I Fabi e la tradizione annalistica – Stefano Arcella
SOMMARIO: 1. La protostoria repubblicana come storia di gentes: apporti culturali e funzioni politiche. — 2. Il “problema Fabio Pittore” nelle interpretazioni della storiografia contemporanea: criterio della verosimiglianza e limiti di una interpretazione della “vulgata” in chiave encomiastica. — 3. Fabio Pittore e la clades Cremerensis: la funzione della deformazione della storia. — 4. Q. Fabio Massimo: un nuovo rapporto tra “pubblico” e “privato” nella prassi politica e nell’esperienza religiosa. — 5. Il culto pubblico di Venus Erycina e il suo legame con la gens Fabia. — 6. Il culto pubblico di Mens e la sua connessione con la cunctatio di Q. Fabio Massimo. — 7. Q. Fabio Pittore e l’oracolo di Delfi. La relazione di questa ‘tradizione’ con la leggenda delle origini troiane dei Romani. Intento “patriottico” e riscatto politico della gens Fabia.
- — È stato giustamente osservato che “nei primi secoli della repubblica la storia di Roma è storia di gentes, e solo molto più tardi si può parlare di una « storia di famiglie »(1), riferendosi al monopolio del potere che le gentes esercitano sia sul piano delle cariche magistratuali e della formazione del Senato che su quello delle attribuzioni sacerdotali e della composizione dei principali collegi religiosi pubblici(2), la cui funzione è strettamente connessa con la determinazione dell’indirizzo politico dello Stato(3), ma anche con l’enucleazione della cultura romana(4) e, in particolare, con la historia quale categoria culturale(5).
La tradizione storiografica romana affonda, infatti, le sue radici nel sostrato dell’annalistica pontificale(6) alla cui formazione non furono estranei, secondo alcuni studiosi, interessi gentilizi in chiave encomiastica(7).
Tale influenza delle gentes nella formazione dell’annalistica pre-letteraria permane e si sviluppa nella successiva fase dell’annalistica letteraria(8), della quale Fabio Pittore è considerato uno dei promotori(9).
L’approfondimento del rapporto tra i Fabi e l’annalistica è finalizzato a chiarire le motivazioni culturali e politiche, nonché le modalità narrative, in base alle quali i Fabi rappresentano se stessi, i loro comportamenti, la loro storia, nel contesto generale di quella repubblicana.
- — Il problema Fabio Pittore è di centrale importanza fin da quando è sorta una scienza critica della storia di Roma(10), poiché coinvolge l’attendibilità delle tradizioni sulla storia romana più antica. Le più recenti interpretazioni di questo annalista divergono notevolmente tra loro nel valutare la portata del suo contributo alla formazione della tradizione storiografica romana.
La valorizzazione in senso razionalistico di Fabio Pittore operata da A. Momigliano(11) — che scorge nell’opera di questo annalista il primo sforzo di comprensione intellettuale della storia di Roma — contrasta con l’interpretazione di A. Alföldi il quale considera Fabio Pittore responsabile non solo dei primi falsi della tradizione, ma della “vulgata” in sé e per sé, dal momento che, dopo di lui, la storia romana, fino alla seconda guerra punica, non avrebbe subìto rilevanti modifiche(12).
Due tesi diverse che però, secondo alcuni, avrebbero in comune l’esclusione dell’annalistica pontificale dalla tradizione storiografica e, quindi, dal problema delle falsificazioni(13).
Il successivo attenuarsi delle tendenze ipercritiche in merito alla storia di Roma arcaica e a quella della più antica Respublica(14), ha orientato verso una revisione di questa impostazione, stabilendo un rapporto diverso, di maggiore continuità ed affinità, fra gli annali pontificali e la prima annalistica letteraria.
Già il Mazzarino riconosce che determinate alterazioni della protostoria repubblicana non sono attribuibili a Fabio Pittore(15), ma vanno spiegate nel quadro della più antica elaborazione pontificale, animata da intenti nazionalistici, in una prospettiva « romanocentrica ».
Fabio Pittore si inserirebbe, dunque, creativamente — ossia apportando a sua volta ulteriori falsificazioni — nel filone annalistico, in cui sarebbe già presente il momento della deformazione della storia per scopi politici. Più specificamente, il Mazzarino attribuisce a Fabio varie falsificazioni(16) fra le quali quella della clades Cremerensis(17), che sarebbe stata elaborata per offuscare la memoria del dies Alliensis, in ordine al quale Fabi avevano una precisa responsabilità storica.
Tale lettura è plausibile, poiché la memoria del dies Alliensis e dell’incendio gallico permane in tutta la tradizione; esso era un evento così cruciale e drammatico nella storia di Roma da non poter essere rimosso, ma solo temperato dal ricordo di un evento di segno opposto.
Viene, tuttavia, da chiedersi se la proposta avanzata dal Mazzarino sia davvero esauriente. La versione di Diodoro dimostra, anzitutto, che il falso è tale solo nella misura in cui amplifica il ruolo dei Fabi(18). Se inoltre il sacrificio dei Fabi assume un carattere esemplare, ossia fornisce un modello di comportamento destinato a divenire una costante nella tradizione di questa gens(19), è pur vero che la narrazione di questo evento, col disastroso esito militare che ne consegue, invalida il bellum privatum, quale procedura idonea a garantire la « salus reipublicae ». E dal punto di vista di una tradizione encomiastica non è certo un risultato brillante.
L’intento encomiastico non sembra esauriente per spiegare le ragioni del formarsi di una tale tradizione sui Fabi(20). Ai vari orientamenti storiografici considerati è comune un canone metodologico che consiste nel discernere, all’interno della tradizione, gli episodi verosimili e quindi attendibili da quelli riconducibili a falsificazioni, stabilendo, ove possibile, di quali eventi siano una anticipazione, quali interessi devono soddisfare e le circostanze in cui il falso si è formato.
Questo indirizzo metodologico, pur avendo indubbiamente contribuito in modo decisivo all’approfondimento della più antica storia di Roma, è stato oggetto di critiche, poiché, secondo alcuni studiosi, esso non spiegherebbe quale messaggio culturale sia eventualmente racchiuso nei falsi e perché essi si siano formati in relazione ad una certa gens anziché ad un’altra(21).
È un problema sul quale già il Durnézil aveva soffermato la sua attenzione, sia pure con una interpretazione discutibile, che trascura di considerare le ragioni per le quali gran parte dei personaggi della protostoria repubblicana recano il nomen di gentes storiche.
« La risposta più usuale è ammettere che una gens potente — scrive al riguardo — o un autore ad essa devoto abbia messo … il suo nome in onore. L’ipotesi è facile, a volte plausibile — così quando si tratta dei Fabi — a volte gratuita »(22). E conclude considerando questo problema «una difficoltà superficiale» e, come tale, trascurabile.
Ora, poiché i nomina gentilicia che caratterizzano questi personaggi, sono uno dei più rilevanti collegamenti fra proto-storia e piena storia repubblicana, trascurare il senso e il motivo di tali denominazioni postula una separazione fra livello storico e livello leggendario, laddove, invece, i due profili sono molto più intrecciati e interdipendenti di quanto lo stesso Dumézil non voglia far apparire(23).
Le ragioni di tali presenze gentilizie nella protostoria repubblicana e in quella di età più avanzata sono riconducibili all’influenza che le gentes, grazie ai pontefici del loro lignaggio e poi a scrittori «di famiglia» — hanno esercitato sulla redazione annalistica fin dalle sue origini(24).
La preesistenza delle gentes rispetto alla civitas e alla familia(25) consente di spiegare, anche sulla base delle risultanze epigrafiche(26), la presenza dei nomina gentilicia fin da alcune vicende della Roma regia (emblematico è il caso degli Orazi e dei Curiazi). Eppure, nonostante tali acquisizioni scientifiche, restano diversi problemi aperti.
Va osservato che proprio Fabio Pittore — nonostante le critiche mossegli da Alföldi — non attribuì alcun ruolo alla sua gens in età regia, tant’è che i Fabi appaiono nella storia di Roma solo negli anni fra il 485 e il 480 a.C., coi consolati dei fratelli Quintus, Kaeso e Marcus(27).
Il Gabba(28) ha osservato che la stringatezza delle notizie riferite da Fabio Pittore sul primo periodo repubblicano — e rilevata da Dionigi d’Alicarnasso (1.6.2) — contrasta con le accuse di falso che gli sono state mosse.
Il Montanari(29) ha evidenziato, inoltre, la persistenza dei nomina gentilicia nella tradizione, nonostante i mutamenti di mentalità che, in età più avanzata, inducono a considerare come fabulae episodi registrati in precedenza come facta.
Lo stesso ausilio delle risultanze archeologiche su Roma arcaica e protorepubblicana è stato recentemente ridefinito da Ampolo, ai fini di una ricostruzione della storia politica di Roma e, dunque, anche in rapporto al problema delle falsificazioni.
Egli scrive: “ … i dati archeologici … ci danno preziose informazioni sulla cultura, sull’economia e sui culti, mentre diventano spesso ambigui nel campo della storia politica e della ricostruzione degli avvenimenti “. Le risultanze archeologiche hanno un valore, secondo Ampolo, solo se si verifica una sistematica convergenza fra serie di dati provenienti da diverse discipline e non fra singoli frammenti decontestualizzati(30)
Se quindi si vuole chiarire quale tipo di contributo abbiano dato i Fabi alla tradizione storiografica romana, credo che occorra aprirsi al confronto con altre proposte metodologiche.
- — Fabio Pittore è contemporaneo del Cunctator e scrive i suoi Annales in greco(31), in un’epoca in cui il pericolo annibalico rende prioritaria l’esigenza di salvaguardare la civitas repubblicana e la sua unità interna(32).
È molto discusso se egli, pur essendo un attento conoscitore della cultura greca, possa o meno considerarsi un radicale innovatore della tradizione sulla storia di Roma(33).
