Marwan e l’Arte del Fuoco – Luca Violini
Vi è un’antica storia che narra di un bruco che voleva diventare grillo. Non era in alcun modo curioso di ciò che pensavano i bruchi, e men che meno aspirava a divenire un bruco perfetto e meraviglioso, un bruco “saggio”. L’unico suo obiettivo era smettere di essere bruco, e diventare grillo. Sapeva che avrebbe potuto coronare il suo sogno a condizione di esservi destinato, e di compiere certe azioni nel modo e nel momento giusto.
Il suo desiderio ebbe modo di realizzarsi quando fece la conoscenza di un bruco divenuto grillo e divenne discepolo di quest’ultimo, ottenendo così le istruzioni sulle modalità operative necessarie a realizzare ciò a cui tendeva col cuore e la volontà. Anche Marwan ,la protagonista di questo racconto,ha voluto cessare di essere bruco e diventare grillo, dal momento che nonriusciva ad accontentarsi di quello che le offriva il mondo, né di ciò che il mondo era in grado di accettare.La sua ricerca l’ha indirizzata verso l’alchimia: la vocazione per quest’Arte le si è imposta naturalmente e per gradi, come una necessitàtale da portarea uno stravolgimento completo della sua attitudine nei confronti della realtà e della vita,sino aindurla ad abbandonare il suo vecchio mondo per uno nuovo, completamente sconosciuto.
…e volta nostra poppa nel mattino,
de’ remi facemmo ali al folle volo.
Il punto di svolta è stato l’incontro con un Maestro dell’antica Arte. Contrariamente agli stereotipi correnti, che immaginano l’alchimista come un vecchio pallido e meditabondo che fa vita da eremita tra studi e veglie presso il suo Atanór, il Maestro si rivelò tutt’altro che un recluso emaciato intento a lavorare in un antro buio e polveroso, colmo dei più strani e disparati oggetti. Marwan si trovò davanti un uomo curioso e pieno di interessi, che amava la solitudine ma si muoveva perfettamente a suo agio nel mondo. e che operava in una stanzetta pulita e disadorna, utilizzando pochi e semplici strumenti. Sin dal primo incontro Il Maestro definì che lo scopo dell’alchimia è quello di realizzare un magnete capace di attrarre lo Spirito universale, corporificandolo in un recipiente adatto a contenerlo. L’alchimia non è, contrariamente a quanto credono i più, un’operazione chimica: è lo Spirito universale a scegliere se scendere o meno nel crogiolo, la realizzazione è frutto della Provvidenza divina. Nel tempo ci fu chi affermava che, per compiere l’Opera, occorreva imprigionare un raggio di sole in un’ampolla di vetro; altri sostennero che lo Spirito arriva dal cosmo e si concentra nel sole per poi riflettersi sulla luna, che a sua volta lo invia al sole interno della terra. Lungi dal voler spiegare queste affermazioni, che pure sono preziose tracce per l’alchimista operativo e non pura fantasia, cercherò di illustrare le concezioni di base dell’alchimia esposte dal Maestro a Marwan . I filosofi ermetici sostengono che alla base della nostra manifestazione sta uno Spirito, creatore e rettore del mondo, che si diffonde nelle opere della Natura come per una continua infusione, e che muove ogni universale e ogni particolare secondo il suo genere, per mezzo di un atto segreto e perenne. I testi lo chiamano talora “Anima del Mondo”, e lo definiscono come un’energia naturale delle cose per cui alcune sono inerti, almeno apparentemente, mentre altre hanno la capacità di muoversi, altre ancora di crescere, di percepire attraverso i sensi, di giudicare. Lo si può immaginare come un movimento infinito, una vibrazione, un suono in grado direndersi visibile. In realtà lo Spirito universale è l’insieme di tutti i movimenti e gli stati di quiete, o meglio, un movimento anteriore a qualunque specificazione. L’alchimia insegna dunque che tutte le sostanze sono costituite da una “materia prima” comune, che è pura potenzialità e si specifica assumendo le infinite forme che vediamo nel nostro mondo. Non si tratta tanto di una materia nei termini in cui siamo soliti pensarla, quanto piuttosto di una forma di energia intelligente. E’ chiaro, a questo punto, che per l’alchimia il confine concettuale che separa spirito e materia è del tutto inesistente.
