Sul libro apocrifo di Enoch – Luigi Angelino
La raccolta di scritti che viene comunemente definita in maniera semplicistica “libro di Enoch” è composta, in realtà, da una serie di lunghi brani considerati apocrifi e, pertanto, non accolti nel canone della Bibbia masoretica e di quella cristiana. Questa raccolta è a noi pervenuta nella sua pressochè interezza in una versione elaborata nell’antica lingua etiopica, denominata ge’ez. che ha fatto guadagnare al libro il nome di “Enoch etiopico”. La tradizione giudaico-cristiana ha individuato nel protagonista del controverso testo il bisnonno di Noè, il patriarca antidiluviano Enoch, distinguendo un’articolazione di tre distinti libri dedicati a tale personaggio: 1) Enoch, chiamato anche Enoch etiopico, già menzionato; 2) Enoch o Enoch slavo, conosciuto anche con i nomi di Apocalisse di Enoch o I segreti di Enoch; 3) Enoch o Apocalisse ebraica di Enoch. Come è stato già accennato in precedenza, nessuno di questi libri è stato inserito nel canone della Bibbia ebraica o in quella cristiana, ad eccezione del primo, tra quelli elencati, che è stato riconosciuto canonico tra i testi sacri della Chiesa copta (1).
Cercare di risalire all’esatto processo di elaborazione storica e glottologica del libro di Enoch è un’impresa molto ardua e complessa. Gli esperti ritengono, con ragionevole certezza, che la composizione originaria di esso sia avvenuta in lingua aramaica. In più, paragonando i suoi passi con un’attenta opera di rivisitazione filologica ed interpretativa, sembrerebbe che il libro di Enoch tragga origine da un’armonizzazione conclusiva di cinque testi precedenti che, nel progetto iniziale dei primi redattori, avrebbero dovuto in qualche modo essere messi in relazione con i cinque libri dalla “Torah” (Genesi, Numeri, Deuteronomio, Esodo e Levitico). Per questo motivo, in campo accademico, molte volte si tende ad utilizzare l’espressione “pentateuco di Enoch”. Se analizziamo la struttura del testo, notiamo come sia evidente l’impronta storica-evolutiva ideata dal redattore o dai redattori. Nella prima sezione, la cui composizione è datata intorno al II secolo a.C., in concomitanza con l’occupazione ellenista della Palestina ed a cui si attribuisce il nome di “libro dei Vigilanti”, si esprime il disagio nei confronti dell’oppressore straniero; la seconda sezione, il cosiddetto “libro delle parabole”, composto per la maggior parte degli esegeti nel primo secolo a.C., contiene molti riferimenti espressivi e linguistici simili a quelli contenuti in alcuni testi attribuiti ai profeti biblici, in particolare al libro di Daniele; alquanto controversa è la collocazione temporale della terza sezione, il libro “dell’Astronomia” o “dei luminari celesti” che per alcuni studiosi sarebbe da inquadrare verso l’inizio del secondo secolo a.C., mentre per altri sarebbe più corretto retrodatarla alla fine del terzo; anche la quarta sezione, come la prima, sarebbe stata redatta intorno alla metà del II secolo a.C., nel corso della rivolta maccabaica, anche se alcune sottosezioni fanno pensare ad un’elaborazione più recente; di più difficile interpretazione è la quinta sezione, chiamata la “lettera di Enoch”, collocata verso la prima metà del primo secolo a.C., ma contenente una sottosezione, l’Apocalisse delle Settimane, ritrovata integra tra i rotoli di Qumran, ma non completa nell’armonizzazione finale del libro enochiano; ed, infine, non pochi problemi di autenticità presenta quella che è considerata la sezione conclusiva, da alcuni indicata come “l’Apocalisse di Noè”, che risulta presente nelle versioni copte e non in quelle elleniche, anche se qualche frammento di essa è stato individuato tra i rotoli di Qumran (2).
