Che cos’è la Tradizione – Giandomenico Casalino
Vico insegna che “natura delle cose è loro nascimento”, per cui l’essenza di una realtà è la sua origine; in ciò risiede la ragione che induce, colui il quale si pone la Domanda di cui all’oggetto della presente riflessione, alla ricerca della causa in quanto fondamento di ciò che chiamiamo Tradizione. Ora l’etimo, cioè la verità di tale parola nonché il suo semantema come suo significato interno, è “la consegna”, il “consegnare”, il “trasmettere”, “l’affidare”; da ciò derivano altre due domande che, secondo la logica induttiva, per l’appunto inducono a chiedersi quale sia il soggetto o i soggetti che attuano la “consegna” ed a chi viene effettuata la stessa. La risposta risiede nella necessità assiomatica, già evidenziata da Aristotele (Analitici Posteriori, I, 10, 76 b)[1], che colui che riceve l’“oggetto” ne sia privo e che si trovi in uno stato sia temporale che spirituale successivo a colui il quale provvede alla “consegna”, ciò per la semplice ragione, che sarà più esplicita in seguito, relativa alla natura (essenza) di ciò che viene trasmesso in vista della continuità medesima, nel tempo ed oltre lo stesso, del corredo genetico, quale patrimonio di memoria, finalità dell’essenza che, come autocoscienza, è Sapere di essere quell’ente e non un altro. Questa legge fondamentale della Vita, quale potenza, cioè dýnamis dell’Anima cosmica che è, come insegna Platone (Sofista, 248e-249a)[2], Intelligenza, Vita e Movimento, è il Circolo che è il Simbolo dell’Intero, sia nel microcosmo che nel macrocosmo, e l’Intero è la Verità, chiosa Hegel.
Tutto ciò ha un solo significato: la “consegna”, la “trasmissione” ha per oggetto “qualcosa” che è vitale, essenziale, fondamentale affinché, sia a livello basale biologico, la pura potenza della Vita, che in quello metabiologico che è lo Spirito, quale consapevolezza di Sé che è apertura degli occhi dell’Anima sulle sue basi medesime, l’Essere sia multiforme ed Uno, molteplice ed unitario, Quello e non Altro, quindi il Medesimo come durata, cioè perenne, quale specchio mobile e diveniente nel quale si riflette l’Essere Eterno da sé che è l’Archetipo ed è in Alto (Platone, Timeo, 27d-29b-d)[3].
Se le cose stanno in questi termini, la Tradizione è il “tràdere”, la “consegna” di “qualcosa” che nasce nell’Anima, vive nell’Anima, si “trasmette” attraverso e per mezzo dell’Anima ed ha per fine, per entelècheia, direbbe Aristotele, cioè per sua essenziale e vitale finalità, l’essere medesimo dell’Anima, la sua natura più autentica, cioè Colui che è l’Autore della divinificazione di Se stesso e cioè della Vittoria sulla Vita, Colui che vince Se stesso, sublima Se stesso poiché ricorda, in quell’Istante, la divinificazione primordiale con la quale “si fece” Dio, cioè Intelletto, Nous, Spirito, essendo il processo unico, nonostante appaia duplice; esso è quindi sia micro che macrocosmico.
Se il Cosmo è divino da sempre, da “quando” il Dio così non poteva non fare in quanto Operatore del Bene e del Bello, allora tutte le Forme, le specie, gli Enti, i Viventi sino all’uomo e alla donna sono divini da sempre poiché hanno e sono, ognuno nella sua Moira, porzione di Destino, Intelligenza, Vita e Movimento, solo che non ne hanno consapevolezza cioè Sapere: solo il vertice della piramide e quindi l’Uno della Triade ha, possiede, è la consapevolezza di Essere Quello che è dall’eternità: l’Assoluto, il Divino, solo che lo ha dimenticato e, proprio come avviene nella eziologia delle forme neoplasiche, il cancro è causato dalla perdita di memoria genetica della cellula che così inizia ad edificare un progetto-ente, e cioè un mostro, alternativo e ostile nei confronti dell’organismo che lo ospita: la perdita della memoria, l’Oblio è la morte del Vivente, in tutti i sensi ed in tutte le dimensioni dello stesso, poiché “tutto ciò che è in Alto è simile a tutto ciò che è in basso e tutto ciò che è in basso è simile a tutto ciò che è in Alto” in quanto, come sappiamo, l’Intero è Uno, anche se è, al contempo, differenti dimensioni, momenti e livelli…!
