Consonanza quale Philotes, dissonanza quale Neikos: il sincretismo del reale nell’inno euripideo – Gabriele Cupaiolo
Partiamo dal presupposto che lo ὕμνος euripideo rappresenta un tema ambizioso da trattare, pure se concepito in seno ad un’analisi meramente didascalica; per poter operare addirittura esegeticamente su di esso, perciò, quanto sarà necessario prendere le mosse da lontano, in primis a partire dalla prismatica etimologia del termine?
Ad oggi le ricerche hanno restituito un quadro piuttosto coerente, operando su quel che ci è trasmesso dalle fonti. Pur non sussistendo certezze in merito alla più puntuale ricostruzione storica di questa parola, una qualche area semantica è stata definita: ὕμνος manifesta, infatti, un’affinità costante con l’idea del tenere insieme. Talvolta si è accostato questo sostantivo al verbo ὑφαίνω, tessere (Bacchilide nel suo Epinicio 5, 9-10 utilizza l’espressione ὑφάνας ὕμνους, tessendo inni, rendendo storicamente fondato il suddetto accostamento), in riferimento al processo di creazione e composizione; in altri casi lo si è invece ricondotto alla radice ὑδ-1 (da cui deriva anche ὑδἐω, chiamare, nominare; Liddell-Scott attestano per il sostantivo ὕδης anche un’equivalenza semantica coi termini ποιητής, συνετός, poeta, esperto), ricollegando l’inno alla sfera semantica da cui si è originato il lessico della parola. In Grecia questo genere poetico-musicale sembra intrattenere rapporti privilegiati con le istanze culturali più antiche, in correlazione con le primordiali manifestazioni del sentimento religioso: infatti, sebbene in epoca arcaica ὕμνος significhi canto in un senso generico (facendo riferimento tanto ai componimenti di natura epica – si pensi agli Inni omerici – quanto ai canti funebri e simposiali2), Platone (Leggi III, 700b) distingue gli inni dagli encomi, in quanto i primi canti in onore degli dèi e i secondi canti in onore dei mortali. Questa concezione ebbe fortuna presso gli studiosi di età ellenistica, poi in Proclo – che definiva inni i canti di lode agli dèi, eseguiti intorno ad un altare e con l’accompagnamento della cetra3. Altre definizioni di ὕμνος sono proposte dall’Etymologicum Gudianum, che lo descrive come un discorso che celebra una divinità unendo preghiera e lode, da uno scolio a Dionisio Trace (una composizione in poesia che contiene lodi degli dèi e degli eroi, assieme alla gratitudine: quest’ultima definizione specifica, perciò, che si tratta di una forma poetica4, e che fra i mortali potevano essere celebrati gli eroi) e da Menandro Retore, il quale classifica gli inni sulla base del loro contenuto, del loro stile e della divinità celebrata. D’altro canto, la secolare corrispondenza tra esametro ed inno si sviluppa in grembo alla tradizione scritta di questo genere, che prende avvio con gli Inni omerici, collocando, ad una prima impressione, questo prodotto artistico su uno stabile piano di recitativo, finalizzato ad intrattenere innanzitutto attraverso un contenuto testuale ricco e non passivamente sottomesso all’accompagnamento musicale: nonostante ciò, numerosi sono gli esempi che lasciano intendere una libertà di canto melodico piuttosto ampia, sia in Euripide (per l’inno genericamente inteso Troiane, v. 514; per il peana Ione, v. 905; per l’imeneo Alcesti, v. 587; soltanto in un passo addirittura compare ὑμνῳδός, che sembra presupporre l’inno propriamente cantato, al v. 394 dell’Eracle), che non (si pensi ai frammenti dei due Inni delfici conservati presso il Museo Archeologico di Delfi, i quali comprendono anche simboli musicali, tra i pochi interpretabili grazie all’Introduzione alla musica di Alipio5).
