Grande ospizio occidentale: il “tramonto dell’Occidente” secondo Eduard Limonov – Giovanni Sessa
Il panorama letterario nazionale, da decenni, registra il successo di autori e testi sintonici all’ “intellettualmente corretto”. Rari sono stati i casi di scrittori e pensatori che sono riusciti ad affermarsi con opere chiaramente dissidenti nei confronti della cultura mainstream. Questa volta, crediamo riuscirà nell’intento Eduard Limonov con un libro pubblicato da Bietti, Grande ospizio occidentale, per la cura di Andrea Lombardi (pp. 233, euro 21,00). Si tratta di pagine che, tanto sotto il profilo letterario, quanto dal punto di vista dei contenuti, trasudano potenza. La prosa di Limonov è caustica, sferzante nei confronti degli idola del presente post-moderno, ma accattivante, atta a coinvolgere il lettore. Il volume si legge d’un fiato. Ma chi era Limonov, deceduto per cancro, nel 2020, nel bel mezzo delle restrizioni causate dalla pandemia da Covid-19? Lo chiarisce, nell’ introduzione, il filosofo Alain de Benoist: «Poeta e teppista, vagabondo e maggiordomo, miliziano filo-serbo durante la guerra in Bosnia […] oppositore nel cuore, pazzo della letteratura, amante delle donne e delle risse, oppositore e poi sostenitore di Putin» (p. 11).
Limonov, al crollo dell’URSS, fondò con Dugin (i destini dei due avrebbero in seguito preso strade diverse) il Partito Nazional-Bolscevico. Nato in Russia, ma vissuto a lungo in Ucraina, lo scrittore conosceva profondamente la realtà del mondo occidentale, avendo a lungo abitato a New York e, a partire dall’inizio degli anni Ottanta, a Parigi. La biografia romanzata a lui dedicata da Emmanuel Carrère, pubblicata in Italia da Adelphi, lo ha, qualche anno fa, portato alla ribalta della cronaca. L’edizione italiana di Grande ospizio occidentale è la traduzione dell’edizione francese del 2016. In realtà, il volume fu scritto da Limonov, tra il 1988 e il 1989. La tesi centrale è esemplificata dal titolo. Vivere nelle società occidentali (si badi, per Limonov al loro novero appartengono anche la Russia e la Cina), è come soggiornare in una RSA. L’Occidente è un ricovero per anziani “malati”, ridotti in stato pre-comatoso dal capitalismo cognitivo (per lo scrittore, la Francia della fine degli anni Ottanta, ne è stata paradigma esemplare), che hanno perso da tempo lo slancio faustiano, l’energia vitale che permise loro di proporsi al mondo quali creatori di civiltà: «Un ospizio gestito dalle autorità pubbliche (qui chiamate “amministratori”) e popolato da pazienti che vivono sotto sedativi» (p. 13). Tutto è senescente, deprivato di vera vita.
Limonov muove dalle pagine di 1984 di Orwell, opera letta non quale profezia politica, ma in termini di semplice registrazione e descrizione della violenza esplicita di cui si servirono i totalitarismi del Novecento per opprimere o eliminare le minoranze dissidenti. Al contrario, il potere che viene esercitato dagli “amministratori” nell’ Ospizio ha tratto soft: muove dal controllo psicologico- immaginale delle masse, ed è ancor più pervasivo e pericoloso del potere totalitario del passato. Infatti: «oggi […] la tv controlla la popolazione. Ma lo fa attraverso ciò che mostra, non osservandola» (p. 23). La violenza morbida si basa sullo sfruttamento delle debolezze degli asserviti che vengono spinti a considerare, quale unico orizzonte esistenziale possibile, il conseguimento del benessere materiale fine a se stesso. Le masse contemporanee sono indotte a pensare alla povertà come qualcosa di disdicevole, hanno il terrore della crisi economica, prospettata come incombente e della conseguente disoccupazione. L’abitante dell’Ospizio: «Sbigottito dai giocolieri dei tassi, al rullo di tamburi della statistica, […] immerso nel brusio di una musica pop sempre più volgare […] l’abitante […] delle prospere città industrializzate compie una corsa accelerata dalla nascita alla pensione» (p. 28). Questa umanità dimidiata ha terrore della libertà, delle scelte individuali e divergenti, del pensiero critico. Del resto, il precetto principe vigente nell’Ospizio, individua nell’“Agitato”, un soggetto estremamente pericoloso, da marginalizzare e isolare.
Per sedare le masse e costringerle all’abbraccio inestricabile alla mera realtà materiale del mondo, si ricorda loro, sovente, l’esito che ebbe è potrà avere, il pensiero degli “Agitati”. In questo senso le immagini di Auschwitz o del Gulag svolgono un ruolo “educativo” e sedativo, oppure si utilizzano allo scopo quelle che provengono dagli “esterni” all’Ospizio, dal Terzo Mondo in cui si muore di fame. Il malato modello è colui che aderisce pienamente alla “vita assicurata” che l’Ospizio dispensa con generosità. Tra gli “Agitati”, i più pericolosi sono da individuarsi in coloro che, in un mondo che ha di fatto obliato il senso della virilità e del rischio, del dispendio, tornano a guardare all’Eroe quale figura di riferimento per un futuro possibile. Le loro ambizioni sono stroncate sul nascere: a ciò provvede il revisionismo storico, che mette in atto, nei confronti di “Agitati” emergenti, la consueta reductio ad Hitlerum. Nuovo modello antropologico è, al contrario, da individuarsi nella Vittima. Nell’Ospizio vive a proprio agio l’ “ultimo uomo” nietzschiano, la cui vita si sostanzia di “mezze passioni del giorno e di mezze passioni della notte”. Un uomo che ha obliato il senso del destino.
Sue uniche preoccupazioni sono la ricerca del piacere, sempre più degradato, e della prosperità, per conseguire le quali si è dato luogo alla devastazione della natura. Egli vive un’eterna adolescenza ludica: «Indossando colori puerili e sgargianti, come fosse un pagliaccio, l’homo hospitius trasforma la propria esistenza in un fotoromanzo» (p. 153). Un fotoromanzo posto sotto tutela dalle percentuali, dalla società digitalizzata, da coloro che creano l’informazione propinata al Popolo, sorta di divinità solo a parole intoccabile, ma di fatto violata ogni giorno nella sua dignità. Un dogma vige su tutti: «Mai e poi mai disturbare la pace del mondo televisivo, specchio dell’immacolata armonia dell’Ospizio» (p. 171). La musica pop divenuta must concorre a distrarre i giovani: «dal loro compito ancestrale, un istinto puramente biologico che li spinge a strappare il potere ai vecchi» (p. 179), così come il sesso “libero” che: «toglie energia a una pulsione […] intrinsecamente più forte, l’istinto alla dominazione» (p. 188).
Limonov ritiene che, per uscire dalla stagnazione in cui versa l’Ospizio, sia necessario riaprire le porte alla vita, alle passioni, al dolore, alla natura. Recuperare senso e significato dello spendersi per se stessi e per la comunità. Felice, dunque, è solo il mondo capace di onorare gli Eroi!
Giovanni Sessa