La leggenda di Beowulf – Luigi Angelino
Gli appassionati di miti e leggende sono ormai concordi nel ritenere che il Medioevo non sia stato quel periodo così oscuro e sterile, come gli Illuministi, così impegnati a deificare la sfuggente ragione, vorranno far credere. E’ proprio in quest’epoca, ponte tra lo splendore classico ed il risveglio umanista, che vengono gettate le basi per la rielaborazione culturale dell’uomo moderno. A similitudine di quanto avvenuto nella tradizione del sacro graal e nella stratificazione letteraria del ciclo arturiano, l’autore o gli autori del poema epico, tardivamente denominato “Beowulf”, attingono ad antichi racconti della mitologia norrena, a cui si aggiungono inevitabilmente elementi cristiani ed ermetici, attraverso una rivisitazione peculiare dell’epoca contemporanea alla composizione. Il Beowulf segna, in un certo modo, l’inizio dell’esperienza letteraria inglese, anche se in realtà si tratta di uno scritto anonimo, composto in una variante “occidentale” dell’anglosassone che, per scopi meramente classificatori, è stata definita “inglese antico”. La stessa datazione rimane tuttora incerta, anche se la maggior parte della comunità accademica ne colloca l’elaborazione verso la metà dell’VIII secolo, in uno dei periodi più confusi e convulsi della storia europea. Si tratta del più lungo poema dell’ambiente anglosassone, contando ben 3182 versi, proveniente probabilmente da narrazioni diverse e confluite in unico manoscritto, a cui è stato dato il nome di Cotton Vitellius (1), al giorno d’oggi custodito nella prestigiosa British Library (2).
Si pensa che il precitato manoscritto sia stato redatto intorno all’anno 1000, contenendo non solo il Beowulf, ma anche altre opere che presentano, come denominatore comune, la presenza di mostri e di creature partorite dalla fantasia norrena. Il Cotton Vitellius sarebbe stato trascritto, grazie alla paziente abilità di due monaci amanuensi, ciascuno dei quali avrebbe proceduto all’analisi di circa metà degli scritti. Come abbiamo accennato in apertura, il titolo, con cui l’opera è attualmente conosciuta, è stato attribuito soltanto in epoca relativamente recente e, cioè, nel diciannovesimo secolo, quando i racconti medievali furono riscoperti e rivalutati, in un panorama socio-culturale in cui si tendeva a privilegiare i costumi propri di ogni nazione. A tale considerazione, se ne aggiunge una più importante di carattere ermeneutico, ovvero il fatto che nelle altre fonti nordiche non sia stato ritrovato nessun altro testo che corrisponda alla vicenda narrata nel Beowulf, a parte similitudini frammentarie, come la saga islandese dei Volsungar. Ciò dimostrerebbe, a maggior ragione, che l’anonimo o gli anonimi redattori del poema abbiano attinto ad un patrimonio mitologico della tradizione norrena, inizialmente tramandato oralmente, creando un’opera strutturata in maniera originale (3).
Il poema si svolge in Danimarca, una terra che risulterà molto cara agli autori inglesi dei secoli successivi, di cui uno degli esempi più emblematici è senza dubbio l’Amleto di Shakespeare. Secondo alcune scoperte archeologiche, la vicenda sarebbe ambientata nell’antica capitale reale della Danimarca, Lejre (4), a circa 37 chilometri ad ovest di Copenaghen. In quest’area sono stati rinvenuti i resti di un imponente edificio, risalente ad un periodo compreso tra la fine del V secolo e l’inizio del VI, individuando perfino oggetti preziosi provenienti dall’Inghilterra e dalla Renania. L’apertura del racconto ha un valore simbolico molto profondo: il re danese Hrothgar fa costruire un’immensa dimora, l’Heorot (5), che suscita l’invidia e la bramosia di una creatura terrificante, il Grendel, la cui descrizione non sembra rientrare in una categoria “mostruosa” ben delineata, ma che può essere facilmente assimilata ad un troll di nordica memoria. Il mostro, per qualche tempo, osserva la vita dall’esterno, prima di decidersi a compiere sanguinarie scorribande, uccidendo molte persone ad ogni visita. In soccorso del re, entra in scena l’eroe del racconto, appunto Beowulf, nipote del re dei Geati, un popolo che abita la Svezia meridionale.
