Il Solstizio d’Inverno e gli Dèi di Roma – Paolo Galiano
Se nel Solstizio d’Estate, astronomicamente parlando, il Sole giunto all’àpice della sua elevazione inizia a declinare, nel Solstizio d’Inverno il movimento si inverte e l’astro ricomincia ad innalzarsi nel cielo portando di nuovo luce e calore sulla terra. Quanto accade sul livello dell’esistente altro non è che il riflesso di ciò che accade su altri piani (1): ciò che si manifesta ai nostri occhi con i moti del Sole, in quanto situato sul piano intermedio tra lo Spirito immanifesto e la sua manifestazione creata, è sottoposto a fasi alterne di decadenza e di ascesa, e questo in Dicembre si presenta attraverso un simbolismo di morte e rinascita (usiamo simbolo nel suo primo significato di “ciò che unisce”, in questo caso un piano all’altro) che si ritrova in altre Tradizioni, dall’Egitto, in cui il Sole nella sua forma di Râ nella notte passa per l’Amduat per rinnovarsi e recuperare nuova energia, all’America centrale, in cui gli Dèi devono essere “nutriti” con il sangue per mezzo del sacrificio di esseri umani. A Roma il rinnovo della potenza del Sole (o, meglio, del Potere che si manifesta attraverso di esso) si attua nel mese di Dicembre (2) con la presenza del Femminile nelle molteplici figure di Dèe e di donne mitiche quali Gaia Fufezia/Gaia Cecilia e Acca Larentia (3), presenza che giunge con Tellus e Cerere ad occupare anche il giorno delle Eidus sacro di solito a Giove: sono tutte figure del Potere non ancora passato all’atto, ciò che sarà realizzato nell’anno successivo in Marzo, dopo la preparazione di Gennaio e di Febbraio, con l’azione del Maschile presente con Marte e i suoi Saliares.
A questo “potere in potenza” delle divinità femminili connesse con la “ricchezza” intesa nel senso più ampio, anche ricchezza materiale del farro e del grano che sotto terra muoiono per rinascere e alimentare gli uomini e quindi generare il benessere che da essi deriva, rappresentato da Ops, paredra di Saturno e personificazione della Ricchezza o meglio della Pienezza, corrisponde nella seconda metà di Dicembre la ricchezza spirituale che si realizza nel ritorno all’armonia primordiale dell’Età di Saturno, il Dio degli Aborigeni più antico di tutti gli altri Dèi, la cui azione inizia quando né gli umani né le bestie erano sottoposti al giogo della fatica e tutti vivevano con tutti in pace ed armonia, quando il Dio si scioglie dalle catene del terrestre, simboleggiate dai compedes che legano le gambe della sua statua, e crea i presupposti per l’inizio del nuovo ciclo.
Il Femminile in questo mese trova il suo centro di riferimento in Bona Dèa, divinità arcaica del mondo latino e romano (4), il cui nome segreto che non poteva essere pronunciato sembra sia stato Fenteia o Fentia(5), la cui festa cade il giorno 4 di Dicembre e quindi prima delle Nonae, segno della sua antichità poiché precede la costituzione del Calendario a date fisse costituitosi circa nel VII secolo, in cui il giorno delle Nonae era quello in cui venivano proclamate le cerimonie del mese. Antichissimo è il suo luogo di culto sull’Aventinus minor, presso il luogo ove Remo prese gli auspici per il diritto a fondare la nuova città dall’auguraculum situato sul Saxum dell’Aventino, per cui il nome del luogo di culto della Dèa prese il nome di aedes Bonae Deae Subsaxana.
