Zend-Avesta di Gustav Theodor Fechner: le riflessioni di Giovanni Sessa
Faccia attenzione il lettore! Il libro, Zend-Avesta. Pensieri sulle cose del cielo e dell’al di là di Gustav Theodor Fechner è un testo dal tratto decisamente inattuale: dalle sue pagine, infatti, si evince una visione del mondo, della natura e della vita umana, totalmente aliena dalle concezioni correnti, tanto religiose quanto laiche. In questo volume riemergono, sostenute da notevole impianto teorico, tesi panpsichiste e panteiste. La Oaks editrice ripropone questo libro nella versione italiana tradotta e introdotta da Remo Fedi, che vide la luce nel 1944. Date le idee oggi vigenti in tema di natura e, soprattutto, tenuto conto della rimozione dell’idea della morte dalla vita quotidiana delle società dominate dalla tecno-scienza, un libro quale Zend-Avesta può essere letto come vera e propria provocazione e determinare scandalo intellettuale. Ci auguriamo vivamente che ciò accada. Abbiamo, infatti, estremo bisogno di mettere in discussione le false certezze su cui il nostro mondo è stato costruito. Nella società liquida o iper-industriale, dominata dagli apparati della governance e dalla tecnica, l’idea del limite e della caducità della vita, così come il tener conto del memento mori, sono stati sostituiti da un salutismo sanitario che, a seguito della pandemia da Covid 19, ha assunto tratti liberticidi e parodistici. Il prolungamento della vita, prima di tutto! Questo l’imperativo vigente nelle società a capitalismo avanzato.
È in atto una guerra dichiarata alla vecchiaia, realizzata attraverso il ricorso ai più diversi espedienti terapeutici, chirurgia plastica inclusa. Questo è il mantra prevalente nell’attualità deprivata di profondità e spessore simbolico. Per tali ragioni, il volume di Fechner può assurgere al ruolo di sasso gettato nelle acque stagnanti della cultura egemone dei nostri giorni. L’autore, infatti, è latore della concezione dell’animazione universale del cosmo, afferma che tutto vive, tutto è animato, persino il mondo minerale è attraversato dall’interno da moto animico. Inoltre, egli si confronta con la problematicità della morte, tentando (nientemeno!) di descrivere la vita nell’al di là, secondo canoni assai diversi da quelli propri alla religione che è divenuta dominante in Occidente […]. Sappia, inoltre, il lettore che questa versione dello Zend-Avesta è la traduzione della silloge, curata in Germania da Max Fischer, che questo studioso trasse dai tre volumi di Fechner.
Nella prefazione allo Zend-Avesta, Fedi così si esprime sul libro: «Un inno alla vita […] scritto profondamente sincero e sentito, non traviato dalle correnti di pensiero che erano in voga quando esso venne alla luce […] ed esprimente il vivo anelito dall’autore di superare i grandi […] ostacoli che si pongono dinnanzi a coloro che si propongono di rompere […] il fitto velo tra l’al di qua e l’al di là» . Il lettore non sia tratto in inganno: la scelta di questo titolo non rimanda al libro sacro dello Zoroastrismo, ma al significato letterale di tale espressione, “parola vivente o di vita”. Da queste pagine emergono le qualità dell’uomo Fechner: l’amabilità, la sincerità, innanzitutto, ma anche la non celata ingenuità intellettuale. Il volume è diviso in due parti. Nella prima il filosofo presenta e discute la dottrina panpsichista, nella seconda, dal tratto mistico, sia pur accompagnato da una razionalità non superficiale, si confronta con l’inusitato tema della vita nell’al di là, sulla base delle conclusioni cui egli giunge nella prima parte dell’opera.
