L’area sacra del Palatino: nuove acquisizioni – Paolo Galiano
Gli scavi archeologici degli ultimi trent’anni hanno consentito di rivedere in modo più ampio e completo la sistemazione della zona sud-ovest del Palatino in corrispondenza dell’area descritta dagli autori romani come quella sacra alle origini dell’Urbe e al suo fondatore: se andiamo all’indietro nel tempo è dimostrata l’esistenza di strutture di templi e di edifici privati risalenti al periodo tra la fine dell’epoca monarchica e la prima fase della Repubblica (1), strutture a loro volta costruite su di una complessa rete di canali e di cisterne scavati nel terreno vergine del colle e su di un abitato stabile sviluppatosi attraverso varie fasi tra il X e l’VIII secolo, a sua volta nato sopra un insediamento che si può datare almeno al Paleolitico Superiore, del quale rimangono numerosi manufatti litici, tutti elementi che attestano il persistere dell’insediamento umano per secoli e millenni fino alla nascita del primo nucleo urbano attribuito convenzionalmente a Romolo (2). L’area sud occidentale del Palatino è stata considerata dall’antichità il luogo più sacro di Roma: qui venne tracciato il solco che ne delimitò i confini e si scavò la fossa del mundus con la quale si strinse il patto con gli Dèi, qui vi furono eretti i primi luoghi di culto accanto alla regia, forse da identificare con la prima delle curiae che costituirono l’ossatura civile della città, la Curia Saliorum in cui erano conservati gli strumenti sacri, i simboli di Marte e il lituo del fondatore. I ritrovamenti degli archeologi tra la fine del XIX e gli inizi del XXI hanno portato alla luce vestigia che confermano le parole di Livio, di Cicerone, di Dionigi d’Alicarnasso ed altri autori, confutando l’accusa di tardiva leggenda avanzata da alcune scuole nei confronti dell’esistenza o meno di una tradizione mitistorica romana sulla cui base identificare i monumenti ritrovati (3). Ma, d’altra parte, che il fondatore si chiami Romolo o con un altro nome, che il tracciato originario sia sulla cima del Palatino o alle sue pendici, che la grotta del Lupercale dove trovarono rifugio i Gemelli si trovi a sud o ad ovest del colle, sono discussioni che non influenzano la realtà di ciò che qualcuno in qualche modo e secondo un qualche rituale ha realizzato in un tempo che può essere situato alla fase finale dell’Età del Ferro laziale (circa tra il 750 e il 650, a seconda delle stime cronologiche – 4) o, ancora prima, all’inizio di essa (circa tra il 1020 e il 950), se si prende come riferimento la capanna più antica del Germalo (5) sulla quale vennero costruite le fasi successive dell’insediamento (6).
Quella che Romolo fonda alla data canonica del 753 è una vera e completa città e non un semplice agglomerato di uomini e di capanne, perché “le più recenti scoperte archeologiche di età regia a Roma attestano, già nel corso dell’VIII sec. a. C. l’emergere degli indicatori – santuari e spazi pubblici e politici [cioè una regia] – ritenuti necessari dalla critica per la definizione della forma urbana” (7), e la città romulea ha i suoi poli fondamentali nell’insieme costituito dalla regia, dal santuario di Marte e di Ops e dal mundus, tre elementi che traggono la loro origine da una realtà precedente, un villaggio della prima Età del Ferro di cui rimane il fondo di una capanna entro la quale vennero costruite la domus regia e il probabile santuario di Marte e Ops, di fronte alla quale si trova la tomba ad inumazione che venne identificata con il mundus romuleo, di cui diremo più avanti. Per comprendere meglio la portata delle scoperte più recenti e limitandoci alla sola area sud-ovest del Palatino, anche se molti altri elementi di rilevante importanza sono comparsi negli scavi che hanno interessato tutto il colle, daremo un sintetico resoconto descrivendo la zona come se fosse suddivisa in tre parti distinte FIG. 1, rispettivamente il settore di nord-est corrispondente al tempio di Vittoria, il settore sud, dove Vaglieri nel 1907 trovò le cosiddette “capanne romulee”, e il settore nord-ovest del tempio della Magna Mater.
(Figura 1 – Pianta dell’area sud-ovest del Palatino: abbiamo suddiviso l’area in tre settori: nel settore nordest b indica il tempio di Vittoria con la fossa ipogea d e le due cisterne f e g, c è il c. d. auguratorium e x, evidenziato dalla stella, il supposto tempio di Juno Sospita/Caprotina, a destra la c. d. “casa di Livia” dove la stella segna il luogo della tomba arcaica con cisterna; nel settore sud accanto alla stella il complesso e “capanne romulee” con n aedes Romuli e tomba-mundus, m le scalae Caci e z la via tecta; nel settore nordovest la stella indica in v l’area del supposto tempio di Pales con l’impronta della capanna e i cunicoli della camera ipogea in prossimità di a il tempio di Cibele con o le dipendenze del tempio (da Pensabene e Coletti, Acqua per gli uomini, modificato).