L’Opera è pertanto riassumibile in poche parole: esiste uno Spirito universale, base intelligente e fondamento vitale di tutta la nostra manifestazione, che va attratto e corporificato in un vaso adeguato nel momento anteriore alla sua specificazione. Tale ricerca è rappresentata in letteratura dalle vicende dei cavalieri della Tavola rotonda, che vagano per il mondo alla ricerca della coppa smeraldina del Graal. Questa semplice e antichissima concezione dell’universo e del lavoro alchemico porta, nei secoli, a varie teorizzazioni complesse. Platone, nel Timeo, descrive così la generazione dell’Anima del Mondo:…dell’ essere indivisibile e che è sempre nello stesso modo, e di quello divisibile che si genera nei corpi, di tutte e due formò mescolandole insieme una terza specie di Essenza intermedia, che partecipa della natura del Medesimo e di quella dell’Altro [Solfo e Mercurio], e così le stabilì nel mezzo di quella indivisibile e di quella divisibile per i corpi. E, presele tutte e tre, le mescolò
in una sola specie, congiungendo a forza col Medesimo la natura dell’Altro, che ricusava di mescolarsi. E mescolando queste due nature coll’Essenza, e di tre fatto di nuovo un solo intero, divise questo in quante parti conveniva, ciascuna delle quali era mescolata del Medesimo, dell’Altro e dell’Essenza…Solfo e Mercurio dunque, non quelli comuni e volgari ma i due grandi archetipi, sono alla base di tutta la Manifestazione. Si tramanda che caldeo Zarata abbia detto a Pitagora: Due siano fin dal principio le cause delle cose che sono, il padre e la madre: e che il padre è la luce, la madre le tenebre, e che della luce son parti il caldo, il secco, il leggero, il veloce; della tenebra il freddo; l’umido, il pesante, il lento; e che da questi, femmina e maschio, è composto tutto il cosmo. Del Solfo dunque diremo che è la fonte di caldo e secco, nutrimento del calore vitale di ogni cosa. Sede dell’umido, invece, il Mercurio, che alimenta in tutto ciò che esiste il cosiddetto “umido radicale”. Nella IV tavola del Libro Muto – Mutus Liber – così parlante nella sua splendida semplicità, i due archetipi nella forma di uomo e donna raccolgono pazientemente nell’ epoca propizia quello spirito che discende dalla zona centrale del cielo, posta tra il sole e la luna perché, come dice la Tavola di Smeraldo, suo padre è il Sole, sua madre la Luna. Lo Spirito universale discende dal cielo in modo particolarmente abbondante in primavera, meno in estate, ed è in stretta relazione con la luna. Quando risale nella stagione autunnale e invernale, il mondo va gradualmente in sonno. La sua corporificazione primaria, anteriore a ogni specificazione, assume – secondo l’alchimia – forma salina. Per questo motivo Paracelso e Basilio Valentino sottolinearono con particolare enfasi l’importanza del Sale, intendendolo non tanto come il risultato di una mediazione tra Solfo e Mercurio, com’era consuetudine da secoli, ma in quanto principio autonomo e terzo attore nell’Opera.
Nel XVII secolo, il Cosmopolita parlò di una Creazione distinta in due grandi processi successivi, che corrispondono a fasi alternate di soluzione e coagulazione. La prima parte dall’ acqua primordiale, generata dal Nulla: di questo primo movimento non può essere detto alcunché ed è ignoto al Filosofo, che lo dà per avvenuto. Solo dopo quest’atto primigenio viene in esistenza il tempo. L’acqua primordiale comprende in sé, a livello potenziale, tutte le qualità universali: il calore, la freddezza, la secchezza e l’umidità. Si distingue in corpo, anima e “medio tra i due”. Per un atto di separazione, detto più propriamente distillazione, da quest’acqua si specificano i quattro elementi: terra, acqua, aria e fuoco. Questi danno origine ai cieli e agli astri che li adornano. Si conclude così il primo movimento, espansivo e separativo, e incomincia quello compositivo, che da coppie di elementi produce i tre principi. Terra ed acqua danno il Mercurio; acqua e aria, il Sale; aria e fuoco, il Solfo. Questi, unendosi, generano il cosiddetto sperma coagulativo, o Solfo vivo, e il mestruo digestivo, o Mercurio vivo. Da un’ulteriore congiunzione nasce l’ultimo principio, la Materia Prossima del Cosmo. Questa, che è Spirito Universale ermafrodito, vera Madre di tutte le cose, genera da sola i “diecimila esseri”. La più semplice forma corporale della nostra manifestazione, la più prossima allo Spirito, è quella del regno minerale. L’alchimia pertanto si rivolge ai minerali e ai metalli che, proprio per la loro semplicità, sono le creature più prossime all’origine delle cose. Il Cosmopolita, infatti, afferma che lo spirito Universale scende sulla terra e la penetra sino al suo centro, dove si trasforma in Mercurio. Risalendo attraverso le vene terrestri il Mercurio incontra il Solfo, con il quale si unisce dando vita a minerali e metalli; più il Solfo è puro, più elevata sarà la qualità metallica. Il fatto che minerali e metalli siano dei composti rende possibile ciò che è indicato nei testi alchemici con il termine“trasmutazione”, ovvero un processo in cui, modificando e combinando le proporzioni, le qualità e il modello di composizione dei componenti, si possono trasformare i metalli.
