Siamo Elleni: gli scritti politici di Giorgio Gemisto Pletone – Giovanni Sessa
È in libreria un volume davvero importante. Si tratta di, Siamo Elleni. Scritti politici di Giorgio Gemisto Pletone. Per la prima volta, il lettore italiano ha a disposizione nella propria lingua (con testo greco a fronte) saggi cruciali del filosofo che ispirò a Cosimo dei Medici la fondazione dell’Accademia neoplatonica di Careggi. Il libro è edito da Mimesis per la cura e traduzione di Moreno Neri che ha dato vita, in sequela con la pubblicazione dei quattro volumi del Corpus eremetico, a un’altra opera monumentale. Il suo saggio introduttivo è, infatti, una monografia organica che consente di entrare nelle vive cose della speculazione di Gemisto. Per non dire dell’apparato delle note, ricco e rilevantissimo, in cui viene discussa l’intera letteratura critica, antica e moderna, prodotta attorno al neoplatonico (per ordini: mimesis@mimesisedizioni.it, 02/24861657, pp. 623, euro 38,00).
Il tomo è costituito da i Memoriali del Peloponneso (Raccomandazione a Teodoro, Memoriale a Manuele II): «Questi due testi, scritti durante il 1416-1418, sollecitano l’introduzione di riforme radicali nel Despotato» (p. 24). Il primo è indirizzato al Despota di Morea (Peloponneso), discorso consultivo in stile antico. Il secondo, diretto all’Imperatore, scende nei dettagli delle riforme politiche che Pletone avrebbe voluto realizzare. Nel volume è contenuta la lettera di Gemisto All’Imperatore, spesso citata con il titolo Sull’istmo. Fu scritta nel 1415, in vista della visita di Manuele II a Mistrà. Chiude il volume uno scritto del 1451, Indirizzo a Demetrio, Despota di Morea, che più tardi avrebbe contribuito alla distruzione dell’opera più significativa del pensatore, il Trattato delle Leggi.
Per comprendere appieno la proposta politica del filosofo, è necessario tener presente che egli si colloca entro una linea di pensiero: «che comincia dal riformatore persiano Zoroastro, prosegue con Pitagora e Platone e le loro rispettive scuole fino al platonismo di Mistrà (città che sorgeva nei pressi dell’antica Sparta), da lui rappresentato» (p. 8). Nato nella seconda metà del XIV secolo in una famiglia appartenente all’alta burocrazia ecclesiastica di Costantinopoli, fu educato alle sette arti liberali per poi trasferirsi, lo ricorda Giorgio Scolario, cristiano e nemico giurato di Pletone, in Turchia. Venne in contatto con Elisha, dotto giudeo, adepto: «della falsafa, la tradizione filosofica greco-musulmana in contatto con i […] discepoli della scuola sufi di Sohrawardi, che almeno tre secoli prima di Gemisto aveva effettuato la congiunzione di Zoroastro e Platone» (p. 12). In questi ambienti apprese che un’idea vera non può essere nuova, in quanto la verità non è un prodotto dello spirito umano, esiste indipendentemente da noi. A riguardo, precisa Neri: «L’esoterismo […] è una Tradizione anteriore a tutte le forme esteriori, particolari e religiose, che si contrae in pochi principi» (p. 15). Formatosi nel mileu di Elisha, il filosofo individuò i limiti della situazione politica-spirituale in cui versava lo Stato bizantino e iniziò a prendere le distanze dalla visione cristiana del mondo.
