Daimon, Tyche, Eros, Ananke – Roberto Sestito
Il Daimon, è la prima potenza che determina il destino. Il famoso “demone” di Socrate, di quando in quando gli sussurra all’orecchio come debba agire”. In realtà, il Daimon non agisce in modo puntuale, presentandosi, invece, come la necessità interna che impone all’individualità personale la sua unicità caratteristica, prodotta e simbolizzata dalla configurazione unica delle potenze astrali che hanno presieduto alla sua nascita. È una forza di crescita che può dispiegarsi solo restando fedele alla sua legge di sviluppo, rimanendo nei limiti che le sono propri. L’individuo è condannato a essere se stesso: “Così devi essere, non puoi fuggir te stesso. Tyche, il caso, la fortuna mutevole, può apparire di primo acchito come una felice occasione di sfuggire a noi stessi e allo stretto limite impostaci dal Daimon.
Alla legge rigorosa Tyche oppone il caso, la varietà, l’imprevisto. Tyche rappresenta i movimenti che ci sono esterni e che non dipendono da noi: gli incontri con gli altri uomini, ma anche gli eventi fortuiti, quel gioco del caso che è la vita quotidiana. L’azione congiunta di Daimon e Tyche è, quindi, decisiva per il destino dell’individuo. Si tratta dell’incontro tra fattori innati e fattori accidentali. “Daimon e Tyche”, “determinano il destino di un essere umano.” È ciò che chiama l’interazione tra la costituzione e l’esperienza. L’incontro tra Daimon e Tyche rischia, dunque, di rinchiudere l’individuo nel gioco e nella futilità, ma può anche far scaturire una fiamma, quella di Eros, terza potenza a determinare il destino dell’individuo. Qui [nell’Amore] si congiungono il demone individuale e la seducente Tyche; l’essere umano sembra ubbidire solo a se stesso, lasciar agire solo il proprio volere, essere schiavo dei suoi istinti, e tuttavia quelle che si insinuano sono casualità, ed è qualcosa di estraneo ciò che lo allontana dal suo cammino.
L’Eros è a un tempo l’Eros “creatore” di cui parla la mitologia orfica, quello che “s’innalzò dal caos antico”, e l’Amore alato, il figlio di Afrodite che, in primavera, risveglia il desiderio in ogni creatura. È una forza che domina ciascun essere. Questo Amore che vola genera amori volubili: viene e va, fugge e ritorna. L’incontro tra Daimon e Tyche che fa nascere l’Amore è, per molti esseri umani una sorta di trappola. In questo gioco drammatico la maggior parte degli uomini perde la sua personalità e libertà, poiché si lega non tanto all’individualità del partner, ma unicamente al piacere dei sensi che va stemperandosi nel molteplice.
Ma il più nobile si dona a uno soltanto. Solo adesso, infatti, appare evidente di cosa sia capace il demone; lui, l’indipendente, l’egoista, che con volere assoluto interveniva nel mondo ed era infastidito quando Tyche qua e là si poneva sul suo cammino, ora avverte di non essere determinato e contraddistinto solo dalla natura. Nell’amore che prova per l’essere che il caso (?) gli ha fatto incontrare, l’uomo può prendere coscienza della sua libertà di scelta. Può, con una decisione esclusiva, legarsi all’essere amato e superare il suo egoismo, mostrando così che non è “determinato […] solo dalla natura” e che può “riuscire a pervadere un secondo essere umano, come se stesso, di eterno, indistruttibile amore”. In questo trionfo del Daimon, potrebbe celarsi un nuovo inganno. La libera decisione, infatti, ha come conseguenza la rinuncia alla libertà; si deve vivere insieme: due anime in un unico corpo, due corpi in un’unica anima. Questo corpo più esteso che costituisce la famiglia soffre di malattie, affanni, crucci. “Tutto ciò che un’amorevole inclinazione concedeva volontariamente è ormai dovere”, per di più sanzionato dalla cerimonia del matrimonio. Elogio del matrimonio, dunque, ma elogio tiepido che non intende occultare i “mille doveri” che peseranno sull’individuo.
Inoltre, appare Ananke, che esprime la delusione della libertà individuale di fronte ai vincoli e ai doveri che la società le impone. Tuttavia, occorre attentamente distinguere vincoli sociali che gravano sull’amore e sul matrimonio, dalla Necessità implacabile e universale cui sono sottomessi gli individui. Quando si gode di un vantaggio, come il matrimonio, bisogna accettare gli inconvenienti che necessariamente ne derivano. La felicità ha il suo prezzo, che si deve pagare. La dipendenza volontaria è la situazione più bella, ma come sarebbe possibile senza l’amore?
In Ananke, invece, non va dimenticato che “Così è di nuovo, come gli astri vollero”. La volontà degli astri rappresenta il volere della totalità, ovvero il destino ineluttabile o la volontà di un dio. L’uomo crede di volere liberamente, ma vuole ciò che vuole perché deve volerlo, e deve volerlo perché così hanno voluto “gli astri”, cioè il destino, l’ordine e il corso generale della natura. Ha creduto di agire secondo la sua volontà, ma in realtà in funzione del suo Daimon; era prestabilito che avrebbe dovuto volere ciò che ha creduto di volere liberamente. L’individuo crede di fare ciò che vuole e di seguire il suo capriccio; ma non sa che, in realtà, per il fatto di essere e di essere così com’è in virtù del suo destino, è predestinato a volere proprio ciò che crede di volere liberamente.
