La “prospettiva eurasiatica” di Franz Altheim – Claudio Mutti
Il lettore italiano non specializzato ha potuto fare conoscenza con una parte della produzione di Franz Altheim (1898-1976) – latinista, storico del mondo antico, archeologo – soltanto agli inizi degli anni Sessanta, quando furono tradotti Der unbesiegte Gott1 e Gesicht vom Abend und Morgen: Von der Antike zum Mittelalter2. Di questo studioso, infatti, negli anni precedenti in Italia era apparso ben poco. Eppure Franz Altheim, allievo di Walter F. Otto e sodale di Leo Frobenius e Károly (Karl) Kerényi, fu uno dei “primi e più autorevoli interpreti delle iscrizioni rupestri della Val Camonica, databili fra il IV e il I secolo a.C., ma attestanti la presenza di una cultura indoeuropea più antica”3, sicché sarebbe stato normale che nel nostro paese venissero resi accessibili anche gli studi nei quali si trovano esposti i risultati delle sue ricerche su tali incisioni, documento della migrazione transalpina dei Latini: Vom Ursprung der Runen4, Italien und die dorische Wanderung5, Italien und Rom6, Geschichte der lateinischen Sprache7.
A occuparsi di Altheim, fin dagli anni Quaranta, fu Julius Evola, che recensì Italien und die dorische Wanderung in maniera tempestiva ed “entusiastica”8, segnalandone l’autore anche per la sua “pregevolissima e organica Storia della religione romana“9 e lo fece collaborare al “Diorama Filosofico”, la pagina culturale del quotidiano cremonese “Il Regime Fascista”10. Il medesimo Evola, che aveva conosciuto l’autore di Italien und die dorische Wanderung all’epoca in cui questi collaborava col Deutsches Ahnenerbe – verosimilmente a Halle, dove una sua conferenza “certo aveva riscosso l’immediata simpatia del prof. Altheim”11 – a metà degli anni Cinquanta pubblicò ancora qualcosa dello studioso tedesco12 e inserì nel piano editoriale dei Fratelli Bocca la Römische Religionsgeschichte13, che però poté apparire in italiano, presso un altro editore, solo quarant’anni più tardi14.
Tornando allo studio sulle incisioni della Val Camonica, ricordiamo che in esse Altheim aveva riscontrato somiglianze formali con l’arte rupestre del Bohuslän, nella Svezia meridionale, che nel 1936 era oggetto di studio da parte di una missione del Deutsches Ahnenerbe15 guidata da Herman Wirth (1885-1981). Commentando alcuni brani di Italien und Rom da lui stesso tradotti, Adriano Romualdi (1940-1973) sintetizza la tesi di Altheim nei termini seguenti: “All’Altheim preme di sottolineare il legame stilistico che avvince il Nord e il Sud lungo un asse che segna la direttrice di marcia dei campi d’urne. È un asse che lega insieme mondo germanico e mondo latino da una parte ma che, dall’altra, si riallaccia alla Grecia dorica”16. Ma i graffiti della Val Camonica rinviano ad orizzonti più ampi: la figura del carro a quattro ruote ad uno o più piani trainato da cavalli è un prodotto di quello che Altheim chiama “il mondo cavalleresco euroasiatico”17, poiché un analogo tipo di carro è attestato anche in Crimea e nella Persia degli Achemenidi. Dal medesimo ambito culturale provengono anche altri elementi che compaiono in Italia assieme alla tecnica equestre, come “sonagli e piastrine di bronzo, pendenti e campanelle (la cui origine, attraverso la civiltà di Halstatt, risale allo sciamanismo delle tribù di cavalieri euroasiatici) (…) Anche il mito dei bambini-lupo, impersonato a Roma da Romolo e Remo, deriva alla fine dal mondo sciamanico”18.
Appare evidente che la ricerca storica di Altheim si indirizza verso un “allargamento degli orizzonti in prospettiva eurasiatica”19, obiettivo da lui esplicitamente enunciato in un saggio del 1939: “Noi dobbiamo abituarci a pensare non a una cultura, ma alle culture, agli imperi e ai grandi spazi”20. D’altronde, se già l’indagine della protostoria europea ci rimanda ad uno scenario geografico più ampio, la necessità di riferimento alla dimensione eurasiatica diventa ancor più evidente qualora si vogliano considerare i processi storici che segnarono il passaggio dall’età antica a quella medioevale. Così Altheim, al pari di altri studiosi, come ad esempio l’ungherese András (Andreas) Alföldi (1895-1991), ci invita a “guardare oltre le frontiere dell’Impero, verso quelle tribù nomadi di origine non germanica – Sarmati, Unni, Slavi – che direttamente o indirettamente contribuirono a cambiare il modo di vivere dell’Europa dopo il secolo III d. C.”21. Il mondo antico infatti venne investito da un unico grande movimento che “prese l’avvio tra i cavalieri nomadi delle steppe euro-asiatiche, abbracciò contemporaneamente imperi di antica civiltà come il Siam e la Cina e trascinò dietro a sé i Germani dell’est; invase la penisola arabica ed assunse la sua forma definitiva nell’Africa del Nord, sino a raggiungere alla fine l’impero romano”22.