Il rapporto con Remo, ucciso da Romolo, collega la Dèa al mondo degli Antenati, infatti suo animale è il serpente ctonio, ma Bona Dèa ha anche funzioni connesse alla fertilità e alla guarigione, per cui queste sue qualità ne fanno una divinità analoga a Maia, a Fauna, moglie, sorella o figlia di Fauno, e a Ops, come scrive Macrobio(6): “Questa nei libri dei pontefici è indicata con i nomi di Bona e Fauna, di Ops e Fatua: Bona perché produce tutto ciò che è buono per il vitto, Fauna poiché favorisce tutto ciò che è utile agli esseri viventi, Ops perché per opera sua, cioè con il suo aiuto, la vita sussiste, Fatua dal parlare [fari] poiché, come abbiamo già detto, i neonati non hanno voce prima di aver toccato la terra”. Essa può essere descritta come “la materializzazione [preferiamo dire “incarnazione”] dell’aspetto femminile lunare che presiede alla crescita e governa il limite tra ciò che è e ciò che non è” (7).
Il tempio era precluso al sesso maschile, così come i Misteri che in esso celebravano le matrone unitamente alle Vestali, i quali Plutarco riferisce essere “simili a quelli orfici”. Le cerimonie in onore di Bona Dèa del primo di Maggio (8) erano eseguite nella casa di un magistrato in possesso dell’imperium, “la facoltà di entrare in rapporto con la divinità ed essere depositario degli auspicia populi romani”(9), potere in origine riservato solo al Rex, ed anche queste erano severamente proibite agli uomini, i quali dovevano uscire dall’edificio nel quale rimanevano le sole donne. Tutto ciò che sappiamo del rito è che esse adornavano il tempio con rami di vite e fronde di alberi, con eccezione per il mirto sacro invece a Venere, e che le libagioni erano fatte con il vino che doveva essere chiamato latte e conservato in recipienti per contenere il miele detti mellaria: tutto ciò si può collegare alla proibizione fatta alle donne fin dal tempo di Numa Pompilio di bere il vino per impedire che, ubriache, avessero comportamenti indecenti, o meglio perché il vino, “sangue della terra”, doveva essere riservato a determinati culti(10).
Il significato di morte e resurrezione insito in Dicembre (presente sul piano agricolo nei rituali collegati alla semina, la morte del seme che rinasce come farro, celebrata nella festa del Septimontium, l’ultimo giorno utile per la semina, da cui septimontalis satio, “semina settimonziale”11) si trova nella polarità di maschile e femminile espressi da Consus, la cui duplice etimologia del nome da condere come “immagazzinare” e “seppellire” lo correla sia al grano immagazzinato nei depositi sia alla “sepoltura” dei semi necessaria alla successiva rinascita, e dalle divinità femminili del Lacus Iuturnae, figure divine o divinificate connesse alla morte e all’Aldilà, la cui presenza si concentra nella zona del Lacus Iuturnae, dove si trovano i culti di Larunda madre dei Lares, gli Antenati defunti, e di Acca Larentia, zona posta sul limite della palude del Velabrum maius, caratterizzata anche fisicamente dalla presenza delle Acque simbolo della potenzialità dell’esistente ma anche del corrosivo, la cui connotazione infera è evidente.
Gli Agonalia di Dicembre(12) dedicati in taluni calendari a Indiges Pater sottolineano il legame degli Antenati (in questo caso rappresentati dall’Antenato per eccellenza, poiché Indiges era identificato con lo stesso Enea 13) con la comunità dei viventi, a cui la loro presenza nel sottosuolo garantiva anche la necessaria sussistenza fisica: la relazione tra cibo e Antenati, i quali assicurano l’alimentazione essendo “sotto terra” come il seme, è evidente nel significato simbolico del penus Vestae che è al tempo stesso dispensa e luogo dei Penates, gli Antenati divinizzati del popolo romano; gli Agonalia erano celebrati nello stesso giorno, l’11 Dicembre nel calendario a date fisse, del Septimontium e quindi del termine della semina.
Tra le divinità femminili di Dicembre un ruolo centrale per il significato di questo mese è quello della Dèa Angerona, la cui celebrazione si teneva presso il sacello di Volupia al lacus Iuturnae (14): di essa molto poco è conosciuto, tranne il fatto che la sua festa coincideva con il giorno del Solstizio d’Inverno, punto critico dell’anno nel passaggio tra il Sole che muore e il Sole che rinasce.
