L’Ars Trasmutatoria – Paolo Galiano
Un’esposizione(1) univoca dei principi dell’Alchimia non è impresa possibile, perché la singola operazione, il significato dei “metalli” di cui si parla e perfino la sequenza dei “colori” a cui si fa riferimento può variare da autore ad autore, in quanto ciascuno riporta nel proprio scritto quella che è la sua personale esperienza e quindi il modo in cui ha condotto il lavoro, e ciò spiega le contraddizioni apparenti che spesso si incontrano tra un trattato e l’altro, e a volte le incongruenze presenti nella stessa opera. Si aggiunga anche un’altra considerazione che mette in evidenza la difficoltà che si ha nel cercare di spiegare il percorso alchemico: gli autori hanno celato nei modi più complessi ciò che andavano dicendo, mescolando un granello di verità con una congerie di affabulazioni che servivano a rendere invece più oscura la trattazione e dando al lettore imprudente false piste da seguire. Basti pensare a quante volte viene sottolineato che si sta parlando del nostro Mercurio e del nostro Sole, per non parlare di certe “ricette”(2) così stravaganti, che però furono seguite alla lettera dai “soffiatori di carbone” che tentavano di riprodurre con la tecnica manuale ciò che andava invece inteso sotto il suo significato anagogico, dando così origine alla Chimica, che nulla in realtà ha a che vedere con la vera Alchimia. Per cui ogni descrizione della Via alchemica va considerata parziale ed incompleta, perché l’Alchimia, come tutte le forme di espressione dell’Ermetismo, non è ciò che un moderno ricercatore definirebbe una “scienza esatta”, ma ha origine nell’esperienza del singolo autore che ha messo per iscritto la sua propria sperimentazione e può essere conosciuta solo mediante un atto di intuizione, nel senso etimologico della parola, da parte di chi vi si applica. Quindi l’esposizione che qui diamo delle fasi dell’Opera va intesa come una delle esposizioni possibili, atta a dare una traccia su cui il lettore volenteroso dovrà applicare il proprio ingegno per comprenderne i possibili significati.
L’Alchimia è Arte trasmutatoria per eccellenza, la quale, com’è noto, sotto i nomi dei metalli descrive le operazioni che devono trasformare le componenti dell’uomo in “materia spirituale” (ci si perdoni il gioco di parole), adoperando per questo i nomi dei metalli, il Piombo per la componente corporea, il Mercurio per quella animica o lunare, l’Oro per la spirituale, ed i rispettivi colori che ad essi fanno riferimento, il Nero, il Bianco e il Rosso; sotto un altro aspetto le tre parti che compongono l’uomo vengono dette Sale, Mercurio (o Argento vivo) e Solfo. L’esistenza di una correlazione tra i metalli e le tre componenti dell’uomo dà luogo alla spagiria fisica o “materiale” e al tempo stesso a quella che potremmo chiamare “alchimia filosofica” o “alchimia operativa”.
“Il nostro corpo è la nostra terra, la nostra anima è la nostra acqua. Questo [cioè il Magistero] pertanto null’altro è se non estrarre l’acqua dalla terra e riportare la stessa sulla sua terra”: le parole di Frate Elia(3) riassumono così l’Opera alchemica.
