Il ritorno degli antichi miti: Evelino Leonardi, Julius Evola e il Gruppo di Ur – Fabrizio Giorgio
L’individuazione di coloro che contribuirono alla formazione del «Gruppo di Ur» risulta, come è noto, molto difficoltosa sia per la natura iniziatica e dunque segreta del sodalizio, sia per la pluralità dei contributi, molti dei quali non ancora pienamente svelati e precisamente attribuiti. Nell’opera di ricostruzione dell’ambiente che si costituì intorno a Julius Evola ed Arturo Reghini, risulta, dunque, di particolare interesse soffermarsi sullo scienziato eugubino Evelino Leonardi, figura oggi poco nota ai più, ma che ebbe un ruolo fondamentale nell’ambito dei circoli esoterici della Capitale, «Gruppo di Ur» compreso. Evelino Leonardi nacque a Gubbio il 5 giugno del 1871 da Gaetano e Marzia Mantovani (1). Benché non appartenente alla nobiltà, la sua famiglia era una delle più antiche di Gubbio e un suo esponente, Ioanne Leonardi, aveva ricoperto la carica di primo console nel 1401 (2). Le rendite derivanti da una piccola proprietà di famiglia permisero al giovane Evelino, dopo aver conseguito il diploma, di continuare gli studi: si iscrisse alla facoltà di Medicina presso l’Università di Bologna. Di indole ribelle, Leonardi frequentò, in gioventù, ambienti anarchici e radicali della sua città, partecipando a varie iniziative politiche. Unì alla fede politica un’accesa militanza anticlericale che gli costò un processo per disturbo delle funzioni religiose (3). Iscrittosi al Partito socialista, divenne corrispondente da Gubbio per il quotidiano L’Avanti. Questa giovanile militanza gli valse la schedatura presso il Casellario Politico Centrale (4) e una sorveglianza da parte della Polizia Politica che durò sino alla sua morte (5). L’attività politica non gli impedì di portare a compimento i suoi amati studi di medicina: si laureò all’Università di Bologna il 18 novembre del 1897 con una tesi sulle lesioni cutanee di natura isterica (6). Una volta conseguita la laurea, iniziò per Leonardi una faticosissima carriera di medico condotto, che lo costrinse a frequenti spostamenti per i borghi e per le città dell’Umbria (7). È probabile che proprio durante una di queste sue peregrinazioni Leonardi abbia avuto l’occasione di conoscere un solitario filosofo pitagorico, Enrico Caporali, che allora risiedeva a Todi. Non è, inoltre, da escludersi che sia stato proprio Caporali, al quale Leonardi era legato da sentimenti di stima e di amicizia, a suggerire al giovane medico l’approfondimento di quelle dottrine pitagoriche che tanta importanza avranno nella sua successiva produzione scientifica. La brama di conoscenza spinse Leonardi ad approfondire sempre gli argomenti che più gli stavano a cuore, anche a costo di enormi sacrifici (8). Negli anni giovanili, ad esempio, egli si prendeva alcuni mesi di vacanza dal suo faticosissimo lavoro per recarsi a Roma o a Napoli, dove seguiva le lezioni di alcuni tra i più insigni professori di medicina, come Baccelli e De Giovanni (9). Alla fine del 1909 Leonardi si trasferì a Terni, dove ottenne un incarico come medico chirurgo. Il periodo ternano fu foriero di profondi mutamenti nella sua vita: abbandonate le giovanili posizioni estremiste approdò, infatti, ad un più moderato socialismo riformista. Nella cittadina umbra conobbe, poi, colei che divenne la sua adorata sposa, Giuseppina De Lemme, dalla quale ebbe la sua unica figlia, Liviana. Dal punto di vista professionale, infine, qui ottenne i primi importanti riconoscimenti, diventando il Presidente dell’Associazione dei Medici Condotti. Agli anni ternani va presumibilmente ascritta anche la sua iniziazione massonica. Fu affiliato ad una locale loggia, «Gli Illuminati» (10), aderente al «Rito Filosofico Italiano» fondato da Edoardo Frosini. Impossibile ripercorrere in questa sede la gloriosa, per quanto breve, storia di questo Ordine massonico (11); basterà qui rammentare che esso fu istituito da un gruppo di valenti esoteristi con lo scopo precipuo di ricondurre la Massoneria alla sua originaria funzione iniziatica e combattere il materialismo imperante nelle logge regolari. Ma vi è di più: è ormai accertato che nell’ambito del «Rito Filosofico Italiano» si manifestarono determinate influenze da parte di un’antichissima scuola iniziatica, la «Scuola Italica», della quale l’ultimo esponente era un misterioso ierofante calabrese, Amedeo Rocco Armentano. Tale sodalizio, depositario di tecniche di magia operativa e di alcuni legati della Tradizione italica, si fece assertore in campo culturale di alcune idee che, in seguito, si ritroveranno nel pensiero di Leonardi, come quella del Primato italico, della italicità di Pitagora e della centralità della città di Roma nell’ambito della storia dell’umanità, mirabilmente sintetizzata nel motto Roma Caput Mundi. Sembra, dunque, verosimile che Leonardi sia venuto a conoscenza di tali idee proprio durante la sua militanza nei ranghi del «Rito Filosofico Italiano», come è altrettanto probabile che in tale ambito abbia conosciuto Arturo Reghini, discepolo dell’Armentano e, alcuni anni più tardi, animatore, insieme a Julius Evola, del «Gruppo di Ur». Rimane insoluta la questione riguardante l’affiliazione di Leonardi alla Massoneria in un momento precedente all’adesione al «Rito Filosofico Italiano». É certo, comunque, che negli ambienti massonici dell’organizzazione fondata da Frosini egli era tenuto in grande considerazione, come testimonia un discorso scritto dallo stesso Gran Maestro in occasione della consacrazione, il 21 aprile del 1913, di un’altra loggia del «Rito Filosofico Italiano», la «Hermes» di Firenze. In tale occasione, oltre ai numerosi richiami alla tradizione esoterica romana e al Primato Italico, il Gran Maestro si espresse nei confronti del medico eugubino in tali termini: «(…) Quando tornerai a Terni, fra i fratelli della R. Loggia “Illuminati”, tu dirai mio caro e illustre fratello Evelino Leonardi, che non mentii quando da voi festosamente accolto affermai che a Firenze i Fratres Lucis vivevano sempre d’intensa vita» (12). È chiaro che espressioni di tale considerazione nei confronti del Leonardi mal si concilierebbero con una sua condizione di neofita. Allo scioglimento dell’Ordine fondato da Frosini, nel primo dopoguerra, Leonardi rientrò nei ranghi della Massoneria regolare, aderendo al «Grande Oriente d’Italia», come attestato da una nota della Polizia Politica (13). Più lineare sembra essere la questione inerente la sua adesione ad un’altra organizzazione esoterica, il Martinismo. Secondo la testimonianza di Pericle Perali, intimo amico e compagno di studi del medico eugubino, Leonardi entrò a far parte di tale organizzazione negli anni immediatamente precedenti lo scoppio del primo conflitto mondiale. Lo stesso Perali illustrò le motivazioni che indussero il caro amico ad aderirvi: «L’ansia della ricerca dottrinale e spirituale Lo aveva portato in quegli anni alle indagini sopra i segni e i simboli della antica scienza e Lo aveva attratto verso una corrente d’indirizzo misteriosofico ed iniziatico, che, risuscitando il Martinismo, dalla Francia e dalla Svizzera cercava di penetrare in Italia» (14). La notizia riportata da Perali è confermata da alcune note della Polizia Politica, nelle quali si dava per certa l’appartenenza del Leonardi al Martinismo (15). Si ritiene che la sua affiliazione all’Ordine Martinista sia da ascriversi allo stesso periodo della sua militanza nei ranghi del «Rito Filosofico Italiano». Bisogna tener presente, a tal proposito, che Edoardo Frosini, che, come si è detto, dell’organizzazione massonica era il Gran Maestro, venne iniziato al Martinismo già nel 1906 e intrattenne ottimi rapporti con la guida spirituale dell’Ordine Martinista, Gérard Encausse (Papus). Frosini ebbe, poi, un ruolo non secondario nella costituzione, nel 1908, della «Gran Loggia Martinista d’Italia» e venne nominato, nel 1912, da Jean Bricaud, Legato del «Supremo Consiglio Gnostico», una delle branche in cui si era diviso il Martinismo francese dopo la morte di Papus (16). Risulta interessante, infine, notare che furono affiliati al Martinismo tutti i più alti rappresentanti del «Rito Filosofico Italiano», come Amedeo Rocco Armentano e Arturo Reghini (17), Amerigo Bianchini e Umberto Maggi. I rapporti di Leonardi con gli ambienti del Martinismo furono, comunque, molto duraturi, se nel 1927 egli era ancora in contatto epistolare con l’avvocato Alessandro Sacchi, Gran Maestro dell’Ordine Martinista in Italia (18) e se una nota della Polizia Politica datata 17 luglio 1929 lo riconosceva come uno degli esponenti capitolini più in vista di tale associazione (19). Alla fine del 1912, Leonardi lasciò la sua attività di medico condotto per assumere un incarico presso la Società Acque Minerali dell’Amerino, le cui proprietà salutifere furono da lui riscoperte e valorizzate. Nei mesi precedenti l’immane conflitto che flagellò l’Europa, Leonardi abbandonò definitivamente l’Umbria e si trasferì con la famiglia nella Capitale del Regno. Qui fondò il Policlinico Morgagni, del quale fu per anni il direttore (20). Secondo gli studi di Mario Buttiguol, fu all’incirca nel 1915 che Leonardi si avvicinò alla medicina omeopatica.
(Evelino Leonardi, da Augustea, anno XI, n. 25, 15 dicembre 1936, p. 515)
Le circostanze che indussero lui, affermato medico allopatico, ad interessarsi alle teorie di Samuel Hahnemann furono rese note da Riccardo Galeazzi-Lisi: affetto da un’ulcera gastrica che né lui né i suoi colleghi allopatici riuscivano a guarire, Leonardi si vide spacciato: riuscì a salvarlo un valente omeopata romano, Giuseppe Secondari, da lui conosciuto casualmente. Da quel momento Leonardi cominciò a studiare le teorie di Hahnemann, divenendo in poco tempo uno dei più conosciuti e preparati medici omeopati della Capitale. Le motivazioni scientifiche che lo spinsero a tale passo furono da lui esposte, anni più tardi, in un corposo articolo, Le ragioni dell’omeopatia (21), e, soprattutto, nel libro La crisi della Medicina22, vero e proprio atto di accusa verso la medicina moderna. L’adesione alle teorie di Hahnemann fu così profonda che Leonardi volle creare all’interno del Policlinico Morgagni un intero reparto dedicato alle cure omeopatiche: fu forse questo suo attivismo contro la medicina galenica a costargli l’estromissione dall’Istituto che egli stesso aveva fondato. Quello degli studi di medicina non fu, comunque, l’unico ambito d’interesse della poliedrica figura di Leonardi. Come si è accennato in precedenza, il medico eugubino si occupò, in questi anni, di archeologia, di geologia e di paletnologia, studi che gli valsero una certa notorietà anche in campo accademico. Esemplificativa, in tal senso, è la vicenda che lo legò, agli inizi degli anni Venti, alla ricostruzione dell’originaria forma del fascio littorio (23). L’iniziativa, fortemente caldeggiata dalle più alte cariche del primo Governo Mussolini (24), fu affidata al grande archeologo Giacomo Boni, il quale, una volta terminati i rapidi ma rigorosissimi studi sul vetusto emblema romano, volle ricreare un modello esatto del fascio da esporre durante alcune particolari manifestazioni del Regime. Boni, che non era nuovo a simili iniziative, diede alla ricostruzione valenze quasi sacrali, tanto da far sorgere il sospetto in alcuni studiosi che «dietro le quinte» dell’operazione agissero determinate forze che si adoperavano per il rimanifestarsi della Tradizione Romana. Il grande archeologo volle, infatti, che la ricostruzione dell’arcaica insegna, seguisse meticolosamente il rituale romano. L’operazione non fu semplice, in quanto la tradizione esigeva che il fascio fosse composto da un’ascia di bronzo, da lacci di cuoio rossi e da dodici verghe di betulla bianca. Di particolare difficoltà risultò il reperimento delle aste di questo particolare tipo di albero, in quanto la betvla alba, un tempo non rara nei boschi della Penisola, era allora quasi del tutto scomparsa dal territorio italiano. Per la buona riuscita dell’impresa i collaboratori di Boni giunsero a prospettare anche una spedizione nelle lontane terre del Nord Europa per reperirne alcuni esemplari. Non fu necessario: infatti proprio Leonardi riuscì ad individuare un bosco di betulle bianche presso le rive dell’Aniene, a poca distanza da Roma (25). Gli studi di Leonardi sul fascio littorio non terminarono, tuttavia, con il compimento dell’iniziativa, ma si protrassero per molti anni, sino alla pubblicazione di un interessante articolo intitolato Che cosa è il Fascio Littorio? (26). Nello scritto veniva evidenziato il carattere sacrale dell’insegna romana, legata, secondo lui, ad un antichissimo rito divinatorio. Questa arcana cerimonia sarebbe stata parte integrante di un bagaglio di conoscenze esoteriche che dall’umanità primigenia era stato trasmesso ai popoli latini. Nello scritto si accennava ad una delle tesi più controverse dell’intera opera del Leonardi, che individuava nel Lazio primitivo il centro di una antichissima umanità detentrice di un’arcana sapienza. La permanenza a Roma permise a Leonardi di riallacciare, se mai fossero stati spezzati, i legami con alcuni esponenti della tradizione esoterica italiana e di intesserne di nuovi. Nella Capitale, infatti, si erano trasferiti, nel primo dopoguerra, alcuni ex confratelli del «Rito Filosofico Italiano», ed è probabile che con loro il medico eugubino sia allora rientrato in contatto. Sono ampiamente attestati, poi, i suoi rapporti con alcuni esponenti della «Fratellanza di Miriam», come Ercole Quadrelli e Camilla Calzone Mongenet. Occorre precisare che l’ambiente occultista romano in quegli anni era in pieno fermento e molteplici furono le iniziative editoriali e associative. Alla fine del 1925 era stata fondata, da parte di un eterogeneo gruppo di studiosi di materie umanistiche, la sezione romana dell’«Associazione per il Progresso Morale e Religioso». Promotore dell’iniziativa fu un noto esponente dello spiritualismo capitolino, Mario Puglisi, il quale, in un discorso pronunciato nel dicembre del 1926, illustrò lo spirito che aveva animato i primi aderenti al sodalizio: «In un’Associazione come quella per il Progresso Morale e Religioso, l’unità non si realizza per via di una dottrina, alla quale più o meno incondizionatamente tutti i soci possono aderire, ma unicamente nel sentimento di solidarietà degli interessi spirituali che sotto il vincolo della assoluta reciprocità, leghi i suoi aderenti alle vive esigenze di schiudere orizzonti sempre più vasti alle regioni dello spirito» (27).
