Al-Kemi – Brando Impallomeni
L’Alchimia deriva dall’arabo Al, che è un articolo, e Kemi, il nome che gli antichi Egizi davano alla loro terra, “Keme” (la terra nera, in riferimento all’abbondante limo depositato dalle frequenti inondazioni). L’erronea interpretazione scientista (non scientifica) ha creato confusione interpretando pregiudizievolmente l’Alchimia come proto-chimica e superstizione. Da una parte abbiamo una visione materialistica che vede l’alchimia come un procedimento naturale (manuale, da laboratorio), dall’altra una visione esoterica come una realizzazione spirituale, interiore. In realtà l’Alchimia è una, materiale e spirituale, come dimostrano i testi di Trithemius e di Basilio Valentino, entrambi benedettini, massimi conservatori della Tradizione; la sua “sostanza intelligente” materiale e immateriale è la “materia pensante” di Gino Testi (1). Gli esperimenti degli alchimisti sui minerali e sui vegetali rappresentavano un progetto, quello di “modificare la natura del loro stesso essere”; questa manipolazione della materia richiedeva una precedente Purificazione dell’operatore. Trithemius stesso considerava la vera alchimia come arte della trasformazione “che conduce, attraverso la luce della natura, alla conoscenza delle misteriose trasformazioni alle quali partecipa l’intero cosmo”.
L’alchimia nasce al contempo come “religione-scienza” e presso gli Egizi era un tutt’uno, è una nelle sue tre branche: l’Alchimia Verde o Spagiria, l’Alchimia Metallurgica, l’Alchimia Spirituale. Possiamo rilevare una continuità ermetico-alchimica (teorico-pratica) da Trithemius all’allievo Paracelso. Nel 1855 il libraio editore Johann Scheible (1809-1866) pubblicò, con il titolo fittizio “Wunder Buch” (Il Libro delle Meraviglie), un testo apocrifo attribuito all’Abate Trithemius; il Wunder Buch comprendeva una serie di appunti di magia divina, forse trasmessi da Trithemius ad allievi monaci alchimisti, tratti da fonti egizie, neoplatoniche e sabee, confluiti successivamente nella tradizione Rosacruciana. Se Scheible non si sbagliò nell’attribuire la paternità di questi testi alchemici a Trithemius, è comunque da sottolineare come gli stessi avranno molta influenza presso la Confraternita dei Rosacroce d’Oro, e più in generale presso i circoli iniziatici di stampo rosacrociano; ed è nel Wunder Buch o Libro delle meraviglie che lo pseudo-Trithemius impartisce indicazioni per la realizzazione di oggetti magici (campanelle, anello, bracciali, specchi, bacchette, bracciali, spade immagini, ostensorio ecc.), con un materiale chiamato “Electrum Magicum” (l’elettro, nome derivato dal colore ambrato, è una lega d’oro e d’argento); Electrum è la lega delle sette funzionalità data dall’unione dei sette metalli secondo precise tecniche.
Nel XII-XIII sec. l’Alchimia, sistema filosofico onnicomprensivo, giunse in Europa occidentale tramite gli Arabi in Sicilia e in Spagna; questi avevano ricevuto il suo insegnamento dai Greci i quali l’avevano a loro volta appresa dalla tradizione egizia nel IV sec. a.C. Si andranno così sviluppando le idee base dell’Alchimia, come la Materia Prima, quale condensazione dell’Intelligenza che informa ogni elemento (Vergine, donna, utero universale, Madonna, Shakti, dea madre), che nell’essere umano ritroviamo come Matrice dentro il corpo fisico, come tre principi: Zolfo, Mercurio e Sale (semplificando si tratta della stessa materia dal più sottile al più spesso: Spirito, Corpo e Anima), i quattro elementi (fuoco, aria, acqua, terra), ecc. Pertanto un’alchimista che faceva alchimia vegetale, nel suo laboratorio con alambicchi e fornelli, utilizzava ad esempio delle piante per creare dei distillati per fini terapeutici o con valenze magiche di vario tipo, in base alla legge delle corrispondenze, quindi per analogia della pianta, a livello planetario, somatico, ecc. Vediamo però che il dotto Trithemius non apprezza i falsi alchimisti: “Gli Alchimisti certo giurano nelle loro composizioni chimiche, ma errano, sono ingannati essi stessi e illudono tutti coloro dai quali sono stati ascoltati volentieri. Vogliono imitare la natura e suddividere ciò che è unico nell’universo, mentre non comprendono i principi delle forze agenti nella natura. Non dare fiducia agli stoltissimi alchimisti, perché sono buffoni e discepoli di scimmie, nemici della natura e individui che disprezzano le cose celesti, senza la conoscenza delle quali l’alchimia è inesistente”.