A questa epoca di crisi, nella quale appare “il volto della sera e del mattino”, si riferiscono gli studi di Altheim sugli Unni23. Dopo la pubblicazione di Hunnische Runen, in cui vengono identificate come unne le iscrizioni runiche degli oggetti d’oro puro ritrovati nel 1791 nella località ungherese di Nagyszentmiklós (oggi Sânnicolau Mare, in Romania, a sud del corso del Maros e a nord di Viminacium), vede la luceAttila und die Hunnen. Richiamando espressamente la prospettiva storiografica di Polibio, che abbraccia l’ecumene unificata politicamente da Roma – “tutto lo spazio compreso tra le Colonne d’Ercole e le porte dell’India o le steppe dell’Asia centrale”24 -, Altheim indica alla storiografia odierna l’esigenza di tener conto della sostanziale unità del continente eurasiatico, paradossalmente evidenziata dalle recenti vicende del secondo conflitto mondiale. Quest’ultimo infatti, “coi suoi fronti in Europa, in Africa, sul Pacifico e in Asia, ha singolarmente evidenziato a ciascuno l’unità senza barriere di tutto ciò che in questo spazio rientra nel divenire storico”25. Così gli Unni, protagonisti di una cavalcata transeurasiatica iniziata dalle sponde del Lago Baikal e terminata ai Campi Catalauni, se in Asia condizionarono per secoli il destino dell’Impero di Mezzo, in Europa aprirono la strada alle invasioni e all’insediamento di tutta una serie di popoli affini: Avari, Ungari, Bulgari, Cazari, Cumani, Peceneghi. “Il coronamento fu l’avanzata dei Mongoli. La storia degli Unni prefigura in maniera esemplare i destini degli altri popoli turchi”26. In ogni caso, la Volkerwanderung unna diede l’avvio a tutta una catena di eventi storici: “l’inizio delle invasioni, la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, il tentativo di fondere in unità politica e culturale i popoli di cavalieri appena giunti ed i Germani, gl’inizi dell’epopea germanica e il risveglio di un raggruppamento romano-germanico”27.
Alla figura di Attila, il condottiero d’origine asiatica che fonda un impero in Europa, fa speculare riscontro la figura di Alessandro Magno, il discendente di Achille che porta la civiltà greca fino all’Indo, al Syr-Darya, ad Assuan ed al golfo di Aden, inaugurando una nuova fase nella storia dell’Eurasia. La monografia su Alessandro28 esordisce così: “Alessandro e l’Asia rappresentano, nella storia universale, due poli che, in apparenza, non hanno nulla in comune. (…) Tuttavia Alessandro è inconcepibile senza l’Asia. L’uomo d’azione aveva bisogno di un campo d’attività; era necessaria una materia ad un uomo che era nato per plasmare. Quel che più importa, l’Asia non ha mai dimenticato il conquistatore che con un gesto appassionato si è impadronito di lei: (…) il seme da lui gettato nel fertile suolo di questo continente doveva continuare a vivere”29. Questo libro di Altheim non si limita perciò a rievocare la campagna di conquista del sovrano macedone, ma delinea soprattutto la storia di un retaggio spirituale trasmesso all’Oriente. Infatti “l’ellenismo asiatico non significa soltanto una nuova tappa, più grande, nella marcia trionfale dell’ellenismo: significa anche l’ellenizzazione dei popoli dell’Asia centrale. (…) Fino al Medio Evo, la scrittura greca e le forme greche furono elementi costitutivi delle civiltà asiatiche che sarebbero nate su un terreno così fecondato. Nessun intervento esterno penetrò mai così in profondità nella vita dell’Oriente”30.
Né Altheim trascura di considerare il punto di vista geopolitico, presentandoci l’impero di Alessandro come il tentativo di collegare i paesi rivieraschi del Mediterraneo orientale con quelli che costeggiano il Golfo Persico e l’Oceano Indiano: “Come più tardi i Califfi, così Alessandro si sarebbe trovato davanti alla necessità di unire un impero marittimo sudeuropeo ad un impero marittimo sudasiatico per mezzo di un ponte terrestre: l’Iraq”31.