L’alchimista, prima di intraprendere l’opera, deve prepararsi con procedimenti adeguati di concentrazione e di respirazione(4) allo scopo mettere in azione dentro di sé un principio cosciente che si mantenga tale e si vada accrescendo durante le fasi dell’Opera, da identificare con quel “Mercurio doppio” che è forza animica mercuriale controllata da una “centralità” che non è ancora Oro ma “Oro artificiale”, un “Mercurio doppio che, essendo animato da un certo Oro condotto ad un certo grado di purità (ecco la sua preparazione ‘artificiale’), si trova già a partecipare approssimativamente alla doppia natura che è mèta dell’Opera”(5). È il Mercurius binus o geminus che troviamo in Basilio Valentino(6) o in alcune “ricette” alchemiche, quale quella attribuita a Frate Elia: “Recipe Mercurii bini libram 1”(7). Nell’alchimia operativa senza questo principio di centralità cosciente il rischio di fallire è alto, perché il distacco nella prima Operazione del lunare dal corporeo lascia l’individualità, ancora non completamente de-personalizzata, priva di quell’appoggio fisico che per tutta la vita ha costituito per ogni uomo il (falso) centro della sua esistenza. In questa operazione l’alchimista si trova a combattere con il Leone Rosso, la forza travolgente e cieca, “irresistibile e selvaggio istinto di autoconservazione dell’Io animale”(8), che si oppone alla rottura dell’individualità (il Piombo), donde quei rischi di paralisi, follia e morte a cui alludono in vario modo i testi, generando la “grande angoscia” di cui parlano alcuni autori come Boehme(9), che descrive così questo stato di “angoscia” che accompagna la “nascita del Mercurio”: “Il Mercurio ha al principio della sua nascita tre proprietà, il tremore del terrore per l’austerità [cioè la solitudine generata dal distacco dallo stato in cui si è sempre vissuto], l’angoscia [che nasce] dalla violenta sensazione del desiderio intenso e l’espulsione nella molteplicità, cioè l’essenzialità della vita [nella sua radice principiale], poiché il desiderio [dell’autoconservazione] attrae a sé in modo intenso e l’attrazione genera il movimento cioè il tremore e ciò che si imprime è l’angoscia; ma se la libertà [dai legami del corporeo] è compresa dentro [di sé], questo viene rifiutato”. Questa “reazione” che si genera sul piano spirituale è osservabile nella pratica dell’Alchimia “fisica” nell’atanòr dove vengono trattate le sostanze durante le operazioni alchemiche.
Dice Avicenna(10) che “il lapis noster [cioè il corpo fisico, la pietra da sgrezzare in quanto impietramento del principio spirituale nel mondo della corporeità] si divide in due parti principali, cioè una parte superiore capace di ascendere ed una parte inferiore che rimane fissa nel fondo [del vaso di distillazione]… La parte inferiore è la terra che si chiama nutrice e fermento, e la parte superiore è l’anima che vivifica tutta la pietra e la fa rivivere”. Il corpo fisico, Piombo e Saturno, racchiude come in una prigione e fissa entro i limiti del finito i due principi che sono identificati con il Mercurio, la forza vitale che permea il corporeo e fa da tramite unificante tra esso e gli stati superiori, e il Solfo, il principio igneo e comburente che si trova anch’esso imprigionato nel fisico. Per la sua posizione intermediatrice il Mercurio si presenta sotto un duplice aspetto e con una duplice funzione, e l’”acqua mercuriale” che da esso si estrae all’inizio dell’Opera con la solutio è anch’essa doppia, da un lato forza vitale allo stato di potenza libera e non indirizzata che come un’acqua impetuosa travolge tutte le barriere, dall’altro energia fluidica ardente che distrugge la condizione di individualità propria di ciò che è in sé finito, tensione verso il principio agente non-individuato che è Sole ed Oro. L’acqua che si ottiene con la prima separazione è quindi Mercurio d’acqua e Mercurio di fuoco, la prima è un’acqua che scioglie e distrugge, la seconda secca ed impietra: sono due Acque, “acqua umida” e “acqua secca”, ma in ogni caso distruttive, ed è un’Acqua che “i Filosofi dicono di per sé può fare tutto, tutto scioglie, tutto congela, tutto distrugge”(11), ha il potere di solvere e di coagulare e di annientare la corporeità per estrarne i principii animici lunari. È la doppia acqua di cui scrive Frate Elia nel sonetto Solvete i corpi, una vera summa dell’Opera alchemica: “Solvete i corpi in aqua a tutti dico / voi che cercate fare Sole e Luna, / delle due acque poi pigliate l’una, / qual più vi piace e fate quel ch’io dico”(12).