Settore nord-est: il tempio di Juno Sospita/Caprotina (?), le cisterne e le favissae
Nell’area tra il tempio di Vittoria, il c. d. Auguratorium (interpretato ora come la aedicula Victoriae Virginis – 8) e la Domus Tiberiana sono state ritrovate tracce di un’occupazione risalente al Paleolitico Superiore (ed anche di età ancora precedente, stando ad un piccolo numero di manufatti) rappresentata da strumenti litici contenuti all’attuale quota di 42 metri s. l. m. in uno strato di depositi fluviali (9). Lo strato di depositi fluviali, presente sia qui che sul vicino Capitolium, racconta la tormentata storia geologica dei colli di Roma, costituiti da strati di origine fluvio-lacustre su cui poggiano i tufi delle colate laviche del Monte Albano e di nuovo sedimenti fluviali, a causa dell’alternanza di innalzamento ed abbassamento del suolo, fase in cui il Tevere e i suoi affluenti hanno scavato le vallate che separano i rilievi attuali dell’area romana (10). Sopra lo strato preistorico sono state riportate alla luce le vestigia di un grande tempio, di dimensioni maggiori rispetto all’Auguratorium- aedicula che venne successivamente costruito ad un livello superiore, da riferire agli inizi della Repubblica (11) e forse dedicato a Juno Sospita sulla base dei reperti ceramici (antefisse raffiguranti una divinità femminile adorna di corna caprine, il che la rende più vicina alla Juno Caprotina – 12) recuperati da una vicina cavità ipogea (sulla quale successivamente venne eretto il tempio di Vittoria), una favissa contenente materiali probabilmente provenienti dal tempio più antico, tra cui alcuni frammenti nei quali sono iscritte le lettere V e N da riferire al nome Juno o al corrispondente etrusco Uni. Al di sotto del fondo della struttura ipogea sono stati rinvenuti due cunicoli, forse da identificare come arcaiche cave di tufo in quanto non sono state osservate tracce di utilizzo come condotti idrici, a differenza di altri cunicoli quali quelli sottostanti la vicina “casa di Livia” (13) e numerosi altri ritrovati nell’area palatina, foderati con un rivestimento impermeabilizzante (14). A questo edificio templare apparteneva una grande cisterna rettangolare scavata nel tufo del piano originario del Palatino (15), di cui un esempio analogo sembra potersi riscontrare in prossimità della parete ovest della grande capanna protostorica della c. d. “area delle capanne” (16). La presenza di questo tempio del VI secolo forse dedicato a Juno Sospita-Caprotina e la sua successiva sostituzione con il tempio di Vittoria nel 294 fanno pensare all’esistenza sul Palatino del culto di una divinità arcaica risalente ad un tempo ancora precedente, come sembra attestare Dionigi di Alicarnasso quando parla di un recinto dedicato a Vittoria risalente al tempo mitico di Evandro (17), segno del persistere di un culto femminile nell’area sud-ovest del Palatino, ulteriormente confermato dalla fondazione del tempio della Magna Mater nel 204, culto che ha per soggetto una divinità femminile, conosciuta almeno fin dall’età monarchica nelle diverse forme della Ops del santuario della “area delle capanne” di VIII secolo, dell’arcaica Vica Pota (18), in cui nome significa “vittoria e potere”, e di Juno Sospita, analoga alla divinità poliade della città di Lanuvium. Ritorniamo alla cavità ipogea sottostante il tempio di Vittoria: essa fa parte di un ampio e complesso sistema di ipogei e di cunicoli scavati nel tufo del Palatino in buona parte individuato nei recenti scavi: si tratta in parte di cunicoli per l’estrazione del tufo necessario alle costruzioni sacre e profane che vennero erette in quest’area del Palatino tra la fine della monarchia e il periodo alto-repubblicano, in parte di cisterne a cielo aperto o sotterranee, di cui alcune successivamente vennero trasformate in luoghi sacri (19). L’ipogeo del tempio di Vittoria è, come si è detto, una favissa in quanto priva del rivestimento impermeabile caratteristico delle cisterne, probabilmente coeva al tempio di dedicazione ignota visto che l’ipogeo è tagliato dalle fondamenta del successivo tempio di Vittoria di inizio III secolo, mentre per altre tre cisterne, di cui due ritrovate nel 1896 (scavi Gatti) e nel 1907 (scavi Vaglieri) e la terza sotto la c. d. “casa di Livia”, è possibile la loro trasformazione in luoghi sacri, come sarebbe dimostrato non solo dal fatto che esse sono state mantenute intatte non ostante la costruzione di nuovi edifici accanto o sopra di esse (20) ma anche dalla presenza di una piccola fossa votiva contenente ceramica intatta del VI secolo come offerta di fondazione pertinente alla cisterna semicircolare situata presso l’angolo sud-est del tempio di Vittoria e rispettata dal podio del tempio (21).