In Euripide l’inno costituisce, così come valeva fin da Omero, un banco di prova che per i poeti è da sempre fonte di memoria aere perennior, ottenuta attraverso il confronto e l’emulazione, elementi di una dialettica che tanto compiace le Muse ispiratrici (τεκόντοιν θ’ ὕμνονἐργάταινδυοῖνἔρινΜοῦσαι φιλοῦσικραίνειν- Le Muse si divertono a accendere contese, se a comporre un inno sono chiamati due autori -, Andromaca, vv. 476-7). Caratterizzante della tragedia euripidea è la menzione dell’innodia sia entro il suo significato precipuamente positivo, quello convenzionale suddetto, sia entro le categorie di un’accezione shocking (questo il termine che L.P.E. Parker adotta per il peana6) e inaspettatamente funesta. L’inno, che adesso canta la vita e l’amore, adesso la morte e la contesa, diviene forma onnicomprensiva dei poli che regolano l’esistenza delle cose: queste due fonti contrapposte, dunque, richiamano facilmente la concezione di essere per come intesa dai sapienti antichi; la coincidentia oppositorum rappresenta, infatti, una premessa fondamentale all’ammissione stessa del τὸὄν greco, specialmente per come definito attraverso la ratio di matrice stoico-ellenistica. Non a caso Eraclito esalta la sostanza biforme della musica, tra le altre arti:
la pittura, infatti, nella mistione delle nature dei colori bianchi e neri, gialli e rossi, ritratti ha compiuto in accordo con gli originali; la musica nella miscela di suoni acuti e gravi, lunghi e brevi, in voci differenti ha compiuto un’unica armonia; la grammatica poi, con la mescolanza fatta di vocali e consonanti, ha da esse costituito l’intera arte. – fr. 10
così come Platone ne elogia la qualità matematica e filoideale, rivolgendosi a Glaucone:
Ma, o amico, dopo che avrai appreso quanti sono, secondo il numero, e quali sono gli intervalli della voce riguardanti il tono più acuto e quello più grave, e i confini di questi intervalli, e quanti accordi risultano da essi – gli antichi [i Pitagorici], dopo averli studiati, li consegnarono a noi, che veniamo dopo di loro, e li chiamarono ‘armonie’, e osservarono che anche nei movimenti del corpo umano vi sono altri fenomeni di questo genere che, misurati per mezzo dei numeri, affermano di dover chiamare ‘ritmi’ e ‘metri’ e allo stesso tempo comprendere che in questo modo si deve condurre l’analisi intorno all’uno e ai molti – qualora, dicevo, tu abbia appreso questi concetti in questa maniera, allora diventi sapiente, e quando attraverso questo tipo di analisi conquisterai un’altra delle qualsivoglia unità, allora sarai diventato consapevole di quel che stai ricercando: ma l’infinità di ciascuna cosa e la molteplicità di infinito che vi è all’interno di ciascuna di esse ti rende ogni volta incapace di pensare, e non ti consente di essere illustre e stimato, quando tu non sia mai stato in grado di scorgere in nessuna cosa nessun numero. – Filebo, 17c-e
Ancora Platone eleva la musica allo status di sorella dell’astronomia, instaurando la ben nota corrispondenza tra moti celesti e armonie prodotte, nonché evidenziandone la validità paideutica:
come gli occhi sono destinati all’astronomia, così le orecchie sono destinate al moto armonico, e l’astronomia e la musica sono sorelle, come dicono i Pitagorici, con i quali anche noi, Glaucone, siamo d’accordo. – Repubblica, 530d6-10
L’armonia poi avendo movimenti affini ai cicli dell’anima che sono in noi, a chi si giovi con intelligenza delle Muse non sembrerà data per un piacere irrazionale, come ora si crede che sia la sua utilità, ma risulterà data come alleata, per ridurre all’ordine e all’accordo con sé stesso il ciclo dell’anima che in noi si fosse fatto discordante. – Timeo, 47d1-7
