come I ‘acquisizione vreligiosa di Venus Erycina non si compia senza mediazioni: la sua voluntas / voluptas si trova ad essere “orientata” non solo dalla contiguità con Iuppiter, e con la sua ratio ordinatrice che presiede al Capitolium, ma anche dalla strettissima continuità spaziale con il tempio di Mens, essendo i due santuari divisi da un semplice canale di scolo (14).
3 – Abbiamo già detto dell’eccezionalità del comportamento di Q. Fabio Massimo dictator; eccezionalità che consiste essenzialmente nello spostamento di una crisi militare in una crisi cosmica. Vorremmo ora esaminare un altro caso in cui sembra emergere, in analogia con questo, un comportamento archetipico dei Fabii rispetto alla consultazione dei libri Sibyllini. Ciò accade, in particolare, nell’episodio del ,161 a.C.,anno in cui il ricorso ai libri appare sollecitato dal manifestarsi cli numerosi prodigi da porre in relazione con lo stato di conflittualità interna di Roma. Nel 4ó2 a.C., infatti, dopo aver concluso una fase di guerra contro gli Equi ed i Volsci, i Romani si trovano a dover affrontare un dissidio interno provocato dalla presentazione da parte del tribuno C. Terentilio Harsa della proposta di legge per la creazione di un collegio di quinque viri legibus de imperio consulari scribendi, con il compito, dunque, di definire e delimitare gli ambiti di potere dei consoli, limitandone I’arbitrio (15). L’iniziativa legislativa, sospesa dal praefectus urbis Q. Fabio in attesa del rientro dei consoli impegnati nella guerra, viene riproposta I’anno successivo dall’intero collegio dei tribuni e immediatamente si verificano eventi prodigiosi e terrificanti (16). Si decreta quindi la lettura dei libri: “Vi si trovarono predetti pericoli provenienti da una riunione di stranieri, e, affinché non si realizzasse un attacco contro le alture della città e si evitassero possibili massacri, tra I ‘altro fu ordinato di astenersi dalle sedizioni” (17). Il responso provoca I ‘immediata reazione dei tribuni, che individuavano in esso un motivo polemico nei confronti della loro azione (18). Ciò non di meno, la soluzione del contrasto avviene nella linea indicata dai libri: ci si astiene da ulteriori contrapposizioni e viene valorizzato I ‘istituto del tribunato mediante il raddoppio del numero dei componenti del collegio, che passano così da cinque a dieci. Nel decretum che scaturisce in questa occasione dalla consultazione dei libri (e che è il primo secondo la redazione liviana) (19) appare rinvenibile a tratti un carattere profetico: vi figura, infatti, un’autentica interpretazione del significato complessivo dei prodigi che, al contrario, secondo quanto è nelle nostre fonti, era del tutto estranea alla prassi decemvirale in età repubblicana. Sulla base di queste considerazioni, alcuni studiosi tra cui il Dumézil (20), hanno negato verosimiglianza storica al contenuto del responso del 401 a.C., in quanto per le sue caratteristiche riporterebbe, a loro giudizio, al clima politico del I sec. a.C., piuttosto che alla situazione romana del V secolo a.C.. Ammettendo pure che il racconto liviano tradisca per taluni aspetti un certo anacronismo, resterebbe tuttavia da spiegare il motivo per cui tali elementi anacronistici siano stati inseriti proprio qui e perché proprio in occasione di un responso dal quale derivano principalmente effetti politici. Nel 461 a.C. sembra, infatti, che ai segnali di una crisi cosmica si affianchi anche il caso di un tumultus prodigii loco, ossia di una sedizione interna che per la sua rilevanza poteva essere considerata alla stregua di un prodigio. In questo senso, la redazione degli ostenta potrebbe essere integrata con il passaggio del discorso di Q. Fabio, laddove il tribuno C. Terentilio Harsa è equiparato ad un castigo degli dèi (21). Il suo atteggiamento parrebbe sufficiente da solo a suggerire il ricorso ai libri; sembra quindi che si sia voluta ridurre I’eccezionalità di questa prima consultazione, inserendo una lista di prodigi -corì ogni probabilità artificiosa- per determinare l’intervento dei sacerdoti sacris faciundis senza far ricorso ad una pratica straordinaria (o comunque inusuale), quale si sarebbe verificata nel caso di un tumultus prodigii loco. Se ciò è vero, la mediazione del collegio sacris faciundis sarebbe finalizzata in questa occasione a ricomporre la concordia ordinum piuttosto che a ripristinare la pax