Per quanto concerne la cisterna sotto la c. d. “casa di Livia” essa è situata presso una tomba ad incinerazione contenente i resti di un giovane di circa 20-22 anni, risalente alla fase Laziale II A2 (corrispondente circa al 980-950): il complesso tomba-cisterna venne inglobato senza che il nuovo edificio intaccasse la preesistente sepoltura (22). La tomba viene considerata “come appartenente ad una figura particolare, che potrebbe aver esercitato un ruolo legato all’àmbito religioso. Questo potrebbe spiegare il seppellimento in un’area, quella del Palatino, parte integrante e centrale dell’abitato già dalla fase II A” (23). Altre quattro tombe protostoriche del X secolo, oltre quelle della nota necropoli del Foro davanti al tempio di Antonino e Faustina, sono state portate alla luce nella zona dell’arco di Augusto, localizzato dal Coarelli tra l’aedes divi Iulii, il tempio dei Castores e quello di Vesta (24), ma per queste tombe non vi sono elementi per pensare ad una loro sacralizzazione, a differenza di quella della “casa di Livia”.
Settore sud: aedes Romuli e mundus
L’area delle “capanne romulee” è ben conosciuta a partire dagli scavi del 1907 FIG. 2: essa è costituita dai fondi di quattro capanne di età protostorica, il maggiore pertinente ad una capanna di maggiori dimensioni con orientamento nordovest-sudest, successivamente sostituita da tre capanne, costruite in tempi diversi secondo gli studi della Falzone: stabilire una cronologia assoluta dell’abitato non è possibile, l’unico riferimento può essere dato dai reperti ceramici che possono essere datati tra il Periodo Laziale IIA e IIB (circa tra il 1020 e l’800 secondo la cronologia di Bettelli) (25). Analogamente il vicino sepolcreto, comprendente sia tombe ad inumazione (una seconda fossa rettangolare venne trovata dal Vaglieri ad est di quella poi trasformata in memoria sacra) che pozzetti circolari per le incinerazioni, tutti scavati nel tufo vergine del colle, presenta somiglianze per le dimensioni delle fosse con quello del Foro, di cui è possibile la datazione all’inizio del Periodo laziale AII (quindi intorno al 1020) sulla base dei corredi, che sono invece assenti nelle tombe di quest’area.
(Figura 2 – Settore sud: particolare dei fondi della “capanne romulee”; la stella indica il recinto in cui si trova la tomba-mundus (da Falzone, L’abitato preistorico, modificato).
L’area delle “capanne romulee” e della necropoli protostorica fu in parte ricoperta o distrutta dai successivi rifacimenti dell’area, causati dal grande riassetto urbanistico della regione con la nascita di un abitato a sempre maggiore densità tra la fine dell’età regia e l’inizio della Repubblica, con la sola eccezione dell’area sacra ritenuta in diretta connessione con il fondatore della città (26), area sacra costituita dal complesso mundus-altare-aedes Romuli che, pur essendosi formato pienamente in età repubblicana, rimase integro fino quasi alla fine della Repubblica sia come monumento che come ricordo storico. La sua storia archeologica è lunga e complessa: di fronte ai fondi di capanne portati alla luce nel 1907 FIG. 3 e FIG. 4 Vaglieri trovò una fossa rettangolare (27), pertinente ad una tomba ad inumazione. tagliata nel tufo originario del Germalo e coperta da una lastra di tufo spezzata in due parti che appariva spostata fin dal tempo antico dalla sua posizione originaria FIG. 5, contenente uno skyphos integro del IV sec. FIG. 6 e frammenti di vasi a suo giudizio non assimilabili alla coeva cultura etrusca in quanto essi, secondo le sue parole (28), in parte “mostrano caratteri che ci riportano ad altre famiglie di più antica immigrazione”, tra cui un vaso (29) che per “tecnica e forma non ha riscontro in Etruria ma piuttosto trova somiglianza tra i fittili delle necropoli della regione pontina”. Questa è la tomba che il Di Nardo identificò con la tomba di Ercole, secondo l’interpretazione da lui data della predizione di Carmenta nelle Historiae di Tito Livio (30), con una evidente sforzatura del testo liviano.