Nel suo stile narrativo si può cogliere una tendenza realistica, l’inclinazione alla descrittività puntuale dei fatti, quale si evince, ad esempio, da un passo di Dionigi d’Alicarnasso, che ha utilizzato la minuziosa descrizione di Fabio Pittore(34) per la sua rappresentazione dei Ludi Magni. Dionigi dichiara espressamente di basarsi sull’autorità di Q. Fabio il quale « parla per conoscenza diretta »,
Descrive quindi la processione in onore degli dèi che i magistrati guidavano dal Campidoglio, attraverso il Foro, fino al « grande ippodromo ».
In questa descrizione si scorge uno stile che è stato accostato a quello dell’arte figurativa romana, quale si può osservare nel dipinto — proveniente dall’Esquilino e risalente al 200 a. C. circa — ove si rappresenta un fatto storico, in narrazione continua, in tre ordini sovrapposti di figure, concernenti due incontri tra un Q. Fabio e un M. Fannio e, infine, una scena di battaglia(35).
La produzione letteraria di Fabio Pittore nascerebbe, dunque, dall’incontro tra forme «pittorico-storiche» peculiarmente romane e motivi culturali propri della storiografia greca(36), che egli avrebbe applicato ad un materiale costituito dagli Annales pontificali ma anche dagli archivi gentilizi e, forse, dagli antichi carmina convivalia, tipici della tradizione orale(37). Peculiarmente romano è, dunque, il materiale sul quale lo scrittore si basa ed accanto al quale si può, forse, individuare un filone di tradizione orale — tipico delle culture arcaiche — che conserva e tramanda un insieme di leggende atemporali cui altri studiosi attribuiscono funzioni «fondanti» ed «esemplari», nel senso, cioè, che istituiscono exempla, modelli di comportamento che si traducono, poi, nella tradizione storiografica, in « costanti » dello stile di azione di questa o quella gens.
A Fabio Pittore si attribuisce, dunque, il merito di essere stato tra i primi a realizzare, in una forma letteraria che risente chiaramente dell’influenza della storiografia greca(38), l’amalgama tra materiale leggendario e notazioni pontificali sui principali avvenimenti dell’età regia e della protostoria repubblicana.
È molto controverso se la tradizione dei carminia convivalia abbia esercitato una diretta influenza sull’opera di Fabio. Momigliano(39), esclude una loro utilizzazione diretta da parte dell’annalista. Ciò non esclude, però, che egli ne abbia avuto cognizione indiretta; non vanno sottovalutate, al riguardo, le tracce che di essi si scorgono nel poema di Nevio. Anche se non sappiamo quali rapporti intercorsero tra i due, né chi dei due pubblicò per primo, non può escludersi che, proprio attraverso Nevio, Fabio abbia avuto conoscenza, magari frammentaria, di questa antica tradizione orale.
Quanto alle notazioni pontificali, occorre tenere conto del più ampio contenuto dei commentarii pontificali rispetto a quello — prettamente cronachistico — delle tabulae dealbatae.
Al riguardo, il Gabba ha osservato che la ricopiatura annua del contenuto della tabula dell’anno scaduto « avrà sicuramente comportato ampliamenti e modifiche, anche con l’impiego dello svariato materiale documentario che doveva raccogliersi presso i pontefici rispetto alle scarne annotazioni, di carattere eminentemente pratico e sacrale, registrate nelle tabulae »(40) .
E a proposito delle leggi di Numa, il Gabba, richiamando Liv. 6.1.10. – sul recupero, dopo l’incendio gallico, delle Dodici Tavole e di « quaedam regiae leges » – ipotizza che i pontefici possano aver rielaborato testi anteriori, anche per l’influenza culturale di ambienti della Magna Grecia imbevuti di pitagorismo(41).
La più tarda pubblicazione degli Annales Maximi da parte del pontefice Q. Mucio Scevola rifletterebbe, secondo il Montanari, la complessa elaborazione, operata dai pontefici, del materiale storico romano(42), anche se è molto discussa la datazione della sezione dedicata alle origini e all’età regia(43).
La distinzione fra annalistica pre-letteraria e letteraria sembra essere, dunque, più sfumata di quanto alcuni studiosi abbiano voluto rappresentarla(44).
La stessa influenza che Diocle di Pepareto e Timeo di Tauromenio esercitano su Fabio Pittore(45), apre il problema delle fonti cui, per la storia di Roma, abbia attinto la storiografia greca. A tale proposito il Gabba ipotizza che « gli storici greci possano aver rielaborato tradizioni indigene e che, dunque, i primi annalisti letterari abbiano accolto le versioni greche in quanto ritrovavano in esse tradizioni patrie »(46). Ammettere la plausibilità di questa ipotesi vuoi dire riconoscere la continuità fra tradizione orale e tradizione scritta e ricostruire il processo formativo della tradizione, cogliendo i fenomeni di interazione, anziché cesure più o meno enfatizzate.
Da tutto ciò si deduce che l’alterazione della storia di Roma era, probabilmente, un processo già in atto da tempo nell’annalistica pontificale e che, dunque, non è prudente enfatizzare l’apporto di Fabio all’elaborazione della tradizione(47).
Il ruolo dei pontefici va inoltre collocato in una precisa cornice storica.
Essi in età regia — come risulta dalla testimonianza di Festo sull’ordo sacerdotum(48) che, in età recenziore, era un fossile del precedente ordinamento — avevano una posizione del tutto subordinata rispetto al rex e ai flamines maiores.
In età repubblicana, con la riduzione delle funzioni del rex al solo ambito sacrale(49) e la preminenza acquisita dalla triade capitolina rispetto a quella arcaica di Juppiter-Mars-Quirinus(50), i pontefici assumono quella priorità nella gerarchia sacerdotale, nonché nel campo politico (redazione degli annales e dei commentarii, preparazione del calendario che ha diretta influenza sullo svolgimento delle attività pubbliche) e in quello giuridico (formulazione dei responsa) che è un loro tratto peculiare(51).
Si tratta di un fenomeno legato alla genesi e allo sviluppo della Respublica ed è in questo contesto che va calato il problema delle falsificazioni.
L’ulteriore elaborazione ad opera dell’annalistica letteraria dalla metà del III secolo in poi — va a sua volta connessa con la laicizzazione e divulgazione del ius civile (formulari procedurali) e dei fasti, a partire dall’iniziativa attribuita all’edile Cn. Flavius nel 304 a. C.(52), nonché con l’innovazione del « publice profiteri » che Tiberio Coruncanio, pontefice massimo plebeo, introduce nella professione del giurista(53), poco più di mezzo secolo più tardi.
Se si avverte l’esigenza di divulgare e laicizzare il ius civile e di innovare la funzione del giurista, tale tendenza si manifesta anche nella concezione della tradizione annalistica, i due fenomeni essendo espressione del medesimo clima culturale tipico di una fase storica segnata – sin dal trentennio successivo all’incendio gallico – dalla graduale apertura alla plebe sia delle magistrature che dei principali collegi religiosi, con il conseguente e progressivo passaggio da una fase di egemonia patrizia a quella della formazione della nobilitas patrizio-plebea quale classe dirigente della civitas.
Ed è significativo che lo stesso Cn. Flavius edificò nel 304 a. C. un tempio alla dea Concordia, simbolica personificazione della nuova sintesi politico-sociale nel quadro della Respublica(54), così come è altrettanto significativo che il monumento bronzeo della lupa e dei gemelli, eretto a cura degli Ogulnii nel 296 a. C.(55), alludesse simbolicamente, secondo l’intuizione del Mommsen, alla diarchia consolare e, forse, all’equilibrio raggiunto fra patriziato e plebe(56).
Il nesso fra gli atti simbolici e la laicizzazione e divulgazione dello ius civile, nonché della tradizione annalistica, è il segno di questo processo storico della formazione del nuovo Stato che, superando i vecchi esclusivismi, accoglie ed ingloba le componenti sociali emergenti(57).
La tradizione sulla clades Cremerensis è stata spiegata alla luce di questo nuovo clima politico-sociale: qui il mito presenterebbe invertite le condizioni dell’esistenza che esso fonda e legittima(58). L’assunzione privatistica e volontaristica dello scontro con i Veienti da parte dei Fabi, il comportamento incauto e irruento con l’epilogo della disfatta militare, sarebbero funzionali non solo alla invalidazione del bellum privatum, ma anche e soprattutto ad affermare la preminenza e la validità delle nuove categorie del «civico» e del «pubblico», contro ogni insorgenza di tipo privatistico(59).
Il messaggio culturale racchiuso nella deformazione della storia sarebbe — secondo il Montanari — quello della integrazione di qualunque iniziativa — sia essa politica, militare o diplomatica — nella logica unitaria del nuovo Stato repubblicano, abbandonando, dunque, ogni spinta centrifuga e particolaristica(60).
È lo stesso messaggio che viene letto nella tradizione dei Fabi inviati in legazione a Chiusi, del dies Alliensis e del successivo incendio gallico(61), nonché nella narrazione della temeraria iniziativa militare di Q. Fabio Rulliano(62), nella guerra contro i Sanniti.
Se un apporto, in termini di amplificazione, è riconducibile all’opera di Fabio Pittore, esso — secondo tale orientamento — sarebbe stato funzionale alla edificazione e, soprattutto, alla legittimazione ideologica della respublica, intesa come civitas patrizio-plebea, entità politicamente preminente rispetto a singole fazioni o ai vari gruppi privati.
È sintomatico, al riguardo, che la tradizione sull’incendio gallico conservi non solo la memoria della perniciosa insorgenza privatistica dei Fabi, ma anche la figura di un plebeo, L. Albinus, che dà il suo aiuto alle Vestali per portare al sicuro, a Caere, i sacra dell’urbe e salvaguardare, quindi, l’esistenza della civitas, conformemente alla concezione religiosa romana(63). L’episodio sembra simboleggiare l’integrazione della plebe nelle strutture, nella logica e nella cultura del nuovo Stato romano(64).
La storia protorepubblicana — ma anche quella di età più avanzata — viene recuperata anche attraverso il momento della deformazione, visto non più come fuga dalla realtà e mera invenzione letteraria, ma come consapevole elaborazione di un modello culturale finalizzato alla legittimazione di una istituzione politica la cui realizzazione è il nucleo storico centrale del tessuto narrativo dell’annalistica.
