Quel che di Vattimo ci rimane – Simone Santamato
La morte di Gianni Vattimo scuote il panorama filosofico Italiano. Purtroppo non ho avuto il piacere di fare la conoscenza di Vattimo ma, come spesso accade, con gli autori ci si confronta leggendone i testi. Lo studio porta effettivamente a dialogare con degli sconosciuti che mano a mano diventano familiari. Insomma: non posso dire di aver conosciuto Vattimo ma posso dire di avere gustato quanto volesse che di lui si tramandasse. Il lemma testo non a caso richiama un lavoro di tessitura o intreccio[1], quasi come la sua stesura lo inserisse nella fabula dello scibile umano.
Con questo articolo di commiato, vogliamo aprire la strada a ciò che Vattimo ci lascia da pensare. Com’è noto, il pensiero vattimiano si sviluppa principalmente dalle filosofie nietzschiane e heideggeriane. Attraverso queste due matrici Vattimo ha tentato di tirare le redini della contemporaneità, specie in La fine della modernità (Garzanti, Milano 1985) e La società trasparente (Garzanti, Milano 1989). Malgrado questi due, il lavoro per cui viene ricordato di più è Il pensiero debole (Feltrinelli, Milano 1983), un miscellaneo curato da lui e Pier Aldo Rovatti. La proposta del collettaneo è semplice: le epistemologie moderne hanno fallito nel definire una volta per tutte il senso, perciò la contemporaneità deve basarsi su princìpi gnoseologici e ontologici deboli aperti a una pluralità di definizioni. La scientificità starà nel fatto che ogni fenomeno si presti a spiegazioni mai assolute: da qui l’aggettivo debole.
Il pensiero debole ritiene che la metafisica occidentale sia intollerante al divenire delle cose incasellandone in paradigmi assoluti il senso. Per questa ragione, la filosofia vattimiana avanzerebbe un’idea coerente dei fenomeni accettandone l’intrinseco fluire. Lo spartiacque creato dal pensiero debole ha origini molto antiche, posizionandosi nella diatriba tra divenire dinamico e divenire statico delle filosofie eraclitee e parmenidee. Nella contemporaneità Italiana le due posizioni sono incarnate da un lato da Vattimo e dall’altro dal parmenidismo di Severino: queste due prospettive diametralmente opposte costituiscono in effetti l’eredità odierna della filosofia classica. La storia percorre il suo inesorabile cammino e gli strumenti del filosofare certo cambiano, ma in fondo il desiderio di conoscenza si scontra sempre col dualismo tra divenire e assolutezza. Questo non solo in ambito filosofico ma pure scientifico, come ben testimonia un lavoro di Kuhn del ’62, La struttura delle rivoluzioni scientifiche (Einaudi, Torino 2009), del quale Vattimo aveva contezza.
Il pensiero debole è quindi un atteggiamento filosofico avanguardistico che sintetizza tendenze diffuse non già solo nella scienza, come abbiamo visto, ma pure in antropologia con l’interpretative turn geertziano[2]. Mi sembrava importante dare queste coordinate perché fosse chiaro che la matrice vattimiana non spunti ex abrupto ma sia portavoce di un sentire ben più diffuso. Sicuramente prende piede dal modo di fare filosofia post-nietzschiano[3], del quale Vattimo si è dimostrato grande erede, ma è altresì vero che quasi tutte le scienze videro una svolta nella seconda metà del Novecento.
Nella linea del tempo del nichilismo, F. Volpi posiziona Vattimo nelle risposte Italiane al sintomo dello svuotamento di valori[4]. Prendendo le mosse dal suo maestro Pareyson, Vattimo configura il pensiero debole da quello che il nichilismo stesso vuole dirci: il senso aborrisce ogni categorizzazione forte. La risposta di Vattimo alla piaga nichilista è di rilanciare gli strumenti di indagine in modo tale che rispettino, a suo modo di vedere, l’intrinseca mutabilità del reale.
Il mondo che ci consegna il nichilismo è quello della pluralità e della debolezza – intesa in senso sprezzantemente filosofico – e, per tutte queste ragioni, il pensiero di Vattimo aderisce benissimo alla vulgata contemporanea della globalizzazione e delle filosofie pluraliste. Nonostante Vattimo si ritenesse un comunista cristiano[5] contro l’industrializzazione dello stalinismo, del capitalismo e della globalizzazione post-moderna, il suo pensiero si presta al globalismo più di molti altri. In compagnia di Vattimo c’è soprattutto la Francia con la filosofia di J.-L Nancy che, col suo Essere singolare plurale (Einaudi, Torino 2021), propone prospettive ontologiche affini alla pluralità globalizzata[6]. L’indagine vattimiana fatta di analisi deboli e mai assertive asseconda uno schema di approccio plurale vicino alla con-ontologia secondo cui il senso sta nella pluralità.
Com’è evidente, la filosofia di Vattimo è dentro una costellazione ben precisa di orientamenti di pensiero che studiano la contemporaneità. Condivisibili o meno, le sue ricerche contribuiscono a tirare le fila di un nuovo mondo post-nichilistico dove i vecchi bisturi di indagine faticano a incidere il loro taglio nel velo della verità. La visione di Vattimo regala un mondo impossibile da incasellare sotto duri regimi epistemologici ma studiabile solo circumnavigandone la verità. E infatti un’altra delle sue più importanti ricerche porta il nome di Addio alla verità (Meltemi, Milano 2009).
Ciò che Vattimo ci lascia in eredità credo sia la domanda sulla verità: la sua risposta potrebbe non soddisfare tutti, e ammetto non soddisfi neanche me, ma fa centro ponendo sul tavolo prospettive coerenti con l’andazzo dei nostri tempi. Vattimo è uno snodo importante della filosofia contemporanea Italiana e non solo, dal quale partire per capire dove stiamo andando e come ci stiamo andando. I suoi lavori ci mettono nella condizione di interrogarci sull’attualità, sui suoi meccanismi e le sue nuove logiche: per fare filosofia oggi, bisogna sicuramente incontrare o scontrare Vattimo.
Note:
[1] Cfr. vocabolario online Treccani, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, lemma “testo”. URL: https://www.treccani.it/vocabolario/testo1/ (ultimo accesso: 20 Settembre 2023)
[2] Cfr. C. Geertz, The Interpretation of Cultures: Selected Essays, Basic Books, New York 1973; tr. it. di E. Bona, a cura di M. Santoro, Interpretazione di culture, Il Mulino, Bologna 1998.
[3] Per l’attinenza con quanto discutiamo, crediamo bene rimandare a F. Nietzsche, Frammenti postumi, 1885-1887, tr. it. di S. Giammetta, Adelphi, Milano 1975, 7 [60]: “Contro il positivismo, che si ferma ai fenomeni: ‘ci sono soltanto fatti’, direi: no, proprio i fatti non ci sono, bensì solo interpretazioni”.
[4] Cfr. F. Volpi, Il nichilismo, Laterza, Bari 2004, pp. 159-160.
[5] Cfr. I. Angus, Interview with Gianni Vattimo: “Only Weak Communism Can Save Us”, in “MR Online”, 5 Gennaio 2023.
[6] Abbiamo approfondito l’argomento in S. Santamato, Quale umanità nel XXI secolo, in “Pagine Filosofali”, 29 Marzo 2023.
Simone Santamato