(Figura 3 – Il piano delle c d. “capanne romulee” di epoca protostorica conservate fino al tempo della costruzione del tempio di Cibele, quando vennero seppellite sotto la platea del tempio, mentre il complesso mundus-aedes Romuli veniva conservato – foto da Internet).
(Figura 4 – Ricostruzione dell’area della aedes Romuli: 1 la fossa-mundus coperto da 3 la lastra di tufo e 2 l’altare originario; 6 l’altare repubblicano racchiuso nel sacello indicato da 4 e 5 (da Carafa e Bruno, Il Palatino messo a punto, modificato).
(Figura 5 – La tomba-mundus al momento della scoperta nel 1907: Vaglieri notò che la lastra di tufo che copriva la fossa era spostata dalla sua sede come se fosse stata già aperta in passato – Accademia dei Lincei, Notizie degli scavi 1907, p. 193 fig. 9).
(Figura 6 – Il vaso di IV sec. rinvenuto intatto da Vaglieri nella tomba-mundus – Accademia dei Lincei, Notizie degli scavi 1907, p. 193 fig. 10).
In età romulea la tomba divenne un luogo di culto al quale fu annesso un altare, la cui antichità è dimostrata dall’essere anch’esso scavato nel tufo del colle FIG. 7: questo complesso tomba-altare nel tardo VI secolo venne racchiuso in un tempietto e un secondo altare fu eretto sul nuovo livello del terreno ma sempre in corrispondenza di quello originario (31) (come avvenne in àmbito cristiano con gli altari della Basilica di san Pietro costruiti l’uno sull’altro sopra la tomba di Pietro). In seguito, nello stesso periodo, il tempietto con quello che era considerato il mundus di Romolo venne inglobato in un più ampio sacello, che forse conteneva anche il corniolo fiorito dalla lancia scagliata da Romolo sul Palatino al tempo della fondazione di Roma che era conservato presso le scalae Caci: questo complesso, identificabile con la aedes Romuli degli autori latini, rivestiva una tale importanza che per fare spazio alla nuova costruzione venne ridotta l’area sacra di fronte al tempio di Vittoria (32). Ci troviamo quindi in presenza di un complesso analogo all’heroon di Enea a Lavinium, dove intorno al IV secolo su di una tomba dell’Età del Ferro si instaura un culto con l’erezione di una costruzione che racchiude l’insieme della tomba con le offerte votive originarie e quelle deposte nel tempo successivo.
(Figura 7 – Pianta e sezione degli scavi della necropoli ad est delle c d. “capanne romulee” nel disegno del Vaglieri, che le portò alla luce nel 1907: la freccia superiore indica la tomba ad inumazione identificata con il mundus, in basso la freccia a sinistra indica l’altare scavato nel tufo accanto ad essa, quella di destra il successivo altare di età repubblicana – da Vaglieri, Notizie degli scavi, modificato).
Settore nord-est: il complesso capanna-cunicoli-cisterna del tempio della Magna Mater
Forse il più rilevante apporto dei recenti scavi è il ritrovamento di una seconda serie di impronte di capanne riferibili al IX-VIII sec. nella regione posta ad ovest del tempio della Magna Mater FIG. 8, contemporaneo a quello delle già note “capanne romulee” a sud del tempio, di cui mantiene lo stesso asse nordest-sudovest; sopra di esse venne costruito un edificio di attribuzione incerta, mentre al disotto di queste capanne erano stati scavati nel tufo vergine del Palatino un complesso così descritto dai suoi scopritori (33): “al di sotto di un nucleo di capanne di cui restano ben conservati il perimetro intagliato nella roccia e le buche dei pali” venne trovata “un’ampia struttura ipogea articolata in più corridoi. Il braccio principale termina in una sorta di vano circolare dal profilo leggermente ogivale, l’imboccatura del quale originariamente comunicava con l’area delle capanne”. All’epoca imperiale risale invece un condotto che metteva in comunicazione la camera circolare, oramai divenuta una cisterna, con il sottostante clivus Victoriae. Nella struttura circolare Pensabene ritiene di poter identificare un mundus e nell’insieme corridoi-camera un templum sub terra, per cui l’insieme costituirebbe un centro sacrale, ancora rispettato al tempo di Adriano, quando vennero costruite le nuove sostruzioni del Palatino le quali lo circondarono senza intaccarlo. Il carattere ctonio del templum sub terra ha a Roma diversi esempi: oltre il mundus che quattro volte l’anno veniva aperto, sono conosciuti l’altare del Terentum dedicato a Dis Pater sulla via Triumphalis, che partendo dalla Porta Carmentalis si dirigeva a Veio (34), e quello di Consus nel Circo Massimo, altari che venivano dissotterrati solo in coincidenza dei riti periodici che si facevano in onore di questi Dèi; a Caere è stato ritrovato un centro cultuale simile, costituito da un lungo corridoio scavato nel tufo che portava ad una camera di forma rettangolare con gli spigoli perfettamente orientati come nel templum in terra e in coelo determinati dall’àugure per la presa dell’auspicium.