Angerona veniva rappresentata con un dito posto sulle labbra, proprio come Arpocrate figlio di Iside, la cui festa per “coincidenza” cadeva nello stesso giorno: per questo gesto da alcuni essa è considerata la custode del Nome segreto di Roma. Ricordiamo che due erano i segreti conservati con la massima attenzione dai Romani, quello del Nome di Roma e quello del nome del Dio o Dèa sotto la cui protezione era l’Urbe, tanto segreti che, secondo Plinio ed altri scrittori, il tribuno Valerio Sorano fu punito con la morte per aver reso noto il vero Nome di Roma (15).
Plinio(16) la descrive “ore obligato et obsignato”, due termini che si adoperano per indicare la chiusura di una missiva a cui si appone il sigillo: “obligare e obsignare: il primo indica in generale l’atto di legare qualcosa, spesso utilizzato anche in àmbito medico per descrivere fasciature ben strette; il secondo è generalmente impiegato per descrivere una chiusura ornata da un signum fatto con la cera”(17), per cui sembra che la bocca della Dèa fosse chiusa da una benda su cui si apponeva un sigillo per accertarne l’integrità.
Il nome della Dèa è stato messo in relazione con angina, malattia che causa il restringimento della gola e il soffocamento del soggetto, o con angor, in quanto il malessere psicologico derivante dall’angoscia comporta una sensazione di sofferenza fisica; poiché la molteplicità funzionale su piani diversi era tipica della religiosità romana, Angerona fu anche protettrice dall’angina e dall’ansia, ma a questi livelli fisico e psicologico si aggiunge, e a nostro avviso prevale, quello metafisico di Dèa del silenzio interiore, necessario all’uomo per concentrarsi sul passaggio angusto dall’oscurità spirituale dell’Inverno dell’anima al rinascere con il fiorire della Primavera.
Per la sua grande antichità essa può essere considerata una “divinità funzionale”, cioè una divinità il cui nome è derivato dal significato della sua funzione; pur se ovviamente non concordiamo con la terminologia adottata dall’autrice, si può dire che “la ‘funzionalità divina’ e le ‘divinità funzionali’ rappresentano un terreno privilegiato, capace di rivelare in modo chiaro ed approfondito una modalità di pensare il divino specifica della religione romana, dove il nome di un Dio o di una Dèa sono una password estremamente efficace per avere accesso al contesto ecologico che li ha prodotti”(18). Sulla base di tale interpretazione si riconosce la validità delle parole del Mommsen(19), il quale faceva derivare il nome della Dèa da quello delle feste Angeronalia, a sua volta derivante da un verbo *an-gerere, strutturato sul greco anaferein, “portare in alto”, riferito al momento dell’inversione del movimento del Sole dopo il Solstizio, per cui Angerona è “colei che inverte il moto del Sole”.
È anche possibile collegare il suo nome con angustus, la ristrettezza delle ore diurne che si fanno sempre più brevi, e Macrobio (20) infatti definisce il giorno solstiziale con le parole “tempus quo angusta lux est”, o con il simbolico passaggio stretto che il Sole deve percorrere per rinascere, come si ritrova nella concezione egizia secondo cui al tramonto Râ, nel corso della sua navigazione verso l’Altro Mondo, entra nella Duat passando per un’angusta gola montuosa.
Il Dio centrale del mese, attorno al quale ruotano queste figure del potere e della ricchezza, è Saturno(21), venerato come Re dell’età mitica della pace e apportatore delle pratiche agricole, il cui rito antichissimo era stato istituito dallo stesso Ercole, o secondo altre fonti ancora prima di lui dagli Aborigeni dopo la sconfitta dei Siculi, ai quali risalirebbe l’erezione dell’Ara Saturni e la fondazione del primo culto a Roma, secoli prima che Romolo fondasse la sua città sul Palatino. L’Ara Saturni era scavata nel tufo della piana che poi diventerà il Foro Romano e veniva detta in imo Clivo Capitolino perché situata alla base del Capitolium, ed è da identificare, secondo le ricerche di Coarelli (22), con quello che finora era chiamato Volcanal.