deorum; Livio (o la sua fonte), semmai, con l’inserimento dei prodigi avrebbe trasposto l’azione di rottura dallo scenario politico al piano metastorico divino. Per definire con maggiore approssimazione la portata di tale costruzione, può risultare significativo operare una lettura in parallelo dei testi liviani relativi agli eventi del 461 a.C. e a quelli del 217 a.C. precedentemente esaminati. Da tale raffronto sembra emergere una struttura chiastica: per il 461 abbiamo il caso normale di una consultazione in seguito all’annuncio di taetra prodigia, da cui scaturisce un responso atipico contenente un residuo di oracolarità e di profetismo, e che provoca effetti prevalentemente politici; per il 217 si presenta il caso di una consultazione straordinaria in assenza di prodigi, da cui deriva un responso morfologicamente di tipo normale in cui compaiono esclusivamente prescrizioni cultuali. Quanto alla palese solidarietà tra l’azione dei Fabii protagonisti delle vicende del 461 e del 217, due sembra siano le ipotesi da suggerirsi: o che il margine di prototipicità del praefectus urbis Fabio sia stato ridimensionato a vantaggio del dictator; ovvero che siano stati proiettati sul personaggio del 461 aspetti che in qualche misura anticipano l’iniziativa e la pratica abnormis “inaugurata” da Q. Fabio Massimo.
4 – Un altro esempio di consultazione che dà luogo all’acquisizione in Roma di una “nuova” figura divina, e rispetto alla quale sembra possibile una ricognizione orientata anche verso il recupero di un nesso sintattico tra il prodigium ed il relativo piaculum, è costituito dal caso della transvectio a Roma della Mater Idaea da Pessinunte. Nell’anno 205 a.C., secondo il racconto liviano, “un improvviso scrupolo religioso aveva invaso la città, poiché, esaminati i libri Sibyllini per il fatto che in quell’anno si erano verificate frequenti piogge di pietre, era stato rinvenuto un carmen secondo cui, quando un nemico avesse portato la guerra nella terra d’Italia, si sarebbe potuto cacciarlo e vincerlo, se la Mater Idaea da Pessinunte fosse stata portata a Roma” (22). Assumiamo la versione di Livio come testo di riferimento dal momento che, allo stato attuale della documentazione, è l’unico a riportare menzione del prodigio che avrebbe originato la lettura dei libri; essa infatti sarebbe stata dettata dal preoccupante reiterarsi del fenomeno della pioggia di pietre, evidentemente in diverse località e varie volte all’interno dello stesso anno. La procedura adottata, ma soprattutto il piaculum indicato in questo caso, non appaiono del tipo consueto: di fronte ad una pioggia di pietre -esempio non raro di prodigio all’interno dell’annalistica liviana- si registra una stabilita del modo di espiazione, data dall’indizione pressochè automatica di un novemdiale sacrum (23), cioè di un sacrificio “celebrato nel nono giorno” o “protratto per nove giorni” secondo le interpretazioni correnti del termine (24). Una serie di problemi si pongono a questo punto: si tratterebbe, prima di tutto, di individuare quale legame possa cogliersi tra la pioggia di pietre ed il tipo di espiazione tradizionale; successivamente, quale raccordo possa esistere tra il ripetersi del prodigio e la richiesta da parte del responsum decemvirale dell’acquisizione della Mater Idaea. Per rispondere al primo quesito, non disponiamo di materiale sufficiente, in quanto il rapporto solidale tra prodigio e piaculum non sollecitava gli autori antichi a soffermarsi sull’argomento. Ia seconda questione, al contrario, può trovare un elemento chiarificatore nella testimonianza di Erodiano, secondo cui una pietra nera di non grandi dimensioni, caduta dal cielo a Pessinunte, avrebbe costituito la sacra immagine della dea (25). Questa notizia di Erodiano, se da accogliersi, orienterebbe verso l’interpretazione del prodigio del 205 in chiave di ripetizione, nel tempo storico, di un evento mitico. Abbiamo già accennato alla possibilità di “leggere” l’evento destrutturante del prodigio come un’irruzione del “tempo del mito” nel “tempo della storia”; aggiungiamo ora che questa ipotesi ermeneutica, che ci proponiamo di sottoporre ad ulteriore verifica in altra sede, appare confortata da casi analoghi a quello in esame (26), nei quali la sequenza prodigium-piaculum sembra svolgere, in ambiente romano, una funzione assimilabile a quella riconosciuta, presso altre culture, al mito.