Già agli inizi del 1926, la neonata associazione si fece promotrice di un primo ciclo di conferenze, che avrebbe dovuto toccare i più svariati temi: dalla politica al sociale, dalla scienza alla religione, sino a giungere allo spiritualismo e alla magia. Gli incontri, che si tennero nella sede dell’associazione a Piazza Nicosia, furono originariamente divisi in due corsi distinti: l’uno di Storia delle religioni, diretto dallo stesso Puglisi; l’altro di cultura spirituale, di fatto affidato ad un giovane esoterista romano, Julius Evola, il quale godeva già di un certo prestigio nell’ambito della cultura capitolina (28). Evola, che affrontava in questi anni un difficile passaggio dalla filosofia speculativa dell’idealismo magico alle dottrine esoteriche della tradizione italica, si adoperò con grande energia affinché il corso da lui diretto divenisse un polo d’attrazione per il variegato mondo dell’occultismo romano. Obbiettivo del giovane filosofo, così come si evince in alcuni suoi articoli dell’epoca (29), era quello di formare un’élite spirituale che potesse porsi come guida dell’intera nazione. Nel corso degli anni parteciparono alle conferenze tenute a Piazza Nicosia i nomi più noti dell’esoterismo italico, tra i quali, oltre allo stesso Evola, Ercole Quadrelli, Arturo Reghini, Giulio Parise, Giovanni Antonio Colonna di Cesarò, Vittore Marchi, Nicola Moscardelli, Girolamo Comi, Luigi Valli, Camilla Calzone Mongenet, Maria de Naglowska ed Emilo Servadio. Il ciclo d’incontri riscosse un notevole successo di pubblico e di critica e ben presto vi presero parte anche importanti personalità del mondo politico, culturale e accademico dell’epoca. A rendere maggiormente interessanti le conferenze, contribuirono le celeberrime discussioni che si tenevano alla fine della relazione principale. Questi dibattiti, che assunsero talvolta toni molto accesi, videro confrontarsi autorevoli esponenti della cultura italiana, accademica e non, e trovarono una vasta eco nelle cronache dei maggiori quotidiani. Nell’ambito dei corsi dell’«Associazione per il Progresso Morale e Religioso», Leonardi tenne tre conferenze: la prima, nel 1929, inerente la virtù dei nomi e la tradizione arcaica tirrenica; la seconda, nel 1930, concernente il linguaggio e l’origine dell’Uomo; infine, la terza, tenuta nel 1931, sul mito della civiltà paleotirrenica. Purtroppo, di questi interessanti interventi soltanto del secondo si è conservato un ampio resoconto, sul quale si avrà modo di tornare in seguito. Ma al di là delle conferenze, che molto probabilmente furono in numero maggiore rispetto a quelle riscontrabili nelle cronache dei periodici dell’epoca (31), è indubbio che il medico eugubino abbia svolto un ruolo rilevante nella vita dell’Associazione. Ne è testimonianza il fatto che alla morte del Leonardi, nel 1938, l’unica commemorazione pubblica dell’illustre scienziato fu organizzata proprio dall’«Associazione per il Progresso Morale e Religioso» e che un insigne esponente dell’organizzazione, il poeta Raniero Nicolai, definì, in quella occasione, Leonardi «collaboratore geniale e fecondo» dell’associazione stessa (32). Gli incontri di Piazza Nicosia diedero ben presto i loro frutti, non solo perché riuscirono a stimolare un serio dibattito su tematiche spesso neglette dalla cultura ufficiale, ma anche perché, come auspicato da Evola, fecero coagulare un ferrato gruppo di esoteristi che di lì a poco formarono il «Gruppo di Ur». Come argomentato altrove (33), è, infatti, molto probabile che l’ambito nel quale esso si formò vada individuato proprio nelle riunioni dell’«Associazione per il Progresso Morale e Religioso». Questo non solo perché la maggior parte dei futuri appartenenti al sodalizio iniziatico partecipò attivamente agli incontri di Piazza Nicosia (34), ma anche perché molte delle conferenze tenute all’interno dei corsi diretti da Evola si tradussero, poi, in articoli pubblicati sulle riviste Ur e Krur (35). Vi è, infine, una questione cronologica: è, infatti, verosimile che l’inizio delle attività di «catena» del «Gruppo di Ur» abbiano preceduto di qualche mese l’uscita dei primi fascicoli dell’omonima rivista. L’inizio delle attività magiche del cenacolo esoterico andrebbe dunque collocato a cavallo tra la prima e la seconda metà del 1926: pochi mesi dopo l’avvio dei corsi diretti da Evola. Alcuni elementi fanno supporre che Evelino Leonardi abbia preso parte anche alle attività del «Gruppo di Ur». Egli, infatti, pubblicò sulla rivista Ur (36), che del sodalizio iniziatico era espressione, un importante saggio intitolato La virtù dei nomi e il simbolismo anatomico (37), sotto lo pseudonimo «Primo Sole». Ma al di là dell’articolo, che potrebbe anche costituire un episodio occasionale, esiste un’altra importante testimonianza che induce ad inserire Leonardi nel novero di coloro che presero parte alle attività del sodalizio esoterico. Nel 1929, Arturo Reghini, durante lo svolgimento di un processo che lo vide contrapposto a Julius Evola, presentò un memoriale nel quale si poteva leggere: «Sin da allora [novembre 1928] egli [Julius Evola] ebbe a comunicare al prof. Ercole Quadrelli (del R. Istituto Gioberti), al prof. Michele Cianciulli dell’Istituto De Merede (sic) (38) ed al Dott. Evelino Leonardi che aveva rifiutato di pubblicare un articolo massonico di Parise» (39). Risulta evidente che se Evola metteva al corrente Leonardi, così come Quadrelli e Cianciulli (40), di questioni delicate inerenti la vita del sodalizio questo accadeva perché costoro partecipavano, in qualche modo, alle attività del «Gruppo di Ur». Vi è, infine, un’altra questione molto interessante circa i rapporti intercorsi tra Leonardi, Evola e il «Gruppo di Ur». Nella sua autobiografia, Evola rese una importantissima testimonianza sugli obiettivi che si erano proposti gli appartenenti al sodalizio iniziatico: «Quanto alle finalità, quella più immediata era il destare una forza superiore da servire d’ausilio al lavoro individuale di ciascuno, forza di cui eventualmente ciascuno potesse far uso. Vi era però anche un fine più ambizioso, cioè l’idea che su quella specie di corpo psichico che si voleva creare potesse innestarsi, per evocazione, una vera influenza dall’alto. In tal caso non sarebbe stata esclusa la possibilità di esercitare, da dietro le quinte, un’azione perfino sulle forze predominanti nell’ambiente generale di allora. Quanto alla direzione di tale azione, i punti principali di riferimento sarebbero stati più o meno quelli di Imperialismo Pagano e degli ideali ‘romani’ di Arturo Reghini» (41). In altre parole, oltre a favorire lo sviluppo interiore dei singoli appartenenti al sodalizio, il proposito era quello di evocare «forze divine» e, contemporaneamente, di agire magicamente sulla realtà politica del tempo. Non bisogna credere, comunque, che tale progetto si basasse soltanto sull’attività esoterica: accanto ad essa si sviluppò un programma di diffusione culturale delle tematiche del tradizionalismo romano e anche un’azione politica vera e propria, di cui si fece carico lo stesso Evola. Dunque, nella prospettiva del direttore di Ur, le pratiche teurgiche e l’interventismo politico e culturale rientravano in una medesima strategia: influenzare le gerarchie del Fascismo e indurle ad una sempre più consapevole adesione ai principi della Tradizione.
(Julius Evola)
Evola condusse in questi anni una vera e propria offensiva culturale dalle pagine delle più importanti riviste del Fascismo, offensiva che culminò, nel 1928, con la pubblicazione dell’articolo Imperialismo pagano (42) sul periodico diretto da Leandro Arpinati, Vita Nova. Non può essere privo di relazione con quanto sin qui asserito che anche Evelino Leonardi iniziò, nei medesimi anni, una vasta opera di divulgazione delle dottrine tradizionali sugli organi di stampa del Fascismo. Senza voler ipotizzare una concordata strategia da parte dei due esoteristi, risulta chiaro che l’opera di Leonardi marciava in qualche modo parallela a quella intrapresa da Evola (43). Anche negli obbiettivi si può riscontrare una palese unità d’intenti. Nel già menzionato saggio sul fascio littorio, Leonardi lanciò un singolare appello alle gerarchie del Regime affinché non si limitassero a rievocare superficialmente i miti e i simboli della romanità, ma si adoperassero per cogliere le valenze più profonde dell’Antica Sapienza Italica: «E se il Fascismo ha voluto foggiarsi a simbologia antica, non deve restare alle prime significazioni esteriori, ma penetrare finoa lle radici prime di questa Sapientia, che costituisce il più vero e maggiore primato d’Italia sul mondo occidentale» (44). Ora se questo era l’obiettivo di Leonardi, è evidente che coincida con quello perseguito da Evola. Cosa intendesse, poi, per «Primato d’Italia», Leonardi lo spiegò in un altro importante articolo che apparve, pochi mesi più tardi, sulla rivista di Asvero Gravelli, Antieuropa (45). Innanzitutto, egli affermava che ogni italiano era consapevole, anche solo a livello inconscio, del primato che le genti che avevano abitato la Penisola potevano vantare nei confronti delle altre civiltà. Per Leonardi occorreva, però, intendersi sul significato da attribuire al termine «primato», in quanto l’esser stata la sede di un pur grande impero, quello romano, da sola non poteva giustificare una supremazia dell’Italia sulle altre nazioni. La parola «primato», per il medico eugubino, andava ricondotta al suo significato etimologico, ovvero ciò che sta alle origini: «Secondo noi dunque – spiegava Leonardi –, il Primato indica precisamente ciò che è proprio Primo nel tempo e si riferisce specialmente all’ordinamento Crono-logico della natura e dell’umanità. Come tale il Primato d’Italia vuole senz’altro esprimere che qui si avverarono quelle condizioni geo-fisiche che ne fecero la culla dell’umanità occidentale» (46). Il «Primato d’Italia» risiedeva, dunque, nel fatto che la Penisola era stata la prima terra emersa e la sede della prima umanità: «Ciò che noi oggi chiamiamo Corsica Sardegna, Sicilia, Calabria, Arcipelago lacupano e lo stesso monte Circeo che ai tempi Omerici era ancora un’isola, son gli avanzi dell’antico continente sommerso, che i geologi chiamano Tirrenide; corrispondente forse a ciò che gli antichi testi greci dissero Turreccia o Tirreccia» (47).