In questa prospettiva, il contributo di Fabio Pittore alla tradizione storiografica romana viene visto in piena sintonia con le esigenze politiche e culturali del suo tempo(65), ossia con la necessità storica di rilanciare il senso dello Stato, la coscienza della « res-populica »(66), quale bene comune da difendere dinnanzi alla minaccia cartaginese e al conseguente senso di smarrimento e di insicurezza collettiva che si diffuse nella civitas(67).
In merito a questa lettura della tradizione, sorge, tuttavia, un dubbio: fino a che punto il filone « fabio » della tradizione esprime davvero questo senso dello Stato, della « res-populica », e non si tratta, invece, di una proiezione sulla tradizione di istanze culturali proprie ad orientamenti moderni?
Il rischio di sovrapporre congetture moderne a falsificazioni antiche è, infatti, sempre presente in sede di ricostruzione storiografica.
Occorre quindi che tale proposta interpretativa vada verificata, sul terreno di una tradizione di rilievo primario nella storia della seconda guerra punica: quella della cunctatio di Q. Fabio Massimo e quella — contestuale — di Q. Fabio Pittore inviato a Delfi.
4 — La tradizione sulla figura e l’opera di Q. Fabio Massimo nel corso della seconda guerra punica sembra smentire, ad un primo esame, il modello di comportamento attribuito alla gens Fabia in tutta la sua storia precedente.
Alla iniziativa incauta e irruenta dei suoi maiores, Q. Fabio sembra contrapporre un’esemplare prudenza nell’arte militare, fondata sulla cunctatio(68), reiteratamente criticata dai suoi concittadini, poiché facilmente confondibile con un’impostazione esitante(69),
Il suo modus agendi viene contrapposto a quello del console C. Flaminio nella battaglia del Trasimeno, per la quale Livio evidenzia che ha dedotto le notizie da Fabio Pittore.
Liv. 22.7.4: Ego, praeterquam quod nihil auctum ex vano velim, quo nimis inclinant ferme scribentium animi, Fabium aequalem temporibus huiusce belli potissimum auctorem habui.
Sulla stessa linea di rappresentazione, ad una logica privatistica che privilegia i legami gentilizi, subentra la netta subordinazione dell’interesse privato a quello pubblico, allorché Q. Fabio ostacola la carriera politica di T. Otacilius (cui è legato da vincoli di parentela) considerandolo più idoneo alle funzioni sacerdotali(70); nel 214 Fabio Massimo si oppone, infatti, alla nomina di T. Otacilius a console.
Liv. 24.8.11: in minore te experti T. Otacili, re sumus: haud sane cur ad maiora tibi fidamus documenti quicquam dedisti.
Liv. 24.8.17: Si consul esses, dictatorem dicendum exemplo maiorum censeremus, nec tu id indignari posses, aliquem in civitate romana meliorem bello haberi quam te.
Analogamente, al momento del culto gentilizio si affianca e prevale la pietas verso le divinità cittadine.
Se si seguisse un’interpretazione puramente encomiastica di questa tradizione, si sarebbe indotti a credere che la connotazione « civica » di Q. Fabio Massimo, sia stato un ulteriore espediente narrativo di Fabio Pittore per equilibrare il ricordo di altre infauste iniziative dei Fabi.
È un aspetto, questo, da non rimuovere ma occorre verificare se tale tradizione non sia riconducibile anche ad altre motivazioni.
Analizziamo, dunque, il modo in cui Q. Fabio affronta il problema religioso, legato alla crisi politico-militare.
La lettura di Livio risulta, al riguardo, molto illuminante.
Fabio accusa il console Flaminio di « neglegentia caerimoniarum auspiciorumque » ed afferma la necessità preliminare di consultare la volontà divina, attraverso l’esame dei libri Sibillini da parte dei decemviri.
Tale lettura dei « fatales libri » comporta il rinnovo del voto a Marte, perché non compiuto « rite », la celebrazione dei Ludi Magni in onore di Juppiter, il voto di due aedes alle dee Mens e Venus Erycina, nonché una supplicatio e un lectisternium e, infine, il voto di un ver sacrum(71).
Se vengono osservate le prescrizioni sacerdotali inerenti ad antichi riti di origine pre-civica, quali il ver sacrum, con un atteggiamento chiaramente conservatore, è anche vero che questi culti vengono celebrati in una prospettiva di difesa dello Stato e integrati con nuovi culti civici, per fronteggiare la crisi della « pax deorum », del precedente e ormai inadeguato rapporto con le divinità cittadine.
Tale valenza religiosa del conflitto viene evidenziata da Livio già per la precedente fase del consolato di C. Flaminio.
Liv. 21.63.6: non cum senatu modo, sed iam cum dis immortalibus C. Flaminium bellum gerere.
La crisi della pax deorum non è dovuta soltanto alla negligenza del console Flaminio rispetto ai doveri religiosi; è proprio quel tipo di pax ad essere messo in discussione dalle artes di Annibale e da quella che Livio, sarcasticamente, definisce la « fides » punica.
I rituali disposti dal senato in occasione di ogni battaglia, non hanno, infatti, fino a quel momento, sortito alcun esito positivo(72).
Il mondo punico viene rappresentato come l’antitesi di tutto ciò che è tipico della cultura romana.
Liv. 21.4.9: Nihil veri, nihil sancti, nullus deum metus, nullum ius iurandum, nulla religio.
Le artes di Annibale sono dunque quelle della fraus, della impietas, del dolus e del mendacium che Livio, già nel primo libro, aveva qualificato come « minime romane »(73).
E’ evidente che Livio – e le fonti cui egli attinge – propone in questo caso una contrapposizione dialettica fra tali peculiarità del mondo punico e la Fides romana, la guerra divenendo lo scontro fra due culture, con l’attribuzione a Roma di tutte le connotazioni positive.
E credo sia indubbio l’apporto che Fabio Pittore — quale contemporaneo del Cunctator — diede per il formarsi di tale tradizione storiografica(74).
È in relazione a questa impostazione « patriottica », che credo vada definito il senso dei nuovi culti introdotti sotto la dittatura di Fabio Massimo, quale risposta alla crisi globale del sistema romano.
- — Il primo dato da cogliere concerne l’associazione dei culti di Venus e Mens: si tratta di votare le aedes di due nuovi culti e il carattere innovativo di entrambi è l’elemento comune, oltre ad una omogeneità funzionale che sarà, forse, più chiara in seguito(75).
La Venere di Erice era una dea comune a molte culture del Mediterraneo. Essa era venerata dai Greci e dai Sicani, ma anche dai Punici(76), Ciò indurrebbe a scorgere in questa dea un elemento di unione fra i vari popoli ma, in realtà, essa era oggetto di feroci contese(77). Le fonti testimoniano i violenti combattimenti sostenuti durante la prima guerra punica per la conquista della rocca ove era ubicato il santuario della dea(78). Al di là del profilo militare, resta aperto il problema del recupero della dea alla cultura romana.
Non è casuale che la dea fosse romana « ab origine », rimuovendo quindi il suo precedente carattere interetnico ed escludendo quindi un processo di acquisizione fondato sul rito della evocatio, che avrebbe presupposto il passaggio da una situazione precedente (la dea estranea ai Romani) ad una nuova collocazione (la dea diventa romana).
Si ricorre quindi a una fictio, che trova riscontro nella tradizione letteraria, allorché Virgilio(79) espone nei suoi versi la leggenda delle origini troiane della dea quale αἴτιον del suo culto a Roma.
La dea è quindi connessa alla leggenda delle origini troiane del popolo romano, tema questo che si avrà modo di incontrare nuovamente. Venere viene chiamata in causa per favorire la vittoria su Annibale: nel sistema religioso di Roma essa è costantemente associata al tema della vittoria(80), come si evince dalle testimonianze epigrafiche e numismatiche.
In quel momento, particolarmente difficile, della guerra annibalica, la votazione della aedes a Venus Erycina ha la specifica funzione di integrare il sistema cultuale – fondato su Juppiter — con la venia, la grazia elargita dalla dea(81).
Alla « fortuna » di Annibale e alla « fides » punica non è sufficiente contrapporre il vecchio sistema religioso: occorre che esso sia rigenerato attraverso il recupero di rituali arcaici (ver sacrum) sui quali innestare nuovi culti. La ritualità arcaica conferisce garanzia di regolarità al sistema, mentre i culti nuovi attualizzano il retaggio religioso tradizionale e lo adeguano alle mutate necessità storiche.
Tutto ciò ha una precisa relazione con la gens Fabia, avendo il suo precedente storico nella consacrazione della aedes a Venus Obsequens da parte di Q. Fabius Gurges.
Liv. 10.31.9: Eo anno Q. Fabius Gurges, consulis filius, aliquot matronas ad populum stupri damnatas pecunia multavit, ex quo multaticio aere Veneris aedem, quale prope Circum est, faciendam curavit.
Venus Obsequens e Venus Erycina erano connesse rispettivamente, alle festività — loro dedicate — dei Vinalia rustica e dei Vinalia priora. Collegate fra loro sotto il profilo calendariale, erano in stretto rapporto con Juppiter, il cui flamen interveniva nel rito della vendemmia(82). Alla comunanza col dio capitolino si aggiunge il comune tema della vittoria, come si evince dalla testimonianza di Servio.
Serv. ad Aen. 1.720: dicitur Obsequens Venus, quam Fabius Gurges post peractum bellum samniticum ideo hoc nomine consecravit, quod sibi fuerit obsecuta.
Si può quindi cogliere una costante relazione tra i Fabi e la dea Venus quale datrice di vittoria.
La tradizione annalistica ha voluto, con questa costruzione narrativa, tramandare l’immagine di una gens « vincente », ma solo in quanto si integra in una logica di culti pubblici al servizio dello Stato.
Che un àugure come Q. Fabio Massimo abbia potuto influire sulla stesura di questa tradizione da parte di Fabio Pittore, è cosa probabile, tenuto conto del carattere squisitamente religioso di questa autorappresentazione della gens Fabia. Ed è altrettanto verosimile la sensibilità a questo tema di un uomo come Fabio Pittore, che la critica moderna ha definito « pedantescamente pio ».