Il Saturno romano ha un significato del tutto differente da Kronos, la divinità greca raffigurata come un vegliardo divoratore dei suoi figli: Saturno è il Dio dell’ordine che nasce dal Caos primordiale della creazione, ordine sia nel mondo agricolo, con la conoscenza delle coltivazioni e degli innesti, sia in quello umano, con la costruzione della città Saturnia e con l’avvento della regalità attraverso il figlio Picus, primo Re del Lazio.
Saturno trae il suo nome dalla radice indoeuropea *sat, da cui derivano in latino satis e satur, termini indicanti pienezza e soddisfazione, conseguenza dell’abbondanza dei campi coltivati grazie alle tecniche da lui insegnate agli uomini tra cui l’uso del concime, motivo per cui Saturno era identificato con Sterculius o Stercutus, la divinità della concimazione dei campi.
Macrobio(23), facendo seguito all’assimilazione tra Saturno e Kronos e all’evirazione di quest’ultimo da parte del figlio, lo mette in rapporto con un termine greco significante “membro virile”: “Presso di noi fu chiamato Saturno anche in seguito alla leggenda dell’evirazione, da sàthe, che in greco designa il membro virile, come a dire ‘Saturnio’, e la stessa origine viene indicata pure per il termine ‘satiri’, come a dire ‘saturni’”. Varrone (24) lo collegava a sates in quanto era il Dio dei seminati, per cui Macrobio aggiunge: “A lui si fa risalire la pratica del trapianto e dell’innesto nella coltivazione degli alberi da frutta e la tecnica di ogni altro procedimento agrario”(25). Da qui trae origine la rappresentazione di Saturno con il falcetto, per Macrobio (26) attributo dato al Dio dallo stesso Giano, segno della ricchezza perché il falcetto è in rapporto non con la semina dei campi ma con la raccolta di quanto da essi prodotto.
In quanto Dio della ricchezza (non solo agricola, visto che presso il suo tempio nel Foro aveva sede l’aerarium dello Stato) aveva come sua paredra Ops, l’Abbondanza, Dèa anch’essa arcaica, probabilmente in origine divinità familiare del Rex, visto che i suoi rituali venivano celebrati nella Regia.
Saturno è un Dio “pericoloso”, pericolosità testimoniata dal fatto che la sua ara era posta al di fuori dei limiti della Roma più antica, in quanto “Dio della fine” non solo temporale dell’anno ma anche di ogni legge che stabilisce i limiti della convivenza civile e lascia aperta la via alla libertà assoluta, libertà appunto pericolosa perché può essere mal utilizzata da chi non sa usarne nel modo dovuto. Per tale ragione questa sua “qualità pericolosa” era personificata, secondo quanto riferisce Gellio (27), come Lua Saturni, cioè la “Dissoluzione di Saturno”, “qualità” che entra in azione nella cerimonia con cui si distruggevano le armi prese al nemico (28) insieme con Marte, Vulcano e Minerva (la quale è probabilmente sostituzione della più antica Neriene, personificazione della “virilità” di Mars, dal significato sabino del suo nome).
Il Dio era celebrato nei Saturnalia, istituiti “ufficialmente” nel 497 a.C. in occasione della consacrazione del tempio di Saturno nel Foro ma certamente di epoca più alta, in origine celebrati nel solo giorno 17 ed in seguito prolungati per altri sei giorni (ma solo il 17 rimase festus cioè dedicato al rito sacro) comprendendo così anche gli Opalia, i Divalia e i Larentalia, tutte feste connesse con il significato di “fine anno” dei Saturnalia.
Quali fossero i rituali eseguiti in onore di Saturno non è dato sapere, in quanto “in merito all’origine dei Saturnali il diritto divino non mi permette di rivelare nozioni connesse con la segreta essenza della divinità… Quanto alle origini occulte e promananti dalla fonte della pura verità, non si possono illustrare nemmeno durante le cerimonie sacre; anzi, qualora si giunga a conoscerle, è obbligo tenerle ben nascoste dentro di sé” (29).