La trasmutazione metallica, secondo l’alchimia, è un processo naturale: i minerali si trovano raramente allo stato puro, bensì combinati tra loro, tanto cheil piombo contiene quasi sempre argento e i minerali d’argento racchiudono correntemente oro. Ciò suggerì l’idea che i minerali venissero costantemente trasformati dalla Natura nelle profondità della terra con una progressione versoi metalli più nobili e perfetti, grazie alla lenta alterazione prodotta dall’azione del calore e dell’acqua sotterranei. Per migliaia di anni le acque di per colazione avrebbero lentamente lavato via le impurità dei metalli, con l’aiuto del dolce calore della terra che li sottoporrebbe a una graduale cottura e digestione. Su questa base, l’alchimista che si dedica alla trasmutazione cerca di imitare il semplice lavoro della Natura producendo nella materia stati alternati di morte e rinascita, ovvero di dissoluzione e fissazione, secondo la nota formula solve et coagula. Lo scopo dell’alchimia trasmutatoria è quindi quello di accelerare i processi naturali a fini di perfezionamento.
Tuttavia la visione di un’alchimia tutta incentrata sulla trasmutazione, per quanto sia quella più corrente, è estremamente parziale e fuorviante. Come insegna il Maestro a Marwan, la vera chiave dell’Opera è la rincrudazione. L’operatore consapevole sa che esiste un cammino completamente diverso da quello trasmutatorio, che non porta la materia a evolvere bensì a tornare cruda, regredendo dal complesso al semplice. In questo caso si parte da sostanze specificate per riportarle allo stato indifferenziato primordiale. Che metodo si utilizza dunque in alchimia, quali sono le caratteristiche che deve possedere chi aspira a operare, che ruolo ha nel processo e qual è il suo rapporto con le materie che prepara e cuoce nel crogiolo? Il racconto di Marwan, che è in realtà un testo di alchimia operativa, ne parla diffusamente, pur velando secondo tradizione l’insegnamento con simboli ed allegorie. I processi alchemici sono da sempre mantenuti segreti e non devono essere divulgati se non da bocca a orecchio, anche se chi scrive mira ad arrivare all’intelletto del lettore attento affinché inizi a muovere i primi passi. Come dice il Maestro a Marwan, i testi di alchimia non sono stati scritti per insegnare ma solo per tramandare, e l’insegnamento è sempre stato trasmesso direttamente da Maestro a discepolo. Inoltre si riceve la conoscenza della Via universale non attraverso un mediatore umano, ma solo grazie a un’ illuminazione inviata dallo Spirito universale di cui si fanno tramite le materie .Ciò che viene insegnato sono le vie particolari . L’aspetto teorico per la Via Universale e per le vie particolari è identico, ma l’operatività cambia; potremmo dire che le vie particolari sono un preliminare didattico alla ricerca della vera Via. L’alchimista interviene nell’Opera come intermediario tra cielo e terra, e rincrudisce insieme alle materie con cui lavora. Dal momento che l’alchimia non è un mero procedimento chimico, se l’operatore non è allo stesso livello dei suoi materiali nel crogiolo non accadrà nulla di veramente significativo.