Per quanto riguarda la redazione complessiva, è molto dibattuta la questione se sia da considerare più antica la versione greca oppure quella etiope. I glottologi, partendo da un elemento testuale, ossia il fatto che la versione greca sia di certo anteriore alla “Lettera di Giuda” (3) che la menziona espressamente, ne stabiliscono la composizione intorno alla metà del I secolo d.C., considerandola anteriore a quella successiva in lingua ge-ez (etiope). Al contrario, gli studiosi copti ritengono che il testo originale sia quello in lingua copta e, in più, enfatizzando l’antichità del personaggio di Enoch, vorrebbero far credere che si tratti del primo testo scritto dal genere umano. Risulta chiaro come questa sia un’ipotesi grossolana e senza basi filologiche, rifiutata dalla comunità scientifica. Nonostante il libro di Enoch avesse assunto una certa popolarità nei primi secoli del Cristianesimo, esso fu progressivamente trascurato e dimenticato, a causa dell’esclusione dal canone biblico. Gli ultimi riferimenti certi al libro di Enoch sono contenuti nella “Chronographia Universalis”
dell’autore bizantino Giorgio Sincello (4), poi riapparso nell’opera cabalistica ebraica di Menahem Recanati, scritta nel tredicesimo secolo. In epoca umanista-rinascimentale, i primi promotori della riscoperta del libro di Enoch furono Pico della Mirandola e Johannes Reuchlin, anche se fu possibile attingere ai manoscritti copti verso la metà del Cinquecento, quando ripresero i contatti commerciali ed, in particolare, gli scambi con l’Etiopia.
Ma chi era in realtà Enoch? Egli, in linea generale, è ricordato come il settimo dei patriarchi antidiluviani. E la simbologia del numero sette, nell’immaginario giudaico, da sola basterebbe ad attribuirgli un posto di assoluto rilievo nella genealogia del progetto divino di salvezza. Inoltre, come emergerebbe dai dati testuali, i patriarchi biblici sarebbero stati molto longevi, Noè sarebbe arrivato a 950 anni, mentre Matusalemme, il più longevo, avrebbe raggiunto i 969. Per molti studiosi, la presunta longevità sarebbe motivata da un diverso computo del trascorrere del tempo che identificherebbe un anno soltanto in qualche mese. Per i più arditi, si tratterebbe, invece, di un chiaro indizio della natura semidivina di questi soggetti, oppure dell’appartenenza ad una razza aliena. Enoch, a differenza degli altri patriarchi, non sarebbe morto ma “rapito” in cielo alla veneranda età di 365 anni. Tale particolarità è citata anche nel libro della Genesi (5). In tale contesto, si possono inquadrare anche le vicende di altre figure dell’Antico Testamento biblico, come il profeta Elia che salì verso il cielo con un carro di fuoco oppure Ezechiele con le sue oniriche visioni di strani esseri celesti.
Di particolare interesse teologico è soprattutto la prima sezione, quella chiamata “libro dei Vigilanti”, in cui sono raccontate stranissime interazioni tra esseri celesti e tra questi e l’umanità. Il testo parla in maniera dettagliata dei “Nephilim”, soltanto accennati nell’Antico Testamento biblico. Duecento angeli guidati da Semeyaza, arrivati sul monte Hebron, si sarebbero accoppiati con le figlie degli uomini, generando questi esseri di statura gigantesca. Gli angeli avrebbero insegnato agli uomini, ancora estremamente primitivi, tutto ciò che potesse renderli civili ed evoluti. Da quel momento sarebbe iniziata la storia umana, articolandosi nei secoli successivi nelle civiltà più antiche sparse per il mondo che, comunque, avrebbero conservato archetipi comuni. A proposito dei “Nephilim”, ricordiamo quanto riportato all’inizio del sesto capitolo della Genesi: “quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e nacquero loro delle figlie, i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per mogli quante ne vollero. C’erano sulla terra i giganti a quei tempi, e anche dopo, quando i figli di Dio si univano alle figlie degli uomini e queste partorivano dei figli: sono questi gli eroi dell’antichità, uomini famosi” (6).
In buona sostanza, il “libro dei Vigilanti” descrive in forma poetica il primo processo di civilizzazione dell’uomo. L’angelo Azazel avrebbe insegnato agli uomini l’utilizzo delle armi, mentre alle donne a come fabbricare ornamenti e tinture; Amezarak si sarebbe occupato dell’agricoltura, mentre Armaros avrebbe impartito precetti sulla magia e sugli incantesimi; Kobabel avrebbe insegnato l’astronomia e così via. Tuttavia, i giganti nati dalla copulazione tra angeli e donne umane sarebbero diventati minacciosi per gli uomini, non solo distruggendo i beni ad essi riservati, ma arrivando perfino a divorarli. I capi delle schiere celesti, Michele, Gabriele ed Uriele, vedendo quanto stava accadendo e temendo, più di ogni altra cosa, che Azazel insegnasse agli uomini “i segreti che si compiono in cielo”, avrebbero ottenuto dal loro Re l’autorizzazione a combattere tutti gli angeli ribelli. Il Re avrebbe ordinato a Suriele di relegare Azazel nelle tenebre, a Gabriele di distruggere i giganti, a Michele di sconfiggere Semeyaza e la sua schiera di angeli ribelli, ed infine ad Uriele di avvertire Noè, figlio di Lamech, sull’imminenza del diluvio universale. Il libro dei Vigilanti si sofferma sulla terrificante guerra nei Cieli e sulla Terra tra angeli fedeli al Re ed angeli ribelli, concludendosi con la misteriosa sparizione di Enoch: “ed Enoch sparì e non vi era, chi tra i figli degli uomini sapesse dove si era nascosto, dove fosse e cosa gli fosse successo. Ed ogni sua azione ai suoi tempi era coi santi e con gli angeli vigilanti” (7).