In tali giorni i padroni portavano il pileus, il berretto degli schiavi liberati, e gli schiavi venivano da loro serviti a tavola, a somiglianza di quanto facevano le matrone nei Matronalia di Marzo; ci si scambiavano doni consistenti in cibo, ceri e statuine (sigilla), le quali, a detta degli Autori romani, sostituivano i sacrifici umani che in origine erano fatti a Saturno (30). Il segno della temporanea sospensione delle leggi si vede nella libertà concessa solo in questi giorni al gioco d’azzardo, che presso i Romani era severamente proibito nei tempi più antichi.
Secondo gli Autori romani il mito di Saturno racconta di come il Dio, detronizzato dal figlio Juppiter, si nascose nel Lazio (31) dove fu accolto da Giano, che allora governava quelle terre dalla sua città sul Gianicolo, il quale donò al nuovo venuto il colle capitolino, sul quale Saturno costruì la Seconda Roma (32), che da lui prese nome di Saturnia. Varrone (33), parlando del Capitolium, afferma: “Secondo la tradizione questo colle era chiamato un tempo colle di Saturno e da ciò tutta la zona per larga estensione era chiamata Terra Saturnia, come la chiama anche Ennio. Si legge che su questo colle c’era un’antica città chiamata Saturnia”.
Macrobio (34) mette in risalto l’azione civilizzatrice del Dio: “Questo Giano ospitò Saturno giunto per mare presso di lui e da quello imparò l’arte dell’agricoltura, migliorando così il sistema di alimentazione che prima della scoperta delle messi era selvaggio e rozzo: come compenso se lo associò nel regno” (35). L’Età dell’Oro, inaugurata da Saturno, rappresenta un’epoca mitica, nella quale uomini e animali vivevano insieme pacificamente ed è quindi uno stato principiale nel quale la realtà, lungi dall’essere già completamente definita e consolidata, inizia ad essere organizzata ed ordinata dal Caos primordiale (36). Mentre sotto la sovranità di Giano, Dio archetipale e indifferenziato, origine dell’esistente come lo descrive Ovidio (37): “Io che ero stato mole rotonda ed informe / presi l’aspetto e il corpo convenienti ad un Dio”, vi era una realtà ancora non strutturata, Saturno è il Dio civilizzatore per eccellenza, colui che insegna agli abitanti dell’epoca primordiale l’arte della coltivazione e dà origine all’Età dell’Oro.
Il rapporto tra Giano e Saturno è significativo: mentre Giano è al di fuori della storia, è il Dio che dà inizio al processo che porterà alla Roma storica ed assiste immutabile ed imperturbabile agli avvenimenti con una presenza costante ma “al di sopra delle parti”, Saturno è all’inizio della storia mitica, poiché costituisce il principio della civiltà.
Questo secondo Macrobio (38) lo dimostrava la presenza delle statue di Tritoni nel suo tempio: “Sul frontone del tempio di Saturno furono posti i Tritoni con trombe, perché dai suoi tempi ad oggi la storia è chiara e quasi parlante, mentre prima era muta, oscura e sconosciuta, come dimostrano le code dei Tritoni immerse nella terra e nascoste”. La connessione di Saturno con i Tritoni è per noi un ulteriore simbolo della sua attività ordinatrice sulla creazione, raffigurata nel dominio del Dio sulle Acque simbolo della potenzialità generatrice; per questo i Romani lo consideravano il più grande degli Dèi: “Voi Romani celebrate Saturno con grandissimo onore, forse più di tutti gli altri Dèi” (39).
