Wolfram von Eschenbach custode del Graal – Giovanni Sessa
Su un nuovo saggio di Nuccio D’Anna
Nuccio D’Anna è nome noto tra gli studiosi di simbolismo, tradizione ermetica e storia delle religioni. La sua già vasta produzione libraria è, da poco, arricchita da una nuova pubblicazione. Ci riferiamo al volume, Wolfram von Eschenbach e i custodi del Graal, comparso nel catalogo Iduna (per ordini: associazione.iduna@gmail.com, pp. 181, euro 20,00). Si tratta di una monografia dedicata a Wolfram von Eschenbach, autore, tra gli altri, del noto scritto graalico, Parzival. Wolfram nacque nel 1170, ma per tutta la vita fu peregrino, muovendosi di corte in corte, di monastero in monastero. Dapprima soggiornò presso i signori di Wertheim, poi fu a Durne e, infine, a Wartburg, ospite del langravio Hermann di Turingia. Attorno al suo protettore si radunavano poeti e cantori, tra essi l’autore del Nibelungenlied e il compositore del Minnesӓnger, Walter von der Vogelweide. Il mondo cavalleresco di riferimento di tali poeti era sintonico alle: «aspettative politiche suscitate dai sostenitori della sacralità dell’Impero» (p. 8). Si ritiene che Wolfram fosse, in qualche modo, legato ai membri dell’Ordine del Tempio. Questi si ritirò in Baviera a Wildenberg e qui chiuse i suoi giorni nel 1220.
Oltre al Parzival di lui ci è giunto, sia pure in forma frammentaria, il Titurel, che richiama il nome di un personaggio presentato come il primo re del Graal. In esso, l’autore cenna alla “genealogia celeste” dei Custodi del Graal e a una consorteria cavalleresca il cui compito sarebbe consistito nella custodia della Sacra Pietra. Wolfram introduce un tema del tutto assente in Chrétien: «il definitivo ritiro o “riassorbimento” del Graal in India, nella stessa “Fonte principiale” da cui aveva preso consistenza» (p. 9). Titurel chiuse la sua esistenza in Oriente, dopo aver raccontato al “Prete Gianni”, sovrano di un “Centro Supremo”, la propria storia. Conserviamo di Wolfram anche una raccolta di canti, Wachter Lieder, dalla quale affiorano: «immagini primordiali che appartengono al medesimo sostrato dal quale sono emerse le confraternite dei Fedeli d’Amore» (p. 11), quali quelle della Dama o dell’usignolo. Bisogna far riferimento anche a un terzo romanzo, Willehalm, giuntoci incompleto. Espressione della religiosità conventuale itinerante, fiorita in monasteri eretti: «in corrispondenza di speciali località sacre che […] tratteggiano un vero e proprio itinerario imaginale e […] rivelano anche relazioni dirette con l’ordinamento della sfera celeste e con i ritmi ciclici» (p. 13).
La tesi di D’Anna è che Wolfram, facendo riferimento a questo mondo spirituale, con la sua versione del mito del Graal volesse intervenire sul sostrato spirituale e sulle “forme” simboliche: «spesso di origine celtica, considerate […] incomplete o parziali» (p. 15), presenti nel racconto di Chrétien. I due, sul piano iniziatico, erano lontani, pur richiamandosi: «ad una medesima “Fonte” o “Radice”» (p. 15). La tradizione esegetica cui Wolfram si appoggia è simbolizzata da “Kyot il provenzale”, il “Maestro saggio”. Facendo propria l’analisi di Pierre Ponsoye, D’Anna sostiene che la figura di Kyot indica: «una funzione sacra connessa […] ad organismi appartenenti al tasawwwuf islamico» (p. 19). Tale personaggio diviene il garante della presenza, nella vicenda graalica, di una funzione di tipo provvidenziale e principiale. Wolfram richiama anche il Baruk, il “Benedetto”, Califfo di Baghdad: «custode vivente della tradizione islamica sia nel suo aspetto exoterico che nella sua dimensione esoterica» (p. 24). La sua funzione aveva tratto prossimo al Qutb sufi, Polo spirituale e Vicario celeste. Egli esalta, in uno, nel racconto di Wolfram ,la dignità ecclesiale e il significato iniziatico di “Centro” ed è collegato a Gahmuret, sovrano creatore della dinastia del Graal. In tal modo è posta una relazione diretta tra Qutb e Graal.
Non è casuale che in Wolfram, fin dalla sua prima apparizione, il Graal venga mostrato su un tappeto verde. Il verde, infatti, nell’Islam simbolizza la conoscenza sacra e verde è la veste indossata da Alì, da cui sono discese molte importanti confraternite sufi. Paradigmatico è anche il fatto che Flegetanis, dotto astronomo, vide nei cieli il Graal. Il suo nome allude alla Seconda sfera celeste, retta da Hermes. Egli era ebreo per parte di madre, musulmano per parte paterna e vicinissimo al cristianesimo: «Con ciò Wolfram fa riferimento ad una unità primigenia antecedente di molto la rigida distinzione exoterica fra le tre tradizioni monoteistiche di discendenza abramica» (p. 31). Questo, a parere di scrive, l’elemento più rilevante della lettura che D’Anna compie delle opere di Wolfram. I temi trattati sono, comunque, molteplici: a muovere da Munsalvaetsche, indicante il luogo in cui sarebbe maturata la tradizione graalica con la sua inesauribile ricchezza simbolica e dove Titurel decise di costruire un tempio sacro per il Graal, protetto dal Monte Selvaggio e da una Foresta Selvaggia, che si ergono nella Terra della Salvezza.
In Wolfram, il Graal non è un piatto o una coppa, come nei romanzi precedenti, ma una “pietra preziosa” chiamata lapsit exillis, assimilabile all’ “Aureola di Gloria” che risplende in ogni Sovrano Universale. La “Pietra” ha carattere oracolare e la sua virtù consiste nel fornire “cibo rigeneratore” spirituale. Un intero capitolo è dedicato a indagare il tema della ferita del re Anfortas. Tale ferita è provocata da un cavaliere islamico e la conseguente “inadeguatezza” del re a presentarsi quale rappresentante del Graal: «viene fatta originare dal “colpo di lancia” effettuato da un rappresentante di quell’Islam che […] fa riferimento al Baruk e al Qutb» (p. 37). Per questa ragione è possibile asserire che D’Anna, con Wolfram, ritiene si sia mostrata nell’Islam ordinato attorno al Califfo di Baghdad, una realtà sacra: «radicata in una rivelazione “originaria”» (p. 37). Il libro che abbiamo sinteticamente presentato ci pare uno dei più completi sulle opere e la figura di Wolfram von Eschenbach.
Giovanni Sessa