Si convinse che il Cristianesimo avesse fatto sprofondare l’Impero bizantino in una crisi senza soluzione. La sua proposta politica si configura quale tentativo di ri-ellenizzare, di ri-paganizzare la Grecia. Il suo è stato un esempio ante litteram di “nazionalismo” ellenico. La lettura dei suoi scritti, consente di sostenere che egli tentò di riconciliare religione e polis: «Per far diventare cives gli Elleni […] gli abitanti della Grecia bizantina avrebbero dovuto accettare delle leggi e riconoscersi in uno Stato legittimato […] da narrazioni storiche e figure esemplari, nonché da riti» (p. 17). Scolario ritenne che Gemisto avrebbe dovuto, a causa di tali tesi, essere allontanato da Costantinopoli. L’amicizia di Manuele II salvò il Nostro, che fu inviato quale magistrato a Mistrà, dove fondò una fratria. Tra i suoi allievi va annoverato Bessarione. Al volgere del secolo, il Despotato viveva una situazione particolare, era: «simultaneamente sull’orlo della distruzione e sull’orlo di una completa vittoria sui suoi vecchi invasori» (p. 22). Tale stato di crisi, indusse Pletone a pensare a uno Stato altro da quello in cui gli era toccato in sorte di vivere. Uno Stato fondato sul modello platonico-spartano, ma rivolto al futuro, a un possibile Nuovo Inizio.
Nei due Memoriali Pletone propose una serie di riforme: individuò nella monarchia, la miglior forma di governo. Una monarchia temperata grazie al Consiglio dei Sapienti, preposto a supportare il sovrano. I cittadini avrebbero dovuto esser divisi in classi: governanti, agricoltori-allevatori, mercanti e artigiani. Dei governanti erano parte i combattenti, sollevati dallo svolgere altre attività, affinché ponessero massima attenzione alla preparazione della guerra. Il nuovo esercito doveva essere costituito da “concittadini e patrioti”, non da mercenari. Sarebbe stato necessario, inoltre, riformare il sistema fiscale: «L’imposta fondiaria, pagabile in natura, dovrà essere determinata in proporzione alle capacità di ciascun contribuente e sarà unica» (p. 47) e realizzare l’autarchia economica attraverso l’introduzione di una moneta locale e la limitazione della circolazione delle valute estere. Si dovevano stabilire leggi eque e non vessatorie. Solo una Costituzione giusta avrebbe garantito la ripresa del Peloponneso, propedeutica al rafforzamento della compagine bizantina.
(sarcofago con i resti di Giorgio Gemisto Pletone, presso il tempio Malatestiano a Rimini)
Pletone ebbe notevole interesse per l’economia, ambito nel quale ripropose il “comunismo” platonico. In realtà, tale riforma non mi mirava all’abolizione della proprietà terriera, ma a una sua ridistribuzione atta a colpire le rendite improduttive dei latifondisti e quelle degli ordini monastici parassitari. Tale comunismo era, peraltro, giustificato, in termini sacrali, con riferimento alla Terra Magna Mater, da cui tutto trae origine e al cui possesso tutti dovrebbero, pertanto, partecipare. Gemisto, ben lo chiarisce Neri in una puntuale decostruzione della critica popperiana a Platone, non fu né utopista in senso moderno, né sostenitore di uno Stato totalitario: «Il suo nazionalismo […] è chiaramente un mito politico progettato per neutralizzare sia l’ideologia cristiana […] sia il feudalesimo degli indisciplinati signori terrieri» (p. 99). Il suo era uno Stato organico. Il platonismo del pensatore è un tentativo di diagnosi-terapia del nosos, della “malattia” politico-spirituale del tempo. Eric Voegelin chiamò tale tentativo esperienza classica della ragione. Essa presuppone quale condizione dell’ordine politico, l’ordine dell’anima individuale sintonizzata sul nous cosmico.
La proposta di Pletone è espressione della philosophia perennis, della Tradizione. Le sue spoglie riposano nel Tempio malatestiano di Rimini, simbolo della possibile Rinascenza di un’origine sempre presente. Il Nuovo Inizio per il quale Gemisto si spese, è compito che anche l’età contemporanea dovrebbe tornare a porsi. Le pagine di Siamo Elleni sono viatico indispensabile per lasciarsi alle spalle la tirannia del moderno.
Giovanni Sessa