L’Oblio è l’oscurità della mente, è la perdita della Luce, è il non Sapere più nulla della propria identità, è l’Ade! Nella Teologia orfica la pianura di Oblio, nell’oltretomba, in greco è Lete, parola che deriva dal verbo lanthàno che significa nascondere, oscurare, occultare da cui deriva anche la parola alètheia che, in virtù dell’alfa privativo, vuol dire il contrario cioè Verità che è sottrarre, liberare l’Essere dall’Oscurità (Oblio) affinché sia visibile e quindi conoscibile, essendo presente nella Luce.
Questa è la ragione, profonda, misteriosa e potente che è alla base della natura magica del Rito giuridico-religioso dell’evocatio, che i Romani eseguivano dinanzi alle mura di una città ostile assediata, quando ordinavano agli Dei protettori della stessa e, particolarmente, al Dio nel cui Nome segreto risiedeva la virtus della città, di abbandonare il Popolo tutto della stessa, all’oblio e alla oscurità della mente e quindi alla morte medesima!
“Noi siamo immersi nell’Anima come la rete nel mare!”, insegna Plotino, ciò significa che, come abbiamo sin qui dedotto, tutto inizia e si realizza nell’Anima; la Tradizione pertanto inizia, si realizza e vive nell’Anima, anzi la stessa è Anima ed è la consegna, la trasmissione del Sapere, della Rimembranza (platonica) dell’unica Verità del Mondo e dei Viventi: “Siamo da sempre Quello che crediamo di dover essere come realizzazione!”
La Tradizione è, quindi, il Risveglio dell’Anima dal Sonno e, pertanto, dall’Oblio, in ciò risiede la ragione ermetica per cui Hegel afferma: “l’Anima è il sonno dello Spirito!” La Tradizione è la Rinascita della Luce dello Spirito nel Fuoco dell’Ascesi; non è “divenire” ma “risveglio” poiché Ciò che si conquista, essendo eternamente presente ed essente, non può avere inizio né fine e quindi non si ottiene per una cosiddetta “prima volta” come se “prima” non fosse presente, poiché se così fosse avrebbe una fine ma, sappiamo, che il Divino che è l’Intelletto, non ha inizio nè fine ed è il Sapere di essere Quello, in quanto è la riconquistata consapevolezza illuminante che serenamente afferma: “Io sono Te e non più e non mai Io e Te!”
È l’apertura degli occhi ed è il significato dell’Essere eterno che nell’Istante (exàiphnes, dice Platone) si palesa a Se stesso come esistente in Verità; è la ragione di tutta la Vita, è lo stesso mondo visto e vissuto come “nuovo”, come Divino pur essendo sempre lo stesso, come la propria coscienza che, pur essendo sempre la stessa, in apparenza sembra essere divenuta “altra” e sembra anche allo stesso Io (vecchia illusione dualistica che sta per dileguarsi…) come “altra”, “nuova”, così come il medesimo “sguardo” appare essere “nuovo”, sicché anche i sensi medesimi sono “diversi” da quello che “erano”; siamo pertanto in grado di “toccare” e “vedere” il Dio (Plotino, Enneadi, VI, 9, 7)[4]; il Tutto ci appare così nuovo e diverso e la gioia e la sorpresa riempiono il cuore già desto e lo Spirito ormai consapevole e denso di pace: il Mondo è di “nuovo” (ma in Verità lo è da sempre…!) la molteplicità delle Forme nella Luce che è Una!
Abbiamo, quindi, anzi siamo la consapevolezza cioè il Sapere, che la Realtà è lo Spirito e che quello che chiamiamo Tradizione non è altro che vita dello Spirito, occhio dello Spirito, sensi dello Spirito: cosa ha a che fare tutto Ciò con alambicchi, storte, rituali, cerimonie, cappucci e grembiulini? O con “certificazioni” conferite non si sa da quale “chiesa” né da quale “pontefice” e con conventicole, sette e movimenti varii?