Come recita il famoso aforisma attribuito a Democrito, la Natura attira la Natura, la Natura gode della Natura, la Natura vince la Natura. Chi non lavora in modo conforme a Natura, non potrà mai attirare lo Spirito universale che ne è il fondamento. Se l’alchimista si dimostrerà degno, avverrà infine quanto descritto da Fulcanelli ne Il mistero delle cattedrali: L’Artista ha camminato a lungo, ha vagato per false vie, ma alla fine la sua gioia esplode. Il ruscello di acqua viva scorre ai suoi piedi; sgorga gorgogliando, dalla vecchia quercia cava. Il nostro Adepto ha raggiunto lo scopo. Il Maestro insiste molto su questo punto, e commentando le parole di Fulcanelli dice: Il rilievo raffigura un vecchio appoggiato a un bastone – Fulcanelli lo definisce Adepto, dandoci un’indicazione ben precisa – che vede sgorgare ai suoi piedi la fonte d’acqua viva; è riuscito a trovare il modo di compiere la rincrudazione, la distruzione di qualunque forma, di qualsiasi specie, il ritorno al caos originale. Questo è il massimo arcano, l’obiettivo vero dell’Arte. L’alchimista non lavora per migliorare il mondo, o se stesso, ma per raggiungere la pace della liberazione…
Il lavoro dell’alchimista, come insegna il Maestro a Marwan, è assimilabile al percorso descritto nellaDivina Commedia: si compone infatti di tre fasi operative che esplorano altrettanti percorsi concatenati tra loro. La prima parte del cammino si svolge su una strada dichiaratamente falsa, costituita da una qualche via particolare, che è però utile e atta a evitare pericoli; all’alchimista viene insegnato qualcosa che attiene ancora completamente a questo mondo. Siamo all’inferno e dobbiamo restarci abbastanza a lungo: si tratta di una fase indispensabile per acquisire familiarità con le materie che si fanno tramite dello Spirito, e per entrare in sintonia con loro. E un cammino graduale e faticoso su cui occorre procedere con lentezza e cautela, perché si prende per la prima volta contatto con un mondo sconosciuto e con forme di energia a cui ci si deve abituare gradualmente. Citiamo le parole del Maestro: Per questo motivo viene insegnata a tutti, inizialmente, questa via falsa e utile: seguendola si usufruisce di un’efficace forma di protezione. Solo dopo
qualche anno si potrà fare a meno dello scudo che compare in tante raffigurazioni simboliche! Questo percorso mette a dura prova la pazienza dell’operatore, ma gli insegna che l’alchimista è parte integrante dell’Opera e che il suo è il lavoro di una vita. È un passaggio obbligato, un momento fondamentale della formazione di chi lavora al forno. Si tratta dunque di una vera discesa agli inferi. In questo cammino l’alchimista è solo: può esservi un mentore in grado di rassicuralo e confortarlo, ma nessuno può percorrere la strada per lui né risparmiargli pesi e terrori, così come Virgilio non risparmia a Dante gli orrori della discesa nelle tenebre infernali. A questa prima fase segue una seconda, che comporta una risalita dagli inferi dovuta a una migliore comprensione delle regole dell’Opera. E’ l’equivalente del purgatorio e il momento in cui l’operatore comincia gradualmente a comprendere la natura del fuoco segreto, disperazione di molti e nodo dell’opera, senza cui non è possibile entrare nella dimensione del sacro. Alcuni autori lo definiscono innaturale perché è contemporaneamente materiale e spirituale, altri dicono che è come un’acqua ignea che non brucia le mani. Si dice anche che è della natura della calce, e che ha una parentela con la cenere…autorevoli Maestri affermano che si fabbrica con più corpi, anche se si ricava da uno solo, e rilevano che si tratta di una sostanza fortemente instabile, dal momento che si trova a cavallo tra due mondi e possiede una doppia natura, è Vulcano e Saturno insieme, dunque l’artefice che dà forma e contemporaneamente il divoratore della forma stessa. Questo fuoco, che deve essere prodotto dall’alchimista, è lo strumento fondamentale dell’Opera. Si dice che è di natura angelica, ma dato che ha anche la funzione di separatore gli vengono attribuite varie caratteristiche diaboliche, o meglio, saturnine.
La terza fase è quella che potremmo definire ”del paradiso”. Per giungervi è necessario l’intervento di un’energia che non è di questo mondo, e questa parte del cammino non viene insegnata se non direttamente dallo Spirito universale. Solo i benvoluti sono destinati a percorrerla! Il Maestro avverte Marwan che esiste in realtà una via molto più rapida che consente di giungere direttamente al paradiso, quella che passa dalla terra al cielo risalendo il dilettoso monte che Dante vede all’inizio del suo viaggio, uscendo dalla buia foresta in cui si era smarrito. Tuttavia a guardia del sentiero diretto per la salvezza stanno tre spaventose belve, un leone, una lupa e una lonza: Dante ne è terrorizzato e non sa come superarle, quindi è costretto a seguire la lunga via su cui viene condotto da Virgilio, che incontra proprio ai piedi del monte. Allo stesso modo l’alchimista scoprirà solo alla fine di un lunghissimo e duro cammino che compiere l’Opera è in realtà molto semplice… Questi sono gli aspetti introduttivi generali del libro in questione: L’Arte del Fuoco è un testo di alchimia operativa tradizionale, dove si utilizzano a fini didattici rappresentazioni pittoriche, simboli e allegorie. La preziosità del volume consiste nell’offrire al lettore attentole basi metafisiche dell’arte, e molte chiavi utili per il lavoro al forno all’aspirante alchimista.
Luca Violini
(fonte: www.ereticamente.net)