Le origini del Pentateuco biblico – Luigi Angelino
Con il termine composto “Pentateuco” di chiara derivazione greca, si designano i primi cinque libri dell’Antico Testamento che, ancora oggi, rappresentano il cuore pulsante delle scritture recitate in ogni sinagoga. In ambiente ebraico questi testi, scritti su rotoli di pergamena, sono noti con l’espressione “torà”, cioè la legge che comprende i principi fondamentali della religione del popolo di appartenenza (1). Lo stile adoperato nei primi cinque libri della Bibbia è prettamente narrativo. Attraverso immagini suggestive ed, in alcuni casi, contraddittorie, si racconta il progetto di salvezza proposto da Dio all’umanità, partendo dal momento della creazione, passando per le peripezie del popolo di Israele e la loro drammatica partenza dalla terra d’Egitto, fino alla consegna dei dieci comandamenti per diretto intervento divino al grande patriarca Mosè. Il Pentateuco, infatti, termina proprio con la morte di Mosè, poco prima che gli Israeliti raggiungano la tanto sospirata Terra promessa di Canaan (2).
I titoli ebraici dei libri della “Torah”, a differenza di quanto avviene nella Bibbia cristiana, che hanno un’impronta tematica, traggono origine dalle parole iniziali del primo verso dei rispettivi testi che, in realtà, ne riflettono almeno in parte le caratteristiche essenziali: Genesi (Bereshit, “in principio”); Esodo (Shemot, “nomi”); Levitico (Vyikra, “ed egli chiamò”); Numeri (Bamidbar, “nel deserto”); Deuteronomio ( Devarim “parole”).
La tradizione ebraica, così come si è sviluppata attraverso i secoli nel “Talmud”, ritiene che la “Torah” sia stata redatta da Mosè, ad eccezione degli ultimi otto versi del libro del Deuteronomio (dal greco antico, “seconda legge”), in quanto essi descrivono la sua morte e sepoltura, eventi che di certo non potrebbero essere stati descritti di prima mano dal patriarca. La comunità accademica contemporanea, tuttavia, dopo decenni di studi accurati, sostiene che i primi cinque libri dell’Antico Testamento siano stati redatti da molteplici e sconosciuti autori e che la loro cristallizzazione finale sia il frutto di una riflessione spirituale durata secoli. La maggior parte degli esegeti considera plausibile l’ipotesi che la maturazione definitiva dei testi in questione sia avvenuta durante il periodo dell’esilio babilonese e che siano stati ultimati sotto il dominio persiano (parliamo quindi di un periodo storico che va dal VII al V secolo a.C.). A ciò, però, bisogna aggiungere un’altra importante considerazione che riguarda una scoperta avvenuta in epoca abbastanza recente, cioè nel 2004. Si tratta del ritrovamento di alcuni frammenti della Bibbia ebraica nella località di Ketef Innom (3), nei pressi di Gerusalemme, risalenti, secondo gli studiosi, all’VIII-VII secolo a.C. e, pertanto, ad un periodo antecedente alla “cattività babilonese”. Questa importantissima scoperta archeologica potrebbe dimostrare che un nucleo centrale della “torah” era stato redatto in un’età più antica, forse retrodatabile perfino alla guida politica e spirituale di Mosè (4).
In linea generale, secondo i biblisti più accreditati, la redazione finale della “torah” deriverebbe da quattro principali fonti scritte: quella “jahwista” (dalla traslitterazione tedesca dell’ebraico YHWH), la fonte elohista (dal termine “elohim”, gli dèi), la fonte sacerdotale (più dedita alla descrizione di pratiche cultuali), la fonte deuteronomica (più diffusa nel libro omonimo). Non mancano ipotesi alternative ed originali, come la possibilità che i testi contenuti nel Pentateuco siano stati originati dalla raccolta di frammenti letterari preesistenti e non dall’amalgama di veri e propri documenti religiosi, come invece presupporrebbe la “teoria delle quattro fonti” poc’anzi accennata.