5 – Sulla base degli episodi che siamo andati fìn qui esaminando, è possibile cominciare a trarre alcune considerazioni: in primo luogo va sottolineato come, nella fase repubblicana della cultura romana, il destino non appaia predeterminato dagli dei, poiché il loro dissenso risulta inquadrabile in un codice ordinato di signa, nei confronti dei quali spetta ai decemviri sacris faciundis elaborare un sistema di risposte in grado di soddisfare alla duplice esigenza di essere contestuale ai signa e di edificare il sacro-pubblico, come è nella denominazione stessa del collegio. Nel responso decemvirale, risultato della consultazione dei libri, è rinvenibile l’utilizzazione di una ratio ordinatrice, a partire, innanzi tutto, dall’attitudine a decodificare il linguaggio divino allo stesso livello assoluto al quale si esprime: in altri termini la ratio civica, che si esplica attraverso il collegio, si trasferisce a livello del sacro proprio laddove consente di “tradurre” il testo sibillino e di conferire senso sacrale a materiali oracolari per sè oscuri, arcani (27), polisensi, “sibillini”, nell’accezione moderna del termine Nella pratica decemvirale, infatti, le risposte sono state tutte scritte prima che si ponessero le domande, donde la funzione del collegio sacris faciundis è di libros inspi-cere, ossia di leggere le “cifre” sibilline in relazione ai signa divini in un insieme articolato e signifìcante dal punto di vista della salus rei publicae. La soluzione della “crisi cosmica” si compie senza il ricorso alla riattualizzazione del primordium (i decemviri non sono dei narratori di miti!): nel primordium sono, e devono rimanere, solo i libri. Questa assolutizzazione preserva dalle contingenze della storia i nuovi riti, che nel momento in cui sono sacri sono anche pubblici28. Si risolve così anche l’apparente paradosso di introdurre elementi novativi nel sistema politeistico romano, derivandoli, però, da un repertorio oracolare intangibile, la cui acquisizione in Roma, si colloca nella “mitica” età regia29. In questo caso non sembra tanto che si tratti di ripristinare una pax deorum, qrranto piuttosto di crearla di volta in volta, senza che ciò implichi una nova religio, dal momento che i libri Sibyllini “garantiscono” che tale creazione è compresente alle origini. Attraverso gli interventi rituali riparatori, in sintesi, la civitas, per il tramite del sacerdozio sacris faciundis, non si limita a ripristinare l’equilibrio preesistente, ma “reinterpreta” i segnali di dissenso come un’antitesi da superare con delle repliche-tesi che riordineranno la pax deorum ad un nuovo livello.
Note:
1 – Per i problemi storicoreligiosi e gli sviluppi di studio connessi alla demitizzazione, cfr. C. Koch, Der riimische luppiter, Frankfurt am Main 1937; G. Dumézil, Juppiter Mars Quirinus, Paris l94l; id., Nalssance d’archanges. Juppiter Mars Quirinuslll, Paris 1945; id., L’héitage indoeuropéen a Rorut, Paris 1919;id., lvlythe et Epopée, Paris 1969;id.,Idees rornaines, Paris 1969; id., Mythe et Epopée ///, Paris L973;id., la religion romaine arclni’que,Paris 19722; A. Brelich, Introduzione alla Storia delle religioni, Roma 1966, pp. 216-229;id.,Tre variazioni romane sul tema delle origitti, Roma2 1976; D. Sabbatucci,l,o Stato come conquista culturale, Roma lVl5; id., II Mito, il Rito e la Storia, Roma 1978; E. Montanari, Ronta, momenti di una presa di coscienza culturale, Roma 1976; id., Identità culturale e conflitti religiosi nella Roma repubblicana, Roma 1988 (con una validissima analisi critico-metodologica degli orientamenti degli studiosi sopra citati).
2 – Per le modalità della consultazione praticata dagli augures, clr. Liv. l, 18, 6-10; per l’ideologia della pratica augurale, cfr. D. Sabbatucci, Divinazione e cosmologia, Milano 1989, pp. l3+L37.
