Azzurre lontananze, Tradizione on the road – Giovanni Sessa
Di seguito pubblichiamo un estratto della Introduzione di Giovanni Sessa al volume, G. Sessa-G. Le Bon, Azzurre lontananze. Tradizione on the road, edito da Iduna, pp. 226, euro 20,00. Si tratta della silloge dei diari di viaggio dell’autore in Irlanda, Nepal, Islanda, Pakistan e Mongolia. In Appendice la prima traduzione italiana di alcuni capitoli del volume di G. Le Bon, Il Nepal. Nelle librerie dal 28 Aprile 2022.
[…] L’anelito al movimento, la filosofia del camminare che si evince dalle pagine di Thoreau, è una sorta di ermetico solvitur ambulando: «desiderio di liberazione dall’ansia» indotta dalla civilizzazione. Essa è testimoniata […] dal tempo di battuta delle sue pagine. La partenza, l’andare, il camminare, inducono in chi se ne faccia protagonista […], uno stato di levità psichico-mentale, una ri-nascita, un recuperato nuovo vigore esistenziale, che si manifesta nella sintonia con uomini, animali, piante e fiori. Camminare, anche per chi scrive, come il lettore evincerà dalle pagine di questo libro, è una via alla liberazione nella quale, con il ritorno al consueto […] è implicito un principio d’ordine. Tale […] camminare non ha nulla da spartire con attività sportive o salutistiche: va intrapreso con autentico spirito d’avventura interiore, senza alcun fine pratico. Solo a questa condizione il camminare può condurre a uno: «“stato di grazia” interiore che comporta ampliamento di visione e una particolare valutazione delle cose». Lo potremmo definire […] camminare metafisico, qualora non avessimo contezza che tale termine, nell’intera storia del pensiero europeo, ha determinato errori e sviamenti teorici e pratici senza pari. Camminare, in ogni caso, per noi ha valore conoscitivo: si pensi […] alla valenza iniziatica dell’Esicasmo e della Filocalia, la preghiera del cuore, nella tradizione cristiano-ortodossa.
[…] Altro autore, con il quale mi sono confrontato a lungo, e che mi permise di comprendere a fondo la filosofia del camminare, è Bruce Chatwin. Questi, […] in Anatomia dell’irrequietezza, mi parve condividere le medesime esigenze esistenziali che, fin da bambino, mi avevano indotto al movimento. Blaise Pascal, egli ricorda, ha sostenuto che: «Notre nature est dans le mouvement», per la qual cosa vita monotona e ripetitività producono malessere, apatia e disturbi nervosi. Per Chatwin, i popoli che definiamo sbrigativamente “primitivi” (quelli che il lettore incontrerà in diverse pagine di questi miei diari di viaggio), conservano consapevolezza della verità dell’affermazione di Pascal. Noi, “uomini della civilizzazione”, inveterati stanziali, ne abbiamo perso memoria, non ne abbiamo più contezza: «I bimbi bruno-dorati dei cacciatori boscimani del Kalahari non piangono mai e sono tra i bimbi più contenti del mondo. E diventano, crescendo, persone mitissime. Sono felici della loro sorte, che considerano ideale» . Del resto[…] il cosmo stesso è in perpetuo cammino: «I cieli girano attorno di continuo, il sole sorge e tramonta, stelle e pianeti mantengono costanti i loro moti, l’aria è in perpetuo agitata dai venti, le acque crescono e calano […] per insegnarci che dovremo sempre essere in movimento».
In forza del debito contratto con Thoreau e Chatwin, ho compreso, soprattutto grazie alla pagine di Robert Walser, che camminare consente uno sguardo lucido sul senso riposto della physis, della natura. Quando si è in cammino: «idee, lampi di luce e luci di lampi si presentano e si affollano da sé per essere elaborati con cura». Chi riesca a elaborare tali dinamiche intuizioni, tali immagini, sgorganti sua sponte di fronte agli enti di natura che, di volta in volta, incontriamo nel vagabondare, comprende che non siamo semplicemente noi uomini a guardare e a pensare. Infatti, prosegue Walser […]: «Laddove mi stupivo, forse ero a mia volta oggetto di stupore; e se l’ambiente circostante mi appariva incerto e ambiguo, la stessa impressione facevo io a lui […] era una possibilità. La campagna e tutte le sue bellezze avevano occhi, e io ne ero felice».
[…] L’On the road, il viaggio d’avventura condotto con mezzi disparati, facendo l’autostop, servendosi del bus, dell’aereo, a piedi, ha segnato di sé un’intera generazione, quella cui, anagraficamente, appartengo. Essa ha avuto, quali parole d’ordine, la critica della vita artificiale, dell’utilitarismo e del produttivismo dominanti nel mondo occidentale. Il viaggio alternativo è stato teorizzato, tra gli altri, da Jack Kerouac in due romanzi notissimi, On the road e I vagabondi del Dharma , i cui protagonisti di fatto appartenevano al movimento Hippie. Ho condiviso tale modalità di viaggio, ma alla dimensione puramente negativa, al rifiuto della società capitalista, egualitaria, materialista dell’Occidente globalista propria degli Hippie, ho fatto seguire l’adesione al mondo valoriale della Tradizione. I diari, che costituiscono il libro che il lettore ha tra le mani, sono rimasti nel mio cassetto alcuni decenni. Ci teniamo a sottolinearlo con forza: pubblichiamo questi diari per testimoniare l’esistenza di una frangia giovanile che ha esercitato una radicale e seria contestazione al sistema, richiamandosi a Julius Evola e alla Tradizione quale alternativa al presente […]. Nei miei viaggi, come da molti luoghi dei diari si evince, ho interpretato le realtà che, di volta in volta incontravo, alla luce di tale visione del mondo, in certi casi, è inutile nasconderlo, in modo assolutamente ingenuo!
[…] Queste le motivazioni di fondo che mi hanno indotto a viaggiare, a pormi in cammino, ad andar per montagne. Mi auguro di essere riuscito a trasmettere ai lettori, almeno parte delle emozioni che ho provato in giro per il mondo. Per farlo, nel momento in cui ho deciso di trascrivere questi diari dalle pagine ingiallite dal tempo dei quaderni sui quali, sulla strada, magari sotto lo scrosciare della pioggia o durante nevicate in quota, li avevo composti, ho pensato fosse necessario mantenere inalterato lo stile scrittorio […] frammentario, sincopato, come lo è il ritmo di qualsiasi viaggio[…]. Ho rispettato l’ordine cronologico dei diari, per cui il libro si apre con il diario inerente all’Irlanda, cui fanno seguito quelli relativi al Nepal, all’Islanda, al Pakistan e alla Mongolia. Tre di questi viaggi (Irlanda, Nepal, Islanda) li ho organizzati e compiuti in solitudine, per gli altri due (Pakistan e Mongolia) mi sono avvalso di un’organizzazione, allora non turistica, di viaggi d’avventura.
[…] Il volume è arricchito dall’Appendice che contiene quattro capitoli, inediti in italiano, del diario di viaggio, Il Nepal, uscito a Parigi in prima edizione nel 1886, del grande psicologo francese Gustave Le Bon. Una lettura intrigante, crediamo, che aiuta ad avere proficuo accesso alla complessa cultura nepalese.