Concordiamo in toto con Fedi. Quest’opera rappresenta un momento significativo del ripresentarsi nel pensiero moderno della philosophia perennis. In essa, in funzione di medium tra afflato mistico e ricerca razionale, Fechner chiama in causa l’analogia, da sempre strumento di conoscenza nel pensiero di Tradizione. Tutto è Uno: da tale constatazione-asserzione, il pensatore fa discendere la complementarietà di fisica e psicologia, l’esser uno di anima e corpo. Del resto, a dire dello studioso: «La terra è un organismo vivente, animato come quello degli uomini, per quanto l’animazione del primo sia di un ordine superiore a quella del secondo». Gli uomini in fondo, in tale concezione, altro non sono se non gli organi della sensibilità terrestre. Ciò induce, di conseguenza, a guardare anche ai corpi celesti come enti animati: «Ciò equivale a dire che la coscienza umana è un gradino sulla scala della coscienza divina». Ne consegue che il cosmo animato di Fechner risulti essere organismo gerarchizzato e animato, in cui il basso partecipa dell’alto. Una visione questa, ne era ben cosciente l’ingenuo scienziato, che sarebbe stata duramente criticata e respinta dalle vestali del sapere egemone (positivista) in Europa alla metà del secolo XIX. Nonostante ciò, egli ha la certezza: «che la sua visione […] lascerà dietro di sé una scia di pensiero della quale dovranno tener conto anche gli avversari». Nella seconda parte, Fechner cerca di presentare, alla luce della chiaroveggenza che riteneva di condividere con Swedenborg, il mondo dell’al di là. Poiché in vita altro non siamo che sensazioni dello spirito della terra: «sopravvivremo in qualità di “ricordi” nello stesso spirito».
Si tratta, pertanto, di un post mortem mnemonico. Non si dimentichi a riguardo che, per il Nostro, spirito e materia si danno in uno. Tutto è spirito ma, nel mondo dei fenomeni: «una parte dell’essere […] assolve una funzione strumentale rispetto all’altra» . Fedi, con pertinenza argomentativa, nota come in Fechner sia possibile cogliere un’anticipazione della concezione della materia quale funzione dell’energia […]. Il pensatore muove dal rilevare un fatto incontestabile: la scienza moderna, analitica e parcellizzante, ha perso di vista il tutto della natura e, per di più, ha espulso il Principio dalle indagini naturalistiche. Constata, inoltre, come tale atteggiamento appaia al senso comune del tutto legittimo senza, in realtà, esserlo. A tale stato delle cose, chiosa Fechner, si può rispondere solo istillando dubbi, indicando altre possibili vie di indagine. Rispetto all’anima, possiamo avere consapevolezza solo della porzione che ci appartiene individualmente. Al contrario, per approssimarsi all’anima mundi, conditio sine qua non è tornare a guardare alla mediazione rappresentata dall’anima della Terra. Il filosofo suggerisce al lettore di prendere atto che tutto sulla Terra è in moto e che i singoli movimenti degli enti sono il prodotto dell’energia del tutto.
La motilità degli enti ci dice che tutto è vivo, metamorficamente orientato. L’approccio analitico-moderno coglie una sola parte del vero della natura. I primi uomini, come rilevò Vico, “sentivano” la natura e sapevano: «che il sangue scorreva sotto l’influsso dell’anima; che la loro respirazione dipendeva da un quid animato». Il corpo della natura, sezionato nelle sue parti e indagato dalle scienze cui compete indagare quel dato settore del reale, è ridotto alla staticità del cadavere: «L’errore principale di questo modo di vedere consiste nel contrapporre […] il regno dell’organico a quello dell’inorganico». Al contrario, bisognerebbe aver contezza che: «Uomini ed animali sono […] le membra della Terra, nelle quali ha sede la massima energia di commistione e di integrazione di tutte le materie terrestri e dei loro rapporti». Se alla Terra si potessero togliere uomini, animali e piante, essa assumerebbe le fattezze di un tronco morto. Terra ed esseri viventi sono in stretta relazione, si appartengono: tutto è in tutto.