La preparazione di questa doppia acqua di Mercurio è descritta dai testi alchemici con frasi quali “eliminare l’umidità superflua” e “irrigare la terra secca”.
“Qui si scorge il simbolismo di due Acque, corrispondenti alle due regioni dell’essere e del divenire: è la forza di Vita quale appare sotto l’una condizione o l’altra”(13): per fare questo il “corpo” deve morire, e ciò è adombrato nella morte fisica dell’individuo a cui si riferiscono tutte le Vie iniziatiche, è il mezzo necessario per liberare lo spirito dal corporeo dell’individualità e dare la possibilità di giungere alla ricomposizione suprema come Oro.
L’operazione per mezzo di queste due Acque è quanto viene definito come Via Umida e Via Secca: nel primo caso ci si affranca dalla servitù del corporeo liberando il principio di vita che è il Mercurio stesso, nel secondo il Fuoco presente nel Mercurio è dominato da una volontà già esercitata e diretta verso il distacco dalla materialità(14). A questo corrispondono le due possibilità che gli alchimisti definiscono come “bruciare con l’Acqua” e “lavare con il Fuoco”. Nella Via Umida l’azione si intraprende con un distacco della componente animica dal corporeo ottenuto con il supporto della temperanza e della progressione ascetica ma con il rischio di perdere la centralità della coscienza del Sé come identità nel momento in cui si abbandona l’appoggio nel fisico al quale ogni individuo è abituato. Nella Via Secca invece si agisce purificando e potenziando le facoltà presenti nel complesso corporeo e animico per giungere al distacco del principio spirituale “incarcerato” nel mondo materiale; in questa Via la difficoltà da affrontare è nell’individualità che può essere abnormemente accresciuta e dare luogo a deviazioni che nulla hanno a che vedere con la vera Via alchemica. Ottenuto con l’una o l’altra tecnica quello che potremmo chiamare il “primo Lapide” o “Lapide inferiore”(15), occorre perfezionarlo attraverso il processo della triturazione (cioè la frammentazione e l’espulsione di ogni residuo psichico e animico) e successivi passaggi nella “Terra”, come descrive Avicenna(16): “In seguito questo Lapide così lodato occorre tritarlo sul marmo insieme con l’elemento estratto nella prima operazione dallo stesso Lapide. E questo elemento è detto aqua lapidis. E lo si deve fare più volte, finché il Lapide discenda una seconda volta in terra in virtù del suo assottigliamento e così riceva la forza superiore per sublimazione e quella inferiore con la sua discesa, cosicché il corporeo sublimando divenga spirituale e quando sia spirituale divenga di nuovo corporeo discendendo”.
Il principio animico estratto dal corporeo viene riunito a questo e il composto formato dall’anima volatile fissata e dal corporeo fisso reso volatile vanno sottoposti ad un’opera di eliminazione delle parti ancora individualistiche “tritandoli” sul “marmo”(17), immagine del primo principio cosciente solare (esso è infatti definito nei testi alchemici coruscans, cioè splendente) che è stato realizzato con la preparazione ascetica e tecnica all’inizio dell’Opera. Il triplice “passaggio” dal basso in alto e dall’alto in basso è necessario per trasformare la “terra”, che deve essere resa “pura e netta” come l’acqua, e l’acqua, che deve divenire a sua volta corporea come la terra, come insegna Frate Elia nel sonetto già citato: “Dell’acqua fate terra pura e netta / e della terra acqua e l’acqua terra farete”.
“Terra” priva di ogni scoria fisica e animica che possa in qualche modo interferire con il successivo passaggio all’Opera al Bianco, facendo deviare dal corretto iter l’alchimista; questo secondo alcuni autori, tra cui Evola, è uno dei significati della “coda del pavone” a cui a volte fanno riferimento i testi, cioè la comparsa di “colori” attraenti ma falsi, di tonalità dal citrino al rosso, simulanti una diretta transizione dall’Opera al Nero all’Opera al Rosso saltando il passaggio al Bianco, segno del persistere di elementi dell’originaria individualità dell’operatore che interferiscono con la prosecuzione dell’Opera(18).