È grazie innanzitutto ai Pitagorici menzionati nel Filebo e nella Repubblica se sussiste, all’interno della tradizione occidentale moderna, una teoria musicale coincidente con l’analisi astratta e numerica della qualità sonora, un sistema di ragione che distingua con chiarezza melodia, ritmo e armonia, ossia le tre principali componenti morfologiche della musica, dalla cui alma sintesi è possibile far scaturire l’accordo consonante o dissonante, simbolo della complessità dei moti cosmici, della natura umana e persino di ciò che per Parmenide ‘è e non è possibile che non sia’ (ἡ μὲν ὅπωςἔστιντε καὶ ὡςοὐκἔστιμὴεἶναι, Sulla Natura, fr. 2, vv 3;5 – raccolta DIELS KRANZ). Tanto per noi quanto per i Greci7, da un lato l’armonia ed il ritmo armonico – e ancor più che di armonia è bene parlare di concatenazioni armoniche, dato che ciascuna componente della verticalità sonora assume un significato completo solo se relazionata almeno ad un’altra – costituiscono il carattere generale del suono, dall’altro la melodia ed il ritmo melodico costituiscono l’esemplificazione particolare di quel carattere; la melodia scaturisce dall’armonia, ma allo stesso tempo l’afferma, relazionandosi ad essa in un rapporto di biunivoca influenza, molto simile a quello che Plutarco descrive nell’introdurre le personalità delle sue Vite Parallele8: ciascun uomo compie azioni che sono sì consequenziali alla natura individuale, ma poi è la stessa natura individuale ad essere alimentata ed affermata proprio grazie alle azioni che vengono manifestate attualmente. ἦθος e πράξεις si intersecano e si definiscono vicendevolmente. L’armonia possiede di per sé quelle caratteristiche etiche che secondo Platone hanno influsso sull’animo umano, mentre la melodia no9; queste però, un po’ come le azioni, nonostante possano essere di volta in volta interpretate sul piano comunicativo-emotivo in maniera differente – a seconda proprio della struttura ἁρμονική che le sorregge (ovverosia l’intenzionalità più profonda) -, a loro volta, inserendosi all’interno di un preciso contesto armonico, lo invigoriscono. Basti pensare alla naturale capacità con cui siamo in grado di distinguere della musica triste da della musica allegra, oppure quella dotata di qualità eroica da quella pacificante; se tutti i brani sono fra loro diversi sul piano melodico e ritmico, cosa mi permette di effettuare questa distinzione? Proprio il vocabolario armonico utilizzato, chiave di comprensione dell’ἦθος musicale nella sua essenzialità.
Tornando ad Euripide, un passo dell’Ifigenia in Tauride esplica bene la sincretica qualità dell’inno, ai vv. 179-181:
ἀντιψάλμουςὠιδὰςὕμνων τ’
Ἀσιητᾶνσοι βάρβαρονἀχάν,
δέσποιν’, ἐξαυδάσω
Cioè quel che il Coro pronuncia dopo la notizia della morte di Oreste recata ad Ifigenia: ‘Canti che a canti rispondono e il barbaro suono di asiatici inni farò per te riecheggiare, o signora’. Maurice Platnauer osserva che, dal momento che non sussiste una corrispondenza esatta fra i canti di Ifigenia e quelli del Coro, ἀντίψαλμος potrebbe significare ‘responsivo’ in un senso generico e non stretto10: la forma tecnica responsoriale è infatti ottenuta quando un coro replica ad una melodia solistica attraverso un accurato procedimento di imitazione, come per esempio avviene nel ditirambo, e mai quando si crea una netta frattura ritmica o melodica – e questo avviene se si cambia il metro di una composizione. Allo stesso tempo ciò che è ἀντίψαλμος in senso lato non può non essere in una qualche misura contiguo alla melodia cui si risponde, e per questo l’aggettivo ‘asiatico’ potrebbe indicare il modo entro cui lo ὕμνος di Ifigenia era stato eseguito (a favore di questa ipotesi accorre il verbo ἀντιψάλλω, ‘accompagnare con la lira’, così da fornire una dimensione armonica alla voce sola: nel mondo greco è proprio il concetto di modo/modalità a consentire questo processo tecnico). Se il modo asiatico rappresenta l’elemento di coerenza formale fra inno e canto di risposta è utile approfondire il significato di questa parola. Il modo musicale rappresenta una scelta ordinata di intervalli musicali, utile a instaurare uno specifico legame comunicativo con l’ascoltatore11. Aristotele afferma:
