Gianni Vattimo e l’eredità postmoderna – Umberto Bianchi
Alcuni anni fa, andai a sentire una conferenza di Gianni Vattimo al centro sociale “Angelo Mai”, in Roma, zona Rione Monti. Dopo aver attentamente ascoltato quanto il filosofo stava dicendo, al termine della sua conferenza, gli domandai come, in una situazione quale quella ingenerata dall’irrefrenabile espansione del pensiero tecno-economico, fosse, secondo lui, possibile addivenire ad una sintesi di pensiero che, unendo Essere e Divenire, avrebbe rappresentato l’unica via d’uscita alternativa a quello. Bene. La risposta di Vattimo fu che, ciò che al meglio rappresentava quanto da me proposto, stava nel pensiero di Nietzsche, aggiungendo poi che, tutto questo non avrebbe dovuto assolutamente ricadere nell’errore della metafisica.
La recente scomparsa di Gianni Vattimo, è qui a riproporci tutta una serie di domande sull’attualità e sulle possibili interpretazioni, non solo del suo pensiero, ma anche di tutta una corrente che , in un modo o nell’altro, si è fatta portavoce attiva di un certo modo di intendere la nostra epoca che, può ben essere definito dal concetto di “post – modernità”. Vattimo è, anzitutto stato allievo di quel Luigi Pareyson, grande filosofo di area cattolica, ma irresolunilmente vicino all’esistenzialismo attivo di Heidegger e Jaspers a cui guarda con profondo interesse, accentuandone però il lato “ermeneutico”, incentrato sull’interpretazione soggettiva della realtà (e pertanto dell’Essere, sic!). Sulla falsariga di Pareyson, sarà anche il pensiero ermeneutico di quell’Hans George Gadamer, da Vattimo personalmente conosciuto in Germania e, sempre da questi, portato alla conoscenza del grande pubblico italiano.
Il motivo su cui si muove molta parte del pensiero filosofico a cavallo degli anni ’50 del secolo passato, sino agli inizi del nuovo millennio, sta nella considerazione dell’inanità e dell’inconsistenza ontologica di qualunque forma di pensiero “forte”, assiomatico, dinanzi all’impetuoso avanzare della Modernità. Motivo questo che, precedentemente rappresentato dall’esistenzialismo di Heidegger e che, in Nietzsche aveva avuto un precursore, è anche parte di tutta una tradizione del pensiero occidentale, dall’Illuminismo in poi, improntata su quella che noi possiamo definire “demolizione” della metafisica. Un processo questo che, di fronte allo scenario degli ultimi settant’ anni assume una valenza ed una urgenza ancor più stringenti, arrivando a porre delle domande ed a prospettare scenari del tutto differenti dai precedenti.
Le grandi narrazioni ideologiche e le soluzioni precostituite, animate da uno spirito unilaterale vanno sempre più mostrando la propria incapacità a dare risposte alle continue sollecitazioni offerte dall’inesorabile onnipervadenza della sintesi Tecno Economica, in tutti i possibili ambiti della nostra esistenza. Se quella della Modernità rappresenta una fase di sviluppo della civiltà occidentale, all’insegna di una serie di ben definiti parametri ideologici, la Post Modernità ne rappresenta una successiva all’insegna della più totale incertezza, essendo la civiltà occidentale arrivata ad un vero e proprio bivio “ontologico”, tra la prospettiva di un totale e deleterio appiattimento ai parametri della Tecno Economia, con il globale deterioramento delle condizioni socio economiche, sanitarie ed ambientali dell’intero genere umano o il globale miglioramento qualitativo delle condizioni di vita di quest’ultimo, grazie anche al supporto di una Techne al servizio dell’uomo. Di fronte a questo dilemma, studiosi come Vattimo, ci parlano di un pensiero “debole”, in grado di adeguare e plasmare sé stesso su quella che, del singolo è l’ “interpretatio” che della circostante realtà vien data, rifuggendo pertanto da qualsiasi gabbia ideologica o metafisica, che ne vanificherebbero l’azione. Una forma di relativismo questo, condiviso anche da altri pensatori contemporanei, quali Gilles Deleuze e Felix Guattari, ma anche Jacques Derrida, Michel Foucault e Jacques Lacan.