Una volta compiuto il primo processo di trasmutazione e di purificazione del Sale (corpo) e del Mercurio (anima), ora non più sotto il segno del Mercurio lunare ma del Mercurio ignificato recante al posto del simbolo della Luna quello dell’Ariete , segno di fuoco per eccellenza, si potrà procedere al passaggio seguente dell’Opera al Bianco.
Ma questo processo di transizione tra l’Opera al Nero e l’Opera al Bianco non costituisce un passaggio immediato: ancora l’alchimista deve compiere un lungo lavoro. Dice Avicenna(19) attribuendo ad Ermete queste parole: “La forza di essa [cioè dell’Acqua] sarà perfetta se sarà tutta trasformata in terra, cioè se l’acqua si converte in terra”. Questo passaggio è così descritto(20): “Infondi l’acqua sulla sua terra… sappi che la terra deve essere nutrita dalla sua acqua prima modicamente e poi in quantità maggiore, come si usa nella nutrizione dei bambini piccoli… perché la terra non dà frutti senza un’abbondante irrigazione… finché la terra e l’acqua non siano uno e così anche il corpo. Non si arresti la tua mano nella triturazione e nell’assazione(21) finché la tua terra non sia secca e bianca, perché l’albedo nasce da questa frequente e secca triturazione e assazione… E a questo va posto attenzione, che non vi sia troppa secchezza o umidità superflua che corrompano l’opera. Dopo la calcinazione irriga la terra moderatamente, perché se molto (irrigherai) avrai un mare tempestoso e se poco brucerà diventando cenere… Nell’opera ci sono tutti i segni di qualunque cottura [decoctio]: tre sono i colori principali, nero, bianco e giallo, quando diventa nera è perfetta ma non ancora portata a termine… Finché la terra non sarà bianca, tritala con la sua acqua e calcinala più volte, perché l’azoth(22) e il fuoco imbibiscano la terra ed eliminino fin nel profondo la sua oscurità. E quanto maggiore sarà l’abluzione tanto più la terra sarà bianca”.
La “terra” quando è “nera” è perfetta ma “non ancora portata a termine”, deve diventare “bianca” perché la prima parte del lavoro sia compiuta. Per fare questo è richiesta un’esatta proporzione nel rapporto tra Acqua e Fuoco, tra la forza animica del Mercurio e lo spirito ardente del Solfo, per evitare di provocare un “mare tempestoso” per eccesso di mercurialità o un’inutile cenere per eccesso di fiamma sulfurea, e facendo attenzione, come afferma sempre Avicenna, che “prima del bianco compare il colore verde, ma prima del bianco compare anche la coda del pavone”, mentre il colore citrino “compare tra la vera rubedo e la vera albedo”.Ciò che rimane dopo la calcinazione della materia non deve però essere gettato via ma conservato con cura perché “non devi disprezzare la cenere, perché Dio le restituisce la liquefacibilità e alla fine il Re sarà incoronato per volontà divina con la corona rossa… Infatti il composto non si ha senza matrimonio e putrefazione, e il matrimonio è unire il sottile allo spesso, e putrefare, tritare, assare e irrigare finché non siano insieme mescolati e fin quando divengano una sola cosa”. E ancora(23): “Non si deve mescolare quanto rimane sul fondo [del contenitore], ma ponilo da parte, poiché ciò che resta devi sublimarlo per ottenere un Mercurio incorrotto, fin quando tutto salga in alto”. Si giunge così all’operazione della “moltiplicazione”, con cui si dà al Lapide la capacità di rendere partecipi delle sue proprietà gli altri “minerali”: per fare questo(24) è necessario cuocere il sublimato ottenuto nel forno di riverberazione con calore sempre più crescente, prima ignis lentus, poi modicus e poi fortissimus (le gradazioni del fuoco indicano la necessità di procedere con prudenza per non “bruciare” il composto, cioè distruggere quanto si è operato finora25), finché la materia non ascenda più essendo divenuta fissa, in quanto il Solfo e il Mercurio si sono uniti in modo perfetto. “Lo spirito e l’anima non si uniscono se non mediante il calore – scrive Avicenna – solo così il volatile diventa fisso e dall’albedo si passa alla citrinitas e infine alla rubedo”.