Mentre il libro su Attila e quello su Alessandro non sono mai stati tradotti in Italia, Der unbesiegte Gottha avuto fino ad oggi due diverse edizioni italiane. La prima, quella di Feltrinelli, fu preceduta da una recensione dell’edizione tedesca scritta da Evola per il “Roma” nel 1957, in un periodo di intensi contatti fra i due studiosi32. Evola coglie nello studio di Altheim (apparso in quello stesso anno nella collana enciclopedica dell’editore Rowohlt di Amburgo) la dimostrazione del fatto che “l’irruzione di un elemento straniero a Roma”, nella fattispecie la graduale penetrazione di un culto solare “già molto diffuso fra i popoli del Mediterraneo orientale, in ispecie in Siria”, non significa affatto che Roma “venne meno alle sue più strette tradizioni per accogliere e adottare culti, costumi e dèi stranieri”. Al contrario: dopo essere stato depurato dei suoi tratti più spuri ed equivoci, il culto nato fra le popolazioni nomadi dell’Arabia diviene un culto romano di Stato e il dio Sole “si confonde col dio più caratteristico della pura tradizione romana, Giove capitolino”33. Questo fatto, che René Guénon avrebbe potuto definire nei termini di “un provvidenziale intervento dell’Oriente” a favore di Roma, poté verificarsi per la ragione che il culto solare della tarda antichità romana rappresentava la riemergenza di una comune eredità primordiale.
Ma la teologia solare elaborata dai neoplatonici, a parere di Altheim, non è a sua volta priva di relazione col monoteismo islamico. “Il messaggio di Maometto – egli scrive – era infatti incentrato sul concetto di unità ed escludeva che la divinità potesse avere un ‘compagno’, ricalcando così le orme degli antecedenti e conterranei Neoplatonici e Monofisiti. L’impeto religioso del Profeta riuscì quindi a far emergere con accresciuta forza ciò che prima di lui altri avevano sentito e anelato”34.
Note:
1. F. Altheim, Der unbesiegte Gott, Rowohlt Verlag GmbH, Reinbek bei Hamburg 1957. Prima ed. it.: Il dio invitto, Feltrinelli, Milano 1960. Seconda edizione: Deus invictus. Le religioni e la fine del mondo antico, Introduzione di Giovanni Casadio, Postfazione di Luciano Albanese, Edizioni Mediterranee, Roma 2007.
2. F. Altheim, Gesicht vom Abend und Morgen. Von der Antike zum Mittelalter, Fischer Bücherei, Frankfurt am Main – Hamburg 1955. Ed. it.: Dall’Antichità al Medioevo. Il volto della sera e del mattino, Sansoni, Firenze 1961.
3. E. Montanari, Introduzione a Storia della religione romana, Settimo Sigillo, Roma 1996, p. 15. (Presso il medesimo editore: F. Altheim, Romanzo e decadenza, Settimo Sigillo, Roma 1995).
4. F. Altheim – E. Trautmann, Vom Ursprung der Runen, Klostermann, Frankfurt am Main 1939.
5. F. Altheim – E. Trautmann, Italien und die dorische Wanderung, Pantheon, Amsterdam 1940.
6. F. Altheim, Italien und Rom (ristampa di Italien und die dorische Wanderung del 1940), 2 voll., Pantheon, Amsterdam-Leipzig 1941; 2a ed. 1943; 3a ed. 1944.
7. F. Altheim, Geschichte der lateinischen Sprache, Klostermann, Frankfurt am Main 1951.
8. A. Branwen, Ultima Thule. Julius Evola e Herman Wirth, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 2007, p. 89.
9. J. Evola, rec. di Italien und die dorische Wanderung, “Bibliografia Fascista”, XVI, 2, Febbraio 1941; ora in: J. Evola, Esplorazioni e disamine. Gli scritti di “Bibliografia Fascista”, vol. II, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1995, p. 108. Oltre a questa recensione ne era già apparsa un’altra l’anno precedente: J. Evola, Ricerche sulle origini. La migrazione “dorica” in Italia, “Il Regime Fascista”, XV, 1 novembre 1940, p. 3; ora in: J. Evola, Il “mistero iperboreo”. Scritti sugli Indoeuropei 1934-1970, Fondazione Julius Evola, Roma 2002, pp. 53-55.
10. F. Altheim, Sulla concezione romana del divino, “Il Regime Fascista”, 26 luglio 1942.
11. G. Casadio, Franz Altheim: dalla storia di Roma alla storia universale, introduzione a F. Altheim, Deus invictus, cit., p. 28.