Anche sull’aspetto fisico dell’eroe, il poema dice poco, se non che si tratta di un soggetto dalla forza sovrumana e di elevatissima altezza, facendo pensare ai “giganti”, figure forse non così fantastiche presenti, non solo nella mitologia norrena ed in quella mediterranea, ma in quasi tutte le culture antiche. Quando Beowulf apprende che la bestia non può essere sconfitta dalle armi forgiate con l’ingegno umano, decide che l’unico modo possibile per sconfiggerla sia quello di affrontarla a mani nude, in una straordinaria prova di coraggio e di potere. Grazie ad altri sudditi del re, che immobilizzano il mostro, dopo un difficilissimo combattimento, Beowulf riesce a staccargli un arto, determinando la successiva morte del terribile nemico, rifugiatosi in una palude. Il braccio amputato della bestia diventa il simbolo della vittoria eroica di Beowulf, donato al sovrano che lo appende ad una parete come trofeo. I festeggiamenti nella reggia, tuttavia, sono destinati a durare poco, perchè la notte dopo si presenta una creatura forse ancora più mostruosa, la madre di Grendel, animata da una vorace sete di vendetta e descritta come una donna orribile e gigantesca che abitava, iniseme al figlio, in un antro sottomarino putrido e pericoloso. Per annientarla, Beowulf deve scendere nelle profondità di questa caverna subacquea, in una specie di rituale discesa agli inferi, dove riuscirà ad avere la meglio grazie all’utilizzo di una spada prodigiosa, forgiata proprio per i giganti e dotata di poteri miracolosi (6).
Si nota come l’importanza simbolica della spada, che trova nel ciclo arturiano la sua espressione più compiuta, derivi da ancestrali credenze dell’intero immaginario norreno. Anche dopo questa impresa, l’eroe, in una celebrazione quasi totemica, arricchisce il proprio prestigio con un trofeo: la testa mozzata. Il poema subisce, poi, una notevole accelerazione, descrivendo il ritorno in patria di Beowulf e facendo riferimento al fatto che l’eroe avrebbe regnato per ben 50 anni, un periodo di tempo eccezionale, considerata la vita media dell’epoca. A questo punto, il nuovo re dei Geati deve sconfiggere un lindworm (7), descritto anche come drago o serpente di fuoco, che si sarebbe risvegliato da un lungo sonno, dopo essersi accorto della sottrazione di una “coppa” dal tesoro nascosto nella sua tana.
Questa “coppa” è un altro elemento simbolico di grande importanza, la cui assonanza con il “Sacro Graal” non può passare inosservata. Il conflitto tra Beowulf ed il drago è diventato paradigmatico per tutta la successiva letteratura ed iconografia medievale sul tema della lotta tra il bene ed il male. Come il dio Thor, destinato a morire dopo aver avuto la soddisfazione di uccidere il serpente d’acqua, così il vecchio Beowulf avrà la meglio sul drago, per proteggere il suo regno, perdendo egli stesso la vita nel terribile scontro: una sorta di sacrificio etico, in cui il singolo si immola per il benessere collettivo, come nel caso della croce cristiana. Il poema del Beowulf può essere annoverato, a pieno titolo, tra le grandi saghe classiche dove si celebra la vittoria sulla paura e sull’ignoto. Le minacce sono rappresentate sia da creature esterne, che si nascondono tra le paludi o nelle tombe, sia dai sentimenti terrificanti interni che assumono le forme più strane e tormentano gli animi dei protagonisti. Gli antagonisti, invece, assumono l’aspetto disumano di mostri orribili e quello umano, non meno temibile, di popoli nemici, come i bellicosi vicini Svedesi. Lo stesso nome di Beowulf, che nell’inglese moderno risuonerebbe con il termine composto di bee-wolf, può essere tradotto con l’espressione “lupo delle api”.
Per i linguisti si tratterebbe di un “kenning”, cioè di una frase poetica o perifrasi in grado di sostituire il nome di una persona o di una cosa. Gli interpreti hanno ritenuto che “lupo delle api” potesse nascondere in realtà il nome di una altro nobile animale, molto importante nell’immaginario norreno, cioè l’orso. E la straordinaria forza riconosciuta all’eroe sembrerebbe confermare questa ipotesi, essendo l’orso un significativo emblema della tenacia e del vigore fisico. Anche la narrazione di Beowulf evidenzia la comune origine indo-europea dei miti norreni e di quelli mediterranei: l’eroe proveniente dalla Svezia meridionale presenta marcate analogie con le qualità straordinarie di Eracle. Come il figlio di Zeus, anche Beowulf deve affrontare prove eccezionali prima di giungere al conseguimento di un elevato grado di consapevolezza e di catarsi interiore (8). Nel contesto generale del poema ci potremmo aspettare che le invocazioni dei protagonisti siano rivolte ad Odino, a suo figlio Thor oppure ad altre divinità nordiche ed, invece, le suppliche sono indirizzate al Dio cristiano.