Se l’identificazione del Pensabene fosse corretta, ciò indicherebbe nel mundus del settore est del Palatino non solo il più antico esempio di questa struttura ma ne farebbe un sicuro segno di una ritualità già ben sviluppata fin dai primordi dell’Urbe. Si abbia presente che “divinità ctonie” non significano di divinità sotterranee pericolose e/o malvagie, ma in esse vanno identificate i poteri di nascita e ri-nascita collegati con gli Antenati (35), a cui è proprio il compito di assicurare l’esistenza dei loro discendenti nel tempo sia come individui (attraverso il germogliare dei frutti e quindi l’alimentazione) sia come gruppo sociale (generazione di nuovi figli) ma anche esistenza sul piano del sacro perché sono essi ad aver compiuto per primi i riti che uniscono nella religio gli uomini e gli Dèi. La possibile identificazione tra mundus sub terra e Lares è confermato dalle iscrizioni del simile templum sub terra di Caere, risalenti all’epoca dei Severi, dalle quali si può concludere che esso nell’epoca romana era sede dei rituali dei Rosalia (36) dedicati appunto ai Lares (37).
(Figura 8 – Settore nordovest: L indica l’area del supposto tempio di Pales con M la camera ipogea e i cunicoli, a destra il tempio della Magna Mater A e in basso le c d. “capanne romulee” J e la aedes Romuli K (da Coletti e Pensabene, Forme rituali, modificato).
Sul piano al di sopra delle capanne alcune resti di mura lasciano ipotizzare l’esistenza di una grande costruzione, che non è ancora possibile interpretare non essendo stati pubblicati integralmente i risultati dello scavo, il cui orientamento risulta parallelo a quello del tempio di Vittoria e divergente rispetto al tempio della Magna Mater. Nella zona ad est di esso sono state ritrovate due piccole costruzioni (anch’esse con asse parallelo sia all’edificio che al tempio di Vittoria) che furono interrate per formare il nuovo piano su cui erigere un edificio probabilmente di servizi per il tempio della Magna Mater: l’obliterazione di esse contiene frammenti ceramici in parte risalenti al periodo protostorico (38): la presenza di questi frammenti coincide con la fase finale di occupazione dell’area delle capanne, che distano circa 50 metri dalle due costruzioni, e trattandosi in gran parte di materiale di natura votiva è possibile ipotizzare che provenissero da una struttura templare esistente sopra di esse. La struttura potrebbe essere identificata con un edificio templare e precisamente con il tempio di Pales (39), che le fonti letterarie pongono in rapporto di vicinanza con quello della Magna Mater, oppure con la Curia Acculeia dove, attesta Cicerone, si eseguivano i riti in onore di Acca Larentia, la nutrice dei Gemelli ritenuta la madre dei Lares, il primo dei quali era detto essere Romolo, la cui aedes si trova non a caso a poca distanza in direzione sud-est rispetto all’area occupata da queste capanne. Se così fosse, sia il tempio di Pales che la Curia Acculeia costituirebbero una fase più complessa del templum in terra dell’area delle capanne del settore ovest, connesse come si è detto ad un probabile culto dei Lares.
