Veneri, donne e dee nei riti ancestrali di rinascita – Costanza Bondi e Terenzio Del Grosso
La parola VEDERE dal latino video proviene dalla radice sanscrita VED / indoeuropeo VID (1) da cui VID-Ita = io distinguo, io so = vedo con gli occhi della mente che darà nel greco il sostantivo εἴδωλον = idolo = immagine, figura da cui il verbo εἶδομαι = vedere in senso fisico e conoscere in senso metaforico ci conduce a εἶδον = IDEA tornando, quindi, a DEA. Alla base di tali declinazioni vi è lo scambio consonantico tra dentali occlusive sorda e sonora, D e T (Deus e Theós) che, per metatesi, vedranno invertito l’ordine di successione dei fonemi D e V (dentale e labiodentale)(2). Ciò ci riporta al DVaS sanscrito = divinità = Dea, in seguito Dio = Διός diòs, poi Ζεύς Zeus. Infatti, è dal sanscrito dîvyati = brillare, splendere che avremo dîvya = celeste, da cui luce e da cui, ancora in seguito, DIANA e DJUNA-GIUNONE, dee del giorno, le dee diurne che hanno effetti benefici sulle “cose” del mondo. Così il DAHAN vedico = alba e il sanscrito DAHANA = fuoco (che brucia, quindi illumina), il cui retaggio della Madre-della-Luce-che-non-tramonta appare, oggi, in uno degli appellativi ortodossi della Vergine Maria. Non a caso Diana, nella sua essenza di dì = giorno, si fonde con VENERE, portando in sé il nome della Stella del Mattino, la stella cioè che appare a Est prima del sorgere del Sole. Nella concordanza di significato di giorno-luce-conoscenza, ecco che il libro della sapienza indiano si intitola VEDA, corrispondente al VAĒHDA della lingua avestica (idioma liturgico dello zoroastrismo) che farà capo al greco antico (φ)οἶδα da leggere wuoida, tramite il quale torniamo al latino VIDEO = vedere. Dea dunque è colei che vede. Vede perché già di per sé illuminata, quindi è di conseguenza illuminante per mezzo dei poteri che questa sua facoltà le ascrive. Stando a Vichy Noble, il potere sciamanico opera infatti da sempre nel regno del Femminile, anche all’attuale in cui la prevalenza è ormai maschile, ma sarà lo sciamano stesso che per percorrere la via della guarigione dovrà comunicare con la Dea per poter entrare nel suo regno magico di Madre di Tutte le Cose (3). La figura della sciamana è quindi primordiale, il cui carattere archetipico elementare femminile – per riassumere quanto espostoci da Erich Neumann – vanta quel simbolismo che dal punto di vista energetico-psicologico esprime la situazione originaria della psiche, che noi definiamo perciò matriarcale e nella cui sfera la diuturnità celeste rappresenta lo spazio all’interno del quale il Sole nasce e muore e poi risorge (4).
