Gustavo Adolfo Rol: Il verde e il cinque – 3^ parte – Piervittorio Formichetti
Riguardo la terza condizione della magia secondo Scott Cunningham – le tecniche mediante i numeri e le visualizzazioni mentali – Gustavo Rol parlò abbastanza dell’«appoggio» che trovava nella visualizzazione mentale del colore verde e nel numero 5: il verde perché centrale tra i colori dello spettro luminoso, il 5 perché centrale tra i primi numeri da 1 a 9. Nel luglio del 1927, a Parigi, scrisse sulla sua agenda: «Ho scoperto una tremenda legge che lega il colore verde, la quinta musicale ed il calore. Ho perduto la gioia di vivere. La potenza mi fa paura. Non scriverò più nulla!». A Marsiglia, avrebbe avuto una delle prime esperienze del potere del verde: alla fine delle frequentazioni dell’innominato «Maestro polacco» che lo iniziò alla “gestione” delle facoltà paranormali, osservando dopo uno scroscio di pioggia l’arcobaleno notò che soltanto il verde gli restava impresso nella mente dopo aver distolto la vista: «In quel momento si sentì pervadere da una sensazione di calore che si stava irradiando alla base del cranio e, al contempo, gli parve di sentirsi trasfigurato, come se il suo Io avesse ceduto il passo a un Io più completo, capace di vibrare sull’onda creativa del cosmo». Lo scrittore Pitigrilli, alias Dino Segre, nel libro Gusto per il mistero ricordava che Rol gli consigliò di «immaginare un piano tutto verde, come un prato senza alberi, senza particolari che turbino l’uniformità del verde; immagina di essere sommerso in un’immensità di vernice verde. Tu vuoi che tutte le carte di questo mazzo si dispongano in un certo ordine? Chiedilo mentalmente e poi immagina il verde; nel momento in cui tu ‘vedi’ il verde, la trasformazione è avvenuta”». Filippo Ascione, sceneggiatore di Federico Fellini, una volta chiese a Rol come poter contattarlo, dato che al telefono sovente non rispondeva nessuno. Rol gli rispose: «Pensa a uno schermo nero e immagina una sfera verde che ruota, poi ci penso io». E quindi – sostiene Ascione – «ogni tanto creavo quell’immagine, e il telefono… squillava». Talvolta Rol, quando percepiva in qualcuno una malattia di gravità medio-bassa, lo guariva mediante un «soffione verde»: «poneva un fazzoletto sulla parte sofferente, teneva con la mano destra il mignolo della mano sinistra del paziente, per fare circuito chiuso. Poi si metteva a soffiare, e il volto gli diventava paonazzo per lo sforzo. Diceva che, mentre lo si fa, è molto importante immaginare di immettere energia di colore verde». E quasi sempre, la guarigione era poi accertata dagli specialisti, come nei casi del giornalista Tito Neirotti e della moglie del suo collega de “La Stampa” Lorenzo Mondo.
Questi consigli di Rol indicherebbero che egli riteneva il potere del verde non soggettivo (come sembra sostenere G. Dembech in Rol, il grande precursore), ma oggettivo. Potrebbero esservi ragioni “naturalistiche”. Il verde è uno dei colori dominanti in natura: la vegetazione, resa verde dalla clorofilla, dal punto di vista umano è centrale (come il verde dello spettro luminoso) perché situata tra terra e cielo come noi; la specie umana, secondo l’evoluzionismo, nacque nelle foreste primordiali, quindi il verde naturale è verosimilmente il colore più impresso nella memoria subconscia umana, e può essere anche per questo motivo che la lingua giapponese distingue il verde della vegetazione dal verde artificiale (ad es. quello del semaforo) usando due vocaboli, rispettivamente midori e aoi, indicando con quest’ultimo anche cose blu o azzurre, compresi gli occhi.[1]. Il potere del verde potrebbe quindi basarsi in parte su una risposta psicologica oggettiva (sebbene inconscia) al colore che, più di ogni altro, può provocare una reminiscenza della “fusione” con la Natura, e quindi una sorta di affievolimento momentaneo dell’Io, che lascerebbe via libera all’azione della Divinità (quindi anche l’effetto rilassante del verde naturale, conosciuto popolarmente e utilizzato in cromoterapia, potrebbe essere una risposta di questo tipo, ma più superficiale). Secondo Franco Rol, autore de Il simbolismo di Rol, la cui interpretazione del linguaggio del suo lontano parente si basa soprattutto sull’esoterismo tradizionale – vi si citano René Guénon, Rudolf Steiner (studiato dallo stesso Gustavo), Julius Evola, Alexandra David-Neel – la «tremenda legge», con il riferimento al verde e alla 5^ musicale (cioè a un suono corrispondente al famoso «Aum» o «Om» della meditazione induistico-buddhistica), sarebbe «una definizione simbolica che rimanda ad alcune fasi della meditazione yoga», perché «un grande iniziato come Rol non può che riferirsi costantemente, con