Riemergeva, con Leonardi, un mito che aveva animato il dibattito politico e culturale italiano nel periodo risorgimentale: il mito dell’Italia- Atlantica. Il medico eugubino non era, infatti, il primo a sostenere l’ardita tesi, innanzi a lui vi erano stati numerosi studiosi che, soprattutto nella seconda metà dell’Ottocento, avevano sostenuto con forza il primato della civiltà italica sulle altre e avevano riconosciuto in una Italia dalle forme affatto diverse rispetto all’attuale il favoloso continente descritto da Platone. Si è ipotizzata altrove (48) una correlazione tra la diffusione di queste teorie sulla preistoria italica e l’azione di determinati circoli esoterici partenopei che cercavano d’imprimere ai moti risorgimentali un taglio tradizionale: il mito dell’Italia-Atlantica avrebbe fatto parte di un bagaglio di conoscenze tradizionali, trasmesse segretamente dalla notte dei tempi, che, per vie misteriose e per voleri imperscrutabili, riemersero nella loro primordiale potenza sulla scena d’Italia proprio durante i moti unitari. Per vie altrettanto misteriose e con intenti che possono essere soltanto ipotizzati, tali miti trovarono nuovo fulgore nel periodo fascista. Tornando a Leonardi, egli avrebbe dovuto fornire una compiuta spiegazione al suo iniziale asserto nella terza parte dell’articolo pubblicato su Antieuropa, ma, per motivi oscuri, questo non vide mai la luce. L’occasione per meglio chiarire il suo pensiero in merito alla preistoria d’Italia, Leonardi la ebbe durante una conferenza tenuta nell’ambito dei corsi dell’«Associazione per il Progresso Morale e Religioso» diretti da Evola e, ancor più organicamente, nel suo libro Le origini dell’uomo (49). Leonardi, ribadì la sua convinzione dell’esistenza di una antichissima civiltà, precedente a tutte le altre, che aveva avuto la sua originaria sede nella zona del Circeo. Quest’ultima rappresentava, secondo la sua visione, l’estremo lembo di un primordiale continente, inabissatosi in seguito ad un immane cataclisma (50). Questo continente, chiamato dagli antichi «La Terra della Colomba Rossa» o Tirrenide, sarebbe stato la prima terra emersa e il luogo dove si era manifestato un fenomeno eccezionale: dopo gli immensi e furibondi sconvolgimenti che avevano caratterizzato la prima fase del nascente pianeta, il sole era riuscito a squarciare la coltre di vapori che avvolgevano la Terra, dando origine alla prima grandiosa aurora boreale (51). Quest’ultima sarebbe stata, seguendo le parole di Leonardi, «una luce sonora o un suono lucente, che fu il primo grido, la parola luminosa, il fuoco celeste di Prometeo, il Vello d’oro che andavano a cercare gli Argonauti» (52). «Yav», questo fu il suono-luce che accompagnò lo straordinario evento, e Ya(n)v fu il nome che le prime genti italiche diedero al loro Dio supremo: «Noi sappiamo che Giano, primitivamente Y-A-(n)V, è il più potente Iddio italico, il Padre degli uomini, il Primo, l’unico, il Pater Matutinus, colui che apre le porte del cielo e ne tiene la chiave» (53). Lo scienziato eugubino supponeva, inoltre, che la vita sulla Terra fosse stata generata proprio da questo evento (54). Al di là di tale audace ipotesi, Leonardi riteneva inverosimile la teoria darwiniana di una lenta evoluzione e propendeva, piuttosto, per un’ipotesi «creazionista» dell’uomo: «(…) supponiamo che l’uomo sia apparso come primo atto della creazione insieme a tutto il resto (qualunque sia la portata che ognuno voglia dare al termine creazione)» (55).
Lo scienziato, in realtà, si spinse oltre, asserendo che alle origini dell’attuale umanità vi furono due esseri primordiali, in possesso di conoscenze esoteriche superiori. In una lettera indirizzata all’artista Ruggero Musmeci Ferrari Bravo, Leonardi specificava in merito a questa ipotesi: «[Rom] è la stessa radice di Roma. E non tanto della Roma moderna, o dei Papi o dei Romani, ma di quella lontanissima e nostalgica Ruma, centro della primordiale sapienza occidentale. Da Ruma – voce primitiva di mammella trassero il latte Rom e Rem, l’uomo e la donna: non il latte materiale, ma quello sapienziale, il primo nutrimento» (56). Da questi due esseri primordiali discesero i primi abitanti della Terra; questi ultimi, non numerosi, abitarono per millenni la Terra primigenia, mentre, intorno, iniziavano ad emergere i primi continenti. Ma un fato inesorabile incombeva sulla Tirrenide, un terribile cataclisma che avrebbe fatto inabissare il primordiale continente, cancellandone ogni traccia. Quando i Grandi Sacerdoti dell’umanità primigenia scorsero i primi segni dell’immane catastrofe che stava per colpire la loro terra, provvidero ad inviare in varie parti del mondo i loro legati, affinché la loro sapienza non andasse perduta. «Al momento che i Grandi Sacerdoti Re della Prima Razza cominciarono ad avvertire la sommersione della Terra, si presero cura di mandare intorno sulle altre terre emerse, i Kentauri o Kantauri a diffondere (…) le prime tradizioni e le prime note della sapienza primordiale»57. Per questo motivo, secondo Leonardi, le tracce di questa arcaica Sapienza potevano essere rinvenute nella mitologia e nel folclore dei più disparati popoli della Terra (58). L’accenno alla teoria dello scienziato eugubino sul primordiale continente della Tirrenide offre lo spunto per affrontare un aspetto sin qui taciuto della vita del Leonardi. Dall’agosto del 1926, egli, infatti, iniziò una serie di ricerche geo-archeologiche nella zona del Circeo (59): a tal fine affittò dal barone Alberto Carlo Blanc una villa in località San Felice Circeo, che così divenne la base logistica per le sue esplorazioni e il deposito per singolari reperti che egli andava raccogliendo durante tali ricognizioni. Fu verosimilmente durante una di queste escursioni che Leonardi venne «iniziato», per usare una locuzione dell’archeologo Guido Di Nardo, «ai misteri del Circeo» (60). Non è dato sapere, né il preannunciato libro di Di Nardo sull’argomento fu mai pubblicato (61), se questa «iniziazione» sia avvenuta attraverso una rivelazione, ossia, come lo stesso Leonardi precisò, quel «momento spaziale in cui l’immateriale precipita nel materiale» (62), o tramite una trasmissione di notizie riservate operata da qualche sodalizio esoterico. Rimane il dato inconfutabile che alcune tesi inerenti la natura «onfalica» del Circeo circolavano in determinati ambienti già dalla metà dell’Ottocento. Il primo ad accennarne, anche se in maniera contraddittoria, fu lo studioso romano Camillo Ravioli, il quale, in una sua opera dedicata alle origini italiche (63), affermò che la città di Metropoli, antico centro del primordiale Regno Italo-Atlantico, andava individuata sul Circeo (64). È ampiamente attestato, inoltre, che alcune conoscenze inerenti la centralità del Circeo nell’ambito della preistoria italica fossero patrimonio di alcuni circoli iniziatici romani, come, ad esempio, quello che agiva dietro il «Circolo Vergiliano di Studi Filosofici» (65). Nel corso di un singolare processo, che vide come involontaria protagonista Camilla Calzone Mongenet, esponente di primo piano del succitato cenacolo esoterico, emerse una curiosa testimonianza su misteriosi riti che la nobildonna e alcuni suoi adepti avrebbero compiuto proprio sulle alture del Circeo: «(…) un giorno muove anche lei alla conquista dell’Atlantide e sul Monte Circeo consuma un rito propiziatorio, bruciando incensi sotto un albero e bisbigliando arcane parolette» (66). Vi è di più. Nel 1944 Cesarina Ribulsi, la quale era vissuta per anni a stretto contatto con la Mongenet, pubblicò una singolare favola per bambini, intitolata Il mistero della pineta (67). Tralasciando i molteplici elementi simbolici di cui lo scritto è ricco, basterà in questa sede menzionare un aspetto del racconto che maggiormente attiene alla presente ricerca: in esso la Ribulsi narrava, infatti, le gesta di un antichissimo popolo italico, i Pelasgi, il quale, per sfuggire all’invasione di genti barbare provenienti dal nord, si era rifugiato a Civitastrea, un luogo favoloso, identificabile con la Terra di Saturno, ovvero la mitica terra delle origini, nella quale Dei e uomini vivevano in armonia. Ebbene, in un passo di eccezionale importanza al re di Civitastrea, Arrunte, venivano fatte pronunciare le seguenti parole: «Questa terra che voi vedete [Civitastrea] è in Italia presso il monte Circeo, di fronte al Mar Tirreno; …qui è eterna primavera, qui gli alberi producono spontaneamente frutta succulenta e profumata. Pensate che così era l’Italia quando Saturno e Astrea (…) vi abitavano vivendo in mezzo agli uomini» (68). Tale riferimento induce a pensare che, dietro il velo della favola, si siano voluti celare alcuni specifici legati inerenti le origini dell’umanità che erano custoditi e trasmessi all’interno di determinati ambienti iniziatici. Occorre menzionare, infine, il caso di Guido Di Nardo, fascista, esoterista e studioso di antichità, il quale sin dalla metà degli anni Venti condusse ricerche archeologiche sulla arcaica civiltà laziale. Le indagini del Di Nardo procedettero per un decennio parallele a quelle condotte dal medico eugubino, giungendo, pressapoco, alle medesime conclusioni. L’incontro tra i due studiosi era inevitabile. Ciò avvenne nell’estate del 1937, quando, dopo un corposo scambio epistolare, Di Nardo si recò personalmente al Circeo per effettuare con Leonardi alcune escursioni. Il resoconto di questa esperienza fu pubblicato da Di Nardo un una serie di articoli; in uno di questi, tra l’altro, si poteva leggere un’interessante puntualizzazione: «Già i geniali articoli che da alcuni anni Evelino Leonardi andava pubblicando sulla ‘Tribuna’ avevano attratta la mia attenzione poiché le sue deduzioni collimavano con le mie idee e con i miei studi» (69). Come ha notato lo scrittore che si cela sotto lo pseudonimo di Siro Tacito, la precisazione è importante perché i probabili influssi esercitati da alcuni sodalizi iniziatici sui due studiosi si manifestarono per vie indipendenti (70). Tutti questi elementi rafforzano l’ipotesi che Leonardi nel formulare le sue particolari teorie sul Circeo abbia attinto ad un bagaglio di conoscenze tradizionali proprio di alcune scuole iniziatiche della Capitale.