Il Beowulf, pertanto, ci testimonia un periodo di transizione dove le antiche tradizioni germaniche subiscono un inesorabile processo di cristianizzazione, pur continuando a sopravvivere nella coscienza collettiva popolare. Significative sono le parole del re Hrdogar a proposito di Beowulf: “ce l’ha mandato Dio, con rune favorevoli contro l’orrore di Grendel”. Se da un lato dobbiamo constatare come il sovrano danese rivolga la propria invocazione al Dio cristiano, dall’altro notiamo come lo faccia menzionando una consuetudine propria del suo popolo, quella di consultare le rune per praticare la divinazione e mettersi in contatto con il mondo soprannaturale. Nei confronti del mostro Grendel, biblicamente collegato alla progenie di Caino, si usano espressioni come “il nemico”, “l’oppositore”, “il malvagio” che richiamavano le definizioni attribuite a Satana nel libro dell’Apocalisse di Giovanni di Patmos.
Tale considerazione vale ancora di più se riferita al drago, contro il quale Beowulf dovrà combattere fino alla morte, bestia fantastica diventata nell’immaginario cristiano il simbolo per eccellenza di Satana. Nonostante l’apparente cristianizzazione, l’eroe conserva la sua natura ferina, che il suo stesso nome ricorda in maniera inequivocabile. Questa propensione naturale alla ferinità gli consente di prevalere sulle creature malvagie, impresa che non sarebbe potuta riuscire ad una creatura banalmente umana. A proposito dell’ineluttabile conflitto con il drago, il testo ci offre uno spunto interessante e che non si presta ad alcun equivoco: “non passò molto, e i due mostri tornarono a misurarsi”. Dunque lo stesso Beowulf è un mostro, seppure votato al bene e ciò sta ad indicare come il personaggio, simbolo dell’intera indole del suo popolo, sia stato cristianizzato soltanto in superficie, conservando nel profondo le proprie radici.
Lo stesso rituale funebre che accompagna la salma dell’eroe, dopo il sacrificio compiuto nel combattimento contro il drago, descrive un contesto prettamente germanico, in cui gli elementi cristiani sembrano aggiunti per motivazioni storiche e narrative. Al re dei Geati vengono tributati tutti gli onori della tradizione classica germanica, in quanto la salma viene fastosamente adornata con gioielli e con i simboli del potere, per poi essere bruciata sul rogo, un’usanza non approvata dalla dottrina cristiana che, soltanto negli ultimi anni, si sta aprendo alla cremazione. Nel Beowulf si intuiscono interessanti spunti di riflessione sulla figura del cavaliere e sui rapporti vassallatici che si diffonderanno nell’età medioevale in Europa e che, in ambito letterario, saranno sviluppati nel ciclo arturiano e negli scritti sul Sacro Graal. Non può sfuggire, poi, che l’eroe nel poema viene definito “il signore degli anelli” come la fortunatissima saga di Tolkien, denominazione che voleva significare sia colui che regalava gli anelli, tenendo legati a sé i propri seguaci, sia colui che si distingueva dal resto della comunità per le sue particolari qualità e gesta.
L’anello costituiva un importante simbolo nell’antica cultura germanica, indicando dapprima un marchio di infamia che, evolvendosi con il tempo, finì col diventare un elemento che serviva a contraddistinguere il guerriero che era destinato a condurre uno stile di vita differente rispetto agli altri consociati. Al guerriero che portava l’anello, il cui compito era quello di difendere la comunità, non si potevano contestare le consuete disposizioni sociali: quando era libero dalla guerra, poteva dedicarsi agli svaghi dei banchetti e della libertà sessuale (9). Di grande importanza, nell’economia del poema, è la simbologia del drago, presente nell’iconografia di quasi tutte le culture antiche e non sempre associato ad una spiritualità maligna. Il drago, infatti, rappresentato generalmente con il corpo di un serpente, le zampe da lucertola, gli artigli da aquila, le fauci da coccodrillo, le ali di pipistrello e i denti di leone, era creduto un essere benigno nell’antico Egitto, presso alcune civiltà dell’America precolombiana e nella mitologia cinese, al punto che il trono dell’imperatore era chiamato “Trono del drago”. L’attribuzione negativa a tale fantastica figura emerge nella cultura ebraica, che rielabora alcuni paradigmi culturali mesopotamici, come l’epopea di Gilgamesh, confluendo, infine, nella sincretica rivisitazione cristiana che rende il drago l’emblema di Satana, il “serpente antico”(10).