Questo è “il magisterium magnum per avere un eccellentissimo Elixir al bianco e al rosso”(26), e il lavoro giunge al compimento con “la proiezione, il complemento all’opera, gioia desiderata ed aspettata” e si ottiene “l’Elixir, il lapide vero e completo dei Filosofi, che converte il mercurio ed ogni metallo imperfetto in Sole e Luna, di cui non potrai averne di migliore”: l’unione di Solfo e Mercurio, del Re e della Regina, genera l’Androgine o la Res Bina secondo le diverse denominazioni attribuite dai Filosofi. Il “matrimonio” tra Mercurio (il servus) e il Sale (la nigra uxor) e la nascita dell’Oro (il filius flavus) viene così descritto da Frate Elia in una delle redazioni del suo Vademecum(27) seguendo l’allegoria dell’alchimista bizantino Archelao: Servus rubicundus nigram duxit uxorem, positis in fovea et ductis in infernum flavum filium protulerunt. Satis patet quod servus rubicundus sit lapis suprascriptus, nigra uxor plumbum, fovea aliqua vas, infernus ignis, flavus filius sol descendens a predictis. L’Opera giunge così al suo compimento: l’alchimista ha purificato le componenti fisiche e animiche del suo essere, fissando le mobili attività delle facoltà psichiche (pensiero, sentimenti, passioni, ricordi) e rendendo volatile la parte corporea col richiamare in esistenza la sua vera origine non-materiale, ha liberato il proprio centro spirituale dalla limitazione dell’individuazione facendolo capace di riconoscere il suo essere principio trascendente e realizzandlo in Oro perfetto; la successiva unione dei Tre, spirito anima e corpo fisico, nell’Uno lo conduce alla rinascita in questa vita nella forma del “Corpo di gloria” o “Corpo di resurrezione”, lo stato descritto dalla sapienza antica come “divenire un Dio”.
Nell’àmbito della Gnosi cristiana scriveva Clemente Alessandrino(28) che lo gnostico che ha percorso “i gradi della mistica ascesa attraverso una luce sua propria” giunge “nel luogo supremo del riposo alla vera dimora del Signore. Ivi egli sarà, per così dire, luce ferma e stabile in eterno, assolutamente immutabile” e condividerà il trono con “gli altri Dèi, quelli che appartengono al Primo Ordine sotto il Salvatore”, i sette Angeli Primi-Nati. All’altro estremo del nostro emisfero nel taoismo cinese è la pratica dello shi kiai, la “soluzione del cadavere”: “Il taoista morendo non lascia dietro di sé un cadavere ma al posto di questo fa trovare una spada o una verga-scettro, e risorge in un corpo immortale, trasformazione essenziale di quello caduco”(29). Nello Zhang Zhung Nyengyud del Bön tibetano si parla di tre “corpi arcobaleno” che il praticante sperimenta in vita: nel primo si trasforma “nell’essenza dei cinque elementi, le cinque luci pure, e questa persona non manifesterà i segni della morte”, nel secondo “il corpo del praticante si dissolve nella luce dell’arcobaleno dell’essenza dei cinque elementi al momento della morte senza lasciar dietro alcun residuo fisico”, nel terzo “ il corpo del praticante si contrae rimpicciolendosi al momento della morte, così che alla fine non restano che i capelli e le unghie”(30). Prima ancora, l’Egitto dei Faraoni celava le stesse conoscenze nella forma del viaggio notturno del Sole per risorgere al mattino seguente in tutta la sua potenza: le prove superate dal Dio, i personaggi che lo accompagnano e la loro progressiva trasformazione in divinità, i “suoni” che queste emettono durante la metamorfosi, infine la gloriosa uscita della barca solare dalla bocca del Serpente altro non sono che la descrizione di un iter di palingenesi dell’iniziato(31), palingenesi che ancora nella seconda metà del XVIII secolo il principe Raimondo De Sangro perseguiva con i suoi “esperimenti” alchemici nel cuore della Napoli borbonica.