Tornando a Leonardi e alle sue ricerche, va detto che durante le sue escursioni egli rinvenne alcune importanti testimonianze della primordiale civiltà che abitò l’area pontina. Impossibile elencare in questa sede le numerose e, a volte, controverse scoperte archeologiche compiute dallo scienziato eugubino in dieci anni di affannose ricerche. Tra le tante, va menzionata, per la sua importanza, l’esedra rupestre che egli individuò presso Terracina, sede, secondo Leonardi, di un primordiale culto tributato al Sole (71). Egli maturò, poi, una particolare attitudine ad individuare, in particolari stati psichici e con determinati giochi della luce solare, alcune forme nella pietra, vere e proprie sculture rupestri, come il Giano bifronte del Pisco montano di Terracina, il leone del Monte Leano e, soprattutto, il maestoso Atlante-Posidone del Monte Circeo. A proposito di Posidone, va sottolineato che Leonardi sviluppò per questa divinità, che egli identificava con l’antico dio romano Giano, il padre degli Dei e degli uomini, un vero e proprio culto. Nelle sue lettere indirizzate all’amico Antonio Bruers, Leonardi accennava spesso a sacrifici e libagioni che egli andava compiendo presso un’ara dedicata al dio (72), collocata forse non lontano dalla sua villa del Circeo (73). Un ultimo aspetto interessante delle ricerche compiute da Leonardi, riguarda i cosiddetti «petrefatti», ovvero, sempre secondo lo studioso, «materia vivente» che si era pietrificata per un processo ignoto. Molto proficue furono, in tal senso, le indagini che lo scienziato effettuò nell’estate del 1936, quando rinvenne, in località Peretto, i resti di un gigantesco drago alato, che egli identificò subito con il mitologico animale che era a guardia del giardino delle Esperidi, e le spoglie di un grosso uccello di quattro metri di lunghezza. Leonardi informò immediatamente della scoperta l’amico Antonio Bruers, nella speranza che questi intercedesse presso l’Accademia d’Italia per condurre uno scavo ufficiale (74): ma non risulta che la prestigiosa istituzione abbia preso in considerazione la proposta. Le clamorose scoperte di Leonardi, intanto, suscitarono l’interesse del Governo, il quale diede disposizione agli organi di stampa di dare il massimo risalto alla questione (75). Anche le autorità locali si adoperarono per valorizzare i «petrefatti» rinvenuti da Leonardi e lo scienziato poté effettuare una breve esposizione di alcune delle sue scoperte sulla piazza centrale di San Felice Circeo (76). Leonardi raccolse negli anni un numero notevole di questi «petrefatti» che egli conservava nel giardino della sua villa al Circeo (77).
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Anche dopo la burrascosa fine, nel 1929, dell’esperienza del «Gruppo di Ur», i rapporti tra Julius Evola ed Evelino Leonardi non s’interruppero. Il filosofo romano volle, infatti, che Leonardi collaborasse anche alla sua nuova esperienza editoriale, la rivista La Torre. L’argomento prescelto dal medico eugubino per il suo intervento sul nuovo periodico evoliano, fu, ancora una volta, il tema delle origini dell’umanità (78), questione che, evidentemente, era di massimo interesse per entrambi gli studiosi. E che fosse proprio questo l’ambito su cui Evola e Leonardi si confrontavano è testimoniato da una singolare lettera, di poco successiva alla chiusura de La Torre, nella quale i due disquisivano su una misteriosa epigrafe. Interrogato da Leonardi in merito, Evola sottopose l’iscrizione al vaglio di alcuni esperti, non ottenendo, però, alcun risultato. Diede maggiori informazioni al direttore de La Torre un sapiente esoterista, il cui nome rimane sconosciuto, che gli scrisse: «Gentilissimo amico Barone Evola, la spiegazione di quei segni, che posso dare, non so se soddisferà dal lato della scienza ufficiale. Ma io non so dare che questa, dal mio punto di vista perfettamente attendibile. La dia, se crede, al Dott. Leonardi. Se non lo crede, se ne astenga. ‘Sono antichissimi segni corrosi e cambiati dal tempo, che appartennero al Tempio di Saturno e che indicavano le diverse vie da seguire per giungere all’Olimpo’» (79). Bisogna precisare che l’opera divulgativa delle dottrine tradizionali intrapresa da Leonardi non si limitò all’ambito ristretto dei periodici fascisti o a quello ancora più elitario delle riviste esoteriche, ma fu di più ampio respiro. Nel 1926, ad esempio, iniziò una proficua collaborazione con il quotidiano La Tribuna, del quale divenne ben presto redattore scientifico. Impossibile elencare, anche sommariamente, i molteplici argomenti affrontati da Leonardi nel decennio in cui fu protagonista assoluto della terza pagina del prestigioso giornale. Tra i tanti, sarà utile menzionare quello sulla Divina Proporzione, frutto di una profonda intesa culturale che si stabilì fra lui e l’artista siciliano Ruggero Musmeci Ferrari Bravo (80).
È utile ricordare che gli studi sulla Sezione Aurea conobbero in quegli anni un’inaspettata fortuna, legata anche alla rinascita pitagorica, che ebbe in Italia il suo epicentro. Precursore delle indagini sulla Divina Struttura fu il principe romeno Matila Ghyka, il quale pubblicò, a cavallo tra gli anni Venti e gli anni Trenta, numerosi saggi dedicati all’argomento. Parallelamente agli studi di Ghyka, in Italia Musmeci iniziò, alla fine degli anni Venti, ad interessarsi alla questione, sino, a suo dire, a risolverla definitivamente. I due studiosi, le cui ricerche si erano sviluppate indipendentemente l’una dall’altra, vennero ben presto in contatto intessendo una fitta corrispondenza. In questo contesto s’inserisce Leonardi, il quale, nell’ambito delle sue ricerche sulle dottrine pitagoriche, affrontò, forse stimolato dalla lettura delle opere di Ghyka, anch’egli la questione della Divina Struttura. È probabile che, incuriosito dal clamore suscitato nella stampa italiana ed estera dall’annuncio dato da Musmeci di aver risolto l’annoso problema, Leonardi abbia voluto vedere le due statue che l’artista siciliano aveva plasmato seguendo le formule da lui stesso elaborate (81). Sta di fatto che i due intellettuali si stabilì un proficuo scambio di idee che interessò più campi: dagli studi pitagorici agli studi sulla Sezione Aurea, dalla medicina omeopatica (82) sino alla metafisica e alle origini dell’uomo. Leonardi pubblicò una sintesi dei suoi complessi studi sulla Divina Proporzione in un articolo apparso su La Tribuna (83): egli, riprendendo quanto da lui sostenuto in maniera più approfondita in precedenti scritti (84), affermava che «in natura non esistono tipi accidentali per una combinazione fortuita» (85), ma tutti sono «il risultato dell’azione continua, paziente plasmatrice delle forze cosmiche»86. Queste forze plasmatrici agivano non solo sull’uomo e sugli animali, ma anche sui vegetali e sui minerali, attraverso precise leggi numeriche e geometriche. Veniva ripreso, dunque, l’antico concetto affermato da Platone87, ma riconducibile all’antica sapienza pitagorica, dell’«άεί γεωμετρεΐν τòν θεόν», «Dio sempre geometrizza». L’anatomia umana rispondeva, secondo tale visione, a precisi rapporti matematici che lo scienziato riassumeva nella formula algebrica:
a a+b
– = — = 1,61803398875…
b a
Il risultato di questa espressione, a detta del Leonardi, era un numero incommensurabile, che poteva essere diviso per secoli senza che si arrivasse ad un numero compiuto.
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Nell’ambito della poliedrica attività del Leonardi, non può essere dimenticato, poi, il tentativo compiuto, alla fine degli anni Venti, di costituire un’associazione di studiosi che avesse come scopo precipuo l’esame delle antiche civiltà mediterranee. Pericle Perali, che del Leonardi fu amico e collega di studi, scrisse a tal proposito: «Pochi anni avanti [nel 1928], nel periodo che era stata più intensa la Sua collaborazione scientifica alla Tribuna, il 16 maggio 1928, Leonardi aveva pubblicato uno dei suoi sostanziosi articoli: ‘Che cosa è il Fascio Littorio?’. In quell’articolo poneva così evidenti alcuni problemi sulle origini della civiltà primitiva mediterranea, che un amico comune, con lo stesso Leonardi, con un altro comune amico e con me, volle iniziare un piano di ricerche e di studi sull’antichità mediterranea» (88). I quattro promotori dell’iniziativa possono essere facilmente individuati nello stesso Evelino Leonardi, in Antonio Bruers, occultista e sostenitore del Primato Italico, in Pericle Perali, archivista presso la Biblioteca vaticana e studioso di antichità etrusco-romane, e in un non meglio noto conte Mayo. Interessante risulta, inoltre, il fatto che Perali abbia messo in relazione la nascita dell’associazione con l’articolo di Leonardi sul fascio littorio. Come si è detto, tale scritto conteneva, nella sua parte finale, un appello alle gerarchie del Fascismo ad approfondire le valenze occulte dei simboli e dei miti della Tradizione romano-italica. In assenza di ulteriori elementi, si può solo ipotizzare che Leonardi avesse in mente una organizzazione in grado di raccogliere e rielaborare in una prospettiva tradizionale i più disparati dati dell’archeologia, della biologia, della geologia, dell’antropologia, per poi fornire alle gerarchie del Regime validi elementi su cui fondare la battaglia per il Primato Italico; un sodalizio che, pur fondandosi su solide basi scientifiche, fosse libero dalle pastoie della cultura accademica e potesse analizzare le antichità in una prospettiva nuova, rivoluzionaria. Era questo, infatti, un chiodo fisso del Leonardi: lo scontro tra una cultura ufficiale (89), da lui identificata con l’istituzione universitaria, ingessata dai dogmi del positivismo, dell’evoluzionismo e dello scientismo, e una cultura «alternativa», aperta agli apporti più vari, non escluso quello delle scienze esoteriche (90). In un memorabile articolo, pubblicato da Leonardi alcuni anni più tardi, intitolato, appunto, Le culture nemiche (91), egli esortava il Fascismo a scardinare il fortilizio in cui si era trincerata la cultura accademica e a portare una ventata rivoluzionaria anche nel campo delle scienze. «Se il Fascismo – affermava Leonardi – ha una missione storica, come ci dimostra ogni giorno di più ed agisce quale mordente che corroda gli strati più superficiali per metterne in vista le profondità, quest’azione già esercitata con successo nel campo politico sociale, è necessario rivolgerla verso il campo culturale della nazione» (92). Dell’associazione fu redatto, ad opera del Leonardi e del Perali, un programma incentrato, come si deduce dai pochi accenni fatti dall’archeologo orvietano, sullo studio delle antiche civiltà etrusca e romana, considerate come le dirette eredi della più antica tradizione italoatlantica (93). Purtroppo, la lodevole iniziativa, che, se adeguatamente sviluppata, avrebbe potuto imprimere una svolta negli studi sulla preistoria italica, s’infranse contro lo scoglio della incapacità dei quattro studiosi di dare all’idea una realizzazione pratica. Consci di questo loro limite, essi si accordarono per contattare un vecchio conoscente del Leonardi, il conte David Costantini, il quale sembra che godesse all’epoca di un certo prestigio negli ambienti archeologici (94). Nel febbraio del 1929, Leonardi scrisse al Costantini una lettera di presentazione dell’iniziativa, alla quale allegò, ingenuamente, anche il programma. La missiva di Leonardi non ebbe alcuna risposta, ma, con sommo stupore del medico eugubino e dei suoi sodali, qualche tempo dopo venne fondata a Roma da parte dello stesso Costantini, l’«Associazione Romana per gli Studi Mediterranei», la quale, sfrondata delle ardimentose terie del Leonardi, ricalcava esattamente il loro programma (95). In una lettera inviata, alcuni anni dopo all’amico Bruers, Leonardi ricordava ancora con amarezza quel deplorevole comportamento: «Lei ricorderà il famoso conte (per modo di dire) Costantini e la società di Studi Mediterranei. Essa fu ideata da me e inviato il progetto a Lui che se ne appropriò la priorità. Parce Sepulta» (96). Unica consolazione per Leonardi e i suoi colleghi di studi fu una breve nota apparsa sul quotidiano La Tribuna, nella quale veniva ristabilita la verità sulla primogenitura del progetto (97). Va detto, infine, che, nonostante il coinvolgimento dei più blasonati nomi dell’archeologia italiana ed europea, l’associazione «ideata» dal conte Costantini non ebbe molto successo