L’analisi va ora completata soffermandosi sul culto di Mens e sui rapporti. con Venus e la gens Fabia.
- — L’origine del culto della dea Mens è controversa. Alcuni sostengono la tesi della sua provenienza greca(83), altri quella della matrice italica della dea(84).
In mancanza di dati sicuri, credo che l’unica via percorribile sia quella di identificare la radice etimologica del nome.
Mens deriva dalla radice « men » che designa il principio pensante, ma anche l’intelligenza e l’intenzione(85).
Alla stessa famiglia linguistica appartengono il sostantivo mensura e il verbo metiri (=misurare),
Mens designa quindi l’attitudine a misurare, a cogliere i limiti e, in relazione alla cunctatio, a scandire il tempo in ritmi e in cicli, sapendo discernere i momenti propizi da quelli infausti per il compimento di una determinata azione(86).
Mens è collegata linguisticamente anche al verbo mentiri e al sostantivo mendacium, che esprime l’idea di una riserva mentale e, dunque, di un contrasto fra intenzione e dichiarazione che si verifica mentalmente prima ancora della manifestazione di volontà. Ed è proprio il mendacium, con l’efficacia ingannatrice che gli è propria, una delle peculiarità che Livio attribuisce ad Annibale.
Questa dea è quindi, sul piano della psicologia religiosa, il più efficace antidoto per neutralizzare la minaccia punica, integrando le preesistenti fides e pietas, che altrimenti sarebbero affiancate da metus, come si evince dalla testimonianza di. Ovidio:
Ovid. fasti 6.241-246: Mens quoque numen habet: Mentis delubra videmus/vota metu belli, perfide Poene, tui./Poene, rebellaras, et leto consulis omnes,/adtoniti Mauras pertimuere manus./Spem metus expulerat, cum Menti vota senatus/suscipit, et melior protinus illa venit.
La dea è, quindi, un forte elemento di stabilizzazione, sul piano della psicologia collettiva(87) e si connette, pertanto, alla funzione di Juppiter Stator, che dà la vittoria, salvando e stabilizzando la Respublica(88).
La funzione stabilizzatrice di Mens implica anche la collocazione definitiva di Venus Erycina nel sistema religioso romano, frenando la sua venia, potenzialmente dispersiva(89).
Altro legame rilevante è quello con Fides, documentato dalle risultanze epigrafiche fino alla tarda età imperiale(90). Fides è, a sua volta, connessa al Giove capitolino, come risulta dalla testimonianza di Cicerone(91).
Dall’insieme di queste testimonianze sembra, dunque, emergere una configurazione civico-statuale della dea Mens grazie a un suo legame costante con divinità quali Fides e Juppiter.
Tutto ciò ha una diretta rilevanza per cogliere il nuovo indirizzo politico dei Fabi nonché la funzione di Fabio Pittore.
La tradizione annalistica — e Fabio Pittore in prima linea — elabora la figura del Cunctator come l’incarnazione non solo di qualità come la prudenza temporeggiatrice, ma anche di valori religiosi (fides e pietas) e civici (preminenza della Respublica sugli interessi privati) ai quali Mens e Venus appaiono strettamente connesse. Tutto il precedente modello di comportamento dei Fabi viene trasformato, assumendo una impronta civico-statuale.
È però legittimo chiedersi fino a che punto tale costruzione narrativa sia funzionale ad enfatizzare valori civici repubblicani e sia, quindi, animata da un intento civico-patriottico, tenuto conto che l’opera di Fabio Pittore, essendo scritta in greco, era destinata anche ad un pubblico straniero, quello italiota, ed aveva quindi una funzione spiccatamente propagandistica, più o meno riconosciuta dalla storiografia moderna(92).
Resta in altri termini, il dubbio che dietro questo fervore civico-patriottico, si celi comunque un intento encomiastico in favore della gens Fabia e, quindi, un proposito di riabilitazione della sua memoria storica.
E questo dubbio apre un interrogativo, sul piano della ricostruzione storiografica: fino a che punto i due intenti, quello civico-patriottico e quello encomiastico-gentilizio, sono compatibili fra loro? E in che misura le due diverse letture di questa tradizione possono integrarsi? A tali interrogativi si può tentare di dare una risposta attraverso un’attenta lettura della tradizione sulla missione a Delfi di Fabio Pittore.
In questa vicenda vi è, infatti, un singolare esempio di identità fra l’annalista e il protagonista diretto di una vicenda politico-militare. Ed è quindi molto illuminante osservare come Fabio si rappresenta.
- — La missione di Fabio Pittore si colloca immediatamente dopo la battaglia di Canne, quando l’incertezza e lo smarrimento collettivo raggiungono il loro culmine e più viva è quindi l’esigenza di una protezione sovrannaturale(93). La scelta di consultare l’oracolo di Delfi non è casuale.
Siamo alla fine di un secolo segnato dall’apertura di Roma ai sacra peregrina(94) e dalla forte affermazione, già risalente al V secolo, del culto apollineo(95), com’è anche dimostrato dalla prescrizione del ver sacrum, tratta dai libri Sibillini di cui riferisce Liv. 22.9.7-10(96),
Le testimonianze sulla missione delfica sono in Livio, Plutarco e Appiano(97). Livio riferisce il contenuto del responso oracolare — che prescrive, fra l’altro, di estinguere la « lascivia » — e narra il viaggio di ritorno di Fabio Pittore, incoronato del lauro, ininterrottamente, fino a Roma.
La decisione di inviare a Delfi proprio Fabio Pittore è, evidentemente, connessa con la sua conoscenza della lingua e della cultura greca(98). Da questa tradizione emerge il rilievo dato alla personalità di Fabio, non solo in quanto rappresentante di Roma, ma anche nella sua specificità di uomo pius, animato da quel fervido senso religioso che già la tradizione attribuisce al Cunctator(99) nonché agli antenati della gens Fabia(100).
L’esaltazione del personaggio non si esaurisce, comunque, nel profilo religioso. È Fabio che, in virtù della sua conoscenza del greco, traduce ai Romani il responso oracolare.
È, dunque, grazie a lui, che Roma può decifrare la via della salvezza e della vittoria. La sua mediazione culturale costituisce un passaggio obbligato.
L’infausta memoria dei Fabi inviati quali legati a Chiusi e responsabili della violazione dello ius fetiale(101), sembra qui riequilibrata attraverso la figura di un Fabio il quale, mediatore fra Roma e l’oracolo delfico, ricorrendo alle sue risorse più tipiche — la pietas e la formazione culturale — sì adopera per consentire alla civitas il superamento della crisi in cui è precipitata.
Risulta, in tale contesto, molto sintomatico che l’oracolo delfico esorti i Romani ad astenersi dalla lascivia, ossia dalla superbia irreligiosa(102).
È un tema analogo a quello che compare in Liv. 22.9.7.40, allorché stigmatizza la « neglegentia caerimoniarurn auspiciorumque » del console C. Flaminio nonché la sua « temeritas atque inscitia »; sono quindi i Fabi che insegnano ai Romani a riscoprire il valore della pietas quale presupposto della salvezza militare e politica della Respublica.
L’accusa di lascivia suona inoltre polemica verso quei dirigenti politici e militari che hanno ostacolato l’unificazione cittadina perseguita — o almeno propagandata — dal gruppo del Cunctator(103), E, secondo la proposta di autorevoli studiosi, la traduzione del termine greco ὔßρις col latino lascivia potrebbe essere stata già presente in Fabio Pittore(104).
È difficile non vedere in tutto ciò un intento di autorappresentazione celebrativa dei Fabi: un intento che, da Fabio Pittore, si tramanda nelle testimonianze di fonti più tarde(105).
Questo scopo elogiativo si coordina con altri aspetti che emergono dalla lettura delle fonti. È Livio, infatti, a parlarci del doppio sacrificio umano, deciso dal Senato per fronteggiare l’ostilità annibalica. Un rituale eccezionale per la religio romana, del quale non può sfuggire la contestualità con la missione di Fabio Pittore. Già da altri è stato affrontato il problema del nesso che intercorre fra questi vari episodi(106).
Il sacrificio dei Galli ha un senso più facilmente intuibile in quanto essi sono nemici di Roma, con evidente riferimento all’incendio del 389/387(107), ma anche all’incendio gallico del tempio delfico del 279 a. C.(108).
Più difficile da decifrare è il sacrificio di un greco e una greca, per il quale il Momigliano ha proposto una lettura legata alla leggenda delle origini troiane dei Romani: i Greci, quali nemici dei troiani, sono anche nemici di Roma e, come tali, vengono sacrificati(109). E il D’Ippolito ha osservato, al riguardo: « Bisogna dedurne che l’Apollo delfico veniva consultato in quanto dio troiano, ostile ai Greci »(110). La missione delfica di Fabio Pittore si collegherebbe, così, al retaggio mitico sull’origine del popolo romano. Un retaggio già conosciuto in ambiente etrusco almeno sin dal V secolo — come sembra dimostrato dalle statuette fittili rinvenute in territorio veiente e raffiguranti Enea che porta sulle spalle il padre Anchise(111) — e, in ambiente latino nel IV secolo, come si evince dalla iscrizione al Lar Aeineia rinvenuta presso l’antica Lavinium(112). Esso è presente, come è noto, già nei Bellum Poenicum di Nevio(113) e negli Annales di Fabio Pittore, sia pure con alcune varianti(114).
Se questa ricostruzione è plausibile, viene da chiedersi cosa rappresenti, dunque, la tradizione sulla missione delfica se non una enfatizzazione della identità storico-mitica del popolo romano, colta nella sua specificità rispetto al mondo greco e, più in generale, rispetto ai popoli stranieri che connotavano l’orizzonte politico romano.
Roma, dopo la guerra con Pirro, la conquista dell’Italia meridionale e la prima guerra punica, si afferma come nuova potenza emergente nel bacino del Mediterraneo, si confronta con altri popoli, con altre culture ed avverte la necessità storica di assumere una più chiara consapevolezza della propria identità, anche allo scopo di poter meglio assimilare e rielaborare gli apporti culturali stranieri. Il recupero del patrimonio leggendario diviene, dunque, un’esigenza vitale per potersi orientare nelle scelte e nei rapporti anche in sede politica e religiosa.
