Anacrisis – Brando Impallomeni
Postilla alla lettura
“In magia il maestro dei maestri, e non esitiamo a dichiararlo il più grande e il più saggio degli adepti”, così scriveva Alphonse Louise Costant, in arte Eliphas Lévi (1810-1875), nel quarto paragrafo dedicato agli Alchimisti, nella sua celebre “Storia della magia”, riportando una descrizione di un Trithemius mago-dogmatico, maestro di Cornelio Agrippa. Secondo Lèvi la grande dote di Trithemius risiede nell’arte di occultare, di velare, di nascondere la scienza segreta nei simboli, “tutto il suo lavoro magico verte sull’arte di nascondere i misteri”; nel caso specifico Lèvi ci parla di un Pentacolo segreto riportato solamente in qualche esemplare manoscritto del “Trattato delle cause seconde” di Trithemius, uno di questi esemplari sarebbe stato custodito dal conte Alessandro Branitsky. “Elige ex his duabus tabulis unam quam volueris” (“delle due tavole, scegli quella che vuoi”). Un contribuito in più alla leggenda che farà di Johannes Trithemius l’indiscusso mago del Rinascimento, noto anche come “Pansophiae Splendor Magnus”, coincide con quello che oggi definiremmo come un “sogno lucido”, dove una figura angelica, di messaggero sotto sembianze di un giovane vestito di bianco, mostra al giovane Trithemius due tavole, una con caratteri scritti, l’altra con figure dipinte; l’evento può suscitare l’ilarità dei razionalisti, quel che conta qui è che per Trithemius, questa “visione incantata” sarà interpretata come “segno del cielo”; infatti l’Angelo stava offrendogli il dono, una chiara scelta del corso del suo destino; Trithemius sceglierà la prima, la tavola riportante cose scritte. Il contatto con questa figura, che potremmo associare al Santo Angelo Custode, Daimon o Nume, e la conseguente scelta del Trithemius, rivela quella Vera Volontà, “Amore Literarum” che porterà lo stesso a percorrere la carriera di uomo di lettere.
L’interrogazione celeste
Venendo all’interesse di Trithemius per la “magia naturale”, così come la fama di mago, bisogna risalire all’epistola scritta dall’Abate la domenica delle Palme del 1499, all’amico belga Arnold Bostius (Van Bosch), teologo e umanista carmelitano; questi sfortunatamente morì 3 aprile dello stesso anno; la missiva cadde così nelle mani indiscrete del priore del monastero di Gand, il quale rimasto terrorizzato dai contenuti si ritenne autorizzato di ricopiare la lettera di Trithemius e di renderla pubblica, facendola circolare in Germania e in Italia. Nella lettera Trithemius comunicava all’amico la stesura della Steganographia (crittografia) “la quale, se mai fosse stata pubblicata avrebbe suscitato meraviglia in tutto il mondo”. Con questa scoperta Trithemius aveva individuato come comunicare telepaticamente per mezzo di Angeli (Messaggeri), oltre ad avere conoscenza “di tutto ciò che accade nel mondo”. La Steganografia, che vedrà la stampa solo nel 1606 (prima conosciuta in forma manoscritta), è un’opera di magia angelica e cabalistica; la tesi del benedettino Heidel che riduceva la Steganografia a mero gioco criptografico, e di chi si è fermato ad un livello secolare di lettura (non condivido l’interpretazione di Eco che vede la Steganografia come mera arma “per usi politici e militari”), coloro che a detta di Trithemius sono: “pigri ed ottusi, che non sono spinti dall’amore per lo studio dei segreti della sapienza… che hanno la mente immersa nella voluttà della carne o negli interessi mondani… o coloro che si reputano dotti e sapienti e che disprezzano la nostro opera”; questa visione esclusivamente “orizzontale” sembra evidentemente suffragata dal lavoro di Angelini-Gentili (è lo stesso autore) e C.Paredi, dai quali troviamo una prima “fuga di informazioni” per così dire, per gli altri “studiosissimi e che sono spinti dall’amore per lo studio dei segreti e della sapienza”; la Yates ci dà un’idea, una semplificazione che qui può andarci bene, del contenuto dei tre libri: “Il primo libro tratta del modo di evocare gli angeli dei vari distretti, cioè gli angeli che esercitano il loro controllo su singole parti della terra; il secondo tratta degli angeli del tempo, che regolano le ore del giorno e delle notte; il terzo, dei sette angeli, superiori a tutti questi, che regolano i sette pianeti”.
Abbiamo altre fonti, come la corrispondenza tra il lulliano Charles de Bovelles a Germain de Ganay in una lettera scritta da St.Quentin datata 8 marzo del 1509, le quali attestano come la pubblicità negativa andava diffondendosi su Trithemius; soprattutto dopo la visita del filosofo piccardo De Bovelles nel monastero di Sponheim; proprio quest’ultimo lo giudicherà “non solo un mago, ma anche uno che non capiva nulla di filosofia”, condannando l’opera steganografica come demonica, aggiungendo che Trithemius traeva conforto dagli strumenti musicali e che i suoi monaci erano votati nell’arte dell’Alchimia. Già in una lettera datata 24 agosto 1505, indirizzata a Germain De Ganay, il quale era a conoscenza dell’invidia del De Bouvelles nei confronti del Trithemius, quest’ultimo dava una chiara definizione di magia: “in realtà per magia non vogliamo intendere nient’altro che la conoscenza delle cose fisiche e l’intelligenza delle cose metafisiche, che comprende la scienza della virtù di tali cose, tanto divine quanto umane”. Nel 1507, Trithemius respingeva le accuse di magia nera e negromanzia, negando la natura demoniaca della sua opera, ma asserendo, forse pomposamente a detta di più studiosi, di aver scritto un libro che dava un metodo occulto mediante il quale una persona totalmente ignorante in latino sarebbe stata in grado di impararlo in soltanto un’ora e scrivere ogni cosa desiderata in quel linguaggio. Nella Steganografia sono presenti anche rotule cifratorie funzionanti secondo il principio dei cerchi concentrici di Lullo, il cui scopo è quello di creare o di decodificare cifrari.