e, a parte la pubblicazione di un bollettino, lasciò ben poche tracce nell’ambito degli studi preistorici. Dalla metà degli anni Trenta, Leonardi si diede ad una sorta di volontario ritiro: la prematura scomparsa dell’amata moglie (98) e la partenza della figlia alla volta della Francia (99) lo portarono a trascorrere sempre più tempo nella sua villa del Circeo, spostandosi solo per ottemperare agli obblighi della sua professione, per partecipare a qualche conferenza o per andare a trovare la figlia. Il volontario ritiro e le frequenti escursioni alla ricerca di prove che confermassero le sue teorie sull’origini dell’umanità, non impedirono a Leonardi di proseguire l’attività di scrittore: fu proprio in quest’ultimo periodo della sua vita, infatti, che egli pubblicò le sue più importanti opere. Lavorò in questi anni a vari libri: alcuni furono editi, altri, purtroppo, rimasero allo stato di abbozzo, come nel caso di una storia romanzata che Leonardi aveva iniziato a scrivere sul Circeo (100). Evidentemente, la permanenza nei luoghi magici dove aveva dimorato la prima umanità e dove ancora era avvertibile la potenza numenica di IANO-POSIDONE donava al medico eugubino la giusta ispirazione per i suoi scritti. Nel 1933, uscì, per i tipi del Secolo Fascista, la prima edizione de L’unità della Natura (101), un libro che raccoglieva, opportunamente rielaborati, gli articoli sulla cosmobiologia e sugli influssi del Sole sull’uomo e sulla natura, che Leonardi aveva pubblicato precedentemente su La Tribuna. Una copia del libro fu inviata in omaggio da Leonardi all’amico Julius Evola, il quale promise allo scienziato di dedicare alla sua opera una recensione, non nascondendo, però, alcune perplessità sulla commistione che, a suo dire, si riscontrava nello scritto tra scienze tradizionali e discipline moderne (102). Una volta rescissi gli accordi che lo legavano alla casa editrice Bardi di Roma (103), Leonardi avviò una proficua collaborazione con le edizioni Corbaccio di Milano, con le quali pubblicò le sue opere più importanti. Nel 1937 fu riedito, in una nuova veste tipografica, il saggio L’unità della Natura (104), la cui prima edizione era da tempo esaurita. Nello stesso anno fu pubblicata la sua opera maggiore, Le origini dell’uomo (105), della quale si è parlato ampiamente in precedenza. Scaturì, invece, da una polemica di Leonardi con un medico allopatico, il dottor Meneghetti, l’idea di mettere per iscritto le motivazioni che lo avevano indotto, molti anni prima, ad aderire alla teorie di Samuel Hahnemann. Meneghetti pubblicava periodicamente su riviste scientifiche saggi volti a denigrare la medicina omeopatica, mettendone in dubbio le capacità curative. Informato dall’amico Antonio Bruers (106), anch’egli sostenitore dell’omeopatia, di un articolo particolarmente astioso, Leonardi decise di rispondere punto su punto alle accuse del medico, pubblicando un corposo scritto sulla prestigiosa rivista Augustea (107). Tuttavia, Leonardi si rese conto che le pur numerose pagine dell’articolo da sole non bastavano a spiegare tutto il suo pensiero in merito alle scienze mediche. Riprese, dunque, nel 1937, a lavorare ad una sua opera, già abbozzata negli anni precedenti, La crisi della medicina (108), nella quale lo scienziato, con una lucidità che è propria dei grandi geni, denunciò gli errori della medicina allopatica. In particolare, la polemica di Leonardi s’incentrava sull’incapacità della scienza medica di considerare l’uomo nella sua interezza, prediligendo una visione organicistica e localistica della malattia (109). La critica di Leonardi non si limitava alla medicina, ma investiva l’intera civiltà moderna, che con le sue tecnologie, le sue macchine e i suoi prodotti chimici era, secondo lo scienziato, la causa primaria delle patologie che affliggevano l’uomo contemporaneo (110). Intanto, gli articoli che da qualche anno egli andava pubblicando su La Tribuna e i suoi saggi avevano reso a Leonardi una inaspettata notorietà. Molte furono le personalità delle cultura, del mondo scientifico, della politica che si recarono al Circeo per ascoltare la sua parola e per essere condotte in una sorta di pellegrinaggio nei luoghi descritti nelle sue opere. Tra i tanti, si possono menzionare l’Accademico d’Italia, Massimo Bontempelli, che si dichiarò entusiasta delle scoperte compiute dallo scienziato eugubino; l’esimio grecista Ettore Romagnoli, il quale dopo un’escursione compiuta con Leonardi nella zona del Pontino, pubblicò un articolo su La Gazzetta del Popolo (111), avallando le tesi del Leonardi; il sottosegretario alla presidenza del consiglio del Governo Mussolini Giacomo Medici Del Vascello, il quale volle personalmente effettuare una ricognizione al Circeo; il Principe di Sonnino Don Mario Colonna, il quale scrisse a Leonardi per informarlo che la lettura del suo libro sulle origini dell’umanità gli aveva impedito di dormire per tre giorni (112). Resero un tardivo, e non del tutto disinteressato, tributo allo scienziato anche alcuni suoi antichi avversari, come Giuseppe Sergi (113) e Francesco Coppola (114).
A questi ultimi anni di vita del Leonardi va ascritta, poi, la conoscenza con il Vate, Gabriele D’Annunzio. Fautore dell’incontro fu un comune amico, Antonio Bruers, il quale era in quel periodo impegnato in un difficile lavoro di riordino della vastissima biblioteca che il Poeta possedeva nella sua villa al Gardone. Leonardi, oltre che amico di vecchia data del Bruers, era anche il suo medico di famiglia. Fu proprio l’archivista del Vittoriale a mettere al corrente D’Annunzio delle grandi capacità professionali del medico omeopata. Il Poeta volle, dunque, che Leonardi si recasse a fargli visita presso la sua dimora e in questa occasione ebbe la possibilità di apprezzare la vastissima cultura che egli aveva non solo in campo medico, ma anche in ambito biologico, archeologico e esoterico (115). D’Annunzio rimase particolarmente affascinato dalle teorie sostenute dal Leonardi sull’origine dell’uomo e sulla centralità del Circeo nell’ambito della preistoria italica. D’altronde, come si è già argomentato, non è da escludersi che lo stesso Poeta, in gioventù, avesse avuto sentore della sacralità che pervadeva alcune zone del Pontino. Sembra che, in una delle visite che Leonardi effettuò al Vittoriale, D’Annunzio lo abbia trattenuto presso la sua dimora per un intero mese (116). Testimonianza della grande stima che il Vate ebbe nei confronti del medico eugubino è una lettera che D’Annunzio scrisse a Giancarlo Maroni, l’architetto del Vittoriale, nella quale si poteva leggere: «Mi duole di non poter accogliere il Grande Leonardi del quale ho esplorato la profonda e non comune qualità» (117). Il nome del medico eugubino ricorre anche in un’altra importante lettera del Poeta indirizzata a Benito Mussolini, dove Leonardi è definito «capo filologo terrestro» (118). Gli ultimi mesi di vita del Leonardi furono funestati da due eventi che minarono profondamente il suo stato di salute: per volontà del barone Carlo Alberto Blanc, Leonardi dovette lasciare l’amata villa al Circeo (119). Trovò una nuova abitazione presso Formia, nella quale traslocò nella primavera del 1938 (120). Nell’ambito del Congresso di cosmobiologia di Nizza, poi, Leonardi vide depredate, senza che gli fosse riconosciuto alcun merito, le sue tesi da «colleghi» senza scrupoli, che sino a qualche mese prima lo avevano aspramente criticato. Nonostante la grande amarezza, Leonardi continuò le sue ricerche nella speranza di trovare la prova che confermasse definitivamente le sue teorie (121). Le sue ultime aspettative furono riposte nell’opera di un tenente colonnello dell’Aereonautica, Costantino Cattoi (122), il quale aveva rinvenuto un’ampia necropoli, alle porte di Roma, contenente ossa di uomini giganteschi. Ma la sua fibra era irrimediabilmente compromessa: il male (123) che lo portò in breve alla morte lo colpì il 3 ottobre del 1938; tre giorni più tardi, l’esperienza terrena di uno dei più geniali scrittori di scienza che l’Italia abbia avuto ebbe fine (124).
A testimonianza della sua adesione ai principi eterni della tradizione restano le ispirate parole che egli pubblicò sulla rivista evoliana La Torre: «Non possiamo affidarci alle sole testimonianze delle cose materiali, quando vogliamo conoscere il lontano passato dell’uomo, ma dobbiamo affrontare il patrimonio degli antichissimi padri nostri, cominciando a considerare la Tradizione come un vivo corpo di dottrina che in simboli e in parole composte ha chiuso i più grandi misteri della vita. Allora i miti non saranno più favole e giuochi di fantasie puerili, ma residui di forme sapienziali» (125).
Note:
1 – Cfr. Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario Politico Centrale, busta 2764, fascicolo 16402: Evelino, Leonardi.
2 – Cfr. Oderigi Lucarelli, Memorie e guida storica di Gubbio, S. Lapi, Città di Castello 1888, p. 346, n. 15.
3 – Cfr. Ugo Bistoni, Origini del movimento operaio nel Perugino, Edizioni Guerra, Perugia 1982, p. 484. Bistoni fornisce un dettagliato resoconto dei fatti che portarono a processo Leonardi e i suoi sodali.
4 – Cfr. Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario Politico Centrale, busta 2764, fascicolo 16402: Evelino, Leonardi.
5 – È singolare notare come tale vigilanza della Polizia Politica si sia protratta negli anni anche quando Leonardi, divenuto uno stimato medico chirurgo, aveva da tempo abiurato le sue giovanili idee socialiste, aderendo, con entusiasmo, al Fascismo.
6 – Università di Bologna. Archivio Storico. Fascicolo n.: 2248. Evelino Leonardi. Data di laurea: 18/11/1897. Titolo tesi: «Un caso di lesioni cutanee di natura isterica». Notizie tratte dalla pagina: http://www.archiviostorico. unibo.it/it/struttura-organizzativa/sezione-archivio-storico/fascicoli-deglistudenti/ evelino-leonardi.
7 – Cfr. Riccardo Galeazzi-Lisi, Seduta commemorativa di E. Leonardi ad iniziativa della Associazione per il Progresso degli studi morali e religiosi – Discorso del Prof. Galeazzi-Lisi, in Centro Omeopatico Italiano, IIª Adunata Omeopatica Italiana, s.e., Roma 1939, pp. 44-45.
8 – Scrisse di Leonardi, il fraterno amico Riccardo Galeazzi-Lisi: «Leonardi aveva in sé quella sitibonda avidità di sapere, che è propria di certi grandi spiriti e che lo condusse ad abbeverarsi a tutte le acque a esplorare tutte le vene sotterrane, a cercare tutte le sorgenti». Cfr. R. Galeazzi-Lisi, Seduta commemorativa di E. Leonardi ad iniziativa della Associazione per il Progresso degli studi morali e
religiosi – Discorso del Prof. Galeazzi-Lisi, cit., p. 69.
9 – Cfr. Riccardo Galeazzi-Lisi, Seduta commemorativa di E. Leonardi ad iniziativa della Associazione per il Progresso degli studi morali e religiosi – Discorso del Prof. Galeazzi-Lisi, cit., p. 45.
10 – La loggia «Gli Illuminati» era stata fondata nel febbraio del 1913. Venerabile Maestro della organizzazione massonica ternana era Umberto Maggi, menzionato come uno dei fondatori del «Rito Filosofico Italiano». Scriveva Edoardo Frosini ad Amedeo Rocco Armentano in data 23 febbraio 1913: «Mio carissimo Amedeo! (…) A Napoli andrò io. Pure io andrò a Terni ad inaugurare la “Gli Illuminati” di cui è Ven ⸫ il fra ⸫ Maggi 30 ⸫, ottimo elemento da tutti i punti di vista». Cfr. Roberto Sestito, Storia del Rito Filosofico Italiano e dell’Ordine Orientale Antico e Primitivo di Memphis Mizraìm, Libreria Chiari, Firenze 2003, p. 231.
11 – Sul «Rito Filosofico Italiano» si veda: Roberto Sestito, Storia del Rito Filosofico Italiano e dell’Ordine Orientale Antico e Primitivo di Memphis Mizraìm, cit.; Fabrizio Giorgio, Roma Renovata Resurgat, Settimo Sigillo, Roma 2011, pp. 243-266.
12 – Frosini, assente da Firenze, scrisse il discorso ma non lo pronunciò personalmente. Lo lesse, in sua vece, Amedeo Rocco Armentano. Ampi stralci del discorso di Frosini sono riportati da Roberto Sestito (Storia del Rito Filosofico Italiano e dell’Ordine Orientale Antico e Primitivo di Memphis Mizraìm, cit., pp. 138-146).
13 – Cfr. Archivio Centrale dello Stato, Ministero degli Interni, DG PS, categorie annuali, 1930-31. Nota della Divisione Polizia Politica del 17 luglio 1929, p. 1.
14 – Cfr. Pericle Perali, Seduta commemorativa di E. Leonardi ad iniziativa della Associazione per il Progresso degli studi morali e religiosi – Discorso del Dr Perali, in Centro Omeopatico Italiano, IIª Adunata Omeopatica Italiana, cit., p. 61.