la parola e le azioni, alla tradizione metafisica, costruita e tramandata nei millenni da altri Grandi come lui»[2]. Franco Rol menziona anche il misterioso âl-Khidr , «il Verde», essere che, secondo il Corano (XVIII, vv. 65-82), apparve a Mosè ed è quindi considerato dai Sufi il Maestro interiore, «che appare ai mistici in momenti particolari per istruirli» e la cui sostanza – dicono – è di «linfa vegetale verde». Nella mistica cristiana, dove il magister interior è il Cristo, vi è il caso, forse unico ma significativo, della famosa abadessa tedesca Ildegarda di Bingen (proclamata Dottore della Chiesa da Benedetto XVI nel 2012) che descriveva la costante attività creativa di Dio riferendosi esplicitamente al colore verde: vis (energia), virtus (virtù, ma anche forza) et viriditas, ossia «l’eterno germogliare verde dell’Universo».[3] Tutto ciò non esclude il potere intrinseco del verde, di cui si è detto e che ne farebbe il miglior colore “ponte”, se non l’unico, tra dimensione fisica e metafisica; Franco Rol infatti cita come giusta l’affermazione di Pitigrilli secondo il quale «il colore verde che si deve immaginare per il compimento dei fenomeni è […] un mezzo di concentrazione».
Rol si identificava nel numero 5: in alcune sue sedute di «coscienza sublime», ripeteva più volte «je suis le numero cinq» (io sono il numero cinque) per mettersi in contatto con il piano metafisico degli «spiriti intelligenti». Il suo terzo nome di battesimo, Cornelio, che egli non usò mai, era lo stesso di suo nonno, medico, e di Cornelio Agrippa di Nettesheim, medico, che nel suo trattato De occulta philosophia (1565) dimostrò che la figura umana è inscrivibile in un pentacolo regolare, cioè una stella a cinque punte;[4] Rol conosceva certamente qualche testo di Cornelio Agrippa, poiché ne parla almeno una volta (lettera a Giacinto Pinna, 17 novembre 1947, o a Carlo Rol, 16 novembre 1949): «Cornelio Agrippa credeva ancora nella Natura, così come noi (o voi) oggi la conosciamo. I miei esperimenti sconvolgono le leggi della natura!». Nella natura vivente, pare che il numero più presente sia proprio il 5. Non esiste nei cristalli, di cui sono possibili formazioni di 2, 3, 4 e 6 elementi, mentre sovente è il numero dei petali di un fiore[5], dato che esistono almeno venti famiglie di fiori strutturati su cinque petali; sembra quindi ricorrente proprio nel regno vegetale, cioè quello prevalentemente verde e situato ad altezza d’Uomo. Appare il «numero prediletto» anche negli oceani, dove molte specie di stelle marine e di pesci-piuma hanno cinque braccia.[6]. Già Plutarco (46-127 d. C.) scrisse che «…la natura sembra compiacersi a far tutto alla stregua del cinque».[7]. Anche in àmbito esoterico-religioso ci sono legami tra il 5 e il verde. Nell’Induismo, a ognuno dei sette chakra, situati lungo il corpo umano dal plesso sacro alla fronte, è associato un colore dello spettro luminoso: quello del cuore, Vishuddha, è il quinto e corrisponde al verde[8]; come il verde della vegetazione è centrale nella visione umana del mondo naturale, così il cuore è centrale nel corpo umano, e la sua centralità nello spazio corrisponde alla centralità delle emozioni nella vita umana (per gli antichi il cuore era la sede delle emozioni e dei sentimenti, e oggi alcuni scienziati eterodossi ritengono che il cuore sia dotato di un proprio sistema nervoso, autonomo da quello centrale diretto dal cervello e capace di reagire con un leggero anticipo agli avvenimenti). Anche per i Pitagorici il numero cinque era «il numero nuziale (pénte gámos), e in greco cinque si dice sia pénte che kardiátis, la cui etimologia è la stessa di kardía, ovvero cuore, che si trova idealmente al centro dell’essere umano, con tutti i significati mistici che gli sono associati»[9]. Nell’Albero qabbalistico delle Dieci Sefiroth ebraiche, che simbolizza anche l’Adam Kadmon (Uomo Cosmico o Celeste), la Sefira Tiferet (Bellezza) corrisponde al cuore ed è anch’essa la quinta dal basso; alla bellezza, la mitologia greco-romana collega Afrodite/Venere, la cui pietra preziosa simbolica è verde: lo smeraldo. La quinta lettera ebraica, He (la nostra H, talvolta con funzione di E), avrebbe il significato simbolico di finestra (cioè un’apertura tra due “mondi” da cui si può vedere ed essere visti) e rappresenta l’intuizione (parola fondamentale in Rol), la rivelazione, la meditazione, la contemplazione, l’ispirazione senza la quale l’essere umano non potrebbe percepire gli impulsi della propria interiorità (cioè dell’inconscio/subconscio), né ciò che viene dai piani più sottili[10]: cosa che era indispensabile a Rol, dato che le sue azioni paranormali erano quasi mai programmabili.