I modi musicali sono essenzialmente diversi l’uno dall’altro, e chi li ascolta è diversamente influenzato da ognuno di essi; di fronte a taluni si sente piuttosto triste e grave, come, ad esempio, di fronte a quello chiamato misolidio; di fronte ad altri, per esempio quelli molli, più abbandonato nello spirito; di fronte a un altro soprattutto moderato e composto – il che produce, a quanto pare unico fra tutti, quello dorico; quello frigio produce uno stato d’entusiasmo‘ – Politica, 1340a
Dalla musica seicentesca in poi vengono mantenuti in pieno uso soltanto due modi, quello ionico (detto ‘maggiore’) e quello eolio (minore naturale: non è questa la sede per parlare della ragione del minore armonico e del minore melodico), ma i modi antichi erano invece sette: ionico, dorico, frigio, lidio, misolidio, eolio, locrio12. Di questi, data la nomenclatura su base geografica13 è facile dedurre che quelli intesi quali ‘asiatici’ possono essere lo ionico, il frigio, il lidio e il misolidio. È importante evidenziare che, tralasciato il frigio e il misolidio, lo ionico e il lidio, nel loro genere diatonico – il più antico e diffuso nella grecità antica14 – presentano il terzo grado della scala (secondo le definizioni della teoria musicale odierna) maggiore, mentre i rimanenti modi (dorico, eolio, locrio) contengono una terza minore. Proprio il terzo grado della scala è definito modale, perché da esso dipende in buona misura la qualità espressiva identificativa del modo maggiore o del modo minore: il modo maggiore – con terzo grado maggiore – apre a sensazioni di allegria, gioia, serenità, mentre il modo minore – con terzo grado minore – prospetta tristezza, inquietudine, malinconia; da evidenziare che la comprensione del discorso può essere chiara solo se interpretiamo la moltitudine dei caratteri in questa prospettiva moderna, perciò instaurando paragoni con i modi a noi familiari, che pure sono due soltanto. Dato l’ἦθος solitamente positivo dell’inno, in grado di predisporre l’ascoltatore alla celebrazione e alla speranza, potrebbe venire spontaneo supporre che i modi degli inni di Ifigenia fossero lo ionico o il lidio; non bisogna però dimenticare che qui Euripide definisce ‘inni’ quelli che in verità sono lamenti (quindi degli inni ‘al negativo’) e che i canti di risposta che il Coro si accinge ad intonare sono la triste musica dei cordogli, quella che Ade esegue nei suoi canti inconciliabili coi peana: l’avverbio δίχα indica una separazione netta e dualistica rispetto ai canti apollinei, cosicché si possa a buon merito anche ritenere che a questi anti-inni Euripide accostasse l’impiego del modo frigio (che contiene la terza minore) o di quel misolidio che rende piuttosto triste e grave l’ascoltatore. È impossibile ottenere una risposta certa, posta da un lato l’esistenza del genere enarmonico e cromatico oltre al diatonico (i quali alteravano in una qualche misura i caratteri del modo), nonché la loro ulteriore possibilità di suddivisione in altre sfumature15, e considerata la scarsa quantità e precisione delle fonti sui modi stessi16: questo passo rappresenta, però, una delle massime esemplificazioni dell’ancipite valenza culturale di questa forma poetico-musicale all’interno del corpus euripideo, cosicché propugni, in altre sedi, ora il frutto di una empedoclea philotes rivolta al divino (Elena, vv. 1344-5; Medea, vv. 192-4; Ippolito,vv. 54-6; Alcesti, vv. 356-9 e vv. 445-7), ora una fanfara intonata al compianto e al mortifero neikos (oltre al precedente esempio: Troiane, vv. 512-4; Medea, vv. 426-7, Ione, vv. 881-4).
L’INNO EURIPIDEO NEL XXI SECOLO: ESISTONO DEGNI EREDI?