Al centro dei misteri cosiddetti matriarcali – che qui sarebbe preferibile definire “matristrici” = centrati sulla figura della donna – vi è pertanto la Grande Madre Luce che genera il Sole al solstizio invernale, momento in cui esso stesso è al Nadir e a Est sorge la costellazione della Vergine soprannominata il granaio dello Zodiaco, la cui stella più brillante porta appunto il nome di SPICA = spiga. Così, la Vergine con la spiga in mano è la φωσφόρα = portatrice di luce, essendo luce che genera luce. Luce da luce, quindi, che tornando all’etimologia, non ci fa dimenticare i termini devanagari द ेव deva = ciò che è divino, celeste e la divina द ेव ी = colei che risplende, oltre all’indù Devaki, madre di Krishna, o Teotihuacàn, la città divina degli aztechi da teolti = divinità + hua = re + can = luogo. Il Femminile, nella sua facoltà di intuizione e di visione delle entità comunemente non percepibili, divenne allora quel “tramite” in grado di condurre sia nella dimensione dei mondi interiori sia degli spazi di coscienza superiore: il terzo occhio. E come poter rappresentare al meglio questa sua facoltà, se non con la corrispondenza grafica tra pigna e pineale, la ghiandola che influenza il circolo circadiano e le ovaie? Ecco come, ancora, per esprimere i concetti di abbondanza e di espansione della coscienza nel più alto grado di illuminazione, microcosmo e macrocosmo simbolicamente si incontrano tramite mais, ananas e pigna. Quest’ultima tuttora presente in abbondanza nel mondo occidentale, in quanto simbolo animico apotropaico posto – seppur oggi magari più per tradizione che per reale conoscenza della sua valenza ancestrale – alle porte di abitazioni e cimiteri. La pigna svolge così la sua duplice funzione di terzo occhio e fertilità, quindi di elevazione e di eternità. È il sesto chakra = conoscenza = il sanscrito Ajna che condivide l’etimologia con la Djana-Janua-porta e che, con tutto il suo portato energetico, rende l’uomo capace di “vedere con chiarezza” per poter poi entrare nell’armonia interiore che lo collega, in ascensione divina, al mondo spirituale.
Il culto della Grande Madre è perciò un concetto primordiale, presente in tutte le culture, atto a identificare il femminile con la fertilità, della cui adorazione si ha già traccia nel Paleolitico. L’abbondanza dei reperti a senso unico, cioè effigi esclusivamente femminili databili a quell’epoca, comprovano in pieno e in ogni particolare l’assunto, dai punti di vista storico, antropologico e archetipico del fatto che una volta Dio era femmina. Grande Madre / Dea Madre / Magna Mater o Bona Dea o Mater Matuta italica / Giunone latina / Uni etrusca / Cibele frigia / Ki Aruru o Ninhursaĝ sumera / Tonacacihuatl azteca / Parvati indù / Anāhitā persiana / Anat semita / (d)Anu celta / Ishtar babilonese / Atagarte siriana / Artemide Orthosia o Orthia spartana / Diana a Efeso / Demetra a Eleusi / Rea greca / Ben-di tracia / Baubo a Priene / Birgit irlandese / Ma della Cappadocia / Durga sanscrita / Gea greca / Vacuna sabina / Tanit cartaginese / Kuan Yin buddista / Kanzeon giapponese / Gwan-eum coreana / Avalokitesvara tibetana / Lada russa / Nzambi del Gabon / Odudua del Niger / Yemaya della Nigeria / Pawnee dei nativi americani / Mami Wata caraibica / Eostre, Ostara germanica… sono solo alcuni nomi di divinità connesse agli ancestrali riti esclusivamente femminili di rinascita. L’origine comune di tale raffigurazione archetipica è in uno dei reperti più antichi a noi pervenuto: la Venere di Hole Fels risalente a più di 35.000 anni fa (5).
Da ciò prenderà poi il via quel fondamentale e proficuo filone artistico delle paleoveneri: statue steatopigie il cui intento era esattamente di rappresentare, con la propria ridondanza degli attributi sessuali, la peculiarità della procreazione in grembo femminile. Nel contesto di condizioni climatiche e sociali primitive tutt’altro che agevoli, il corpo della donna veniva idealizzato tramite l’obesità Fig. 1 e Fig. 2 che, in tale prospettiva, va letta come qualità fisica di sopravvivenza. Richard Johnson, dallo studio “Obesity” sulla rivista “Evolution and Human Behaviour” dell’Università del Colorado: Queste donne rappresentavano l’ideale per le giovani dell’epoca, in particolare per quelle che vivevano in prossimità dei ghiacciai. L’obesità era vista come una condizione ideale: una donna obesa, in tempi in cui il cibo scarseggiava, aveva più facilità a portare avanti una gravidanza rispetto a una malnutrita (…) il grasso era una fonte di energia importante durante la gestazione e lo svezzamento (6).