La Terra pensa, dunque! Pensa attraverso le anime che la abitano e noi, ad ogni percezione aggiungiamo, attraverso un quid più elevato dell’esperienza sensibile, proveniente dallo spirito universale, un’ulteriorità conoscitiva. L’uomo collabora, quindi, con l’anima mundi all’accrescimento della reciproca consapevolezza. Interesse e volontà dei singoli uomini collimano con la volontà della “coscienza terrestre”. Tutti gli enti sono legati alla terra da rapporti simpatetici. Dell’anima abbiamo contezza attraverso il corpo e: «dello spirito divino […] mercé quanto avviene materialmente nel mondo». Tutto ci viene trasmesso e comprendiamo tramite luce e suono: del Principio non c’è dato di dire: «altro ch’esso è caratterizzato dalla capacità d’apparire in un duplice modo, ossia come entità spirituale quando appare a se stesso e come entità corporea quando appare ad un altro» . Dio e mondo sono una medesima cosa. L’universale vive solo nella particolarità degli enti: «È questa la visione panteistica del mondo. Anche la nostra visione è panteistica». Pertanto: «La parte di entità divina che abbiamo in comune con Dio la cogliamo come spirito; tutto ciò che resta appare a noi corporalmente, materialmente come natura, come mondo». […] Si tratta di una filosofia rammemorante, in grado di ripresentare un patrimonio sapienziale antichissimo ma, al contempo, capace di parlarci in termini di filosofia futura. Per questo, quanti siano interessati all’elaborazione di una cultura del “Nuovo Inizio” troveranno in Fechner stimoli e suggestioni di grande pregnanza.
[…] In queste pagine, il filosofo sostiene la morte essere un cammino, momento apicale di un percorso inconcluso. In essa, la vita si dilata in un’intensità superiore a quella sperimentata prima del trapasso. La coscienza coniugata alla sensibilità, intesa in termini neoplatonici ed eckhartiani da Fechner, consente al pensatore tedesco di superare l’idea moderna di soggettività e di corrispondere a un’esigenza particolarmente sentita in età romantica. I romantici tentarono, infatti, di individuare i tratti salienti di una personalità sintonica nei confronti del cosmo: una personalità plurima, dinamica e pensarono di averla rintracciata nel genio […] Nel panpsichismo cosmico fechneriano tutto è interconnesso e pertanto nulla, che sia effettivamente nostro, va perduto: «quel che noi pensiamo o sentiamo […] resta intrecciato nel tessuto dell’esistenza individuale e della Terra nel suo complesso dinamico, secondo modalità […] che comprenderemo invece nell’aldilà». Più nello specifico, nell’attimo della morte: «l’uomo raggiunge di colpo la consapevolezza di tutto quel che […] continua ad agire e a vivere», rilevando la forza che lega, in solidarietà comunitaria, i vivi ai trapassati, la potenza della Tradizione. Questi possono, come antichi rituali testimoniano, in primis romani, “sentirsi” e “incontrarsi” attorno al mundus anche con gli ad-venienti, i futuri.
[…] La natura insegna che il permanente è sempre nel transeunte, l’uno nei molti, l’Atto puro indica un divino che vive nelle cose tutte: «Non un divino che avremmo il compito di cercare al di là della Natura».
Eraclito, più di ogni altro, ha mostrato la relazionalità degli opposti. Il polemos e l’armonia, in lui e per i Greci: «alludono a una sola e medesima realtà», oltre ogni dualismo. Per tale ragione, tornare a guardare l’animazione della natura con Fechner è, a giudizio di chi scrive, l’unico modo per superare l’impasse speculativa ed esistenziale che caratterizza i nostri giorni […].
(estratto della prefazione di Giovanni Sessa al volume di Gustav Theodor Fechner, Zend Avesta. Pensieri sulle cose del cielo e dell’al di là, Iduna editrice, pp. 262, euro 20,00)
Giovanni Sessa