Brasillach e la modernità degli antimoderni: su un saggio di Claudio Siniscalchi – Giovanni Sessa
Robert Brasillach, scrittore e poeta di vaglia, per troppo tempo è stato derubricato dalla vulgata critica dominante, al solo ruolo di intellettuale “collaborazionista”. Il francese chiuse i suoi giorni nel 1945 davanti ad un plotone di esecuzione, al termine di un processo intentato a suo carico per “connivenza con il nemico”. Il dibattimento, è bene precisarlo, durò solo poche ore. De Gaulle gli negò la grazia, concessa ad altri, in quanto: «Nelle lettere, come in ogni ambito, il talento è un titolo di responsabilità» (p. 233). E Brasillach fu certamente uomo dai molti talenti, dotato di una qualità umana antica, il coraggio civile. Il valore dello scrittore e dell’uomo emerge a tutto tondo dalle pagine di un recente lavoro di Claudio Siniscalchi, accademico e storico del cinema, Senza romanticismo. Robert Brasillach, il cinema e la fine della Francia, nelle librerie per i tipi di Bietti, con prefazione di Stenio Solinas, attento esegeta dell’intellettuale transalpino (pp. 350, euro 22,00). Il volume è arricchito da ampia bibliografia.
Il testo può essere definito una biografia intellettuale, in quanto l’opera di Brasillach è indagata tenendo conto dei momenti più rilevanti della vita dell’autore. Il poeta non si rapportò mai astrattamente alla cultura, al contrario, a essa fu spinto dall’incalzare degli eventi storici e dalle conseguenze esistenziali che questi produssero sulla generazione che ebbe la ventura di vivere nei primi decenni del secolo XX. Tutta la produzione di Brasillach, infatti, è il tentativo di dare la più radicale delle risposte al problema della decadenza francese ed europea. Così, la biografia intellettuale di Siniscalchi, godibilissima per la prosa affabulatoria, come nelle corde del miglior biografiamo anglosassone, si rivela strumento indispensabile all’esegesi della storia francese fino al termine della seconda guerra mondiale. Un’analisi condotta sine ira et studio, attraverso le voci più rilevanti di quella stagione letteraria e politica, così densa di intelligenze critiche, tra le quali un posto di primo piano, almeno negli ambienti della “destra” transalpina, ebbero uomini quali Rebatet, Drieu La Rochelle, Céline. Siniscalchi è attento conoscitore di quel mondo e, come ricorda Solinas: «coglie benissimo un punto centrale della poetica di Brasillach, con il suo culto della giovinezza, che vuol dire memoria, ricordo, fedeltà […] quando osserva che per quelli della sua età “la giovinezza è il cinematografo”» (p. 10).
Ciò implica, preliminarmente, che il francese si sia fatto latore del ruolo innovativo, nell’ambito storico-politico, dei giovani. Egli mirò sempre ad una vera e propria rivoluzione antropologica centrata sull’esaltazione dello slancio vitale della giovinezza, capace di realizzare il platonico “cambio di cuore”, la “metanoia o “periagoghè”, di chi se ne fosse fatto interprete. Fin dagli esordi letterari, si pensi a Presenza di Virgilio, opera pregna di pathos rivoluzionario, scritta in occasione del bimillenario virgiliano, si evince come l’autore vedesse nel fascismo un movimento politico mirato a realizzare, oltre crisi e decadenza, per dirla con Heidegger, un Nuovo Inizio della storia europea. Un Virgilio letto con gli occhi della contemporaneità, in quanto Brasillach era fermamente convito, al di là di qualsiasi progressismo, dell’immutabilità della natura umana. Virgilio, che aveva aderito al progetto imperiale di Augusto, mostrandone la corrispondenza col mito d’origine di Roma, non poteva non rappresentare un modello di impegno politico per gli uomini di lettere negli anni in cui la sorella latina, l’Italia, ambiva valorizzare le origini romane. Ma non si trattava soltanto dell’Italia; all’epoca la fortuna di Virgilio era notevole anche negli ambienti dell’Action Française, dai quali il nostro aveva preso le mosse, mettendo in luce la proprie qualità sulla stampa vicina a Maurras. Robert Brasillach vide nel fascismo, più che una dottrina politica, un mito nel senso soreliano del termine: il mito del XX secolo. «Il fascismo è spirito», scrive in Notre avant-guerre. Egli, come il suo Virgilio, assegnava alla bellezza una funzione morale, politica, religiosa, storica, educativa.
Inoltre, il poeta mantovano avvertiva il richiamo dei culti di carattere agrario diffusi nella civiltà italica. Per quanto riguarda Brasillach e per inquadrare l’attrazione che esercitarono su di lui la pietas virgiliana e religiosità classica, forse non sarebbe fuor di luogo tener presenti le difficoltà nelle quali un cattolico dovette venirsi a trovare allorché la Santa Sede condannò l’Action Française e proibì agli iscritti di questa, la partecipazione ai sacramenti. La visione del mondo del francese è pertanto, lo riconosce apertamente Siniscalchi, modernista-reazionaria, rivoluzionaria-conservatrice. Sotto il profilo politico la sua scelta fascista, divenne irreversibile dopo gli eventi del 6 febbraio 1934, giornata nella quale fascisti e comunisti avevano attaccato la sede del Parlamento e avevano lasciato 22 morti sulle strade di Parigi. Maurras, chiosa Siniscalchi, in quell’occasione, mostrò la propria indole “inattiva”, fuori dalla realtà storica. Il Fronte Popolate di Blum non fece che radicalizzare la lotta tra fascismo ed antifascismo. In Brasillach venne meno il nazionalismo antigermanico del primo maestro e ciò spianò la strada alla sua collaborazione alla stampa dei “collaborazionisti”, in particolare a Je suis partout, che gli costò la vita.
Nella produzione del nostro un ruolo di primo piano ha avuto, dalla giovinezza agli ultimi giorni, la critica cinematografica. Nel 1935, scrisse con Maurice Bardèche, Histoire du cinéma, opera ristampata più volte: «Composta con estrema rapidità e con il “cuore che batte al ritmo della giovinezza”» (p. 123). I due decisero di pubblicarla, a seguito dell’incontro con Méliès, pioniere della cinematografia che nel 1902 produsse, Voyage dans la lune. Dopo un periodo di immediato successo, il nome del regista-attore cadde nell’oblio. I suoi film furono: «viaggi “attraverso l’impossibile” per dar forma al mondo della meraviglia» (p. 122). Ecco, di contro alla riduzione della “settima arte” a mero svago per gli uomini della società di massa o a forma espressiva dell’arte moderna, al pari della fotografia, priva di aura (Benjamin), Brasillach comprese il valore del cinema. Un’arte, per dirla con il filosofo Massimo Donà, in cui viene meno il tratto epistemico del vero, statuito dall’elenchos aristotelico e nella quale la dimensione “immaginale” mostra, leopardianamente, che le cose non sono mai “quello che dicono di essere” (la non-pipa di Magritte).
Senza romanticismo, è lettura accattivante e profonda. Da essa si evince, a proposito di Brasillach, la verità di un’affermazione di Antoine Compagnon, inerente alla “modernità degli antimoderni”.
Giovanni Sessa