Ciò ha, evidentemente, una precisa funzione di rafforzamento della coesione interna della civitas: ravvivare lo spirito patriottico, mediante un richiamo alle origini mitiche, contribuisce a fronteggiare il pericolo annibalico.
E la divulgazione, attraverso l’annalistica letteraria, di questa identità storico-mitica, ha anche una funzione propagandistica rispetto ai popoli di lingua e cultura greca dell’Italia meridionale, ai quali occorre proporre una rappresentazione accettabile di Roma, in un momento storico in cui opere, come quella di un Filino di Agrigento, introducono nel mondo siceliota e italiota una storiografia di orientamento filo-cartaginese(115).
Se si considera che questo tema mitico delle origini troiane del popolo romano è connesso col culto di Venus che compare puntualmente nella tradizione in rapporto a figure di spicco della gens Fabia, è possibile coordinare il profilo civico-patriottico con gli aspetti encomiastici rilevati nella tradizione sulla missione delfica di Fabio Pittore e scorgere come la narrazione sia animata da una intima e coerente logica.
La riabilitazione dei Fabi è indubbiamente un intento presente nella costruzione narrativa, ma esso sembra complementare a quello patriottico ed alla asserita preminenza del momento pubblico rispetto agli interessi privati.
I Fabi sembrano riscattarsi dalle infauste imprese loro attribuite, ma solo in quanto collocano la loro azione politica e militare in una logica di difesa dello Stato e trasformano la loro pietas in un contributo destinato a privilegiare il momento statuale rispetto ad istanze gentilizie divenute ormai secondarie.
La ricerca storiografica(116) ha già ampiamente evidenziato i rapporti di alleanza che intercorsero, fra il IV e il III secolo, fra i Fabi ed alcune delle più potenti famiglie plebee, fra le quali gli Ogulnii(117), che ebbero un ruolo di primo piano nel processo di formazione della nuova nobilitas patrizio-plebea(118) e nell’accoglimento della leggenda di Romolo(119).
Il Toynbee ha acutamente osservato come sia stato proprio in virtù di queste alleanze, che i Fabi conservarono un ruolo di primo piano in un momento storico di transizione dell’assetto politico-sociale(120).
Alleandosi, di volta in volta, con questa o quella famiglia plebea, essi riuscirono a non farsi travolgere dal declino del monopolio patrizio delle magistrature e dei collegi sacerdotali(121).
Ragioni generali di quadro storico inducono quindi a ritenere che la nuova logica politica dei Fabi vada letta in una prospettiva più realistica. Essa privilegia un concreto equilibrio politico-sociale, fondato sulla lenta e graduale integrazione della plebe nell’assetto costituzionale dello Stato e, quindi, su una nuova classe dirigente — la nobilitas patrizio-plebea — della quale la conclamata preminenza della « res populica » rispetto a spinte centrifughe e privatistiche — costituisce l’espressione ideologica. E il monumento bronzeo della lupa e dei gemelli, eretto dagli Ogulnii è, forse, la rappresentazione simbolica di questo equilibrio tra i due ordini(122) e va quindi vista non solo come opera d’arte, ma come momento di lettura simbolica e mitica delle origini della città(123).
È all’interno di questo disegno politico di un nuovo assetto statuale e, in definitiva, di una reale unificazione cittadina, che si compie la riabilitazione della memoria storica dei Fabi.
La narrazione di Fabio Pittore su Fabio Massimo e sulla propria missione delfica è un significativo contributo per coniugare il momento civico-patriottico con quello encomiastico-gentilizio.
Note:
1. | G. FRANCIOSI, Storia di ‘ gentes’ e storia di famiglie. Una messa a punto storico-cronologica, in Ricerche sull’organizzazione gentilizia romana 2 (1988) 3 ss.; ID., Sepolcri e riti di sepoltura delle antiche ‘ gentes ‘, in Ricerche 1 (1984) 7 ss. E’ di rilievo fondamentale, in questi saggi, l’esame del rapporto tra il lento declino dell’organizzazione gentilizia e l’affermarsi, all’interno di essa, a partire dal III secolo, dei gruppi familiari che la trasformano dall’interno. Tale ricostruzione è tuttora oggetto di dibattito tra gli studiosi, alcuni dei quali sottolineano il rapporto che intercorre, ad esempio, fra Quintus, Kaeso e Marcus Fabius — consoli consecutivamente tra il 485 e il 477 a. C. — che Livio indica come fratres. Risulterebbe, pertanto, difficile distinguere la storia di una famiglia da quella di una gens. Il problema merita, indubbiamente, un approfondimento che postula uno studio specifico. Credo, comunque, che l’ipotesi della ‘ storia di gentes’ sia una base importante per fare luce sui rapporti fra l’organizzazione gentilizia e l’evoluzione dell’ordinamento della Repubblica. Per le fonti sui Fabi, consoli dal 485 al 477, v. Liv. 2.41.12; 42.2; 42.7; 43.11. Per Ia letteratura sul tema, v. infra, ntt. 27 e 28. | |
2. | Sui collegi religiosi pubblici v, D. SABBATUCCI, Religione romana, in Storia delle religioni (1960) 23 ss., 42 ss.; A. PASTORINO, La religione romana (1973) 86 ss.; G. DUMÉZIL, La religione romana arcaica (tr. 1977) 473 ss., 492 ss.; S. MAZZARINO, Il pensiero storico classico 2 (1983) 255 s.; ID., Dalla monarchia allo stato repubblicano (1992) 55 ss. Per il collegio degli auguri v., in particolare, P. CATALANO, Contributi allo studio del diritto augurale 1 (1960) passim. Sul monopolio gentilizio dei collegi pubblici v. F. DE MARTINO, Storia della costituzione romana 12 (1972) 143; V. ARANGIO – RUIZ, Storia del diritto romano (rist. 1983) 49 ss.; G. FRANCIOSI, Storia di ‘ gentes ‘ e storia di famiglie 5 ss. | |
3. | Sul rapporto tra questi collegi — in particolare il pontificato — e la direzione della vita politica della civitas, v. F. DE MARTINO, Storia della costituzione romana12.135 ss.; S. MAZZARINO, Il pensiero storico classico 2.225. | |
4. | D. SABBATUCCI, Lo Stato come conquista culturale (1975) 94 ss. | |
5. | L’influenza dei pontefici sulla formazione del pensiero storico romano è approfondita da D. SABBATUCCI, Lo Stato 98 ss., nonché da E. MONTANARI, Mito e storia nell’annalistica romana delle origini (1990) 63 ss. Da rilevare che Cicerone assumeva gli Annales Maximi pontificali quale sola documentazione attendibile per la storia di Roma arcaica. Due notizie egualmente leggendarie, quella dell’augure Atto Navio in Cic. de div. 1.17.33. e quella del pitagorismo di Numa Pompilio in Cic. de rep. 2.15.28-29, vengono la prima ammessa e la seconda respinta sulla base, rispettivamente, della loro inclusione ed esclusione negli Annales Maximi, che Cicerone menziona espressamente nel passo citato del de republica. Sulla concezione romana della storia e í suoi rapporti col retaggio culturale etrusco v. M. SORDI, Il mito troiano e l’eredità etrusca di Roma (1989) 9 ss., 77 ss. | |
6. | E. MONTANARI, Mito e storia 47 ss. | |
7. | A. ALFÖLDI, Early Rome and the Latins (1965) 123 ss.; S. MAZZARINO, Il pensiero storico classico 2.245 ss.; A. MOMIGLIANO, Linee per una nuova valutazione di Fabio Pittore, in Storia e storiografia antica (1987) 275 ss. | |
8. | Sull’annalistica letteraria v. J. HEURGON, L’interprétation historique de l’historiographie latine de la République, in BAGB. 2 (1971) 219 ss.; E. RAWSON, The First Latin Annalist, in Latomus 35 (1976) 689 ss.; J. POUCET, Les orígines de Rome. Tradition et histoire (1985) 231 ss.; E. MONTANARI, Mito e storia 14 ss., 38 ss. |
|
9. | S. MAZZARINO, Il pensiero storico classico 2.246 ss.; A. MOMIGLIANO, Linee per una valutazione 280 ss.; E. MONTANARI, Mito e storia 52 ss. | |
10. | S. MAZZARINO, Il pensiero storico classico 2,245; A. MOMIGLIANO; Linee per una valutazione 275 ss.; E. MONTANARI, Mito e storia 45 ss. I frammenti di Fabio Pittore sono raccolti e ordinati da H. PETER, Historicorum Romanorum Reliquiae2 1 (1967) 5 ss, da confrontare con F. VON JACOBY, Die Fragmente der Griechischen Historischer 3 C (1958) 809 s. Nettamente diverse sono le posizioni di Peter e Jacoby sul problema del “ doppio Fabio ”, in relazione alla paternità di una redazione in latino degli Annales di Fabio Pittore. Credo che sul tema l’interpretazione più accettabile sia quella del Momigliano, Linee per una valutazione 277, il quale evidenzia giustamente come “ nessun antico sembri preoccuparsi dell’esistenza di due opere annalistiche, l’una in greco, l’altra in latino, sotto il nome di Fabio Pittore ”. La tesi dei due Fabi è difesa da F. MÙNZER, sv. Fabius Pictor, ín PW. 6 (1909) 1843. SuI tema v. A. MOMIGLIANO, Linee per una valutazione 277 nt. 4 e lett. ivi. Sui rapporti di Fabio Pittore con la storiografia greca v. F. D’IPPOLITO, Sulla giurisprudenza medio-repubblicana (1988) 39 ss., 62 ss. e lett. ivi. | |