I primi cinque libri dell’Antico Testamento costituiscono, quindi, la prima parte della rivelazione progressiva di Dio all’uomo. Nel libro della Genesi è descritta la creazione, la caduta dell’essere umano nel peccato, la promessa di redenzione, nonchè le basi della stessa civiltà e della solida alleanza tra Dio ed il suo popolo prediletto, Israele. Questa alleanza diventerà universale per il genere umano, soltanto con l’avvento di Gesù Cristo, non a caso definito da Paolo di Tarso come il “nuovo Adamo” (5). Il secondo libro è l’Esodo che racconta la liberazione del popolo ebraico, come opera mirabile di Dio dopo circa 400 anni di schiavitù in Egitto, ma che soprattutto contiene le istruzioni emanate direttamente dall’Essere Supremo, tra cui primeggiano i Dieci Comandamenti. Nel terzo libro, il Levitico, sono sviluppate le regole su come il popolo di Israele deve adorare il proprio Dio e su come deve governarsi, evidenziando una profonda unione tra religiosità e politica. L’antico popolo di Israele era senza dubbio uno stato ad ispirazione teocratica. Il Levitico deve la propria etimologia alla tribù di Levi, la compagine sacerdotale, che elabora un capillare sistema di sacrifici e di rituali, per esprimere la propria devozione a Dio. Il quarto libro è quello dei Numeri, da molti esegeti considerato, a giusta ragione, un testo storico che narra gli eventi più importanti occorsi al popolo di Israele durante i presunti 40 anni di vita nomade nel deserto. Anche in questo libro sono contenute molteplici regole su come esprimere la propria devozione a Dio, in un compendio logico-normativo che sarà destinato a sopravvivere nei secoli, almeno nel suo nocciolo originario. L’ultimo libro del Pentateuco è il Deuteronomio (seconda legge) che, secondo la tradizione, riporterebbe le ultime frasi pronunciate da Mosè prima che il popolo di Israele raggiungesse la tanto desiderata Terra Promessa. Per alcuni biblisti, sarebbe più corretto dare al termine composto di origine ellenica il significato di “ripetizione della legge”, piuttosto che di “seconda legge”, volendo rappresentare principalmente un rafforzamento della legge mosaica. Il patriarca, infatti, enuncia nuovamente i comandamenti di Dio, nonchè le benedizioni per gli osservanti e le maledizioni che sarebbero state riservate ai disobbedienti (6).
La “Torah”, nella ricca letteratura rabbinica, è considerata la fonte primaria delle cosiddette 613 “Mitzvot” (i 613 precetti), nonchè del maggior numero delle regole morali. E’ importante sottolineare, come nel “Talmud” ebraico, si ritenga che i libri della Torah non contengano esclusivamente un messaggio divino esplicito, ma che siano anche forieri di un messaggio intrinseco che può oltrepassare il tenore del significato letterale. Per i teologi ebraici, anche il più modesto segno inciso in quei testi sarebbe stato inserito direttamente da Dio con funzioni didascaliche. Per ricordare l’importanza sacrale di ogni segno, è stata inserita una “yod”, il più piccolo segno dell’alfabeto ebraico, nella frase : “Io sono il Signore tuo Dio”. Non bisogna dimenticare che la scriminante rabbinica, per considerare un libro canonico o meno, consiste proprio nel fatto che esso sia composto in lingua ebraica od aramaica, con la conseguenza che i testi redatti in lingua greca come il “Siracide” e la “Sapienza” sono considerati apocrifi ed accolti solo raccolta cristiana (7).
Come si è avuto modo di intuire, l’integrazione tra aspirazioni normative e narrazioni storiche rappresenta la cornice più importante dei primi cinque libri dell’Antico Testamento biblico. La teologia della legge, unita alla teologia della storia, composero un quadro di riferimento imprescindibile per la storia della salvezza del popolo ebraico. La protezione divina raggiunge il suo culmine con la liberazione dalla schiavitù d’Egitto e con la solenne proclamazione di alleanza sul monte Sinai. Tale alleanza, però, impose obblighi ai seguaci di Mosè con un procedimento rituale e normativo “ante litteram”. La scelta di Israele, così come descritta nei testi del Pentateuco, non fu altro che il compimento delle promesse fatte da Dio ai patriarchi, “in primis” ad Abramo e di seguito alla sua ricchissima discendenza. A partire dal libro della Genesi, i redattori prestarono una particolare e minuziosa attenzione alle “genealogie”, una caratteristica piuttosto comune nel mondo antico, dove spiccano determinate figure che saranno mitizzate dalle generazioni successive (8). Nella narrazione delle prime vicende riguardanti il popolo ebraico, sembra di assistere ad un rinnovamento continuo della prima alleanza stipulata con Adamo e poi da quest’ultimo infranta. Il secondo grande patto è stipulato con Noè, il terzo con Abramo, quello definitivo, almeno per il popolo ebraico, con Mosè. Per i Cristiani, invece, l’alleanza divina diventerà eterna soltanto con il sommo sacrificio di Gesù Cristo, allo stesso tempo, sacerdote, vittima ed altare. Il percorso storico del popolo di Israele fu sempre delineato alla luce della sua situazione contingente, senza però mai perdere di vista il traguardo escatologico lasciato intendere dall’unico Dio. Nel capitolo precedente abbiamo sottolineato come, presumibilmente, gli Ebrei siano passati dalla monolatria (adorazione di un unico Dio) al monoteismo (credenza dell’esistenza di unico Dio). Si tratta di due approcci teologici e culturali profondamente diversi: il primo non esclude l’esistenza di altre divinità, ma concentra la propria devozione su una soltanto di esse; il secondo, invece, sostiene la possibile esistenza di un unico essere eterno, primigenio ed immutabile. Ed è proprio su questa maturazione teologica che si basa fondamentalmente l’evoluzione della visione salvifica del popolo ebraico (9).