Così la storia si ripete, di ciclo in ciclo, di guerra in guerra, di cataclisma in cataclisma, tanto che ancora nei postbellici anni ’50 l’immagine iconica della donna italiana non poteva far prescindere la bellezza dalla formosità. L’uso votivo apotropaico di tali raffigurazioni è suggerito dalla caratteristica ricorrente, anche se non esclusiva, delle dimensioni minute delle statuette che, in tal modo divenivano amuleti propiziatori facilmente trasportabili.
Il culto della forza naturale della procreazione giungeva quindi già dal Paleolitico (vedi Venere di Hohle Fels, 40.000 – 35.000 – a. C. Fig. 3) e ne sono testimonianza le cosiddette veneri steatopigie: termine derivato dal greco στέαρ = grasso e πυγή = natica, quindi = dalle grasse natiche. A corredo, citiamo anche la produzione artistica del Gravettiano che ci ha restituito i seguenti reperti: Venere in ceramica di Dolní Věstonice Fig. 4, Venere in pietra di Savignano Fig. 5, Venere in pietra calcarea di Willendorf Fig. 6, Veneri in avorio di mammut di Lespugue Fig. 7, di Mal’ta Fig. 8 e di Brassempouy Fig. 9, Venere in steatite dei Balzi Rossi a Ventimiglia Fig. 10. Sebbene siano state chiamate “veneri”, in ossequio alla divinità romana associata all’eros e alla bellezza, poco hanno a che fare con tale concetto, dal momento che per la massima parte il loro ritrovamento è avvenuto in prossimità di siti tombali. Eco come la realizzazione delle steatopigie, caratterizzate dalla rappresentazione posta su seno, glutei e vulva, è stata finalizzata a evocare la forza rigenerativa con valenza propiziatoria. Così viene svelato il filo conduttore di quello che diventerà il culto più duraturo della storia dell’umanità, ovvero il culto della Dea Madre partenogenetica (dal greco παρθένος = vergine e γένεσις = nascita: quindi riproduzione verginale), che dominerà per tutto il Paleolitico e gran parte del Neolitico.
Immagini di riferimento nel testo:
1 – Dea madre di Cuccuru S’Arriu, 46 – Dea madre, Kostenki, Russia, Cabras, Sardegna, V mill. a. C.
2 – Dea madre, Kostenki, Russia ~ 25.000 a. C.
3 – Venere di Hohle Fels, Germania, 40.000-35.000 a. C.
4 – Venere di Dolní Věstonice, Moravia – Repubblica Ceca, ~ 24.000 a. C.
5 – Venere di Savignano, Savignano sul Panaro, Italia ~ 28.000 a. C.
6 – Venere di Willendorf, Austria, 23.000-19.000 a. C .
7 – Venere di Lespugue, Pirenei, Francia ~ 25.000 a. C.
8 – Venere di Mal’ta, Siberia, Russia, ~ 28.000 a. C.
9 – Venere di Brassempouy, Aquitania, Francia, ~ 20.000 a. C.
10 – Venere dei Balzi Rossi, Ventimiglia, Italia, ~ 18.000 a. C.
Note:
1 – Bondi Costanza, Alfabestoria, nascita della scrittura e dell’alfabeto italiano, Bertoni editore, 2019, pag 60 e 123;
2 – https://www.etimo.it/?term=vedere;
3 – Noble Vicky, Il risveglio della dea, TEA 2020;
4 – Neumann Erich, La Grande Madre, fenomenologia delle configurazioni femminili dell’inconscio, Casa Editrice Astrolabio 1981;
5 – Bondi Costanza e Del Grosso Terenzio, Una volta Dio era femmina, Bertoni editore, 2021 pag 70-71;
6 – Richard Johnson, The Origins of Obesity and the Fattening of Man https://www.youtube.com/watch?v=V-L-NYyJzMY.
Costanza Bondi e Terenzio Del Grosso