Completiamo l’articolo con una considerazione a cui in questo luogo possiamo solo fare accenno: poiché vi è una corrispondenza tra i diversi piani dell’esistente (ciò che è in Alto… ), il mese di Dicembre può anche essere “letto” in chiave alchemica per il suo essere il periodo in cui dal nero della massima riduzione della luce del Sole si giunge al suo vittorioso ritorno, vicenda di morte e rinascita che sul piano del naturale riflette quanto avviene nei mondi superiori. Il mese è sotto il segno di entità collegate alla morte-rinascita ma soprattutto di Saturno, il Piombo del corporeo che attraverso il nero della putrefazione di Dicembre nei successivi mesi di preparazione e di purificazione, Gennaio e Febbraio, si trasmuta nel verde della Primavera per giungere al rosso del Sole fiammeggiante dell’Estate. Non è certo un caso che in alcuni testi alchemici (40) l’Opera abbia inizio “al tramonto del sole” nel segno zodiacale del Capricorno (Solstizio d’Inverno) per concludersi in quello del Cancro (Solstizio d’Estate) dopo sette cicli di solve et coagula della “nostra Pietra filosofica”.
Note:
1 Ci riferiamo al mundus imaginalis, argomento che però qui non è possibile trattare.
2 La complessità della struttura civile, religiosa e sapienziale di Dicembre e delle divinità in esso celebrate non consente una trattazione completa dell’argomento, per cui rimandiamo a GALIANO e VIGNA Il tempo di Roma, ed. Simmetria, Roma 2013 pp. 369-393, di cui questo articolo rappresenta un ampliamento.
3 Gaia Fufezia era la Vestale che donò ai Romani le sue terre nel Campo Marzio, la cui figura si confonde nei miti con Gaia Cecilia, nome romano di Tanaquil, colei che aveva spinto prima il marito Tarquinio Prisco e poi il figlio adottivo Servio Tullio a prendere il potere regale a Roma; Acca Larentia, come Gaia Fufezia, aveva donato ai Romani i propri beni ricevuti in dono da Ercole. Sono tutte e due figure connesse al potere regale o materiale, analoghe sul piano storico alla funzione di alcune tra le divinità femminili di Dicembre.
4 La sua assimilazione con Damia, la divinità della Magna Grecia venerata a Taranto e portata a Roma dopo il 272 a. C., non va interpretata come una introduzione ex novo di Bona Dèa nel pantheon romano ma come il riconoscimento di un’analogia tra le due forme del Femminile.
5 CANDILIO e BERTINETTI Bona Dèa: una statuetta ritrovata, in “Bollettino di Archeologia on line della Direzione Generale delle Antichità”, IV 2013, 1.
6 MACROBIO Saturnalia I, 12, 21-27.
7 CANDILIO e BERTINETTI Bona Dèa cit.
8 PLUTARCO Vita Caes 9. Su Bona Dèa e le celebrazioni a lei connesse in Maggio e Dicembre rimandiamo a GALIANO e VIGNA Il tempo di Roma cit. pp. 181-184 e 372-373.
9 GALIANO e VIGNA Il tempo di Roma cit. pp. 42-44.
10 Sul vino e il suo uso rituale si ved GALIANO Il vino, dai riti di Roma all’altare cristiano pubblicato in Ottobre sul sito di EreticaMente.
11 SABBATUCCI La religione di Roma antica, ed. Mondadori, Milano 1988 p. 340.
12 Gli Agonalia di Dicembre sono i quarti dell’anno: gli altri tre erano celebrati nei mesi di Gennaio (in cui erano dedicati forse a Janus), Marzo (sicuramente detti di Mars) e Maggio (forse di Vediovis). Anche su questo rimandiamo per un approfondimento a GALIANO e VIGNA Il tempo di Roma cit. sub voce
13 L’identificazione si basa sullla presenza dei due altari orientati sul sorgere e tramontare del Sole ritrovati nel santuario di Sol Indiges a Lavinium, risalenti all’Età del Bronzo, cioè coincidenti con il tempo della venuta di Enea, e descritti da Dionigi di Alicarnasso come eretti da Enea al suo arrivo nel Lazio.