Conclusione
Sulla base degli ultimi ritrovamenti nell’area sud-ovest del Palatino è possibile ricostruire l’esistenza di un villaggio di X-VIII secolo insediato nella parte meridionale e occidentale del colle a cui corrisponde una necropoli che giunge fino a quella che sarà più tardi la “casa di Livia”, un abitato ben strutturato, nel quale accanto alle capanne si trovano non solo silos per la conservazione delle derrate alimentari ma anche un complesso sistema idrico fatto di cisterne e di canali, indice di un’organizzazione non trascurabile delle familiae abitanti nel villaggio. Probabile l’esistenza di un soggetto a capo di questa società, un re-sacerdote (sulla base di analoghe strutture etno-antropologiche) le cui divinità, ereditate dagli antenati o dai suoi predecessori, erano quelle di riferimento per tutta la comunità; alcuni elementi fanno pensare che una delle capanne del settore sud fosse adibita al loro culto, a cui corrispondeva il possibile templum sub terra pertinente la zona ovest dell’abitato, forse sede di un culto degli Antenati/Lares. A questo primo villaggio fa seguito due secoli dopo, tra la fine dell’età monarchica e l’inizio della Repubblica, la costruzione di uno o forse due templi di grandi dimensioni, dedicati a divinità femminili, Pales e Juno Sospita/Caprotina (?), e la sacralizzazione di una fossa di sepoltura ad inumazione nella quale viene identificato il mundus (o prima ancora l’heroon del fondatore, come a Lavinium?) della città ormai sviluppatasi integralmente, accanto nella quale viene intagliato nel tufo vergine un altare poi sostituito ad un livello superiore con un nuovo altare, a cui fa seguito la costruzione di un recinto o di un sacello che li comprende, costruzione di tale significato da far ridurre l’area del tempio di Vittoria che ha sostituito nel III secolo quello di Juno Sospita/Caprotina. Se a questa ricostruzione della Roma sul versante sud del Palatino si aggiungono i risultati ottenuti dagli scavi di Carandini e dei suoi collaboratori alle pendici settentrionali del colle (40) si ha la visione di una città ben difesa da una cerchia muraria con i suoi luoghi arcaici di culto rappresentati dal primo tempio di Vesta e dalla prima regia, una città fatta di piccole costruzioni e di edifici privati che vanno progressivamente assumendo dimensioni sempre più maggiori, dimore delle grandi familiae, da cui nascerà secolo dopo secolo la classe dei guerrieri e degli agricoltori, degli studiosi e degli artisti che faranno la grandezza dell’Urbe.
Note:
1 – P. PENSABENE, Venticinque anni di ricerche sul Palatino, i santuari e il sistema sostruttivo dell’area sud ovest, in “Archeologia classica”, 53 (2002), pp. 65-136, li data sulla base dei reperti trovati in loco tra il 540 e il 520 (p. 72).
2 – Per inciso, il recente (2019) e pessimo film “Il primo re” dimostra la totale ignoranza di chi ne ha scritto la sceneggiatura (a parte la falsificazione della storia mitica esaurientemente descritta dagli storici fin dal II secolo a. C.), facendo dei primi romani una sorta di rozzi selvaggi di contro alla riconosciuta esistenza di un abitato organizzato e tecnicamente già evoluto da quasi due secoli prima della fondazione della città.
3 – Ad esempio, anche se talune osservazioni in merito alle deduzioni di Carandini sui “sacrifici rituali” e sull’attribuzione di alcune strutture da lui scavate, in particolare alle pendici settentrionali del Palatino, sono valide, Ampolo eccede a nostro parere nel negare in pratica totalmente la coincidenza tra mitistoria di Roma e ritrovamenti (C: AMPOLO, Il problema delle origini di Roma rivisitato: concordiamo, ipertradizionalismo acritico, contesti, in “Annali della Scuola Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia”, serie 5, 5/1 (2013), pp. 217-284.
4 – Per la ricostruzione del susseguirsi delle capanne sul Germalo si veda A. CARANDINI, La nascita di Roma – Dèi, Lari, Eroi e uomini all’alba di una civiltà, Torino 1997, p. 59 nota 53, il quale pone come data di costruzione per la prima capanna-regia il periodo tra 900 e 750 a. C. La cronologia assoluta segue le date secondo le stime dei manufatti in rapporto alla dendrocronologia proposte da M. BETTELLI, La cronologia della prima età del ferro laziale attraverso i dati delle sepolture, in “Papers of the British School at Rome”, 62 (1994), pp. 1-76. Le date salvo diversa indicazione sono da intendersi come avanti l’Era volgare.
5 – Gli studiosi moderni scrivono “Cermalo” ma troviamo più chiaro e significativo il termine “Germalo” adoperato da molti autori romani.
6 – F. COARELLI, Palatium, il Palatino dalle origini all’Impero, Roma 2012, dedica una complessa trattazione al tema se il Germalo vada o meno considerato una parte del Palatino e in quale punto di esso vada individuato il complesso costituito da domus Faustuli e aedes Romuli (da lui considerate una sola entità, p. 132) e curia Saliorum-aedes Romuli- santuario di Marte, identificato con il recinto sacro in cui era conservato il corniolo germogliato dalla lancia scagliata da Romolo (pp. 156-157), luogo che egli ritiene corrispondente all’auguratorium di Romolo (p. 160).