La Tradizione se non “passa” da anima ad anima, se non si “scrive nell’anima” (come ha inteso fare Platone…), se non avviene il Risveglio-mutamento radicale e profondo della propria natura sia nella sensibilità più periferica quanto nella natura coscienziale ed intellettiva, se “qualcosa” di sottile e di bello, di sereno e forte nonché di semplice e di improvviso, pur essendo già “visto”, quasi come primordiale Ricordo che riemerge, seppur sprofondato nelle viscere dell’Anima (visita interiora terrae, rectificando invenies occultum lapidem…), non si desta dentro te stesso e non ti consente all’improvviso di “vedere” il Mondo come mai lo hai visto e di ascoltare i suoi suoni come mai ti è accaduto; se ciò di cui stiamo tentando di parlare sono stati dell’Animo, a cui corrispondono identici stati dell’Essere in senso concretamente ontologico, a che cosa mai possono servire quindi le cose materiali, le cose della vicenda umana? Ciò che è Eterno può essere visto e conosciuto solo dall’Eterno: “si conosce ciò che si è e si è ciò che si conosce!”. E quindi “il simile è conosciuto solo dal simile!”. Da occhio ad occhio, da anima ad anima, da sguardo a sguardo, da Fuoco a Fuoco, così avviene la “trasmissione” del Sapere che è la Tradizione!
Nell’era attuale, di travolgente decadenza e di quasi assoluto dominio animico delle Tenebre, tale principio, come insegna Aristotele (Metafisica, XII, 8, 1074 a, 36 b 14)[5] vale ancora di più, può essere considerato, se così si può dire, ancor più vero di quanto non lo sia mai stato: l’Ascesi non può che realizzare l’attualità di uno stato dell’Essere eterno nel quale siamo da sempre e del quale però siamo inconsapevoli e gli “strumenti”, gli unici che è lecito avvicinare, non possono che essere di natura sottile poiché devono operare sul e nel sottile: Platone nella Lettera VII (341c4-d2)[6] evidenzia splendidamente tale Verità che per l’umanità contemporanea, o di quel che ne resta, non può che essere l’unica Via per il Risveglio a Quello che è.
Note:
[1] “…Parliamo di necessità di credere in qualcosa, poiché la dimostrazione, come del resto il sillogismo, riguarda non già il discorso pronunciato, bensì quello che si sviluppa nell’anima. È sempre possibile, in realtà, muovere delle obiezioni al discorso esteriore, ma non sempre si potrà fare ciò nei confronti del discorso interiore…”
[2] “… E poi, per Zeus? Ci lasceremo forse persuadere che, davvero, movimento, Vita, Anima e Intelligenza non sono presenti nell’Essere nella sua totalità e che esso non vive, né pensa, ma, venerabile e santo, senza Intelligenza, sia immobile e fermo?…”
[3] … Che cos’è ciò che è sempre e non ha generazione? E che cos’è ciò che si genera perennemente e non è mai essere? Il primo è ciò che è concepibile con l’Intelligenza mediante l’intuizione, perché è sempre nelle medesime condizioni. Il secondo, al contrario, è ciò che è opinabile mediante la percezione sensoriale irrazionale, perché si genera e perisce e non è mai pienamente essere…”
[4] “… Ma se tu, poiché Egli non è nulla di tutto questo, cadi col tuo pensiero nell’indeterminato, fissa tuttavia lì il tuo punto di vista e da quello comincia a contemplare, non rivolgere al di fuori il tuo pensiero. Egli infatti non è in un punto qualsiasi ma è presente solo in chi può toccarlo e in chi non può non è presente…”
[5] “…Mentre verosimilmente ogni conoscenza filosofica è stata spesso sviluppata quanto più è possibile e poi perduta, queste opinioni sono come residui della primordiale saggezza che si sono conservati sino ai nostri tempi. Solo così noi possiamo conoscere il pensiero dei nostri avi…”
[6] “… Non esiste un mio scritto intorno a queste cose né mai esisterà. Non è infatti in alcun modo esprimibile come le altre conoscenze, ma solo dopo lunga frequentazione e convivenza con la cosa stessa, improvvisamente, come la luce che subitamente si accende in una scintilla di fuoco, Esso nasce nell’anima e poi si nutre di Se medesimo…”.
Giandomenico Casalino