15 – Cfr. Archivio Centrale dello Stato, Ministero degli Interni, DG PS, categorie annuali, 1930-31. Nota della Divisione Polizia Politica del 17 luglio 1929, p. 1.
16 – Cfr. Francesco Brunelli, Il Martinismo e l’Ordine Martinista. Documenti sulla iniziazione tradizionale in Occidente, Editrice Volumnia, Perugia, s.d., p. 85.
17 – Arturo Reghini era affiliato all’Ordine Martinista sin dal 1912. Raggiunse il grado di S ⸫ I ⸫ con il nome iniziatico di Maximus. Dall’Ordine uscì polemicamente nel 1923 per un insanabile dissidio con l’allora Gran Maestro, Alessandro Sacchi. Cfr. Roberto Sestito, Il figlio del Sole, Ignis, Ancona 2003, p. 140.
18 Cfr. Lettera di Alessandro Sacchi ad Evelino Leonardi dell’8 luglio 1927, in Atlantide – Circeo, manoscritto inedito, pagina non numerata.
19 Archivio Centrale dello Stato, Ministero degli Interni, DGPS, categorie annuali, 1930-31. Nota della Divisione Polizia Politica del 17 luglio 1929, p. 1.
20 A titolo di curiosità, va detto che Leonardi scelse quale emblema per il prestigioso istituto romano lo “swastica”, simbolo, a suo dire, apportatore di buona salute. Cfr. Pericle Perali, Seduta commemorativa di E. Leonardi ad iniziativa della Associazione per il Progresso degli studi morali e religiosi – Discorso del Dr Perali, cit., p. 60.
21 – Cfr. Evelino Leonardi, Le ragioni dell’omeopatia (I parte), in Augustea, anno XII, n. 23, 15 dicembre 1936, pp. 515-520; Le ragioni dell’omeopatia (II parte), in Augustea, anno XII, n. 24, 31 dicembre 1936, pp. 540-544; Le ragioni dell’omeopatia (III parte), in Augustea, anno XII, n. 1, 15 gennaio 1937, pp. 19-24.
22 – Cfr. Evelino Leonardi, La crisi della Medicina, Corbaccio, Milano 1938.
23 – Sulla vicenda si veda: Francesco Giorgio, Il fascio littorio ricostruito nella sua storica realtà, in Rinascita, 3 aprile 2008; Paola S. Salvatori, L’adozione del fascio littorio nella monetazione dell’Italia fascista, in Rivista di numismatica e scienze affini, CIX, 2008, pp. 333-352; Paola S. Salvatori, Liturgie immaginate: Giacomo Boni e la romanità fascista, in Studi Storici, LIII, 2, 2012, pp. 421-438.
24 – Fu l’allora Ministro delle Finanze Alberto De’ Stefani, con l’assenso di Benito Mussolini, a conferire al celebre archeologo l’incarico di ricostruire l’esatta foggia del vetusto emblema romano. Il modello doveva servire per la coniazione della nuova moneta da due Lire.
25 – Impossibile risulta al momento precisare quale tipo di rapporto intercorse tra Evelino Leonardi e il grande archeologo veneziano, Giacomo Boni. Ricerche più approfondite presso l’archivio di Boni, depositato presso l’Istituto Lombardo, potranno, forse, gettare nuova luce in merito.
26 – Cfr. Evelino Leonardi, Che cosa è il Fascio Littorio?, in La Tribuna, 26 maggio 1928, p. 3.
27 – Cfr. Anonimo, Vita e cultura religiosa. Associazione per il progresso Morale e Religioso – Sezione Romana, in Il Progresso religioso, anno VII, nn. 7-8, novembre-dicembre 1926, p. 247.
28 – Evola oltre ad essere stato un celebre esponente del movimento dadaista a Roma e ad aver pubblicato numerosi articoli e alcuni libri, era stato, nel 1925, l’animatore di un ciclo di conferenze promosso dalla «Lega Teosofica Indipendente», che aveva suscitato grande interesse.
29 – Evola, nel dicembre del 1925, sostenne, dalle pagine de Lo Stato Democratico di Giovanni Colonna di Cesarò, l’esigenza della creazione di un’aristocrazia spirituale in grado di prendere in mano le sorti della nazione. Affermava il giovane filosofo: «Si riesca a costituire un gruppo spirituale – allora la via verso la soluzione dei massimi problemi economici e politici si aprirà da sé, per quella stessa forza naturale e fatale onde una calamita, con la sua sola presenza, attiva ed orienta verso di sé le masse di ferro che essa abbia intorno. Ora elementi ed esigenze verso questo compito in una certa misura in Italia si trovano già. Occorrerebbe raccoglierli, animarli, comporli in una armoniosa collaborazione di là da ogni setta e da ogni chiesa, infine dare loro mezzi per una azione più vasta ed efficace così come una autonomia che garantisca l’integrità della loro opera». Cfr. Julius Evola, Per un rinnovamento dell’idea politica, ne Lo Stato Democratico, anno I, n. 24, 31 dicembre 1925, p. 3. Evola originariamente ritenne che l’ambiente più propizio a recepire tale progetto fosse quello antifascista, ma ben presto si rese conto della vacuità di questa congettura. Rivolse, dunque, lo stesso appello alle gerarchie del Fascismo. Sulla questione si veda: Fabrizio Giorgio, Roma Renovata, Resurgat, cit., pp. 393-433; Marco Rossi, L’antifascismo aristocratico di Julius Evola negli anni Venti, introduzione a Julius Evola, Il Mondo (1924- 1925), Lo Stato Democratico (1925), Il Sereno (1924), Fondazione Julius Evola, Roma 2012, dove è compreso l’articolo in precedenza citato.
30 – Cfr. Anonimo, Vita e cultura religiosa, in Il Progresso Religioso, anno X, n. 4, luglio-agosto 1930, pp. 167-171. 116
31 – Purtroppo, dal 1933 venne a cessare la rivista Il Progresso Religioso, indispensabile strumento per la conoscenza delle attività della relativa «Associazione». Resta molto difficile, dunque, determinare esattamente quante conferenze, nell’ambito dei corsi di Piazza Nicosia, Evelino Leonardi
abbia tenuto dopo questa data.
32 – Cfr. R. Nicolai, Seduta commemorativa di E. Leonardi ad iniziativa della Associazione per il Progresso degli studi morali e religiosi – Discorso del Dottor Nicolai, in Centro Omeopatico Italiano, IIª Adunata Omeopatica Italiana, cit., p. 31.
33 – Cfr. Fabrizio Giorgio, Roma Renovata Resurgat, cit., pp. 435-436.
34 – Dei componenti del «Gruppo di Ur», o presunti tali, tennero conferenze o parteciparono ai dibattiti tenuti presso l’«Associazione per il Progresso Morale e Religioso»: Julius Evola, Arturo Reghini, Giulio Parise, Ercole Quadrelli, Giovanni Colonna di Cesarò.
35 – Le riviste Ur e Krur erano espressione diretta del gruppo di esoteristi che si era riunito intorno ad Evola.
36 – Non si può escludere, a priori, che sia stato proprio Evelino Leonardi a suggerire ad Evola il nome da dare alla nuova rivista, Ur, appunto. Lo scienziato, infatti, ritornò più volte, nell’ambito dei suoi studi, sull’etimologia di questa parola: «[La] radice Ur che è si può dire, la radice fondamentale
del linguaggio e significa fuoco lucente» (cfr. Evelino Leonardi, Le Origini dell’Uomo, cit., p. 63.
37 – Cfr. Primo Sole, La virtù dei nomi e il simbolismo anatomico, in Ur, anno II, nn. 7-8, 1928, pp. 221-228.
38 – Molto probabilmente, Reghini faceva riferimento all’Istituto S. Giuseppe-de Merode di Roma, nel quale Michele Cianciulli insegnava Filosofia.
39 – Cfr. Archivio di Stato di Roma, Tribunale Penale di Roma, Repertorio dei processi, 1929, Busta 24, fascicolo 3141, Memoriale presentato da Arturo Reghini, p. 3.
40 – Michele Cianciulli (1895-1965) fu un noto avvocato della Capitale. Affiliato al Grande Oriente d’Italia, coltivò anch’egli interesse per le scienze esoteriche. Partecipò attivamente ai corsi dell’«Associazione per il Progresso Morale e Religioso», nell’ambito dei quali tenne alcune conferenze.
41 – Cfr. Julius Evola, Il cammino del cinabro, Scheiwiller, Milano 1972, p. 88; ed. critica Edizioni Mediterranee, Roma 2014.
42 – Cfr. Julius Evola, Imperialismo pagano, in Vita Nova, anno III, novembre 1927, pp. 740-744; ora in Julius Evola, Vita Nova (1925-1933), a cura di Gian Franco Lami, Fondazione Julius Evola, Roma 1999. Il saggio precedette di alcuni mesi la pubblicazione dell’omonimo pamphlet, nel quale Evola riassunse le tesi che aveva espresso in vari articoli apparsi sulla riviste Camicia Rossa, Critica Fascista e Vita Nova. Cfr. Julius Evola, Imperialismo pagano, Atanòr, Roma 1928; ed. critica Edizioni Mediterranee, Roma 2004.
43 – Bisogna precisare che in quel periodo Julius Evola era impegnato in un’opera di sprone nei confronti di tutti coloro che si facevano assertori della Tradizione romana o che, più semplicemente, si battevano per un Fascismo «ghibellino». Di ciò si ha testimonianza in una preziosa lettera indirizzata dall’allora direttore di Ur ad un esoterista campano, Costantino De Simone Minacci, nella quale lo esortava a pubblicare le sue idee in merito all’eredità romana e alla sua incompatibilità con la Chiesa cattolica. «(…) ho ricevuto – affermava Evola – anche una copia di ‘Patria’ che penso lei stesso mi abbia mandato, che contiene la fine del suo scritto su ‘Cattolicesimo cristiano e universalità romana’, (…). Certamente, bisogna battere battere battere sulla posizione e senza attenuazioni, o mezzi termini. Gli elementi per la possibilità di qualcosa di preciso e di concreto sarebbero presenti. Tuttavia varie circostanze ci costringono ancora in uno stato di attesa. Nel caso dello sbocco più immediato – un giornale – penserò a ciò che mi dice circa un’eventuale azione comune» (Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Divisione Polizia Politica, Fascicoli per Materie, busta 100 fascicolo 8. Nota dell’Ufficio Politico dell’Alto Commissariato di Napoli del 26/06/1928). È lecito ipotizzare che qualcosa di simile sia accaduto con Evelino Leonardi.
44 – Cfr. Evelino Leonardi, Che cosa è il Fascio Littorio?, cit., p. 3.
45 – Cfr. Evelino Leonardi, Il Primato d’Italia. Traccia di ricerche sull’umanità primitiva (Iª Parte), in Antieuropa, anno I, n. 3, 25 luglio 1929, pp. 209-217; e Il Primato d’Italia. Traccia di ricerche sull’umanità primitiva (IIª Parte), in Antieuropa, anno I, n. 5, 25 agosto 1929, pp. 387-393.
46 – Cfr. Evelino Leonardi, Il Primato d’Italia-Traccia di ricerche sull’umanità primitiva (Iª Parte), cit., p. 210.
47 – Cfr. Evelino Leonardi, Il Primato d’Italia-Traccia di ricerche sull’umanità primitiva (IIª Parte), cit., p. 390.
48 – Cfr. Fabrizio Giorgio, Roma Renovata Resurgat, cit., pp. 22-23.
49 – Cfr. Evelino Leonardi, Le origini dell’uomo, Corbaccio, Milano 1937.
50 – Leonardi fu coadiuvato nelle sue indagini geologiche da un insigne studioso della materia: il prof. Guido Bonarelli (1871-1951). In merito alla carta geologica dell’antica Tirrenide, pubblicata da Leonardi sul suo Le Origini dell’Uomo (p. 353), questa fu fornita allo studioso eugubino, molto probabilmente, dallo stesso Bonarelli e non da Costantino Cattoi, come si era sinora ipotizzato. Ciò è quanto sembrerebbe emergere da una lettera dell’insigne geologo indirizzata a Leonardi, nella quale Bonarelli affermava: «Eccoti uno schema con il quale ho tentato di stabilire alla meglio i probabili rapporti fra la antica Tirrenide e le principali isogoniche (di molto posteriori!) della nostra Penisola» (cfr. Lettera di Guido Bonarelli a Evelino Leonardi, in Atlantide Circeo, manoscritto inedito, pagina non numerata). Nella medesima lettera si possono rintracciare le motivazioni che spinsero Leonardi a non rivelare il nome di colui che gli aveva fornito la carta («presentando la carta dell’antico continente quale dobbiamo alla cortesia e alla sapienza di un illustre geologo»: cfr. Evelino Leonardi, Le Origini dell’Uomo, cit., p. 379). Fu, verosimilmente, lo stesso Bonarelli ad invitare Leonardi a non menzionarlo come autore della carta. Egli temeva, infatti, gli strali dei suoi colleghi qualora avessero saputo che lui, insigne geologo, avallava le teorie «eretiche» del Leonardi (cfr. Lettera di Guido Bonarelli a Evelino Leonardi, in Atlantide Circeo, manoscritto inedito, pagina non numerata).