11. | A. MOMIGLIANO, Linee per una valutazione 275 ss. | |
12. | A. Alföldi, Early Rame 123 ss. Sulla teoria “ panfabiana ” di Alföldi v. i rilievi critici di D. Musti, Tendenze della storiografia romana e greca su Roma arcaica, in QUCC. 10 (1970) 21 ss. | |
13. | E. MONTANARI, Mito e storia 46, che riprende e sviluppa l’orientamento del SABBATUCCI, Lo Stato 61 ss., 83 ss., sulla funzione dell’annalistica pontificale. | |
14. | E. MONTANARI, Mito e storia 47 ss. Cfr. R. M. OGILVIE, A Commentary on Livy Books, 1-5 (1970) 415 ss,, il quale, ad esempio, considera attendibile la notazione del terremoto del 461 a. C. (Liv. 3.10.6), sulla base di riscontri nelle fonti greche. Sul superamento delle posizioni ipercritiche v. S. MAZZARINO, Dalla monarchia allo Stato repubblicano 167 ss. | |
15. | S. MAZZARINO, Il pensiero storico classico 2.245. “ Si può e si deve dire — scrive il Mazzarino — che la storiografia letteraria comincia con Fabio Pittore, ma non si può dire che il pensiero storico pre-letterario dei Romani cominciasse senz’altro al tempo di Gneo Flavio e degli Ogulnii”. Più oltre (p.250) l’a. sostiene che invenzioni come il dies Cremerensis non sono riconducibili a tradizioni familiari ma alla tabula dei pontefici e agli annali pontificali. | |
16. | Sui. Ludi Magni v. S. MAZZARINO, Il pensiero storico classico 2.71 ss. Sul dies Cremerensis v. ID., Il pensiero storico classico 2.247 ss.; R. M. OGILVIE, Le origini di Roma (tr. 1984) 118 ss. | |
17. | S. MAZZARINO, Il pensiero storico classico 2.247 ss. Per le fonti in Dio-doro, v. F. CASSOLA, Diodoro e la storia romana, in ANRW. 2.1 (1982) 725 ss. | |
18. | Sulla testimonianza di Diod. 11.53.6 v. F. CASSOLA, Diodoro 750 ss., il quale sostiene che la fonte di Diodoro è male informata sulla tradizione fabia e concorda quindi col Mazzarino sul carattere non fabiano della fonte medesima. | |
19. |
Cfr. E. MONTANARI, Nomen Fabium (1973), ora in Roma. Momenti di una presa di coscienza culturale (1976) 99 ss., 123 ss., 164 ss.; ID., Mito e storia 23 s. Sul valore “ fondante ” del mito, ossia la sua attitudine a istituire “exernpla” v. M. ELIADE, Le mythe de l’éternel rétour. Archétypes et répétítion (1949) passim; ID., Trattato di storia delle religioni (tr. 1977) 156 ss., 164 ss.; R. PETTAZZONI, Verità del mito, in SMSR. 21 (1947-48) 104 ss. |
|
20. | Per la tradizione sulla clades Cremerensis v. Liv. 2.50.1-11; Dion. 9.15-22; Diod. 11,53.6; Ovid. fasti 2.193-242. | |
21. | Riprendo, a questo punto dell’analisi, il problema già posto dal MONTANARI, in Mito e storia 20 ss. e già affrontato dall’a, in Identità culturale e conflitti religiosi nella Roma repubblicana (1988) 60 nt. 140. Cfr. l’introduzione di D. SABBATUCCI a E. MONTANARI, Nomen Fabium 11 ss, | |
22. | G. DUMÈZIL, Mythe et épopée 3 (1973) 301. | |
23. | Un esempio illuminante di interazione fra livello mitico e livello storico è dato dalla vicenda di Orazio Coclite su cui ci informa Lív. 2.10.2-10. A. BRELICH [Tre variazioni romane sul tema delle origini (1976) 46 ss.] ha dimostrato come il tipo Cocles si sia enucleato nel quadro di un modello mitico comune alla κοινή greco-etrusco-italica. Esso corrisponde all’italico caeculus, all’etrusco Cacus, al greco κύκλοψ, per una serie di analogie morfologiche. Il Brelich ha dimostrato che questo tema mitico poté riattualizzarsi nella storia di Roma, nella figura di L. Cecilio Metello che, secondo la tradizione, perse la vista nell’incendio del tempio di Vesta nel 241 a. C., allorché stava tentando di salvare il Palladium (Cic. pro Scaur. 48). L’episodio è chiaramente leggendario, ma non è affatto leggendario il ruolo sacerdotale di questo personaggio che ascese al pontificato massimo. Il Sabbatucci (Lo Stato 45 ss.) ha visto in tale leggenda non un mero intento encomiastico in favore della famiglia dei Caecilii, ma un tentativo di legittimazione del pontificato massimo plebeo. V. anche E. MONTANARI, Coclite, in Enciclopedia Virgiliana 1 (1984) 830 s.; ID., Ceculo, ibidem 719 s. | |
24. | Sulle presenze gentilizie nella storia protorepubblicana v. G. FRANCIOSI, Preesistenza della gens e ‘nomen gentiliciuin’ 17 ss.; ID. , Storia di ‘ gentes’ e storia di famiglie 3 ss. J. HEURGON, L’interprétation historíque 224 ss.; E. MONTANARI, Mito e storia 23. | |
25. | G. FRANCIOSI, Clan gentilizio e strutture monogamiche. Contributo alla storia della famiglia romana’ (1989) 239 ss.; In., Preesistenza della `gens’ e ‘nomen gentilicium’ 8 SS. | |
26. | TLE. 65; 471. V. sul terna G. FRANCIOSI, Preesistenza della gens e ‘nomen gentilicium’ 6 nt. 11; A. RUGGIERO, Mito e realtà nella vicenda storica della « gens Fabia », in Ricerche 1.259 ss. e, in particolare 263 s. | |
27. | Liv. 2.41.12; 42.2.43.11. Cfr. E. MONTANARI, Nomen Fabium 85 ss.; In., Mito e storia 22 | |
28. | E. GABBA, Considerazioni sulla tradizione letteraria sulle origini della repubblica, in Les origines de la République romaine (1966) 140 nt. 4; D. Musn, Tendenze 21 s., il quale restituisce maggiore rilevanza alle tradizioni storiografiche sia anteriori che successive a Fabio Pittore. | |
29. | E. MONTANARI, Mito e storia 23. | |
30. | C. AMPOLO, La città riformata e l’organizzazione centuriata. Lo spazio, il tempo, il sacro nella nuova realtà urbana, in Storia di Roma 1 (1988) 204 s. Come esempio della metodologia proposta l’Ampolo si sofferma sull’affresco della tomba François di Vulci, le cui scene racchiudono — pur nella cornice leggendaria della simmetria figurativa fra episodi e personaggi della guerra di Troia ed episodi di combattimenti fra città etrusche e laziali — elementi di storicità, identificati attraverso il confronto con le risultanze epigrafiche e le fonti letterarie. Su ciò v. anche J. HEURGON, Le coupe d’Aulus Vibenna, in Mél. J. Carcopino (1966) 515 ss.; C. AMPOLO, Gli Aquilii del V secolo e il problema dei Fasti consolari più antichi, in PP. 30 (1975) 410 ss.; M. PALLOTTINO, Il fregio di Vibenna e le sue implicazioni storiche, in La tomba François di Vulci (1987) 226 ss.; L. MINIERI, Un caso di diaspora gentilizia: gli Aquili tra Vulci e Roma, in Ricerche 1.198 ss. | |
31. |
Cic. de div. 1.43; Dion. 1.6.2, Di una versione latina degli Annales di Fabio Pittore riferiscono Cic. de leg. 1.6 e Geli. 5.4.3. Sul rilievo culturale della scelta di Fabio Pittore di scrivere i suoi Annales in greco v. A. MOMIGLIANO, Linee per una valutazione 276 ss. Sul problema del “ doppio Fabio ” v. retro, nt. 10. |
|
32. | V., al riguardo, le analisi di A. J. TOYNBEE, L’eredità di Annibale 2 (tr. 1983) 239 ss. Cfr. E. MONTANARI, Nomen Fabium 199 ss., per le implicazioni di ordine più strettamente storico-religioso. Per le conseguenze della minaccia annibalica sulla psicologia collettiva dei Romani e i loro orientamenti religiosi (con particolare riguardo al culto bacchico) v. G. FRANCIOSI, Clan gentilizio 24 ss. Il Momigliano (Linee per una valutazione 276) osserva che Fabio Pittore cerca di dare un ordine e un senso alla tradizione dí Roma, in un momento storico in cui Roma è in pericolo. Sotto tale aspetto, si può sostenere la complementarietà fra il ruolo letterario di Fabio Pittore e quello politico-militare del Cunctator: entrambi si pongono il compito di restituire ordine ad una civitas che vive una profonda crisi, ma è un ordine rinnovato nei suoi contenuti. | |
33. | Cfr. E. MONTANARI, Mito e storia 52. Per la conoscenza della cultura greca da parte di Fabio Pittore v. A. MOMIGLIANO, Linee per una valutazione 276. | |
34. | Fr. 16 Peter (= Dion. 7.71.1). | |
35. | V. E. LA ROCCA, Fabio o Fannio. L’affresco medio-repubblicano dell’Esquilino come riflesso dell’arte “rappresentativa” e come espressione di mobilità sociale, in DArch. 2.1 (1984) 31 ss. | |