Note:
1 – Il presente articolo costituisce la revisione corretta ed ampliata del I Capitolo de Lo Speculum alchimiae di Frate Elia, Roma 2016.
2 – Alcune “ricette” che troviamo negli scritti più antichi, a volte definite dagli studiosi moderni come “ricette mediche” ma che mediche non sono, possono essere comprese solo attraverso la traduzione dei componenti di cui in esse si parla nei rispettivi principi che compongono il complesso umano nella sua triplicità.
3 – FRATE ELIA Speculum alchimiae, ms C.2.567 della Biblioteca Nazionale di Firenze c. 22v. Si veda la trascrizione e traduzione integrale in GALIANO La sacra arte dell’Alchimia, Roma 2018.
4 – Questi esercizi preparatori non sono mai esplicitamente riportati nei trattati alchemici, almeno per l’epoca del Medioevo occidentale a cui facciamo qui riferimento, probabilmente perché essi facevano allora parte di una conoscenza comune a tutte le arti e i mestieri, alle associazione esoteriche quali le confraternite religiose come a quelle più ristrette quali le corporazioni dei muratori, degli scalpellini, ecc.
5 – EVOLA La Tradizione ermetica, ed. Laterza, Bari 1948 p. 128.
6 – BASILIO VALENTINO De prima materia lapidis philosophici (in Musaeum hermeticum reformatum et amplificatum, 1678, Yale Library Z92 20 pp. 424-425): Adam in balneo residebat / In quo Venus sui similem reperiebat, / Quod praeparaverat senex Draco / Cum vires suas amitteret, / Nil est, inquit Philosophus, / Quam geminus Mercurius.
7 – La “ricetta” è contenuta nella Ad album recepta magistri Alphonsi et Georgii del ms Sloane 3661 di Londra.
8 – EVOLA La Tradizione cit. p. 123, ma si abbia presente che “Leone Rosso” è altresì il nome di un’operazione alchemica volta a realizzare il “sangue di Leone”, esposta nell’edizione dello Splendor solis pubblicata da Regan et al. a Londra nel 1920 pp. 90 ss. sulla base dei trattati a stampa dello Splendor solis a partire dall’edizione tedesca del 1598.
9 – BOEHME De signatura rerum III, 14.
10 – AVICENNA De alchimia cap. IV De extractione Aquae ex Terra (in MANGET Biblioteca chemica curiosa, ed. 1702 p. 629). Ad Avicenna (Abu Ali al Husain ibn Abdallah Ibn Sina), eminente medico e studioso del X sec. nato e vissuto in Persia ma di lingua araba a causa dell’invasione musulmana, sono stati attribuiti testi alchemici tra cui il De alchimia, o più esattamente Liber Aboali Abincinae de anima in arte alchimiae (Abincina è corruzione del nome di Avicenna).
11 – AVICENNA ibidem.
12 – Il sonetto lo riportiamo nella redazione del ms Riccardiano 946 c. 10a della Biblioteca Nazionale di Firenze, XV secolo.
13 – EVOLA La Tradizione ermetica cit. p. 116.
14 – Facciamo riferimento a quanto scrive EVOLA in La Tradizione ermetica cit. pp. 126 ss.
15 – FRATE ELIA parla di una “Pietra superiore” nella Quarta operazione dello Speculum che conduce alla preparazione dell’Oro dei Filosofi.
16 – AVICENNA ibidem (si confronti con la Tabula smaragdina: Ascendit a terra in coelum, iterumque descendit in terram, et recipit vim superiorum et inferiorum).