51 – Cfr. Evelino Leonardi, Le Origini dell’Uomo, cit., p. 344.
52 – Ibidem, pp. 443-444.
53 – Ibidem, p. 348.
54 – Affermava Leonardi: «È assai verosimile che un’aurora polare abbia aperto la scena della vita sulla terra» (Le Origini dell’Uomo, cit., p. 345).
55 – Cfr. Evelino Leonardi, Le Origini dell’Uomo, cit., p. 78. Leonardi asseriva, in effetti, che vi erano state più creazioni: la prima, abortita, «si chiuse col fenomeno della pietrificazione» (Le Origini dell’Uomo, cit., p. 365).
56 – Cfr. Istituto Nazionale di Studi Romani, Fondo Musmeci-ignis, Raccoglitore II, Fascicolo 9, sotto fascicolo B, documento 68. Lettera di Evelino Leonardi indirizzata a Ruggero Musmeci del 30 ottobre 1928.
57 – Cfr. Evelino Leonardi, Le Origini dell’Uomo, cit., p. 55. In un’altra opera Leonardi affermò che gli scampati all’immane cataclisma posero la loro base sul Palatino: «Allora, il Palatium e il Palatinum, si presentano così perfettamente accordati a queste voci primordiali, da farceli considerare
quali centri di una umanità primitiva. Cui fecero capo i vaganti, gli sperduti del grande cataclisma; (…) Questi vaganti qua è là in disordine, vennero sui colli laziali a ricostruire il focolare perduto, la famiglia distrutta, la cultura del grano, onde avere il farro e la farina per rifare col midollo degli uomini una nuova stirpe. E chiamarono questo punto primigenio Ruma!» (cfr. L’Unità della Natura, Corbaccio, Milano 1938, p. 205).
58 – In merito a questa tradizione inerente le origini dell’umanità, Leonardi scrisse: «È stato un patrimonio di suoni, di parole, che hanno volato di bocca in bocca, attraverso i millenni, patrimonio ideale che ha convissuto con i più svariati popoli, deposto e consacrato nel profondo dell’anima mundi in forme rituali e venerande» (Le origini dell’uomo, cit., p. 206).
59 – Cfr. Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, ARC III 26, Leonardi E. 65. Lettera del 13 agosto 1936. Ricordava Leonardi all’amico Bruers: «In questa settimana si compiono dieci anni che cominciai le mie ricerche».
60 – Guido Di Nardo, Una esplorazione Geo-Archeologica sul Circéo con Evelino Leonardi (II parte), in Il Nuovo Stato, anno IX, nn. 4-5, 28 febbraio 1940, p. 58.
61 – Di Nardo preannunciò, infatti, un’intera trattazione dedicata alla descrizione dell’esperienza avuta da Evelino Leonardi sul Circeo (cfr. Una esplorazione Geo-Archeologica sul Circéo con Evelino Leonardi (II parte), cit, p. 58, nota 1).
62 – Cfr. Evelino Leonardi, La Sfinge del Ponto e le nuove fonti della Divina
Commedia, in Augustea, anno XIII, n. 13, 30 giugno 1938, p. 22.
63 – Cfr. Camillo Ravioli, L’Italia e i suoi primi abitatori, Tipografia delle Belle Arti, Roma 1864.
64 – Cfr. Camillo Ravioli, L’Italia e i suoi primi abitatori, cit., p. 32. Nella medesima opera, tuttavia, l’archeologo romano rettificò questa sua prima congettura, ponendo la primordiale città «senz’altro» sul Settimonzio.
65 – Il «Circolo Vergiliano di Studi Filosofici» era espressione del gruppo romano della «Fratellanza di Miriam», l’organizzazione magico-terapeutica fondata dallo ierofante di Portici, Ciro Formisano.
66 – Cfr. Arringa di Giorgio Mastino del Rio contro Riccardo Gamberini, in L’eloquenza, anno XXVI, nn. 8-10, settembre-novembre 1936, p. 272.
67 – Cfr. Maria Romana, Il mistero della pineta, Edizioni CEDAM, Milano 1944. Maria Romana era il nome che Cesarina Ribulsi assunse quando decise di prendere i voti e divenire suora.
68 – Cfr. Maria Romana, Il mistero della pineta, cit., p. 4.
69 – Cfr. Guido Di Nardo, Il linguaggio segreto delle rupi del Lazio, in Augustea, anno XIII, n. 6, 30 marzo 1938, p. 16.
70 – Cfr. Siro Tacito, Introduzione a Camillo Ravioli, Prima Tellus, Edizioni del Graal, Roma 1998, p. 40, nota 45. Secondo alcuni esoteristi dell’epoca, il mito della Terra Primigenia era parte della memoria ancestrale del popolo italico. Non a caso un poeta che sicuramente un contatto con il Genio Italico lo ebbe, Gabriele D’Annunzio, adombrò la centralità del Circeo in alcuni ispirati versi delle Laudi. L’allusione del Vate fu scorta da due attenti esoteristi, Guido Di Nardo e Vittorio Capozzi Imbriani Poerio. Quest’ultimo chiese lumi di questa sua intuizione ad uno dei maggiori interpreti dell’opera e del pensiero dannunziano, Antonio Bruers. In una lettera indirizzata all’archivista del Vittoriale, Capozzi chiedeva: «(…) io però ero in procinto di interpellarti circa un argomento di toponomastica dannunziana e cioè il Solitario Monte di cui alla seconda terzina della dedica delle Laudi sia da identificare con il Circeo» (Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, ARC III 26, Capozzi Imbriani Poerio V. 9. Lettera di Capozzi Imbriani Poerio a Antonio Bruers del 27 dicembre 1940). Lo studioso precisava che il quesito era in relazione con gli studi che egli stava conducendo sulle origini italiche.
7 – Scrisse Leonardi a proposito del vetusto monumento: «Un secondo monumento, ma molto più primitivo, è restato in quella grande esedra scoperta da noi nel 1929 a Terracina fuori Porta Napoletana. Trattasi di un grande scoglio, curvato naturalmente in cerchio, alto una quarantina di metri e lungo altrettanto e forse più, perché alcune parti sono andate perdute. La importanza di questo ritrovamento consiste nel fatto che lo scoglio è terziario e scalpellato dalla mano dell’uomo! (…). Qui fu il primo tempio al Sole» (Evelino Leonardi, Verso il segreto delle origini – Tirrenide-Atlantide- Preitalia, in Augustea, anno XI, n. 10, 31 maggio 1936, p. 227).
72 – In merito all’ara di Ianu-Posidone, Leonardi sosteneva che l’etimo Ariani derivava da Ar Iani, ovvero coloro che abitavano vicino l’ara di Giano. Gli Ariani non erano, dunque, una razza, come tutti gli studiosi moderni affermavano, bensì una casta sacerdotale.
73 – Tra le tante, vale la pena menzionare una lettera nella quale lo scienziato eugubino affermava: «Arrivederci caro Bruers e teniamoci daconto il padre Janu (alias Posidone) che è il padre degli uomini e degli Dei. Io non mancherò di ricordarla a Lui nei miei sacrifici e nelle mie libagioni» (Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, ARC III 26, Leonardi E. 38. Lettera di Evelino Leonardi ad Antonio Bruers del 28 agosto 1935).
74 – Cfr. Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, ARC III 26, Leonardi E. 65. Lettera di Evelino Leonardi ad Antonio Bruers del 13 agosto 1936.
75 – Cfr. Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, ARC III 26, Leonardi E. 73. Lettera di Evelino Leonardi ad Antonio Bruers del 29 settembre 1936.
76 – Cfr. Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, ARC III 26, Leonardi E. 72. Lettera di Evelino Leonardi ad Antonio Bruers del 25 settembre 1936. Spiegava Leonardi all’amico Bruers: «Io sto attuando il trasporto dei mostri sulla piazza del paese. Sarà un bel vedere».
77 – Sembra che parte della singolare raccolta sia stata donata da Leonardi allo Stato Italiano e giacerebbe ancora oggi, imballata, nei magazzini del Museo Nazionale Romano. Cfr. Tommaso Lanzuisi, I petrefatti del Circeo e le sculture rupestri dell’Agro Pontino e dintorni, in Lazio ieri e oggi, anno XXI, febbraio 1985, p. 46.
78 – Cfr. Evelino Leonardi, Il problema delle origini, in La Torre, anno I, n. 10, 15 giugno 1930. Ripubblicato in Julius Evola, La Torre, Società editrice Il Falco, Milano 1977, pp. 361-365
79 Cfr. Lettera di Julius Evola a Evelino Leonardi del 17 ottobre 1930, in Atlantide-Circeo, manoscritto inedito, pagina non numerata. Purtroppo non si sa a quale epigrafe Evola e Leonardi facessero riferimento.
80 – Ruggero Musmeci nacque a Palermo il 2 marzo 1868, da Niccolò e dalla contessa Clotilde Ferrari Bravo. Il padre, noto giurista e uomo politico siciliano, morì pochi anni dopo la nascita del suo primogenito e ciò costrinse la nobildonna a lasciare il capoluogo siciliano per trasferirsi a Roma. Nella Città eterna il giovane Ruggero compì i suoi studi, conseguendo due lauree: la prima in medicina, la seconda in giurisprudenza. Versatile nelle arti, si dedicò alla scultura e alla pittura. Riscosse molto successo anche come drammaturgo. Compose nel 1913, il Rumon – Romae sacrae origines, un’opera di inusitata potenza evocatrice, nella quale era celebrato, con rara maestria, il mistero delle origini di Roma. Fu solo nel 1923, sotto gli auspici del nuovo Regime, che si concretizzò per Musmeci la possibilità di rappresentare il suo dramma. Lavorò, nella seconda metà degli anni Venti, alla formulazione delle leggi della «Divina Proporzione». L’artista siciliano, proseguendo gli studi intrapresi da personaggi della levatura di Leonardo, di Leon Battista Alberti e, soprattutto di Luca Pacioli, sosteneva l’esistenza di un canone di bellezza umana assoluto, che poteva essere determinato tramite l’applicazione di specifiche formule matematiche. In seguito «ignis» diede un’applicazione pratica ai suoi studi, realizzando, con le formule da lui determinate, due sculture: una maschile, denominata «Romo», e l’altra femminile, chiamata la «Venere delle Perle». Morì, in estrema povertà il 6 maggio 1938. Su Ruggero Musmeci si veda: Fabrizio Giorgio, Il lampo dell’assoluto, in corso di stampa.
81 – Questo è quanto emerge da una lettera di Leonardi a Musmeci, nella quale lo scienziato eugubino affermava: «Se ti dicessi che il piacere di averti conosciuto equivale a quello che mi ha procurato l’Archetipo da te costruito, non farei torto né all’uno né all’altro (…)». Cfr. Istituto Nazionale di Studi
Romani, Fondo Musmeci-ignis, Raccoglitore II, Fascicolo 9, sotto fascicolo B, documento 68, Lettera di Evelino Leonardi indirizzata a Ruggero Musmeci del 30 ottobre 1928.
82 – Cfr. Lettera di ignis a Evelino Leonardi del 18 settembre 1930, in Atlantide- Circeo, manoscritto inedito, pagina non numerata.
83 – Cfr. Evelino Leonardi, La Divina Proporzione, in La Tribuna, 24 agosto 1929, p. 3.
84 – Cfr. Evelino Leonardi, L’azione solare nei fenomeni della vita e l’Unità della natura, in La Tribuna, maggio-luglio 1927.
85 – Cfr. Evelino Leonardi, La Divina Proporzione, cit., p. 3.
86 – Ibidem, p. 3
87 – Cfr. Plutarco, Quaest. conv., VIII, 2.
88 – Cfr. Pericle Perali, Seduta commemorativa di E. Leonardi ad iniziativa della Associazione per il Progresso degli studi morali e religiosi – Discorso del Dr. Perali, cit., p. 56.