3 – Il collegio sacris faciundis fu composto inizialmente di due membri appartenenti all’ordo patricius nel 367 a.C. il numero dei sacerdoti fu portato a dieci, cinque patrizi e altrettanti plebei (Liv. 6, 42,2>, e infine nel I sec. a.C., a quindici. Di questo ultimo provvedimento non si conosce la data esatta di introduzione: la prima testimonianza relativa ai quindecemvíri sacris faciundis è in Cic. ad tarn. l, 5a,2, in una lettera del 56 a.C. a Lentulo proconsole. Nel presente lavoro, assumeremo la formula decemvirale del collegio quale struttura fondamentale, in quanto la sua adozione riveste un valore ideologico rappresentando un paradigma di parificazione, a livello sacerdotale, dei due ordines. Per un approfondimento delle questioni qui accennate, si rimanda al nostro I libri Sibyllini e i decemviri sacris faciuttdis, Roma 1985.
4 – Secondo la tradizione, i libri sarebbero stati offerti da una vecchia al re Tarquinio; poiché questi per ben due volte avrebbe rifiutato di acquistarli, la donna ne avrebbe distrutti, a più riprese, i due terzi, consegnando alla fine al re solo un terzo della raccolta originaria, cfr. Varro Ant. rer. div. fr. 56a Cardauns; Dion. Hal. 4, 62,l-4; Plin. N.I/. 13, 88; A. Gell. Noct. Act.1, 19; App. Reg. 8; J. Lyd. de mens. 4,47;Zon.7, I lc; [-act. Div. Inst. l, 6; Serv. ad Aen.6,72; Solin. 2, 16. Quanto alla denominazione Sibyllirri, essa in origine, prima dello slittamento semantico che ha determinato I’accezione modema del termine, si riferiva semplicemente all’autore dei testi oracolari: i libri Sibyllini, pertanto, erano in origine i ‘libri della Sibilla” o “attribuiti alla Sibilla”.
5 – Rutil. 2,51.
6 – In E. Montanari, Roma, momentí di una presa di coscienza culturale, cit., pp. 19I-261.
7 – Liv. 21,62, 1-6. Romae aut circa urbem ea hieme prodigia facta aut, quod evenire solet motis semel in religiortem animis, multa nuntiata et temere credita sunt, in quis ingenuum infantem semestrem in foro holitorio triutnphum clamasse, et in foro boario bovem in tertiam contignationem sua sponte escendisse atque inde tumultum territum sese deiecisse. et navium speciem de caelo adfulsisse, et aedem Spei, quae est in foro holitorio, fulmine ictam. et Lanuvi haslam se commovisse et corvum in aedem Iunonis devolasse atque in ipso pulvinari consedisse, el in agro Amitentino multis locis hominum species procul candida veste visas nec cum ullo congressas, et in Piceno lapidibus pluvisse et Caere sortes extenuatas, et in Gallia lupum vigili gladium ex vagina raptwn abstulisse.
8 – Liv.22,1, 8-14: Augebant metum prodigia ex pluribus simtl locis nuntiata: in Sicilia militibus aliqrct spicula, in Sardinia autem in muro circumeunti vigilias equiti scipionem, quem manu tenuerat, arsisse, et litora crebris ignis fulsisse, et scuta duo sanguine sudasse, et milites quosdam ictos fulminibus, et solis orbem minui visum, et Praenestae ardentes lapides caelo cecidisse, et Arpis parmas in caelo visas pugnantemque cum luna solem, et Capenae duas interdiu lunas ortas, e, aques Caeretes sanguine mixta fluxisse fontemque ipsum Herculis cruenlis manasse sparsum maculis, et Antii metenlibus cruentas in corbem spicas cecidisse, et Faleriis caelum findi velut magno hiatu visum, quaque patuerit ingens lumen effulsisse; sortes suas sponte adtenuatas, unamque excidisse ita scriptarn “Mavors telum suum concutil”, et per idem tempus Romae signum Martis Appia via et simulacra luporum sudasse, et Capuae speciem caeli ardentis fuisse lunaequc inter imbrem cadentis. Inde minoribus etiam dictu prodigiis fides habita: capras lanatas quibusdam factas et gallinam in marem, gallum in feminam sese vertisse.
9 – Liv.22,1, 15-20.
10 – Liv. 22,9,1-8: Q. Fabius Maximts dictator iterum quo die magistratum iniit vocato senatu, ab diis orsus, curn edocuisset patres, plus negligentia caerimonarurn auspiciorumque quam temeritate atque inscitia peccatum a C. Flaminio consule esse, quaeque piacula irae deum essent ipsos deos consulendos esse, pervicit, ut, qrcd non fenne decernitur, nisi cum taetra prodigia nuntiata sunt, decernviri libros Sibyllinos adire iuberentur.