36. | Sul rapporto dialettico fra la cultura romana e quella greca in Fabio Pittore v. S. MAZZARINO, Il pensiero storico classico 2.71 ss.; A. MOMIGLIANO, Linee per una valutazione 276; E. MONTANARI, Mito e storia 54 ss., il quale ridimensiona il valore dell’uso della lingua greca in Fabio Pittore, osservando che Dionigi non mostra un particolare interesse per questa prima letteratura annalistica in lingua greca. Tale posizione è solo parzialmente accoglibile; se è vero che Dionigi non considera attendibile Fabio Pittore quanto a precisione cronologica e a veridicità dei fatti narrati, tuttavia lo considera autorevole come fonte per le cerimonie religiose. | |
37. | Sui carmina convivalia v. A. ROSTAGNI, Storia della letteratura latina 1 (1964) 45 ss. e bibl. ivi. | |
38. | V. S. MAZZARINO, Il pensiero storico classico 2,104, 262. | |
39. | A. MOMIGLIANO, Linee per una valutazione 287;
A. ROSTAGNI, Storia della letteratura latina 1.115 (sul rapporto con la tradizione dei carmina convivalia), 120 (sul mito troiano). |
|
40. | Cfr. E. GABBA, Considerazioni 153; E. MONTANARI, Mito e storia 48 ss. | |
41. | E. GABBA, Considerazioni 150 ss.; E. MONTANARI, Mito e storia 48 ss. Cfr. E. PAIS, Storia di Roma3 1 (1923) 288. | |
42. | Secondo il MONTANARI, Mito e storia 68 ss.; il fr. 4 Peter (=Gell. 4.5) non è una mera notazione cronachistica ma esprime una elaborazione molto articolata dei dati da parte deí pontefici. Su ciò v. B. W. FRIER, Libri annales pontificum maximorun, the origins of the annalistic tradition (1979) 56 ss. Tale frammento, unitamente alla mole degli Annales Maximi (80 libri) nella loro redazione definitiva, lascia ragionevolmente ipotizzare che essi riportassero per esteso il materiale degli archivi pontificali: verbali delle sedute, atti del collegio, istruzioni sui rituali, registrazioni calendariali, nonché, forse, le varie versioni di uno stesso evento. Su ciò v. E. GABBA, Considerazioni 53 ss, | |
43. | E. GABBA, Considerazioni 151 s. | |
44. | E. MONTANARI, Mito e storia 50 ss. | |
45. | Sul rapporto tra Fabio Pittore e Diocle di Pepareto v. A. MOMIGLIANO, Linee per una valutazione 282, ove modifica in senso positivo su Diocle la precedente posizione espressa in JRS. 33 (1943) 102, ora in Secondo contributo alla storia degli studi classici (1960) 403. Sul tema v. anche S. MAZZARINO, Il pensiero storico classico 2.65; E. GABBA, Considerazioni 140 s. e bibl, ivi. Su Timeo di Tauromenio v. A. MOMIGLIANO, Atene nel III secolo a.C. e la scoperta di Roma nelle storie di Timeo di Tauromenio, in Storia e storiografia antica 97 ss.; E. GABBA, Considerazioni 86 ss,; K. MEISTER, La storiografia greca (tr. 1992) 169 ss. | |
46. | E. GABBA, Considerazioni 154 s. | |
47. | E. MONTANARI, Mito e storia 68 ss | |
48. | Fest. sv. Ordo sacerdotum (L. 299); cfr. al riguardo le osservazioni del MAZZARINO, Dalla monarchia allo stato repubblicano 57 ss. | |
49. | Sul rex sacrorum v. P. DE FRANCISCI, Primordia civitatis (1957) 492 ss.; G. DUMÉZIL, La religione romana arcaica 32, 108 ss.; S. MAZZARINO, Il pensiero storico classico 256; ID., Dalla monarchia allo stato repubblicano 57 ss.; D. SABBATUCCI, La religione di Roma antica 15 ss. Per il profilo mitologico della regalità romana arcaica v. A. BRELICH, Tre variazioni romane 102 ss. | |
50. | Sulla triade capitolina v. G. DUMÉZIL, La religione romana arcaica 255 ss. e bibl. ivi. Sulla triade arcaica v. ID., Juppiter-Mars-Quirinus 1 (tr. 1955) 46 ss.; ID., La religione romana arcaica 137 ss. e bibl. ivi. | |
51. | Secondo C. GIOFFREDI, Rex, praetores e pontifices nella evoluzione dal regno al regime consolare, in BCAR. 71 (1943-45) 129 ss., i pontefici durante il regnum non sarebbero stati dei sacerdoti ma solo dei consiglieri del rex. Essi sarebbero divenuti sacerdoti solo dopo la riduzione del rex all’ambito sacrale. Contra G. DUMÉZIL, La religione romana arcaica 109 ss. Sulla evoluzione del sacerdozio romano v. S. MAZZARINO, Dalla monarchia allo stato repubblicano 55 ss., che sottolinea il carattere arcaico del sacerdozio del rex mentre la preminenza dei pontefici nel campo delle funzioni sacerdotali è strettamente legata alle trasformazioni politico-costituzionali della Respublica. | |
52. | S. MAZZARINO, Il pensiero storico classico 2.244 ss. L’a. osserva che i fasti — esposti sulla tabula dealbata — sono calendario ma implicano anche una cronologia e la loro pubblicazione postula un rinnovamento del pensiero storico nel senso della sua divulgazione e della sua laicizzazione. Tale processo non significa, però, che “ Roma crei un pensiero storico dal nulla”. | |
53. | V., al riguardo, le osservazioni di F. D’IPPOLITO, I giuristi e la città (1978) 47 ss. | |
54. | Liv. 9.46.6; Plin. n.h. 33.1 (6) 19. V.J. CAGE’ ‘Hersilia’ et les ‘Hostilii’ in AC. 38 (1959) 255 ss.; E. MONTANARI, Il mito degli Orazi e Curiazi (1972), ora in Roma Momenti di una presa di coscienza culturale 63. Già nel 367 a.C. un tempio alla dea Concordia era stato votato dal console Camillo ed è significativa la concomitanza di tale scelta religiosa con le riforme costituzionali di quell’anno. Per le fonti: Plut. Cam. 42; Ovid. fasti 1.639 ss. Cfr. A. MOMIGLIANO, Camillus and the Concorde, in CQ. 36 (1942) 11 ss.; E. MONTANARI, Mito e storia 40, 87 ss. | |
55. | F. D’IPPOLITO, Gli Ogulnii e il serpente di Esculapio, in Ricerche 2.157 ss. | |
56. | TH. MOMMSEN, Die Remuslegende, in Gesammelte Schriften 4 (1906, rist. 1965) 1 ss. | |
57. | G. FRANCIOSI, Preesistenza della ‘gens’ e ‘nomen gentilicium’ 8 ss. | |
58. | D. SABBATUCCI, Lo Stato 56 ss.; E. MONTANARI, Identità culturale 51 ss.; In., Mito e storia 42. | |
59. | E. MONTANARI, Nomen Fabium 84 ss. | |
60. | E. MONTANARI, Nomen Fabium 257 ss.; In., Mito e storia 82 ss. Sulla funzione culturale della deformazione della storia v. D. SABBATUCCI, Lo Stato 23 ss., 41 ss.; E. MONTANARI, Identità culturale 60, ove l’a., tra l’altro, scrive: “ Quand’anche nuove scoperte archeologiche modificassero in toto l’immagine delle origini propostaci dalla elaborazione annalistica, le suddette tecniche potrebbero aiutarci a capire perché i pontefici e, dopo di loro, gli annalisti e gli storiografi, avvertissero l’esigenza di alterare, senza sostanziali discordanze, la memoria di quelle origini ”. Le tecniche cui l’A. si riferisce sono quelle di decifrazione delle fonti in chiave antropologica. V. anche ID., Mito e storia 20 ss. | |
61. | Sul dies Alliensis v. Liv. 5.38.1-10. La legazione Fabiana a Chiusi è in Liv. 5.35.5. La narrazione dell’incendio gallico è in Liv. 5.42.8-10. Che siano proprio i Fabi ad essere inviati in legazione a Chiusi non è certo casuale, tenuto conto delle loro origini e delle loro clientele chiusine. Al riguardo v. TLE. 65; 471; CIL. 11.2202a; 2208. Cfr. S. MAZZARINO, Il pensiero storico classico 2.247; E. MONTANARI, Nomen Fabium 113, 149 ss.; A. RUGGIERO, Mito e realtà 262 ss. C. AMPOLO, La nascita della città, in Storia di Roma 172 ss. Sulla tradizione dell’incendio gallico va notato che Polyb. 2.18.1 ss.; 22.45, riferisce di una guerra tra Galli e “ Romani e i loro alleati ” e del successivo sacco di Roma, senza menzionare il ruolo dei Fabi. Non può, però, sfuggire il carattere alquanto sommario della narrazione, che si comprende ove la si inserisca nel contesto che le è proprio, ossia i primi due libri delle storie di Polibio che hanno una impostazione deliberatamente introduttiva e riepilogativa di tutta la storia romana anteriore alla 2^ guerra punica, come si evince da Polyb. 1.3.1; 3.10; 13.1; 14.1. Lo storico greco si limita a riassumere le linee essenziali della storia romana fino al III sec. a. C., poiché il suo obiettivo prioritario è quello di narrare in modo approfondito le vicende che si collocano fra il 216 a. C. e il periodo di cui è contemporaneo. Ciò è tanto più plausibile, ove si consideri che, per Polibio, Fabio Pittore non è attendibile, essendo “ in una situazione simile a quella degli innamorati ” (Polyb. 1.14.2). | |
62. | L’iniziativa militare di Q. Fabio Rulliano è in Liv, 8.30.1-13. 11 ruolo di questo personaggio è simmetrico – con inversione di caratteristiche – a quello del Cunctator, tanto da lasciar ipotizzare una precisa costruzione narrativa di modelli tipici. Sul tema v. E. MONTANARI, Mito e storia 23, 24 nt. 51, 83. | |