Segue l’astio di Trithemius verso una “cattiva alchimia” che ritroviamo negli “Annali Hirsaugienses”: “E ancora, l’alchimia (per parlare secondo il costume degli uomini) è una casta meretrice, che ha numerosi amanti, ma tutti delusi poiché nessuno ottiene mai l’amplesso. Da sciocchi li rende pazzi, da ricchi li fa poveri, da filosofi li rende vacui, da ingannati li fa verbosissimi ingannatori, che pur non sapendo nulla dichiarano di sapere tutto, e pur essendo poveri, promettono di offrire ai loro seguaci le ricchezze di Creso, e il loro scopo è confuso”. Evidentemente il risentimento di Trithemius era rivolto verso quegli alchimisti “soffiatori” o “bruciatori di carbone”, i quali si discostavano dall’idea di una vera Alchimia; anche se resta in sostanza un mistero quale sia la vera Alchimia, e possiamo qui solo generalizzare dicendo che quest’ultima diverrà nel contesto iniziatico la parte “operativa” dell’Ermetismo; ad una prima lettura dei simboli alchemici è opinione abbastanza comune ritenere che la parte pratica dell’alchimia iniziatica parli di una possibile trasmutazione delle cosiddette energie sessuali e riunificazione con la parte femminile (Rebis Androginico); quest’ultima ottenuta attraverso un lavoro di purgazione (intesa nel senso di liberazione di luoghi comuni profani, in termini ermetici disancorarsi dal corpo “Plumbeo”, Saturnio, fisico) fino a raggiungere un ipotetico stato di Illuminazione. Trithemius supportava un’alchimia iniziatica o “magia divina” che si concretizzava nella percezione della cosiddetta Luce della Natura (o Luce Astrale), così come “l’uso dei poteri dell’anima e dello Spirito per produrre delle cose materiali prese dall’universo invisibile e nelle operazioni dell’Alto e del Basso che devono essere riunite e portate ad agire in maniera armonica”.
Gli insegnamenti ermetico-alchemici tritemiani confluiranno nei circoli rosacrociani tedeschi e olandesi, ed influenzeranno più o meno direttamente le prime manifestazioni della Massoneria Egizia, basti qui ricordare, come rappresentante di questa corrente, che si rifaceva ai cosiddetti Misteri egizi-alessandrini, il Gran Maestro della Massoneria Napoletana, il principe di Sangro, Raimondo di S.Severo (1710-1771). La corrente egiziana-alessandrina, che vide Napoli come centro occulto, per le sue attività ermetiche e alchemiche, confluirà nel Rito di Misraim e soprattutto nell’Ordine Osirideo Egizio, e da questo la Fratellanza Terapeutica di Miriam (2).
(Ritratto di Raimondo De Sangro di Carlo Amalfi, 1759)
Altra figura operante nel luogo di culto di Iside e Serapide, degna delle nostre attenzioni, è quella di Giuseppe Balsamo (1734-1759) più noto come Conte di Cagliostro. Il conte di Cagliostro insieme al suo amico, il Cavaliere d’Aquino (fratello del Principe Caramanico e cugino del Principe di Sangro), avrà un ruolo decisivo nella diffusione in terra napoletana dei cosiddetti “gradi segreti” noti come “Arcana Arcanorum” o “Scala di Napoli”, comprendenti a detta di Gianni Longhi, di “una operativa tradizionale alchemica per la realizzazione del cosiddetto “corpo di gloria”.
Ma lungi da me entrare nel dibattito dei cosiddetti Riti Egizi (3), tema affascinante ma impresa ben lontana dalle mie conoscenze di “non addetto ai lavori”; quello che più mi interessava dimostrare, è come ancora, la magia che il Trithemius aveva appreso dal Pelagio di Majorca, sussisteva come abbiamo già visto, nei circoli rosicruciani fino alla Massoneria Egizia; infatti gli stessi rituali teurgici di Cagliostro risultano compatibili con l’Anacrisi già citata, dove è difficile fare un’effettiva distinzione tra una Teurgia spirituale e l’altra di natura demoniaca.
Note:
1 – La materia pensante, Gino Testi, Milano, Fratelli Bocca – Editori, 1946;
2 – le Lezioni “kremmerziane” di “Opus Hermetica” a cura di Stefano Mayorca tratte da Keltoi Radio;
3 – ll simbolismo massonico nella tradizione egizia, Vittorio Vanni, pag.17, edizioni Luz.
(Estratto inedito dalla mia tesi universitaria di laurea in Storia presso Unifi, dal titolo “Dall’Abate Trithemius alla Spiritual Technology”).
Brando Impallomeni (21/03/1985), da anni coinvolto attivamente nella ricerca spirituale, laureatosi in Storia presso l’Università degli Studi di Firenze, con la tesi “Dall’Abate Trithemius alla Spiritual Technology”, che vuole rendere dignità allo scomodo tema della “Magia”, insabbiato dalla cultura dominante, religiosa e laicista, dalla caccia alle streghe alla banalizzazione cripto-positivista. Dall’Abate Trithemius alla Spiritual Technology, vuole ripercorrere un Iter-magico che va dalle prime coraggiose teorizzazioni della Magia, alla sua riproposta e attualizzazione nei vari periodi storici; assistiamo così ad un graduale passaggio, da una forma di magia che potremmo definire antropocentrica, cristiana, dualista (magia bianca, magia nera, magia divina, magia naturale e magia transnaturale, magia cristiana, magia divina, angelica e demonica ecc.), quella dei filosofi rinascimentali, ad una magia o “magick” (termine codificato da Aleister Crowley per designare la sua Opera, k=Kteis) stellare, che a detta del pittore inglese Austin Osman Spare, “è piena di colori”, dove gli antichi Dei diventano l’ipotesi di scenari non più terrestri, ma caso mai Extra-Terrestri e multidimensionali.