7 – A. CARANDINI, La leggenda di Roma, Milano 2006, vol. I p. 417.
8 – Aedicula eretta Da Catone il Censore nel 193.
9 – P: PENSABENE, Scavi del Palatino I, Roma 2001, pp. 30-31 e nota 20.
10 – R. FUNICIELLO, G. HEIKEN, D. DE RITA, M. PAROTTO, I sette colli, guida geologica, Roma 2006 (I ed. Princeton 2005), p. 40.
11 – P. PENSABENE, C. ANGELELLI, S. FALZONE, F. M. ROSSI, Testimonianze di attività cultuali nell’area nord-ovest del Palatino dalla fine del VII al V secolo a. C., in A. Coletti, S. Mele (editori), Depositi votivi e culti dell’Italia antica dall’età arcaica a quella tardo-repubblicana, Atti de Convegno (Perugia 2000), Bari 2005, pp. 95-109.
12 – Su Juno Caprotina come antica Dèa dell’albero sacro del fico femmina rinviamo a quanto scritto a proposito delle Nonae Caprotinae in P. GALIANO, Il tempo di Roma, Roma 2013, sub voce.
13 – La cosiddetta “casa di Livia”, che continueremo a chiamare così per semplicità, è identificata in realtà come la aedes Caesarum costruita da Tiberio e Livia sul luogo dove sorgeva la parte privata della domus di Augusto, distinta dalla parte pubblica costituita dal grande complesso intorno al tempio di Apollo (P. PENSABENE, F. COLETTI, Acqua per gli uomini, acqua per gli Dèi. Gli approvvigionamenti idrici e i sistemi sanitari sul Palatino a Roma: cisterne, canalizzazioni, vasche rituali, in “Antichità alto adriatiche – Cura aquarum”, LXXXVIII (2008), p. 424).
14 – PENSABENE, Scavi del Palatino I, pp. 35-36; in nota 25 è però specificato che almeno uno dei cunicoli sottostanti la “casa di Livia” non è un condotto idrico ma è forse identificabile come una struttura votiva.
15 – PENSABENE, Scavi del Palatino I, p. 38 nota 36.
16 – S. FALZONE, L’abitato protostorico dell’area sud-ovest del Palatino alla luce delle nuove interpretazioni, in “Mites de fundaciò de ciutats al mòn antic (Mesopotamia, Grecia, Roma). Actes de coloqui”, Barcellona 2001, pp. 269-282, p. 275.
17 – DIONIGI DI ALICARNASSO, Storia di Roma Arcaica (Le antichità romane), a cura di F. Cantarella, Milano 1984, I, 32, 5: “Sulla sommità del colle [Palatino gli Arcadi di Evandro] distinsero un’area per un recinto sacro alla Nike stabilendo anche per questa divinità cerimonie sacrificali annuali, che i Romani celebrano tutt’ora”. Erroneamente PENSABENE et al. Testimonianze di attività cultuali in nota 72 riferisce questa citazione al libro IV, 2.
18 – Un tempio di Vica Pota certamente esisteva secondo Livio Hist, II, 7, 12 ai piedi della Velia in prossimità della domus di Valerio Poplicola e viene posto non lontano dalla regia da L. RICHARDSON jr, A new topographical dictionary of ancient Rome, Baltimore-London 1992, sub voce. “Vica Pota” e “Domus,Valerius Publicola”.
19 – PENSABENE, COLETTI, Acqua per gli uomini, pp. 417-435.
20 – Le due cisterne, pertinenti al tempio di dedicazione ignota sotto il c. d. Auguratorium sono rimaste intatte pur se inglobate nel podio del tempio di Vittoria (F. COLETTI, P. PENSABENE, Le forme rituali dell’area sud-ovest del Palatino, in “Scienze dell’antichità”, 23.3 (2017), pp. 573-578, p. 576): la cisterna coperta ad ogiva ora facente parte dell’angolo nord-est del tempio è tagliata dal muro di fondazione della nuova costruzione, come è successo per la cisterna della c. d. “casa di Livia”, ma in ambedue i casi esse vennero lasciate integre (P. PENSABENE, Venticinque anni di ricerche sul Palatino, i santuari e il sistema sostruttivo dell’area sud ovest, in “Archeologia classica”, 53 (2002), pp. 65-136, p. 68).
21 – COLETTI, PENSABENE, Le forme rituali, ibidem.
22 – COLETTI, PENSABENE, Le forme rituali, p. 579; per il corredo della tomba, costituito da vasi di normale grandezza e miniaturistici, si veda L. ALESSANDRI, Il Latium vetus nell’età del Bronzo e nella prima età del Ferro, Oxford 2013, p. 377.