63. | Plut. Cam. 22.4; Liv. 5.40.9-10. Cfr. M. SORDI, I rapporti romano-ceriti e l’origine della civitas sine suffragio (1960) 49 ss., che identifica il Lucio del fr. 568 Rose di Aristotele con il L. Albinus della tradizione romana; J. GAGE’, Le chariot d’Albinius et le transfert des sacra au temps de l’invasion gauloise à Rome, in Homm. J. Bayet (1964) 214 ss.; S. MAZZARINO, Il pensiero storico classico2.251. | |
64. | Cfr. D. SABBATUCCI, Lo Stato 101 ss.; 171 ss. | |
65. | E. MONTANARI, Mito e storia 51 ss. | |
66. | D. SABBATUCCI, Lo Stato 171 ss. | |
67. | G. FRANCIOSI, Clan gentilizio 24 ss. e bibl. ivi. | |
68. | Liv. 22.12.6-11; Plut. Fab. Max. 5.2. Per l’etimologia V. A.WALDE – J. B. HOFFMANN, Lateinisches etymologisches Wörterbuch (1954) sv. Cunctor; A. ERNOUT – A. MEILLET, Dictionnaire étymologique de la langue latine, sv. Cunctor. Cfr. E. MONTANARI, Nomen Fabium 218 s. | |
69. | Liv. 22.12.6; Plut. Fab. Max. 5.3. | |
70. | Liv. 24.8.1-20; Plut. Fab. Max. 4.5. Su questi passi cfr. E. MONTANARI, Nomen Fabium 191 ss. | |
71. | Liv, 22,9.7-10; Fest.-Paul. sv. Ver sacrum (L. 519). Per un’analisi del rituale v. G. FRANCIOSI, Clan gentilizio 117 ss. | |
72. | Sulla “fides punica” Liv. 30.30.27. Sulla “ fraus punica” Liv, 22.48.2, 26.17.15, 27.33.10, 30.22.6. | |
73. | Liv. 1.53.4. | |
74. | Polyb. 1.14.1 aveva rilevato l’atteggiamento filo-romano di Fabio Pittore e ne aveva preso le distanze. Sul ruolo di Fabio Pittore durante la II guerra punica v. E. MONTANARI, Mito e storia 50 ss.; F. D’IPPOLITO, Sulla giurisprudenza 33 ss. | |
75. | Liv 22.9.7-10; 22.10.9. | |
76. | Diod. 4.83.1; Polyb. 1.55.7-9; Strabo 6.272; Cic. pro Q. Caecil. 17.55. Cfr. R. SCHILLING, La réligion romaine de Vénus (1953) 234 ss.; S. MOSCATI, I Fenici e Cartagine (1972) 538 ss.; E. MONTANARI, Nomen Fabium 210 ss.; D. ROUSSEL, Les Siciliens entre les Romains et les Carthaginois à l’époque de la première guerre punique (1970) passim. | |
77. | Liv. 21.41.6 ss.; Polyb. 1.58.2; Diod. 24.1.10; Zonar. 8.16. cfr. G. DE SANCTIS, Storia dei Romant2 3 (1907) 173 ss. | |
78. | E. MONTANARI, Nomen Fabium 21 ss. | |
79. | Verg. Aen. 5.759 ss.; Serv. ad Aen. 1.720: … est (Venus) et Erycina, quam Aeneas secum advexit. V. al riguardo, M. Sordi, Il mito troiano 17 ss. | |
80. | In CIL. 10.7257 — risalente al 20 d.C. — I’Apronius Cassianus rende grazie alla dea per una vittoria riportata sui Numidi. Sulle monete impresse dai Considii nel 60 e nel 40 a. C., la dea del monte Erice è coronata di alloro e di un diadema; nel verso è rappresentata la dea Vittoria con la quadriga. Su tale iconografia v. G. K. GALINSKY, Aeneas, Sicily and Rome (1969) 186 ss. | |
81. | Cic. de off. 3.29; Cfr. E. MONTANARI, Nomen Fabiunz 215. | |
82. | G. DUMÈZIL, La religione romana arcaica 172 ss.; 496 ss. | |
83. | G. WISSOWA, Religion und Kultus der Römer2 (1912) 62; 314. | |
84. | F. ALTHEIM, Römische Religionsgeschichte 1 (1931) 92. | |
85. | A. WALDE – J. B. HOFFMANN, Lateinisches etymologisches Wörterbuch, sv. mens; A. ERNOUT – A. MEILLET, Dictionnaire, sv. mens. | |
86. | E. MONTANARI, Nomen Fabium 221 ss.; 253. | |
87. | E. MONTANARI, Nomen Fabium 223 ss. Cfr. J. BAYET, La religione romana (tr. 1992) passim. | |
88. | Sul culto di Juppiter Stator v. G. DUMÈZIL, La religione romana arcaica 55, 174; D. SABBATUCCI, La religione di Roma antica 30 ss., 134. | |
89. | V. E. MONTANARI, Nomen Fabium 214 s. | |
90. | CIL. 3.78 (iscrizione votiva rinvenuta in Dacia ad Ulpia Traiana). La ricorrenza calendariale di Mens (8 giugno) è immediatamente successiva a quella di Dius Fidius, il 5 giugno. AI riguardo v. G. VACCAI, Le feste di Roma antica (rist. 1986) 62; D. SABBATUCCI, La religione di Roma antica 196 ss, Su Dius Fidius v. G. DUMÈZIL, La religione romana arcaica 184. | |
91. | Cic. de off. 3.29. Cfr. le osservazioni del MONTANARI in Nomen Fabium 216 ss. | |
92. | L’aspetto propagandistico, pur riconosciuto, è considerato secondario da A. MOMIGLIANO, Linee per una valutazione 284, mentre è più accentuato da E. GABBA, Considerazioni 164 ss. e da E. MONTANARI, Mito e storia 54. Per F. D’IPPOLITO, Sulla giurisprudenza 40, l’elemento propagandistico è solo consequenziale rispetto all’inserimento del mito nella storiografia romana. | |
93. | Sul profilo della psicologia collettiva dopo la seconda guerra punica – e i suoi rapporti coi “ culti di evasione ” – v. G. FRANCIOSI, Clan gentilizio 24 ss. Credo, comunque, che il fenomeno del culto bacchico rispondesse a spinte diverse da quelle che indussero alla consultazione dell’oracolo delfico. In questo caso, infatti, la nobilitas senatoria opta per un culto più congeniale alla religione ufficiale e al mos maiorum. V. al riguardo G. DUMÈZIL, La religione romana arcaica 383 ss.; 413 ss.; F. D’IPPOLITO, Sulla giurisprudenza 41; 47 ss. Per un inquadramento storico generale della situazione di Roma, durante e dopo la seconda guerra punica, v. A. J. TOYNBEE, L’eredità di Annibale 1. 367 ss.; 2. 126 ss., 458 ss. | |
94. | Per i sacra peregrina v. F. D’IPPOLITO, Sulla giurisprudenza 52 e bibl. ivi, | |
95. | F. D’IPPOLITO, Sulla giurisprudenza 41 ss. Cfr. G. DUMÈZIL, La religione romana arcaica 383 ss., 413 ss. | |
96. | Sul ver sacrum v. Fest, sv. Mamertíni (L. 150); sv. Ver sacrum (L. 519). V. al riguardo G. FRANCIOSI, Clan gentilizio 138 ss. e bibl. ivi. | |
97. | Liv. 23.11.1-6; Plut. Fab. Max. 18.3; Appian. Hann. 27. | |
98. | A. MOMIGLIANO, Linee per una valutazione 276 ss.; F. D’IPPOLITO, Sulla giurisprudenza 37, 43. | |
99. | V. retro, n. 4 e, in particolare, la testimonianza di Liv. 22.9.7-10. | |
100. | Cfr. E. MONTANARI, Nomen Fabium 164 ss. | |
101. | Liv. 2.50.11, 59.1-2, 5.46, 5.52.3. Cfr. E. MONTANARI, Nomen Fabium 99 ss., 123 ss., 152, | |
102. | Liv. 23.11.1-6. Cfr. S. MAZZARINO, Il pensiero storico classico 2.215 ss. | |
103. | Cfr. S. MAZZARINO, Il pensiero storico classico 2.246 ss. | |
104. | Cfr. A. LA PENNA, Aspetti del pensiero storico latino (1978) 51; F. D’IPPOLITO,Sulla giurisprudenza 36. | |
105. | F. D’IPPOLITO, o. u. c. 36. | |
106. | F. D’IPPOLITO, Sulla giurisprudenza 33 ss. | |
107. | F. D’IPPOLITO, o. o. c. 42 ss. ove l’a. riprende le considerazioni di A. MOMIGLIANO, Linee per una valutazione 277 s. | |
108. | Liv. 5.36.5. | |
109. | A. MOMIGLIANO, Linee per una valutazione 277. | |
110. | F. D’IPPOLITO, Sulla giurisprudenza 42 s. | |
111. | Sulle statuette fittili di Veio v. A. ROSTAGNI, Storia della letteratura latina 1. 20, 26 e lett. ivi. | |
112. | Sulla iscrizione di Lavinium v. A. ROSTAGNI, Storia della letteratura latina 1. 20 ss. e lett. ivi. | |
113. | A. ROSTAGNI, Storia della letteratura latina 1. 127 e lett. ivi. | |
114. | Cfr. E. GABBA, Considerazioni 142; A. MOMIGLIANO, Linee per una valutazione 282, il quale pone l’accento sull’influenza esercitata da Timeo di Tauromenio non solo sui primi annalisti ma anche su autori più tardi, quali Varrone e Cicerone. Decisiva la testimonianza di Plut, Rom. 3, sull’accoglimento da parte di Fabio Pittore della versione narrata da Diocle di Pepareto. | |
115. | Sulla portata della narrazione storica di Filino di Agrigento e il suo rapporto dialettico con la prima annalistica romana v. E. GABBA, Considerazioni 142 ss.; F. CASSOLA, I gruppi politici romani nel III secolo a. C. (1962) 356 ss, | |
116. | F. CASSOLA, I gruppi politici 210 ss.; A. J. TOYNBEE, L’eredità di Annibale 1. 166 ss., 396, 417 ss | |
117. | Sulla famiglia degli Ogulnii v. F. D’IPPOLITO, Gli Ogulnii e il serpente di Esculapio 17 ss. | |
118. | F. D’IPPOLITO, Gli Ogulnii e il serpente di Esculapio 158 ss. | |
119. | F. D’IPPOLITO, Gli Ogulnii e il serpente di Esculapio 159. | |
120. | A. J. TOYNBEE, L’eredità di Annibale 1.166 s., 396. | |
121. | A. J. TOYNBEE, L’eredità à Annibale 1.417 ss. | |
122. | TH. MOMMSEN, Die Remuslegende 1 ss. | |
123. | FR. MÚNZER, Römiscbe Adelsparteien und Adelsfamilien (rist. 1963) 87. |
Stefano Arcella, I FABI E LA TRADIZIONE ANNALISITICA, in Ricerche sulla organizzazione gentilizia romana (a cura di Gennaro Franciosi),III, Jovene, Napoli, 1995 (fonte: www.ereticamente.net)