Ma il segreto di Trithemius va cercato nella dimensione soprannaturale, onirica e psiconautica dei Grimori, nascosti e gelosamente tramandati all’interno di società iniziatiche rosicruciane, massoniche e paramassoniche, fino a quell’Illuminismo non razionalista, bensì conservatore dell’approccio “magico” al sapere; sarà infatti attraverso una speciale tecnica chiamata “Anacrisi” o “Interrogazione Celeste” (tecnica complessa per indurre la visione di un angelo durante il sonno, attraverso una ferrea disciplina, che semplifico qui con messa in atto di: segreto, silenzio e isolamento), che avrà vita l’opera steganografica già citata; trovo coerente la possibilità di una “filiazione iniziatica” (come dimostrato da Francois Secret e Jean Dupébe successivamente) trasmessa a Trithemius dal maestro Libanius Gallus, a sua detta “filosofo, matematico e teologo”, incontrato all’Abbazia di Sponheim nel 1495, allievo di Pélagius, genovese che vivrà come eremita a Maiorca. Sappiamo sempre da Trithemius che Libanius Gallus ereditò tutti i libri di Pelagio dopo la sua morte, “questo Libanius, uomo dottissimo in tutto, vedendo le mie disposizioni di spirito, e rallegrandosi del mio instancabile amore per lo studio mi diceva: ho cercato e ho trovato che è cosa degna studiare quello che con grande fatica abbiamo potuto capire degli insegnamenti di Pelagio e poi del Conte Pico della Mirandola e di molti altri”.
L’Anacrisis si colloca nella Teologia degli Angeli biblica, una forma di Teurgia inseparabile dall’angeologia e dalla demonologia, che richiede discernimento. Ma altri importanti tasselli di questo misterioso puzzle ci saranno consegnati da Francis Barrett nel 1801, permettendo, volutamente o no, un’ulteriore fuga di notizie (nel campo delle conoscenze esoteriche esistono “tempi” precisi di divulgazione del sapere misterico); il Barrett pubblicava a Londra “The Magus or the celestial intelligencer being a complete system of occult philosophy”, contenente a fine opera un breve trattato sull’arte di attirare spiriti nella sfera di cristallo, “the magic and philosophy of Trithemius of Spanheim”, o “Trithemius’s book of secret things”; sappiamo che questo documento, tradotto dal Barrett da un manoscritto latino, destinato ad un cenacolo rosicruciano inglese, fu portato in Inghilterra nel 1510 da Agrippa per conto del Trithemius.
Possiamo ipotizzare, per affinità di contenuti, che un’altra chiave per l’Anacrisi si trovasse tra le pagine del Liber Almadel (da Almadiel o Elmail, “angelo guardiano” o “addetto ai misteri del Tempio del Signore”), noto testo di magia rituale salomonica, così come “Lo Specchio di Salomone”, che sembrerebbe proprio completare le tre pagine vuote (da pagina 114 a 117) dell’Anacrisi di Pelagio. Ma la Cataptromanzia era un’arte già nota dai Magi della Persia, così come nei papiri magici egizi, che comprendeva più metodi di divinazione, specchi, cristalli, recipienti colmi d’acqua usati come superfici speculari ecc. Lo stesso Paracelso scrisse un “Coelum philosophorum sive Liber Vexationum (Fixationum)”, “Come evocare i cristalli in modo da potervi vedere tutte le cose”. E’ a mio parere in questo “limes” che possiamo rintracciare le orme, l’influenza di questi procedimenti magici, ermetici e alchimici complessi, dai circoli rosicruciani fino alla stessa massoneria egiziana di Cagliostro, che utilizzava i cosiddetti “specchi teurgici”, così come la divinazione per mezzo di pupilli o “colombe”,ecc.
Brando Impallomeni (21/03/1985), da anni coinvolto attivamente nella ricerca spirituale, laureatosi in Storia presso l’Università degli Studi di Firenze, con la tesi “Dall’Abate Trithemius alla Spiritual Technology”, che vuole rendere dignità allo scomodo tema della “Magia”, insabbiato dalla cultura dominante, religiosa e laicista, dalla caccia alle streghe alla banalizzazione cripto-positivista. Dall’Abate Trithemius alla Spiritual Technology, vuole ripercorrere un Iter-magico che va dalle prime coraggiose teorizzazioni della Magia, alla sua riproposta e attualizzazione nei vari periodi storici; assistiamo così ad un graduale passaggio, da una forma di magia che potremmo definire antropocentrica, cristiana, dualista (magia bianca, magia nera, magia divina, magia naturale e magia transnaturale, magia cristiana, magia divina, angelica e demonica ecc.), quella dei filosofi rinascimentali, ad una magia o “magick” (termine codificato da Aleister Crowley per designare la sua Opera, k=Kteis) stellare, che a detta del pittore inglese Austin Osman Spare, “è piena di colori”, dove gli antichi Dei diventano l’ipotesi di scenari non più terrestri, ma caso mai Extra-Terrestri e multidimensionali.