Paradossalmente, può accadere che questa volontà che l’individuo crede personale e che gli è imposta dal suo Daimon e dal destino, venga ostacolata da questo stesso destino. L’individuo, per esempio, ha voluto legarsi a un essere amato, e l’ha voluto perché lo doveva, perché il suo demone lo votava a questo amore; questo amore, tuttavia, gli verrà estirpato dal cuore dal destino. La necessità sembra apparentemente opporsi a se stessa. Questo paradosso può essere confrontato con ciò che si osserva nella concezione del “demonico”. Questo è descritto, infatti, come una potenza che si manifesta solo per contraddizione, che non è né divina né umana, né demoniaca né angelica, ma che costituisce un fenomeno incomprensibile all’intelligenza e alla ragione, un potere sovrumano o quasi divino, una forza creatrice, ma anche distruttiva, seduttrice, quasi irresistibile, presente in tutta la natura, ma predominante in alcuni uomini. Solo Dio può opporsi a Dio. Ma qui il termine “Dio” significa, nel contesto del “demonico”, una potenza quasi divina, e soprattutto una potenza suscitata da Dio, cioè dalla natura o dal destino. Solo il destino stesso può opporsi a un essere la cui volontà è imposta dal destino. Il paradosso consiste, dunque, nel fatto che è il destino stesso a provocare ciò che sembra opporglisi.
Il Daimon e il demonico hanno in comune il fatto di essere potenze che dominano l’uomo e lo guidano, benché questi creda di condursi da sé. È esattamente la situazione descritta, come abbiamo visto, con riguardo ad Ananke: a causa della necessità interna rappresentata dal Daimon, vogliamo solo in quanto dobbiamo volere, conformemente alla volontà degli astri, ovvero di una potenza superiore. Il Daimon nella misura in cui ci determina e ci dirige, appartiene in definitiva al vasto campo del demonico. Le parole dedicate ad Ananke esprimono, in modo apparentemente perentorio e brutale, la delusione e la disillusione risultanti da tutte le insoddisfazioni che l’anima, ovvero l’individuo, ha provato scoprendo le sorti che determinano il suo destino. Il Daimon era una promessa di crescita armoniosa per l’essere appena nato. Ma era anche predeterminazione, una predestinazione che lo condannava a non essere altro che quello che era: “Così devi essere, non puoi fuggir te stesso”.
Tyche rappresentava la promessa di incontri con altri esseri e tutta una molteplicità di eventi in grado di introdurre varietà e fantasia nella crescita dell’individuo, ma rischiava di soffocare la personalità nella futilità e nel conformismo. Nell’incontro con l’Amore (Eros), però, Tyche poteva offrire all’individuo la possibilità di aprirsi, di superarsi in un’altra personalità e di scegliere così, con una libera decisione, di unirsi a essa con un vincolo indissolubile. L’amore diventava, allora, dovere obbligo ma anche gioia. Alla fine l’individuo riconosce il potere assoluto di Ananke, del limite e della necessità cui è stato sottomesso per tutta la vita. Ha fatto tutto “come gli astri vollero”.
In definitiva, dichiara Ananke, siamo soltanto “liberi, in apparenza”. La libertà, la scelta non sono che illusione. Alla necessità tutto è sottomesso, eccetto l’indomabile audacia dell’animo umano, che con altro nome chiamiamo Speranza” e ne riconosciamo il simbolo nelle ali del caduceo di Hermes:
“Un colpo d’ali – e dietro a noi gli Eoni” –
(ali da porre in relazione con il volo del pensiero).
Ma ecco la descrizione del caduceo di Macrobio (Saturnalia, Libro I) nel quale sono rappresentati Daimon, Tyche, Eros, Ananke :
“Esso si presenta sotto forma di due serpenti, maschio e femmina, intrecciati. Sono Daimon e Tyche, Sole e Luna. Le loro bocche sono unite in un bacio che rappresenta Eros, le parti anteriori dei loro corpi formano un cerchio, mentre le parti centrali sono strettamente legate da un nodo che Macrobio chiama il nodo di Ercole, famoso nell’Antichità perché difficile da sciogliere. Questo nodo è l’Ananke. A partire da qui, le parti inferiori dei corpi formano un secondo cerchio, con le estremità che si riuniscono nell’impugnatura, in un punto da cui spuntano due ali. Ogni particolare della figura del caduceo corrisponde a una delle divinità che determinano il destino umano, anche se non dà un nome alle ali, accontentandosi di dire: “Il motivo per cui sono state aggiunte le ali è già stato detto“.
Roberto Sestito
Associazione Culturale IGNIS (Associazione Culturale IGNIS (associazioneignis.blogspot.com)