Vi sono pochi dubbi nel ritenere che il materiale informativo contenuto nei libri del Pentateuco sia stato amalgamato in maniera alquanto disorganica e confusa, con continue e costanti sovrapposizioni. Vi sono, infatti, numerose incongruenze, anacronismi, bruschi cambiamenti di stile, contraddizioni sociali e religiose, a cui si aggiunge l’utilizzo di generi letterari spesso in contrasto fra loro. Ciò conferma quanto detto in precedenza e cioè che gli autori siano stati molteplici e che si siano succeduti ad intervalli di tempo anche notevoli. E’ da tenere presente, tuttavia, che gli schemi narrativi dell’epoca antica erano del tutto diversi da quelli moderni: non si concepiva la “storiografia” e le esigenze erano per lo più celebrative e didascaliche. Nelle prime raccolte, i redattori non si preoccuparono affatto di dover inserire racconti contraddittori e doppioni che descrivevano lo stesso evento in maniera diversa. L’esempio, forse, più eclatante è rappresentato dalla duplice narrazione della creazione presente nel libro della Genesi dovuta, secondo gli esperti, alle distinte tradizioni “elohista” ed “jawista”. Per gli Ebrei nemmeno una virgola della presunta parola di Dio doveva essere sacrificata in nome della coerenza letteraria, metodo che, al contrario, inizieranno a coltivare soltanto gli autori greci e, successivamente, quelli latini. La stessa concezione del tempo delineata nel “Pentateuco” è sviluppata in senso lineare, con un punto di principio (la creazione) ed un punto di arrivo (la salvezza del popolo prediletto), a differenza di molte mitologie orientali e meso-americane, dove lo scorrere del tempo è assimilato a cicli o a spirali legate ad importanti eventi cosmici (10).
Nella tradizione ebraica e nella mistica del Cristianesimo medievale, il simbolo della stella a cinque punte, conosciuto anche con il nome di “pentagramma”, stava ad indicare, tra i suoi molteplici significati, anche i primi cinque libri dell’Antico Testamento. I Cabalisti sostengono, peraltro, che il pentagramma possa essere legato all’Adamo celeste, inteso come “Logos”, ossia l’essere perfetto e metafisico, che avrebbe ricevuto la stessa energia dell’albero della vita e che sarebbe stato plasmato, come dice la Genesi, ad esatta somiglianza di Dio. Come avveniva in ambiente classico, dove si attribuiva molta importanza alla simbologia dei quattro elementi (aria, acqua, fuoco e terra ) in aggiunta all’etere, così il pentagramma cabalistco univa i quattro principali fenomeni visibili alla quintessenza, responsabile di attivare e di soffiare la linfa vitale sui primi quattro. E nell’interpretazione dei libri del Pentateuco, gli appassionati di “Cabala” ritengono che ne esistano due possibili letture: la prima, quella più superficiale, sarebbe destinata al popolo, mentre la seconda, più profonda ed ermetica, sarebbe comprensibile soltanto dagli iniziati. La stessa Cabala si impone come “un eterno interrogativo”: basti pensare al fatto che il valore numerico della parola “uomo” in lingua ebraica equivale a quello del termine “domanda”. Ciò sembrerebbe voler sottolineare come la condizione umana sia di per sè uno stato di perenne “richiesta” e di “ricerca”, teso non solo a conoscere i segreti dell’universo (macrocosmo), ma soprattutto quelli che si celano negli abissi della nostra anima (microcosmo) (11). Le stesse preghiere ed i rituali descritti nel Pentateuco, alla luce dell’interpretazione cabalistica, assumono un’importanza che oltrepassa il semplice significato letterale delle formule pronunciate. Alcune suppliche, solo in apparenza meccaniche, potrebbero essere in grado, se recitate nel modo giusto e con la disposizione d’animo corretta, di condurre l’uomo verso le dieci Intelligenze che si trovano sul cammino tra l’umano ed il divino.