Nel Medioevo furono composti numerosi racconti agiografici che narravano di presunte lotte tra santi e draghi, come i più illustri San Michele Arcangelo e San Giorgio, per continuare con altri esempi alla stregua di San Marino e San Mercuriale. Come nella descrizione di Fedro, anche il drago avversario di Beowulf , oltre ad essere mostruoso e ad incarnare il male, si identifica con l’avarizia e con l’inutilità dei beni terreni, se non sapientemente utilizzati. Egli, infatti, è custode di un enorme tesoro, di cui è immensamente geloso, al punto da diventare irascibile soltanto per la sparizione di una coppa. Anche qui emerge lo spirito genuino delle stirpi germaniche: il condottiero era un primus inter pares, colui che chiamava i compagni alla guerra, ma che con loro spartiva equamente il bottino, se voleva continuare ad essere stimato e a detenere il potere. Ma l’immagine del tesoro custodito dal drago ha soprattutto un valore “mistico” piuttosto che materiale: il suo valore è nel tesoro stesso. La bestia si è impadronita di un tesoro antico ed unico, un bene che l’umanità può solo immaginare e che non può raggiungere, non possedendo le necessarie qualità per poterlo riconoscere.
Lo splendore di questo tesoro tenuto nascosto è da intendersi di carattere spirituale e trascendente, al punto che Beowulf, prima di esalare l’ultimo respiro, chiederà che gli venga mostrato per un’ultima volta, affinchè possa volgere lo sguardo a tanta bellezza che tende ad unirlo al mondo sovrannaturale. E’ un linguaggio espressivo molto caro al ciclo arturiano ed alla simbologia del sacro graal: un bene così prezioso da risultare irraggiungibile in questo mondo, portatore di vita per gli eletti e generatore di morte per gli indegni.
Note:
(1) Il Cotton Vitellius (dal nome di Sir Robert Cotton), chiamato anche Codice Nowell (dal nome di Laurence Nowell inciso sulla prima pagina), deriva dall’unione di due manoscritti precedenti, rilegati insieme nel XVII secolo. Il codice fu molto danneggiato dopo l’incendio del 1731 che distrusse la biblioteca di Sir Cotton;
(2) La British Library, che ha sede a Londra, non è soltanto la biblioteca nazionale del Regno Unito, ma rappresenta una delle più significative biblioteche di ricerca al mondo:
(3) Cfr. S. Heaney, Beowulf, Fazi editore, Roma 2002;
(4) Attualmente Lejre è un Comune di circa 25.000 abitanti, situato nell’isola di Selandia, capitale della Danimarca fino al 1443;
(5) L’Heorot, in segno di potere, significava “la reggia del cervo maschio”;
(6) Beowulf, a cura di L. Koch, Einaudi editore, Torino 2016;
(7) Il lindworm, nella mitologia norrena, era generalmente rappresentato come una creatura senza ali, con due zampe e con una struttura serpentiforme verticale;
(8) Cfr. J.R.R. Tolkien, Beowulf con racconto meraviglioso, Edizioni Bompiani, Milano 2019;
(9) Cfr. Marie-Madeleine Davy, Il simbolismo medievale, traduttore B. Pavarotti, Edizioni Mediterranee, Roma 1988;
(10) Cfr. Luigi Angelino, L’arazzo dell’apocalisse di Angers, Cavinato editore international, Brescia 2020;
(11) Nella “volpe e il drago” di Fedro, un drago vive nell’oscurità per custodire un tesoro, mentre l’astuta volpe lo fa riflettere sulla sua triste esistenza, durante la quale provvede a conservare una ricchezza di cui saranno altri a beneficiare.
Luigi Angelino,
nato a Napoli, consegue la maturità classica e la laurea in giurisprudenza, ottiene l’abilitazione all’esercizio della professione forense ed un master di secondo livello in diritto internazionale, conseguendo anche una laurea magistrale in scienze religiose. Con la Cavinato editore international ha pubblicato nel 2017 il romanzo “Le tenebre dell’anima”, nel 2018 la sua versione inglese “The darkness of the soul” e la raccolta di saggi “I miti: luci e ombre”. Nel 2019 ha pubblicato un thriller filosofico-teologico, “La redenzione di Satana I-Apocatastasi” ed una raccolta di saggi/racconti, “Ritratti Mortali” insieme ad una coautrice. Nel 2020 ha pubblicato “L’arazzo dell’apocalisse di Angers” e “Pandemia-il mondo sta cambiando”, nonché il racconto dedicato a sua madre “Anna”; nello stesso anno ha collaborato, con altri autori, al libro auralcrave sulle vicende che hanno ispirato famose pellicole cinematografiche “Il sipario strappato” e all’elaborazione della raccolta di storie “Viaggio nei più affascinanti luoghi d’Europa”. Nei primi mesi del 2021 ha pubblicato con Cavinato “Nel braccio di Orione”, un viaggio attraverso il sistema solare, “La redenzione di Satana II-Apostasia” e “La ricerca del divino” con la CTL di Livorno. Nello stesso anno è stato insignito dell’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica italiana.