17 – Il “marmo” è secondo PERNETY Dictionnaire mytho-hermétique, Genova 1979, s. v. la materia che “tritura, divide ed attenua l’oro dei Filosofi”, chiamato anche Saturnia vegetabile, la quale è “della razza di Saturno”, “uno dei principali ingredienti del magistero dei Filosofi”, detta vegetabile “perché durante le operazioni vegeta e racchiude il frutto dell’oro che produrrà a suo tempo”.
18 – EVOLA La Tradizione ermetica cit. p. 141. L’ Autore peraltro considera (p. 151) la possibilità di una “via che si potrebbe chiamare ultrasecca, inquantochè essa condurrebbe direttamente all’ultima fase, al ‘rosso’, saltando ogni fase intermedia” in rapporto con l’uso di tecniche sessuali da parte di soggetti altamente qualificati. Il concetto di una via alternativa si ritrova nell’egiziano Libro di ciò che è nell’Amduat, ove nell’Ora Undicesima, quasi al completamento dell’operazione di rivivificazione di Râ, si parla della “sconosciuta e sacra via di Sais” (città sacra alla Dèa guerriera Neith) che è “presso la seconda porta delle tenebre”, il che potrebbe forse indicare che a questo punto della realizzazione si apre una duplice possibilità, ma non esplicitata con maggior precisione (rimandiamo a GALIANO La via iniziatica dei Faraoni, Roma 2016, p. 108)..
19 – AVICENNA De alchimia cap. VI De modo sublimationis Terrae. Modo volo tibi narrare quod est Sublimatio (MANGET cit. p. 632).
20 – AVICENNA De alchimia cap. V De Fundatione seu etiam Fusione Aquae super terram suam (MANGET pp. 629-630).
21 – PERNETY Dictionnaire cit. s. v. definisce assazione “l’azione del digerire, cuocere, sublimare, volatilizzare, fissare la materia dell’Opera”. Secondo Arnaldo da Villanova assazione e contrizione (riduzione in polvere per azione del fuoco) sono da considerare sinonimi: per contritionem et assationem, quae idem sunt (in MANGET p. 694).
22 – Azoth è il nome dato dagli alchimisti al Mercurio purificato, il “Mercurio dei Filosofi”,
23 – AVICENNA De alchimia cap. VI De modo sublimationis Terrae (MANGET p. 631).
24- AVICENNA ibidem.
25 – Il regime del fuoco alchemico è fondamentale nelle operazioni alchemiche, tanto che FRATE ELIA scrive nello Speculum alchimiae: “Tutta la perfezione consiste nel regime del fuoco, e lì si trova tutto l’arcano” (ms C.2.567 della Biblioteca Nazionale di Firenze c. 4r, scritto nel 1491). Alcuni trattati sono dedicati espressamente all’insegnamento di come realizzare i quattro gradi di fuoco in relazione alle due principali operazioni (si veda ad esempio il testo di Frate Elia Il Magistero della Pietra Filosofica, di prossima pubblicazione).
26 – AVICENNA De alchimia cap. VIII De modo projiciendi medicina et tingendi quodlibet Metallum in Solem et Lunam (MANGET p. 632).
27 – FRATE ELIA Vademecum, ms Pal. Lat. 1267 della Biblioteca Apostolica Vaticana c. 17va del XIV secolo.
28 – CLEMENTE ALESSANDRINO Stromata VII 10, 56, 6 e 10, 57, 1-5; per maggiore conoscenza dell’argomento si veda GALIANO Gnosi cristiana e gnosticismo eretico, ed. Simmetria, Roma 2016.
29 – EVOLA La metafisica del sesso, Roma 1958, p. 316. I lettori delle opere di Meyrink avranno riconosciuto il tema del suo romanzo Il Domenicano Bianco.
30 – LOPÖN TENZIN NAMDAK RIMPOCHE Masters of the Zhang Zhung Nyengyud: Pith Instructions from the Experiential Transmission of Bönpo Dzogchen, Heritage Publishers, New Delhi 2010.
31 – Rimandiamo per un’analisi del Libro di ciò che è nell’Amduat a GALIANO La Via iniziatica dei Faraoni cit.
Paolo Galiano