12. Per esempio: F. Altheim, Cesare, “Monarchia”, 1, Aprile 1956; ora in: J. Evola – F. Altheim, La religione di Cesare, “Quaderni del Veltro”, Edizioni di Ar, Padova 1977.
13. ” (…) dell’opera principale [di Altheim] si sta preparando una traduzione presso l’editore Bocca” (J. Evola, “Italia” volle dire la “terra dei tori”?, “Roma”, 17 giugno 1955; ora in: J. Evola, I testi del Roma, Edizioni di Ar, Padova 2008, pp. 238-239).
14. F. Altheim, Storia della religione romana, Settimo Sigillo, Roma 1996 (ed. tedesca: Walter de Gruyter, Berlin 1956). L’edizione segnalata da Evola in “Bibliografia Fascista” è quella in 3 voll. uscita a Berlino fra il 1931 e il 1933; l’edizione in corso di traduzione nel 1955 era verosimilmente quella in 2 voll. uscita a Baden-Baden nel 1951-1953.
15. Sulle attività dell’Ahnenerbe, cfr. C. Mutti, Le SS in Tibet, Effepi, Genova 2011, pp. 5-9. Per quanto in particolare riguarda il sostegno dato dall’Ahnenerbe alle ricerche di Altheim, cfr. V. Losemann, I “Dioscuri”: Franz Altheim e Karl Kerényi. Tappe di una amicizia, in: AA. VV., Károly Kerényi: incontro con il divino, a cura di L. Arcella, Settimo Sigillo, Roma 1999, pp. 17-28. Al rapporto di Altheim con l’Ahnenerbe sono dedicate diverse pagine di una monografia ad effetto, d’impronta piuttosto giornalistica, originariamente destinata ad un pubblico nordamericano: H. Pringle, Il piano occulto. La setta segreta delle SS e la ricerca della razza ariana, Lindau, Torino 2007.
16. A. Romualdi, Franz Altheim e le origini di Roma, in: Gli Indoeuropei. Origini e migrazioni, Edizioni di Ar, Padova 2004, p. 165.
17. F. Altheim, Storia della religione romana, cit., p. 30.
18. F. Altheim, Storia della religione romana, cit., pp. 29-30.
19. G. Casadio, Franz Altheim: dalla storia di Roma alla storia universale, cit., p. 15.
20. F. Altheim, Die Soldatenkaiser, Klostermann, Frankfurt am Main, 1939, p. 12.
21. A. Momigliano, Il cristianesimo e la decadenza dell’Impero romano, introduzione a: AA. VV., Il conflitto tra paganesimo ecristianesimo nel secolo IV, Einaudi, Torino 1968, p. 8.
22. F. Altheim, Dall’Antichità al Medioevo. Il volto della sera e del mattino, cit., p. 10.
23. F. Altheim, Hunnische Runen, Niemeyer, Halle 1948. Attila und die Hunnen, Verlag für Kunst und Wissenschaft, Baden-Baden 1951. F. Altheim – R. Stiehl, Das erste Auftreten der Hunnen. Das Alter der Jesaja-rolle. Neue Urkunde aus Dura-Europos, Verlag für Kunst und Wissenschaft, Baden-Baden 1953. F. Altheim – H. W. Haussig, Die Hunnen in Osteuropa, Verlag für Kunst und Wissenschaft, Baden-Baden 1958. F. Altheim et alii, Geschichte der Hunnen, 5 voll., De Gruyter, Berlin 1959-1962.
24. F. Altheim, Attila et les Huns, Payot, Paris 1952, p. 5.
25. F. Altheim, Attila et les Huns, cit., p. 6.
26. F. Altheim, Attila et les Huns, cit., p. 225.
27. F. Altheim, Attila et les Huns, cit., p. 6.
28. F. Altheim, Alexander und Asien. Geschichte eines geistigen Erbes, Niemeyer, Tübingen 1953.
29. F. Altheim, Alexandre et l’Asie. Histoire d’un legs spirituel, Payot, Paris 1954, p. 5.
30. F. Altheim, Alexandre et l’Asie. Histoire d’un legs spirituel, cit., p. 9.
31. F. Altheim, Alexandre et l’Asie. Histoire d’un legs spirituel, cit., p. 157.
32. Tra il 1954 e il 1958 Evola inviò ad Altheim diciotto lettere, attualmente conservate in archivi privati.
33. J. Evola, Nuove esplorazioni della Romanità. Il Dio invitto, “Roma”, 24 giugno 1957; ora in: J. Evola, I testi del Roma, cit., pp. 317-319.
34. F. Altheim, Deus invictus. Le religioni e la fine del mondo antico, cit., pp. 115-116.
Claudio Mutti