11 – Liv. 22,9, 9-11 Qui (scl. decemviri) inspectis fatalibus libris (scl. Sibyllinis) rettulerunt patribus, quod eius belli causa votum Marti foret, id non rite factum de integro atque amplius faciundutn esse, et Iovi ludos magnos et aedes Veneri Erycinae ac Menti vovendas esse, et supplicationem lectisterniumque habendum et ver sacrum vovendum, si bellatum prospere esset resque publica in eodem, quo ante bellum fuisse, statu permansisset.
12 – E. Montanari, Roma, momenti di una presa di coscienza culturale, cit., pp.2l0; per il concetto di veilit, cfr. R. Schilling, ln religiort romaine de Venus, Paris l954, pp.39-42-, G. Dumézil, Idées romaines, cit., pp. 246-252.
13 – Liv. 22, 1o,9.
14 – Liv. 23,31,9: Philarg. ad Verg. Georg. 4,265.
15 – Liv. 3,9, 1-5.
16 – Liv. 3, 10,6 Eo anno caelum ardere visum, terra ingenti concussa motu est, bovem locutam, cui rei priore anno fides non fuerat, creditum. Inter alia prodigia et carne pluit, quem imbrem ingens numerus avium inlervolitando rapuisse fertur; quod intercidit, sparsum ita iacuisse per aliquot dies, ut nihil odor mutaret.
17 – Liv. 3, 1O,7: Libri per duumviros sacrorum aditi: pericula a conventu alienigenarum praedicta, ne qui in loca summa impetus caedesque inde fierent, inter cetera monitum, ut seditionibus abstilteretur.
18 – Liv. 3, 10,7.
19 – Dionisio ne riferisce una precedente per il 496 a.C., Dion. Hal.6, L7,3; Livio in quello stesso anno, invece, colloca il voto di un tempio a Castor, da parte del dittatore A. Postumio, Liv. 2,20, 12.
20 – G. Dumézil, kt religion romaine archnique, cit.pp. 574-575.
21 – Liv. 3,9,8.
22 – Liv. 29,10, 4-5: Civitatem eo tempore repens religio invaserat invento carmine in libris Sibyllinis propter crebrius eo anno de caelo lapidatum inspectis. quandoque hostis alienigena terra Italiae bellum inutulisset, eum pelli ltalia vincique posse, si Mater ldaea a Pessinunte Romam advecta foret.
23 – Secondo Livio 1, 31, 3-4, questo tipo di espiazione sarebbe stato ordinato da una voce celeste proveniente dal Monte Albano o sarebbe stata introdotta per ordine degli aruspici.
24 – Il testo di Livio 1,31, 4: mansit certe sollemne ut, quandoque idem prodigium nuntiaretur, feriae per novem dies agerentur, farebbe pensare ad un sacrificio protratto per nove giorni; G. Dumézil, La religion romaine archaique, cit., pp. 444 propende però per scindere la durata delle feriae da quella del sacrificio, per cui intende novemdiale sacrum come “sacrificio del nono giorno”.
25 – Herodian, 1, 11, 1.
26 – Un altro caso potrebbe essere quello della consultazione del496 a.C. che compare in Dion. Hat. 6, L7,3, ma è ignota a Livio (cfr. supra n. 19): in questa occasione, il collegio sacris faciundis ordina di votare un tempio a Ceres, Liber e Libera per ottenere la fine di una tenibile carestia. Per un esame dell’episodio, cfr. D. Sabbatucci, Divinazione e cosmologia, cit., pp. 173-174.
27 – Ai libri Sibyllini spetta in modo precipuo questa definizione in quanto, oltre ad essere testi redatti in modo criptico, essi erano conservati in un’arca posta sotto il tempio di luppiter O.M., donde furono traslati, all’epoca di Augusto, nelle fondamenta del tempio di Apollo, Suet. Aug. 31.
28 – Per la relazione tra sacer e publicus nella cultura romana, cfr. D. Sabbatucci, Lo Stato come conquista culturale, cit., pp. 163 sgg.
29 – Per la possibilità di equiparare, in Roma, l’età regia alla età del mito, cfr. G. Piccaluga, Terminus. I segni di confine nella religione romona Roma l974.
(relazione pubblicata in The Notion of Religion in Comparative Research Selected Proceedings of the XVI I AHR Congress Edited, by Ugo Bianchi Offprints Storia delle religioni, (L’ERMA) di BRETSCHNEIDER)
Prof. ssa Claudia Santi,
Università della Campania Luigi Vanvitelli, Dipartimento di Lettere e Beni Culturali