23 – M. BETTELLI, Roma, la città prima della città, i tempi di una nascita, Roma 1997, p. 217
24 – F. COARELLI, Il Foro Romano, periodo repubblicano e augusteo, Roma 1985, in particola si veda la piana a p. 270.
25 – Un’accurata ricostruzione dei rapporti tra i fondi delle capanne e l’area circostante in FALZONE, L’abitato protostorico, per la possibile datazione p. 278-279; la Falzone invita, nelle sue conclusioni, a “non sovrainterpretare i singoli dati archeologici alla luce di un sistema interpretativo più generale” (p. 280), anche se studiosi attenti come Coarelli, Pensabene, Carandini ed altri sottolineano la concordanza tra i testi degli storici romani e i ritrovamenti archeologici. Come cronologia assoluta, diversa da quella proposta dalla Falzone, si veda BETTELLI, La cronologia della prima età del ferro laziale.
26 – FALZONE, L’abitato protostorico, p. 277.
27 – La misurazione riportata da FALZONE, L’abitato protostorico, p. 278, è di m. 2,05×0,80×0,75.
28 – Notizie degli scavi di antichità comunicate alla R. Accademia dei Lincei, anno 1907, pp. 444-450.
29 – In realtà il vaso è del IV sec. e venne deposto probabilmente come offerta dopo la libagione rituale in occasione della riapertura della tomba tra V e IV sec. quando la tomba venne coperta con una lastra di tufo, proveniente dalle cave di Monteverde e non da quelle del Palatino (P. CARAFA, D. BRUNO, Il Palatino messo a punto. Note e discussione, in “Archeologia classica”, 64 (2013), pp. 719-786, p. 735).
30 – G. DI NARDO, La Roma preistorica sul Palatino, Albano Laziale 1934 (rist. anastatica Roma 2009), pp. 21-29. Le parole pronunciate da Evandro sono così riportate in LIVIO, Hist, I, 7: “Mia madre, veridica interprete degli Dèi, mi predisse che avresti accresciuto il numero dei Celesti e che qui ti sarebbe dedicata un’ara”, ma Evandro più avanti specifica in modo chiaro che “l’ara sarà chiamata Massima”: si tratta quindi dell’Ara maxima del Foro Boario e non di una tomba o altare sul Palatino: si tratta di una delle consuete interpretazioni stiracchiate a proprio uso comuni negli scritti di Di Nardo, Leonardi e altri autori della prima metà del ‘900 seguaci dell’idea della Terra Saturnia..
31 – A. CARANDINI, Remo e Romolo. Dai rioni dei Quiriti alla città dei Romani, Torino 2006, p.160.
32 – CARANDINI, Remo e Romolo, ibidem.
33 – COLETTI, PENSABENE, Le forme rituali, p. 579.
34 – CARANDINI, La nascita di Roma, pp. 377–380.
35 – A conferma di questo, il templum sub terra di Caere venne affrescato in epoca romana con le immagini dei Lares.
36 – I Rosalia erano festività sia pubbliche che private in onore dei defunti, la cui data di celebrazione era fissata solo localmente (The Oxford classical dictionary, Oxford 2012 s. v.).
37 – M. TORELLI, L. FIORINI, Le indagini dell’Università di Perugia nella Vigna Marini-Vitalini in “Mediterranea”, Atti dell’incontro di studio Roma (CNR) I Febbraio 2008, V (2008), pp. 139-163.
38 – F. M. ROSSI, Indagini nel temenos del tempio della Magna Mater sul Palatino. Strutture murali, materiali e cronologia, in “Suburbium II. Il suburbio di Roma dalla fine dell’età monarchica alla nascita del sistema delle ville (V-II sec. a.C.)”, Roma, 2009 (Collection de l’École française deRome, 419), p. 213-225, p. 221.
39 – Oltre a COLETTI, PENSABENE, Le forme rituali sulla possibile localizzazione del tempio di Pales sul Palatino, di cui la Dèa eponima, si veda F: COARELLI, Palatium, Roma 2012, pp. 197-200.
40 – Non è possibile ampliare questa presentazione on i ritrovamenti dell’area nord del Palatino, per cui rimandiamo al testo, completo da un punto di vista divulgativo, di A. CARANDINI, Angoli di Roma, Roma 2016, con tutti i limiti dovuti all’eccesso di “entusiasmo” dell’autore.
(L’articolo, qui proposto con l’aggiunta di alcune nuove immagini, è stato pubblicato nella prima versione sul sito www.simmetria.org.)
Paolo Galiano