14 MACROBIO Saturnalia I, 10, 6.
15 Vi è chi non concorda che questa sia stata la motivazione della condanna di Valerio Sorano come DE MARTINO L’identità segreta della divinità tutelare di Roma, ed. Settimo Sigillo, Roma 2011: inutile sottolineare che il sottoscritto non accetta l’identificazione fatta dal De Martino del Nume tutelare di Roma con una forma di Venere di origine orientale e greca, visto che Roma ebbe la sua Venere, ben differente dall’Afrodite greca e dall’Astarte orientale (GALIANO Venere, signora della Grazia, ed. Simmetria, Roma 2014).
16 PLINIO Nat hist III, 65.
17 PERFIGLI Le pericolose angustie della Dèa Angerona, in “I Quaderni del Ramo d’Oro on-line” 2009, 2 pagg. 273-303.
18 PERFIGLI Le pericolose angustie cit.
19 C.I.L. I pars I p. 338: Ut agonalia ab agendo, ita angeronalia dicta sunt ab angerendo, id est apo tou anaferestai ton elion.
20 MACROBIO Saturnalia I, 21, 15.
21 Per una più completa conoscenza di Saturno nella visione religiosa di Roma rimandiamo a GALIANO e VIGNA Il tempo di Roma cit. pp. 382-388.
22 COARELLI Foro romano, ed. Quasar, Roma 1983, vol. I p. 206.
23 MACROBIO Saturnalia I, 8, 9.
24 VARRONE De lingua latina V, 64.
25 MACROBIO Saturnalia I, 7, 25.
26 MACROBIO Saturnalia I, 7, 27.
27 GELLIO Noctes atticae XIII, 23, 2.
28 Ad esempio si veda LIVIO Hist VIII, 1: “Il Console Gaio Plauzio [sconfitti i Volsci]… diede le armi dei nemici a Lua Mater”.
29 MACROBIO Saturnalia I, 7, 18.
30 MACROBIO Saturnalia I, 7, 31–32 attribuisce ad Ercole l’aver fatto cessare i sacrifici umani offerti a Saturno e a Dis Pater secondo quanto prescritto dall’oracolo di Dodona riportato da DIONISIO DI ALICARNASSO Ant rom I, 19, 3: “Inviate… / le teste al Cronide e al padre [Dis Pater] inviate un uomo”.
31 È nota l’etimologia di Latium da latere, nascondere. DI NARDO ne Il preistorico culto infero del Vulcano laziale, Velletri 1942 p. 34 fa derivare Latium da “pietra”: “da Later = massello squadrato (da cui Latomia = pietrara) ebbe origine la voce Lazio, che ha per sinonimi lateus e lateo (occulto, nascosto)”.
32 La Prima va identificata con quella del Re (o Regina) Camese (MACROBIO Saturnalia I, 7, 18), insieme a cui regnò Giano.
33 VARRONE De lingua latina V, 42
34 MACROBIO Saturnalia I, 7, 21.
35 Come si è detto sopra, a Saturno veniva anche attribuita l’arte di innestare gli alberi da frutto, segno del passaggio da una società di raccoglitori, che consumavano ciò che trovavano in natura, ad una di agricoltori, capaci di migliorare quanto era disponibile allo stato spontaneo. Il mito di Tutula e del caprifico si potrebbe ricollegare a questa transizione: si veda Il complesso festivo delle Nonae Caprotinae in Il tempo di Roma cit. pp. 253-258 e in particolare p. 257.
36 Roma, che non conosce i virtuosismi intellettuali dei Greci, non possiede in modo esplicito una cosmogonia ma è possibile desumerla da alcune tracce che gli Autori romani ci hanno lasciato.
37 OVIDIO Fasti I, vv. 111-112.
38 MACROBIO Saturnalia I, 8,4.
39 MACROBIO Saturnalia I, 7, 16.
40 Si veda ad esempio la Conclusio operis dello Speculum alchimiae attribuito a Frate Elia (GALIANO Lo Speculum alchimiae di Frate Elia, ed. Simmetria, Roma 2016).
Paolo Galiano