Come si può facilmente comprendere, il libro di Enoch cerca di dare una spiegazione più dettagliata e dinamica della lotta fra le forze del bene e le forze del male, soltanto accennata e dedotta faticosamente nei passi biblici canonici. Sembra quasi che l’esclusione di tale testo dal novero dei libri canonici biblici sia stata forzata e deliberatamente stabilita, non solo per motivazioni storiche, teologiche od ideologiche, ma per nascondere una verità scomoda che avrebbe potuto soltanto nuocere allo sviluppo delle tre tradizionali religioni abramitiche. La guerra tra le schiere degli angeli, l’azione di imprigionare Azazel nelle tenebre, l’incatenamento di Semereyaza sono tutti racconti che mostrano sorprendenti assonanze con la vicenda del Lucifero/Satana della dottrina cristiana e del Prometeo della mitologia greca. Quest’ultimo, come Azazel, vuole regalare “il fuoco degli dèi” agli uomini e come Satana/Lucifero, il serpente antico, vuole elargire il frutto della conoscenza. E’ verosimile pensare che, come ogni ancestrale narrazione, il libro di Enoch conservi la memoria di importanti eventi accaduti all’origine della storia del genere umano, ancora per molti versi misteriosi e, con il tempo, questi siano stati trasfigurati in una mitizzazione religiosa di difficile decifrazione. Alla luce di queste considerazioni, non è scontato che si debba ritenere il libro di Enoch, un testo visionario e squisitamente fantastico, riconoscendogli tutt’al più un significato simbolico e didascalico. Ben potrebbe, invece, rappresentare uno dei principali compendi di fatti antichissimi, di cui si ravvisano importanti tracce in tutti i datati testi religiosi, come la stessa Bibbia, i Veda indiani, i poemi sumerici, le cosmogonie elleniche, quelle norrene e tanti altri meno noti. Senza per forza dover concordare con Sitchin sull’origine aliena dell’homo sapiens, ci sono indizi, in quasi tutte le antiche culture, dell’esistenza di una civiltà super-mondiale pre-neolitica, evolutissima e raffinata, scomparsa per motivazioni non chiare (8).
Il libro di Enoch ci offre una lettura alternativa in merito all’origine del male sulla Terra, individuandola principalmente, per usare una definizione “dantesca”, nella lussuria, quando gli angeli si unirono alle “figlie degli uomini”, generando una progenie di “giganti” malvagia ed incontrollabile. Ciò si discosta dall’interpretazione tradizionale della teologia cristiana che attribuisce alla “superbia” di Lucifero verso l’Onnipotente ed all'”invidia” nei confronti del genere umano, i presupposti necessari per l’universale contaminazione maligna del diavolo e della sua schiera di ribelli. Nel racconto enochiano, anche se Gabriele riesce a distruggere i i giganti, le loro anime sono immortali ed i loro spiriti rimangono sulla Terra cercando di pervertire l’uomo. Vi è da aggiungere, tuttavia, che la quinta parte del libro di Enoch, la già citata “epistola”, descrive il male come generato interamente dall’uomo, senza alcuna origine divina, contraddicendo in qualche modo la prima sezione del testo. La coerenza letteraria non era, tuttavia, un’esigenza dei redattori del mondo antico che miravano ad esprimere il proprio pensiero con immagini molto spesso sensazionali ed iperboliche.
Anche le altre sezioni del libro di Enoch sono particolarmente suggestive, come la parte dedicata all’astronomia, dove l’angelo Uriele mostra al patriarca l’ordine preciso del cosmo che viene minacciato soltanto dalla stoltezza malvagia dei peccatori o la successiva sezione che descrive i sogni, dove il patriarca racconta a Matusalemme di aver visto la terra sommersa e distrutta, ripercorrendo allegoricamente la storia dell’umanità ed associando astri ad angeli caduti che fecondano le diverse specie animali.