Alcuni studiosi moderni hanno avanzato l’ipotesi che la Bibbia, ed in particolare la “Torah”, possa essere interpretata anche utilizzando un linguaggio di tipo matematico. Come tutte le innovazioni, questa coraggiosa e suggestiva teoria è ancora oggi annoverata tra le “pseudoscienze” e fortemente osteggiata. Nello specifico, si parla di “gematria”(12), una sorta di ermeneutica del testo, secondo la quale i testi biblici dovrebbero essere letti in chiave numerologica. Questa originale metodologia di interpretazione si basa innanzitutto sul fatto che l’alfabeto ebraico era di norma utilizzato anche come sistema di numerazione di tipo additivo, in quanto ogni lettera poteva essere associata ad un determinato valore numerico. Un approfondimento a parte meriterebbe l’analisi del tetragramma “YHWH”, costituito dalle quattro consonanti “yod”, “he”, “vav”, “he” (nelle lingue semitiche non si scrivevano le vocali, ma si ottenevano soltanto come suoni dalla diversa disposizione delle consonanti). La metodologia gematrica potrebbe introdurre un nuovo modo di considerare i testi biblici con l’affascinante conseguenza che, in futuro, con le ulteriori scoperte tecnologiche e di decrittazione, potrebbe riservare non poche sorprese.
Note:
1 – Jean Louis Ska, Introduzione alla lettura del Pentateuco, Edizioni EDB, Bologna 2000;
2 – La denominazione di “Canaan” è molto antica e sembra attestarsi nel III millennio a.C.; ne sono state trovate citazioni su tavolette in diverse aree geografiche, come l’Egitto, la Mesopotamia e la Siria;
3 – Per la precisione il sito si trova a sud-ovest della Città Vecchia di Gerusalemme;
4- Navè Levinson Pnina, curatore P. De Benedetti, Introduzione alla teologia ebraica, Alba 1996;
5 – Lettera ai Romani, 5,12-14;
6 – Il libro del Deuteronomio è formato fondamentalmente da tre discorsi che sarebbero stati pronunciati da Mosè nella piana del Moab prima della morte;
7 – Felix Garcia Lopez, traduzione di P. Florioli, Il Pentateuco, Edizioni Paideia, Torino 2020;
8 – Dario Disegni, Bibbia ebraica. Pentateuco ed Haftaroth, Edizioni Giuntina, Firenze 2020;
9 – L. Angelino-L.A. Milani, La bibbia pre-babelica e la liturgia dei pre-Elleni, Stamperia del Valentino, Napoli 2023;
10 – Paolo Taroni, Il concetto di tempo nella storia del pensiero occidentale, Ed. Mimesis, Milano 2012;
11 – Perle Epstein, Le vie della Kabbalah, storia, tradizioni e pratiche della mistica ebraica, Edizioni Mediterranee, Roma 2011;
12 – La particolare applicazione esegetica della gematria appartiene in prevalenza al campo dell’omiletica.
Luigi Angelino,
nasce a Napoli, consegue la maturità classica e la laurea in giurisprudenza, ottiene l’abilitazione all’esercizio della professione forense e due master di secondo livello in diritto internazionale, conseguendo anche una laurea magistrale in scienze religiose. Nel 2022 ha pubblicato con la Stamperia del Valentino 8 volumi: Caccia alle streghe, Divagazioni sul mito, L’epica cavalleresca, Gesù e Maria Maddalena, L’epopea assiro-babilonese, Campania felix, Il diluvio e Sulla fine dei tempi. Con altre case editrici ha pubblicato vari libri, tra cui il romanzo horror/apocalittico “Le tenebre dell’anima” e la sua versione inglese “The darkness of the soul”; la raccolta di saggi “I miti: luci e ombre”; la trilogia thriller- filosofica “La redenzione di Satana” (Apocatastasi-Apostasia-Apocalisse); il saggio teologico/artistico “L’arazzo dell’apocalisse di Angers”; il racconto dedicato a sua madre “Anna”; un viaggio onirico nel sistema solare “Nel braccio di Orione”ed una trattazione antologica di argomenti religiosi “La ricerca del divino”. Con auralcrave ha pubblicato la raccolta di storie “Viaggio nei più affascinanti luoghi d’Europa” ed ha collaborato al “Sipario strappato”. Nel 2021 è stato insignito dell’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica italiana.