Deleuze, in particolare, con Guattari, opera una feroce dissezione della psicanalisi, accusandola di rappresentare una forma di pensiero assiomatico, traducentesi in una prassi al servizio del capitalismo. Deleuze, inoltre, sarà il primo autore, nel dopoguerra, ad operare la riscoperta di un pensatore come Nietzsche, sino a quel momento demonizzato a causa delle sue connessioni ideologiche con l’esperienza del Nazismo. In Nietsche, Deleuze vede la possibilità di un’apertura ad una realtà non più intesa ed interpretata in un solo senso ma, attraverso mille, differenti piani percettivi. Il che, lascia aperta la possibilità all’individuo di poter intendere e plasmare la realtà a proprio piacimento, arrivando a superare i propri umani limiti, pervenendo, in tal modo, a quella condizione di “super-uomo”, deleuzianamente “oltre-uomo”, tanto bene da Nietsche, descritta e preconizzata.
Si accusa sovente il “pensiero debole”, con la propria forte carica di individualismo, di costituire la rappresentazione ideologica ed il portabandiera di tutte quelle che, di questa fase epocale, rappresentano le tare e le cedevolezze, una specie di manifesto programmatico della “decadence” d’Occidente. Se questo può esser vero da un lato, dall’altro va considerato un risvolto del tutto inedito ed inaspettato, rispetto a quel che comunemente si potrebbe pensare. Quella che Vattimo e Deleuze ci vanno prospettando, è un’apertura a 360° ad una realtà che, non più intesa in un senso monolitico, può divenir soggetta ad un qualsivoglia parametro interpretativo. E tutto questo, oltre a divenire una maniera per evitare di finire avvolti nelle spire del pensiero Tecno Economico, fa sì che si che l’Occidente possa adottare forme di pensiero “altre” rispetto a quelle rappresentate dagli usuali parametri ideologici.
La resa delle narrazioni ideologiche novecentesche ed il fenomeno del riflusso, hanno portato ad una vera e propria riscoperta della sfera dell’irrazionale che, ha avuto i propri prodromi con certa confusionaria ”New Age”, oramai superata da altri e più rilevanti fenomeni di massiva diffusione da ambiti di pensiero tali (basti solo pensare alla riscoperta dell’interesse per tutte quelle dottrine a forte carattere iniziatico e magico…), da poter parlare di un riaffacciarsi di quell’ “Idealismo Magico” di cui il Novalis (ed altri…sic!) fu l’acuto precursore, in un’epoca in cui si andavano, invece, prepotentemente affacciando sul proscenio occidentale, le principali narrazioni materialiste ed economiciste.
E proprio la costitutiva “bipolarità” dell’Occidente, sempre in bilico tra razionale ed irrazionale, tra narrazioni materialiste e slanci verso l’Assoluto, fenomeno questo, unico nella storia delle civiltà, proprio questa, dicevamo, sarà il “quid” che salverà il mondo da quella catastrofe rappresentata dal Globalismo e da tutte le sue ricadute. E pertanto, nel caso dei pensatori post moderni, alla Vattimo o alla Deleuze, non mi pare proprio sia il caso di parlare di “pensiero debole”, quanto più appropriatamente di “pensiero elastico”, in grado di adattarsi e contrapporsi alle spire del pensiero unico, ritornando a far girare il Samsara della Storia. Forse qualcuno obietterà che, probabilmente non era questo che i Vattimo, i Deleuze o i Derrida intendevano.
Non importa. L’enunciazione di un Pensiero, è un qualcosa che si fa vera e propria forza autonoma, esotericamente parlando “Eggregore”, che va procedendo verso conclusioni che, neanche i propri creatori potevano minimamente immaginare. E’ quella che, filosoficamente, potremmo definire quale “eterogenesi dei fini”, della quale l’ ermeneutica filosofica rappresenta una delle più pregnanti espressioni. E questo, con buona pace di tutti i superficiali cantori di quel pensiero “mainstream” oggi tanto in voga, ma anche tanto in crisi.
BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO:
- VATTIMO: Le avventure della differenza, Garzanti, Milano,1980
- Il pensiero debole, Feltrinelli, Milano,1983(a cura di G. Vattimo e P. A. Rovatti)
- G.DELEUZE: Nietzsche e la filosofia (1962), tr. Salvatore Tessinari, Colportage, Firenze 1978 e tr. Fabio Polidori, Feltrinelli, Milano 1992; poi Einaudi, Torino 2002
- L’Anti-Edipo (1972), volume I di Capitalismo e schizofrenia, tr. Alessandro Fontana, Einaudi, Torino 1975
- D’AGOSTINI: Breve Storia della filosofia del Novecento-Einaudi, 1971;
- FOUCAULT: L’archeologia del sapere (1969), trad. Giovanni Bogliolo, Rizzoli, Milano 1971.
Umberto Bianchi