La Rivelazione di Ermete Trismegisto: il Dio ignoto – Giovanni Sessa
È nelle librerie, per la casa editrice Mimesis, il quarto volume de, La Rivelazione di Ermete Trismegisto. Il dio ignoto, parte conclusiva della monumentale opera che André-Jean Festugière ha dedicato al Corpous Hermeticum (per ordini: mimesis@mimesisedizioni.it, pp. 526, euro 32,00). Un primo dato di rilievo, riguarda il lavoro del curatore, Moreno Neri, che si è prodigato, da par suo, in un lavoro complesso e certosino, producendo un’analisi puntuale e organica tanto dell’ermetismo, quanto dell’opera di Festugière. In tal senso, risulta particolarmente importante la sua postfazione, che fa il punto sui risultati esegetici conseguiti anche nei precedenti tre volumi. L’opera dello studioso francese, fino agli anni Ottanta del secolo scorso, è stata punto di riferimento degli studi sulla tradizione ermetica. Essa venne composta nel decennio 1944-1954, e, ancor oggi, riveste un ruolo di rilievo per chiunque voglia accedere a questo universo realizzativo.
In questo quarto volume, non casualmente intitolato, Il dio ignoto, Festugière affronta il problema della gnosi, vale a dire della conoscenza necessaria per avere accesso al dio Trascendente. Si tratta della vexata quaestio che fu al centro del dibattito filosofico-religioso durante il periodo imperiale. A giudizio dell’autore, il tema del dio “inconoscibile”, “ignoto”, non sarebbe originario dell’Oriente, dell’Egitto in particolare, come rilevato da altri studiosi, ma si sarebbe palesato all’interno della tradizione greca pitagorico-platonica. Nell’analizzare la gnosi, al fine di addivenire alla comprensione del suo reale ubi consistam, Festugière si avvale di testi platonici prodotti nel II sec. d.C., di quelli di Albino, Apuleio, Celso, Massimo di Tiro, Numenio. La prima parte del volume, ha, pertanto, tratto eminentemente filosofico, mentre la seconda, nota Neri: «si basava maggiormente sull’esame di testi ermetici più o meno confusi e oscuri» (p. 2115). Dall’analisi emergono due atteggiamenti realizzativi contrapposti e diversi, l’uno centrato sull’estroversione, l’altro sull’introversione. Nel primo caso, l’adepto esce da sé per incontrare Dio, nel secondo caso viene, al contrario, “invaso” dal Principio.
In tale contesto, Festugière si sofferma ad analizzare la nozione di Aión. Tale termine, che in origine indicava il “principio vitale”, la “vita”, evolse, nel corso del tempo, nel concetto di “eternità”. Per il francese, Aión può essere tradotto con “Divinità”: «non solo nell’ermetismo, ma nei papiri magici e in alcuni testi filosofici» (p. 2115). Al di là di questa breve sintesi del quarto volume, la lettura dei precedenti testi editati anch’essi da Mimesis e, soprattutto, la postfazione di Neri, ci inducono a discutere alcuni temi dell’ermeneutica ermetica di Festugière. La sua lettura, non solo tende a ricondurre alla Grecia l’intero patrimonio del Corpus, ma è attraversata da dualismi di ogni tipo. Innanzitutto, egli tende a distinguere l’ eremetismo “popolare” e magico, da un ermetismo “colto” e filosofico, quando invece le due espressioni della sapienza ermetica si intrecciano e interagiscono l’una sull’altra. Zosimo, che tra ermetisti fu colui che: «assunse la posizione più contraria alla magia» (p. 2121), integrò, gradualmente, alcuni suoi aspetti, presentando una sintesi teorico-pratica di tale movimento di pensiero. Ciò vuol dire, come rileva il curatore, che la visione dualista pecca di una costitutiva ambiguità, in quanto, come comprese nell’ambito storico-religioso, Ugo Bianchi, in essa è, di fatto, implicito il monismo, ed è proprio: «questa vocazione monista che starebbe alla base dell’ermetismo come di recente sostenuto nel saggio di Z. Pleše» (p. 2125).
Le contrapposizioni dualiste, corpo-anima, natura-Dio ecc., servono da “supporto”, lungo la “via”, all’Uno. In questo senso, la tradizione ermetica nel Novecento è tornata a mostrarsi in filosofia, negli autori che hanno teso a porsi oltre il dominio del concetto, del logocentrismo distinguente, tra essi Deleuze. Il culmine della gnosi ermetica consiste, infatti, nel superamento dei “confini” posti dal pensiero, in funzione del suo costituirsi sulla distinzione di soggetto-oggetto: si tratta di una conoscenza non-duale, presente in molte tradizioni. Per giungere a tanto bisognava vivere una fase preparatoria nella quale i contenuti dei trattati ermetici illustravano le virtù atte a facilitare la “rigenerazione”, la “rinascita” dell’adepto. Al Dio “inconoscible”, si giunge per via negationis.
In Ermete si legge, Dio è: «quello che non consiste in nessuna di queste cose» (p. 2173). Bisogna seguire la via del “non-essere”, è necessario, al fine di realizzare la gnosi, de-identificarsi. A ciò muove il “desiderio”, la “nostalgia” di Dio: essa consente all’uomo di “riconoscersi” nella “rinascita”. Si tratta: «di una tecnica di deprivazione sensoriale che innesca un’esperienza extracorporea» (p. 2175), suggerisce Neri. Ecco, allora, palesarsi l’unità di tutte le cose.
(André-Jean Festugière)
Chi realmente abbia compreso, sa che, a ragion veduta, non è neppure possibile parlare di “via”, in quanto il cammino avviene nell’interiorità e conduce alla coscienza cosmica e unitiva, nella quale la vita ordinaria è ridotta a mero miraggio, sogno a occhi aperti: «il corpo e i pensieri scompaiono e sono visti come una aggiunta estranea» (p. 2176). Tale visione è del nous, coscienza sovra individuale. Al fine di disidentificarsi, i trattati parlano della rilevanza del silenzio, quale pratica meditativa. Il lógos viene tacitato ed emerge l’intelletto, che instaura uno stato di concentrazione mentale. L’ultimo grande ostacolo per l “risveglio” è dato dalla caligine, dalla difficoltà di vedere oltre la nebbia del non-sapere. Oltre essa, sta l’indiarsi. L’attimo che lo precede è esemplificato dal serpente che si morde la coda, al cui interno si trova l’iniziato accompagnato da una laconica iscrizione: «Questo è il cadavere» (p. 2182). Qui avviene l’incontro di morte e resurrezione, la coicidentia oppositorum: «L’uomo vecchio […] è ora un uomo nuovo […] una riattualizzazione o ierofania dell’ Uomo archetipico» (p. 2184).
Il curatore, nella postfazione, ricostruisce con dovizia di particolari e in modo critico, la storia dell’esegesi dei trattati ermetici, soffermandosi in particolare sugli studiosi del Novecento: ricorda, tra le altre cose, che Zielinski, ricollocò, contro l’interpretazione egitto-centrica, gli Hermetica nella cultura greca, suddividendoli in tre serie: «peripatetica, platonica e panteista» (p. 2143). Essenziale ci pare, in termini bruniani, il riferimento al panteismo. Solo in tale prospettiva la visione dualista viene meno ab initio e consente di esperie l’origine “mediterranea” dell’ermetismo. I quattro volumi di Festugière, le note critiche di Neri, rendono davvero unica e dirimente questa pubblicazione.
Giovanni Sessa