Corrispondenze tra il numero 5 e la vita di Rol riguardano soprattutto il nord Europa. Tra le 24 rune scandinave del sistema Futhark (che è una sigla o un acronimo), elencate in un ordine fisso, la quinta runa è Raidho, l’unica che abbia un nome che inizi con la R e una forma simile alla R latina. È perciò collegata alle parole inglesi ride (cavalcare) e road (strada), e tedesche Rad (ruota) e Ritter (cavaliere), al fenomeno del tuono e all’immagine del carro nell’atto di correre (inglese: run, greco: reu) sulla strada; simbolizza soprattutto il movimento e la trasformazione.[11] Tutti questi elementi si ritrovano in Rol: l’identificazione di sé stesso col 5; l’iniziale R del cognome suo e di Ravier, il suo pittore-modello; il suo nome (Gustavo Adolfo) era lo stesso di alcuni re di Svezia dal XVI secolo; in famiglia qualcuno sosteneva che il loro ceppo genealogico provenisse dalla Scandinavia (G. Dembech parla di «nobili origini scandinave»), e infatti in area scandinavo-germanica esiste il cognome Rohl, rimasto con la H anche in alcune famiglie emigrate; l’amore e il matrimonio con la norvegese Elna Resch-Knudsen (cognome con l’iniziale R). Durante una notte di febbre nell’estate del 1949, Rol sognò di sprofondare nella sabbia di una spiaggia e di essere salvato da una donna bionda ammantata di un «velo d’aria appena tinto d’azzurro»[12], che gli venne incontro su un cavallo bianco: una Ritterin (donna cavaliere) nella quale riconobbe Elna.
Al di là dell’aspetto magico delle tecniche e dell’esito spettacolare dei suoi esperimenti, Rol consigliava di cercarne la vera Causa e la vera ragione d’essere. In sostanza, le sue azioni non sarebbero possibili se all’origine di tutto ciò che esiste non ci fosse Dio: «Io stesso rimasi sempre stupito, se non commosso, dai mezzi paranormali ai quali appoggiai le mie azioni. La sola giustificazione che trovai a mia tranquillità, fu quella di agire per volontà di una Volontà che mi sovrastava, e che mi indicava la Carità come un mezzo onnipotente ed unico». «La ragione, che non è segreta, della Creazione» – come scrisse in una lettera-testamento del 1975 – è la stessa che mistici e credenti appartenenti a diverse civiltà e religioni hanno compreso lungo millenni di storia, cioè che l’Universo esiste in quanto amato da Dio («creatore e conservatore», dice il Cattolicesimo, avvicinandosi all’Induismo in cui Vishnu è il Principio Conservatore), e che l’Uomo è una particella della Divinità. Scrisse in una lettera, forse tra il 1954 e il 1965: «Questo il segreto dell’Universo e la ragione della Creazione tutta, così come Dio, all’origine, l’ha concepita, voluta e poi sopportata». Quindi, se a Dio nulla è impossibile, anche l’Uomo ha possibilità straordinarie, purché abbia fede, ridimensioni il proprio ego e voglia agire per il bene. Rol scrisse infatti al fratello Carlo, in una lettera del 1 maggio 1951, che la «coscienza sublime» è «sinonimo di quella parte “già divina” dell’Uomo rivelatagli lungo la strada della conoscenza dell’anima», cioè una parziale esperienza dell’origine divina dell’anima umana. Questi riferimenti così diretti alla presenza di Dio erano di difficile comprensione anche per un testimone oculare intelligente e onesto