89 – Leonardi arrivò a definire l’atteggiamento chiuso di alcuni ambienti accademici come «camorra scientifica». (Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, ARC III 26, Leonardi E. 67. Lettera di Evelino Leonardi ad Antonio Bruers del 18 agosto 1936).
90 – Occorre segnalare, a testimonianza di una evidente concordanza di idee tra i due studiosi, che anche Julius Evola aveva espresso concetti simili (cfr. Julius Evola, Rivolta contro il mondo moderno, Hoepli, Milano 1934, pp. 7-12).
91 – Cfr. Evelino Leonardi, Le due culture nemiche, in Il Secolo fascista, anno IV, nn.1-2, 1-15 settembre 1934, pp. 28-29.
92 – Ibidem, p. 28.
93 – Cfr. Pericle Perali, Seduta commemorativa di E. Leonardi ad iniziativa della Associazione per il Progresso degli studi morali e religiosi – Discorso del Dr Perali, cit., pp. 56.
94 – Da ricerche effettuate presso alcune biblioteche romane, non risulta che Davide Costantini abbia scritto saggi riguardanti argomenti archeologici. A suo nome risulta pubblicato soltanto un opuscolo, nel quale era riferito un arido resoconto della riunione preliminare dell’Istituto da lui fondato. Cfr.
Davide Costantini, Sulla costituzione di una Associazione Romana degli Studi Mediterranei, s.e., Paris, 1929.
95 – Cfr. Pericle Perali, Seduta commemorativa di E. Leonardi ad iniziativa della Associazione per il Progresso degli studi morali e religiosi – Discorso del Dr. Perali, cit., pp. 57.
96 – Cfr. Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, ARC 26 III, Leonardi E. 68. Lettera di Evelino Leonardi ad Antonio Bruers del 3 settembre 1936.
97 – Cfr. Anonimo, Società Romana per gli Studi Mediterranei, in La Tribuna, 24 gennaio 1930, p. 5.
98 – Sua moglie, Giuseppina De Lemme era morta nel 1927 in seguito ad una encefalite. Leonardi, lontano da casa per motivi di lavoro, non poté intervenire immediatamente con le sue cure per evitare alla consorte una lenta agonia.
99 – Dopo la morte della madre, nel 1927, Liviana Leonardi si trasferì a Parigi, dove risiedevano da tempo gli zii materni. Nella capitale francese conobbe André Percivalle, con il quale convolò a nozze. Cfr. Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario Politico Centrale, busta 2764,
fascicolo 16402: Evelino, Leonardi. Nota della Regia Questura di Roma del 25 marzo 1927, p. 1.
100 – Cfr. Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, ARC III 26, Leonardi E. 37. Lettera di Evelino Leonardi ad Antonio Bruers del 25 agosto 1935.
101 – Cfr. Evelino Leonardi, L’Unità della Natura, Biblioteca del Secolo Fascista, Roma 1933.
102 – Cfr. Lettera di Julius Evola a Evelino Leonardi del 12 gennaio 1934. Riportata in Atlantide-Circeo, manoscritto inedito, pagina non numerata. Scriveva Evola a Leonardi: «Caro Leonardi, sono in gran debito verso di Lei di ringraziamento per il cortese omaggio del suo ultimo libro. In realtà,
questi ultimi tempi per me sono stati piuttosto movimentati, e fra l’altro son qui non da molto di ritorno dalle Alpi. Mi ripropongo di dedicare al Suo libro un articolo in un qualche quotidiano. Non Le nascondo però che dovrò sottolineare una certa divergenza di punti di vista. Una scienza spirituale, tradizionale, qualitativa, non può avere nessun punto di contatto con le ricerche proprie alle discipline moderne, di qualunque specie siano. Mi creda con cordialità e con ogni augurio suo J. Evola».
103 – Cfr. Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, ARC III 26, Leonardi E. 67. Lettera di Evelino Leonardi ad Antonio Bruers del 18 agosto 1936.
104 – Cfr. Evelino Leonardi, L’unità della Natura, Corbaccio, Milano 1937.
105 – Cfr. Evelino Leonardi, L’origine dell’uomo, cit.
106 – Cfr. Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, ARC III 26, Leonardi E. BR 11. Lettera di Antonio Bruers ad Evelino Leonardi del 15 settembre 1936.
107 – Cfr. Evelino Leonardi, Le ragioni dell’omeopatia (Iª parte), cit., pp. 515- 520; Le ragioni dell’omeopatia (IIª parte), cit., pp. 540-544; Le ragioni dell’omeopatia (IIIª parte), cit., pp. 19-24. In realtà, inizialmente Leonardi non era intenzionato a rispondere alle critiche del Meneghetti (Cfr. Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, ARC III 26, Leonardi E. 71. Lettera di Evelino Leonardi ad Antonio Bruers del 23 settembre 1936). Poi, forse su invito di alti medici omeopati, decise di reagire, pubblicando le sue idee in merito.
108 – Cfr. Evelino Leonardi, La crisi della medicina, cit.
109 – Ammoniva il medico eugubino: «I medici, incantati dal miraggio delle cose immediate, hanno perduto l’abitudine di riguardare il malato come un tutto indivisibile. E, sotto il pretesto del razionalismo, non hanno più considerato che l’aspetto locale e accidentale di ciascuna malattia» (La crisi della medicina, cit., p. 399).
110 – Affermava Leonardi con incredibile lungimiranza: «Questo fiato ammorbante dei civilizzati è un veleno sintetico. È fatto dalle emanazioni delle strade asfaltate, dai prodotti della distillazione del catrame, dai sottoprodotti di quella serie aromatica con cui si fanno colori, odori e medicine, dai concimi chimici che avvelenano la terra, dai cadaveri ammucchiati nei cimiteri e nei campi di battaglia, dagli alcool impuri, dai cibi adulterati mercé la frode commerciale, dai narcotici. È fatto dalle molte passioni dell’animo, dagli odi seminati a piene mani, dal respiro pestifero delle macchine, dall’eccesso sportivo, dalla superbia, dall’accidia, dalla noia della vita» (La crisi della
medicina, cit., pp. 294-295).
111 – Cfr. E. Romagnoli, Viaggio nel paese dei miti, in La Gazzetta del Popolo, 4 ottobre 1936.
112 – Cfr. Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, ARC III 26, Leonardi E. 98. Lettera di Evelino Leonardi ad Antonio Bruers del 20 giugno 1937. Nell’ottobre del 1937 il nobiluomo, accompagnato dalla sua consorte, Adeline Munro-Drysdale, si fece condurre da Leonardi a visitare i petrefatti
del Circeo.
113 – Cfr. Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, ARC III 26, Leonardi E. 68. Lettera di Evelino Leonardi ad Antonio Bruers del 3 settembre 1936.
114 – Cfr. Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, ARC III 26, Leonardi E. 78. Lettera di Evelino Leonardi ad Antonio Bruers del 7 luglio 1937.
115 – Non è da escludersi che abbia giovato all’intesa instauratasi tra Gabriele D’Annunzio ed Evelino Leonardi la comune appartenenza al Martinismo. Il Vate era stato in gioventù affiliato all’organizzazione esoterica con il nome iniziatico di «Ariel». Cfr. Carlo Fabrizio Carli, Il caso di Giancarlo Maroni, l’architetto massone del Vittoriale, in Gianfranco de Turris (a cura di), Esoterismo e Fascismo, Edizioni Mediterranee, Roma 2006, p. 317.
116 – Tommaso Lanzuisi, I petrefatti del Circeo e le sculture rupestri dell’Agro Pontino e dintorni, cit., p. 46.
117 – Cfr. Lettera di Gabriele D’Annunzio a Giancarlo Maroni dell’8 maggio 1937. Riportata in F. E. Negro, Omeopatia in giallo. Delitti e misteri da Hahnemann ai giorni nostri, Franco Angeli Editore, Milano 2016, p. 87.
118 – Cfr. Lettera di Gabriele D’Annunzio indirizzata a Benito Mussolini del 15 aprile 1937. Riprodotta in R. De Felice-E. Mariano (a cura di), Carteggio D’Annunzio-Mussolini, 1919-1938, Mondatori, Milano 1971, p. 370, dove viene riportato erroneamente «cupo filologo terrestro».
119 – Cfr. Pericle Perali, Seduta commemorativa di E. Leonardi ad iniziativa dellaAssociazione per il Progresso degli studi morali e religiosi – Discorso del Dr. Perali, cit., pp. 54-55. La notizia è confermata, oltre che dallo stesso Leonardi, da una carissima amica dello scienziato eugubino, la signorina Laura Palombi, la quale, in una lettera inviata ad Antonio Bruers, scrisse: «Avrà certamente saputo dai giornali la grande scoperta della grotta di S. Felice Circeo (…) La fortuna ha voluto favorire in questi giorni proprio colui che, da padrone di casa, ha più volte sollecitato il povero Leonardi ad andar via dal Circeo: e nessuno più di noi sa quanto dolore abbia sofferto il povero amico per l’allontanamento da questa magica terra» (Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, ARC III 26, Leonardi E. 111. Lettera di Laura Palombi ad Antonio Bruers del 10 marzo 1939). Alcuni hanno parlato di una presunta amicizia tra Leonardi e Alberto Carlo Blanc. La realtà è ben diversa. In una lettera inviata ad Antonio Bruers, il medico omeopata non solo accusava l’aristocratico padrone di casa di volerlo sfrattare, ma anche di voler sfruttare per la di lui gloria personale le sue decennali ricerche. Così fu: il nome di Alberto Carlo Blanc è, infatti, indissolubilmente legato ad una delle più importanti scoperte per la preistoria italica avvenuta nella zona del Circeo, quella della Grotta Guattari. Cfr. Alberto Carlo Blanc, L’ uomo fossile del Monte Circeo. Un cranio neandertaliano nella Grotta Guattari a San Felice Circeo, Istituto italiano di antropologia, Roma 1939.
120 – Cfr. Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, ARC III 26, Leonardi E. 102. Lettera di Evelino Leonardi a Antonio Bruers del 2 marzo 1938.
121 – Cfr. Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, ARC III 26, Leonardi E. 98. Lettera di Evelino Leonardi ad Antonio Bruers del 20 giugno 1937. Scriveva il medico eugubino in quella che si può considerare una delle sue ultime lettere: «Ero da tempo in relazione con un aviatore esperto. Osservatore acuto dell’Aeronautica militare: unico mezzo per arrivare a una conclusione definitiva sui miei studi. E pare che ci sia riuscito. Ieri sera mi ha comunicato per telefono la scoperta di una vasta necropoli nelle vicinanze di Roma a fior di terra».
122 – Il tenente colonnello Costantino Cattoi (1894-1975) fu un pluridecorato aviatore della Prima Guerra Mondiale. Conobbe Gabriele D’annunzio, a fianco del quale partecipò all’impresa fiumana. Sposatosi con una nota sensitiva, Maria Domenica Mataloni, effettuò insieme alla moglie importanti scoperte archeologiche. Cfr. Maurizio Martinelli, Apu-An: il ritorno del sole alato, Verdechiaro, Baiso 2011.
123 – Leonardi fu colpito da una trombosi cerebrale. Cfr Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, ARC III 26, Leonardi E. 108. Lettera di Laura Palombi ad Antonio Bruers del 5 ottobre 1938.
124 – Cfr. Archivio Centrale dello Stato, Casellario Politico Centrale, busta 2764: Evelino Leonardi. Nota del 17 ottobre 1938. In merito alla «cristianissima», come è stata improvvidamente definita da qualcuno, tomba dello scienziato eugubino bisogna precisare che con la sua edificazione Evelino Leonardi ebbe ben poco a che fare. Il sepolcro fu voluto dalla figlia, Liviana, la quale affidò il progetto allo scultore Ernesto Gazzieri. (Cfr. Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, ARC 26 III, Leonardi E. 112. Lettera di Liviana Leonardi in Percivalle ad Antonio Bruers del 1 aprile del 1939). Evidentemente, Leonardi, che non sembra abbia lasciato disposizioni in merito, non sentiva la sua fine così vicina. Circa le epigrafi incise sul tumulo, esse furono ideate, sempre per volere della figlia, da Antonio Bruers.
125 – Cfr. Evelino Leonardi, Il problema delle origini, cit., p. 361.
Fabrizio Giorgio
(saggio inserito nella raccolta Studi Evoliani 2016, a cura della Fondazione Julius Evola, e pubblicato con il consenso dell’autore).