Tra gli scritti enochiani, comunque, un posto a parte riveste il secondo libro, detto anche “libro slavo di Enoch”, perchè composto in un idioma protoslavo (9). Il testo non ha mai goduto di particolare diffusione, forse perchè troppo complesso e scarsamente preso in considerazione dalla filologia slava. Nel libro vi sono evidenti similitudini con il testo biblico attribuito al profeta Ezechiele. All’età di 365 anni, il patriarca Enoch viene prelevato dalla sua casa da due esseri divini, assimilabili agli angeli, che lo guidano in un viaggio visionario attraverso i primi “sei cieli”. Di seguito, Enoch è guidato da Gabriele e può accedere alla contemplazione del volto di Dio che ordina ai suoi angeli di adorare il visitatore. Ma le creature schierate con Satanail (10) rifiutano di adorarlo, venendo poi, a causa di questa manifesta ribellione, scagliate verso gli abissi ed imprigionate. Si tratta di un’interpretazione dell’origine del male più simile a quella della tradizione giudaico-cristiana, dove la causa scatenante è la superbia verso Dio e l’invidia verso il genere umano, peraltro contenente evidenti analogie anche con la mitologia apocalittica islamica.
Il viaggio di Enoch può essere letto, in ambito esoterico, come un lungo e complesso processo di iniziazione per il raggiungimento della piena consapevolezza di sè, rappresentata dal settimo cielo: l’uomo cerca nelle profondità della propria coscienza l’immagine divina, facendo germogliare quel seme dell’albero della vita che tiene nascosto dentro di sè, come punto di equilibro tra il corpo e lo spirito.
Note:
(1) Cfr. Paolo Sacchi, Apocrifi dell’Antico Testamento, voll. I e II, Edizioni UTET, Milano 1981,1989;
(2) Cfr. De Graya-Speranza, I libri di Enoch-Edizione integrale, Edizioni StreetLib, Milano 2018;
(3) E’ uno dei libri della Bibbia cristiana (Nuovo Testamento), attribuito per tradizione all’apostolo Giuda Taddeo, o ad un certo Giuda, parente di Gesù. La redazione del testo è collocata tra l’80 ed il 120 d.C.;
(4) Storico bizantino vissuto a Costantinopoli tra la metà dell’ottavo secolo ed i primi decenni del nono. “Sincello” non è il nome familiare del personaggio, ma la carica che ricoprì presso il patriarca della capitale: una sorta di alto funzionario di segreteria;
(5) Cfr. Gen., 5,24: “Poi Enoch camminò con Dio e non apparve più, perché Dio l’aveva preso”;
(6) Cfr. Gen., 1,8; (7) Cfr. Giovanni Giorgi, Libro dei Vigilanti, su http://www.giovannigiorgi.it consultato in data 23/03/2023;
(8) Cfr. Luigi Angelino, Il diluvio – Dalla creazione all’età dei patriarchi, Stamperia del Valentino, Napoli 2022;
(9) La traduzione, in un idioma paleoslavo, sarebbe stata eseguita in Macedonia nell’XI secolo;
(10) Una delle denominazioni con la quale sarà identificato, nella mitologia cristiana, l’angelo ribelle, avversario di Dio.
Luigi Angelino,
nasce a Napoli, consegue la maturità classica e la laurea in giurisprudenza, ottiene l’abilitazione all’esercizio della professione forense e due master di secondo livello in diritto internazionale, conseguendo anche una laurea magistrale in scienze religiose. Nel 2022 ha pubblicato con la Stamperia del Valentino 8 volumi: Caccia alle streghe, Divagazioni sul mito, L’epica cavalleresca, Gesù e Maria Maddalena, L’epopea assiro-babilonese, Campania felix, Il diluvio e Sulla fine dei tempi. Con altre case editrici ha pubblicato vari libri, tra cui il romanzo horror/apocalittico “Le tenebre dell’anima” e la sua versione inglese “The darkness of the soul”; la raccolta di saggi “I miti: luci e ombre”; la trilogia thriller- filosofica “La redenzione di Satana” (Apocatastasi-Apostasia-Apocalisse); il saggio teologico/artistico “L’arazzo dell’apocalisse di Angers”; il racconto dedicato a sua madre “Anna”; un viaggio onirico nel sistema solare “Nel braccio di Orione”ed una trattazione antologica di argomenti religiosi “La ricerca del divino”. Con auralcrave ha pubblicato la raccolta di storie “Viaggio nei più affascinanti luoghi d’Europa” ed ha collaborato al “Sipario strappato”. Nel 2021 è stato insignito dell’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica italiana.