come Massimo Inardi: «Non è accettabile il far intervenire – come egli [Rol] fa a ogni piè sospinto – Dio, l’Essere spirituale increato e supremo, anche in manifestazioni banali, talora come quelle delle operazioni con le carte […] a meno di non dover ammettere che davvero non sia Dio stesso, nella Sua imperscrutabile volontà, a permetterlo e a volerlo. Che Rol si consideri uno strumento di Dio ed offra quello che può a Sua maggior gloria? È un’ipotesi, questa, non personale ed emessa da altri, ma possibile, e a cui ci si può anche associare […]. Queste sono pur sempre considerazioni ed osservazioni proprie dello studioso…»[13]. Il proprio retroterra scientifico gli rendeva difficile comprendere la consapevolezza – propria del mistico più che dello scienziato – panenteistica, cioè della costante presenza di Dio in tutti i fatti e in tutte le cose in quanto realtà esistenti, anche se non palesemente «numinose» o «mirabili, tremende e affascinanti», come Rudolf Otto definiva le manifestazioni autentiche del Sacro. I discepoli di Confucio che commentarono l’I Ching, l’antico Libro dei Mutamenti taoista, avevano intuìto che «Il carattere del Cielo è di non apparire quale capo» (commento all’esagramma 1 dell’I Ching, Il Creativo), cioè che «il Creativo guida ogni divenire, ma non si mostra mai» (R. Wilhelm)[14]. E il maestro cinese Ekai detto Mumon (1183-1260), esponente del Buddhismo Zen, scrisse: «È troppo chiaro e perciò è difficile vederlo»[15].
Note:
[1] Antonio Marazzi, Antropologia della visione, Roma, Carocci, 2003, citato in Marco Belpoliti, Dimmi come guardi, ti dirò chi sei, “La Stampa” 14 aprile 2003.
[2] Franco Rol, Il simbolismo di Rol, terza ed.-2012, p. 73. Le citazioni seguenti sono tratte dalle pp. 395 (nota 626), 406 e 430 (nota 752).
[3] Cfr. Il grande libro dei Santi, a cura di C. Leonardi, A. Riccardi, G. Zarri, vol. II, Cinisello Balsamo (MI), San Paolo, 1998, pp. 1112-1115; Maria Teresa Fumagalli Beonio-Brocchieri (a cura di), Ildegarda di Bingen, Cinisello Balsamo (MI), San Paolo, 2000 (collana «Scrittori di Dio», 32), p. 84, parafrasa viriditas con «vigore della virtù».
[4] Franz Carl Endres, Annemarie Schimmel, Dizionario dei numeri. Storia, simbologia, allegoria, Milano, Red, 2006, pp. 111-112.
[5] Endres e Schimmel, Dizionario dei numeri cit., p. 102.
[6] King, Linguaggio segreto dei numeri, cit., pp. 51-53.
[7] Plutarco, Iside e Osiride e Dialoghi delfici, Milano, Bompiani, 2002, p. 362 (cit. in F. Rol, Il simbolismo di Rol, p. 432).
[8] Pina Tosonotti Andronico, La numerologia, Milano, Xenia, 1999, p. 22. In altre fonti, però, il chakra verde del ventre è il quarto, mentre il quinto è quello della gola, associato all’indaco.
[9] F. Rol, Il simbolismo di Rol. cit., p. 456.
[10] King, op. cit., p. 115; Tosonotti, La numerologia cit., pp. 77-78.
[11] King, op. cit., p. 146.
[12] Nel docu-film Rol: un mondo dietro al mondo si dice, forse per un lapsus, che il manto era verde.
[13] Inardi, Dimensioni sconosciute cit., pp. 180-181.
[14] I Ching. Il Libro dei Mutamenti, a cura di Richard Wilhelm, Milano, Adelphi, 1991, p. 396.
[15] Mumon, La porta senza porta, a cura di Nyogen Senzaki e Paul Reps, Milano, Adelphi, 1987, p. 28.
Piervittorio Formichetti