A proporci oggi una tipologia d’arte sincretica nei confronti non semplicemente delle due istanze della tradizione e dell’innovazione ideologicamente intese, bensì di tutte le principali forme di potenzialità pratiche dell’armonia, del ritmo e della melodia è senz’altro il genere della musica contemporanea. Nel Belpaese la vitalità delle forme colte coeve è coltivata da numerosi autori nostrani, tra i quali spiccano i nomi di Salvatore Sciarrino, Giacomo Manzoni e Salvatore Frega. Guardando alle carte d’identità l’occhio si potrebbe soffermare facilmente sulla data di nascita dell’ultimo: classe 1987, Frega, allievo proprio di Sciarrino e di Manzoni, nonché vincitore della Medaglia d’Argento per la sezione classica/contemporanea del Global Music Awards del 2018, è artefice di lavori intrinsecamente iniziatici ed esoterici; ad un primo ascolto l’orecchio vaga perlopiù incerto nel decifrare la natura delle armonie, ma reiterando l’esperienza uditiva diviene possibile visualizzare la strutturata tridimensionalità dei quadri sonori che l’orchestrazione è in grado di evocare, dispiegandosi tra i più variegati colori, luci ed ombre; l’esperienza della sua musica a programma detiene proprio lo scopo di innescare un profondo processo sinestetico all’interno del fruitore, cosicché, se gli accordi, carichi contemporaneamente di consonanze e dissonanze vengono sciolti e compresi dall’ascoltatore, la conciliatio tra gli antitetici significati musicali faccia dono di una soluzione sì intuitiva, ma per nulla vaga. Specificare che la contemporaneità ci offre una qualche forma di riavvicinamento a quell’idea di antico inno è doveroso e fondamentale: d’altronde, così si sono sempre dipanati i percorsi conoscitivi che i grandi sapienti si proponevano di trasmettere ai propri allievi, così, solo attraverso una comprensione noumenica, profonda e non verbalizzata, gli articolati insegnamenti di Ermete, Pitagora, Eraclito e Parmenide hanno potuto godere di una gloria imperitura, di modo che anche la più semplice delle sentenze si rivelasse nient’altro che la punta di uno splendido diaspro sommerso. Se non cerchiamo anche nell’attualità dei nostri tempi gli spunti che favoriscano questo processo di elevazione erotica e daimonica della conoscenza difficilmente produrremo i progressi cui aneliamo, perché, ebbene, sono proprio la filosofia, l’arte e la meditazione su di esse che possono aiutarci a squarciare costantemente il Velo di Maya del transumanesimo sfrenato, oggi più vigoroso e stratificato che mai.
NOTE:
1Schmid 1906, 480.
2Serafini 2011, 195.
3Ivi, 196; vedremo come, in verità, l’inno potesse contemplare l’accompagnamento di altri strumenti.
4Ivi, 197.
5Landels 1999, 207.
6Parker 2007, 140.
7Per un’introduzione alla ciclopica questione sul rapporto tra la consapevolezza armonica moderno-contemporanea e quella greca antica, si veda Grout 1984, 41-7.
8Guidorizzi 2013, 462-3.
9Barker 2005, 24-32.
10Kyriakou 2006, 95.
11Per una descrizione delle differenze fra modo antico e moderno si veda Grout 1984, 41-7.
12Macran 1902, 34-8.
13Sul rapporto tra modi e connotazione geografica si veda Grout, 1984, 47: è una delle ipotesi principali che non fosse il modo ad influenzare i caratteri musicali di ciascun popolo, quanto piuttosto il contrario: la diversa strutturazione della modalità potrebbe proprio rappresentare una formalizzazione cristallizzata di elementi etnici preesistenti e rappresentativi di una determinata area territoriale.
14Macran 1902, 178.
15Grout 1984, 41.
16Ivi, 47.
BIBLIOGRAFIA:
- Cupaiolo, Musica classica, colta e contemporanea: il caso Salvatore Frega, “Auralcrave”, 2020 – shorturl.at/coACH;
- Barker, A. Meriani (ed.), Psicomusicologia nella Grecia antica, Napoli 2005;
- J. Grout, Storia della musica in Occidente, tr. It., Milano 1984;
- Guidorizzi, Letteratura greca. Cultura, autori, testi – dal IV sec. all’età cristiana, Milano 2013;
- Kyriakou, A Commentary on Euripides’ Iphigenia in Tauris, Berlin 2006.H.S. Macran, Aristoxenoy Armonikastoicheia: The harmonics of Aristoxenus, Oxford 1902;
- L.P.E. Parker, Euripides. Alcestis, Oxford 2007;
- Schmid, Ὕμνος, “RhM”, 66, 1906, 480;
- Serafini, L”Inno a Ecate’ di Esiodo (Theog. 411-452): una falsa definizione, “Aevum(ant)”, 11, 2011, 191-201.
Gabriele Cupaiolo