Spiritus Romae: spiritualità ed escatologia nell’ideale romano – Giuseppe Barbera
“Giuliano l’Apostata, che fu iniziato ai veri, non concepiva perché il paganesimo integro ed esuberante della iniziatura romana dovesse sostituirsi con una eresia antimagica che preparava alla morte e non alla vita e che si chiamava cristianesimo appunto per un simbolo di morte”
(Giuliano Kremmerz, La Porta Ermetica, cap. VII)
L’ambizione del presente articolo può sembrare esageratamente alta, ma essa proviene da uno studio pratico durato per più di una generazione, finalizzato a rispondere ad un paio delle domande più complesse della storia riguardanti l’Urbe Arcana: cosa è Roma e perché esercita un fascino imperituro sugli uomini?
La soluzione può venire esclusivamente da un’analisi attenta e puntuale dei fatti che sancirono il momento di partenza della linea temporale da cui l’ideale romano ebbe modo di manifestarsi apertamente al mondo e rapire gli uomini: la sua fondazione ovvero il suo attimo di avvio. In primis bisogna prendere in considerazione il segno divino previo alla fondazione, ossia l’auspicio tratto da Romolo, consistente nella visione dei dodici avvoltoi. Generalmente si è portati a considerare questo come un animale negativo: il rapace che si nutre di carcasse. Ma gli avvoltoi del vecchio mondo, accipitridi, biologicamente includono sparvieri, astori (sacri a Marte), aquile (sacre a Giove), poiane (il comune falchetto delle pianure, sacro al Sole), albanelle (sacre a Venere) e nibbi (sacri a Mercurio). Generalmente questi animali volano in alto ed a lunghe distanze sono distinguibili dal tratto comune delle ali larghe ad estremità arrotondata. Quale specifico uccello fosse stato avvistato non è possibile saperlo poiché le fonti letterarie si fermano alla semplice definizione di “avvoltoi”, ciò però può significare che queste diverse tipologie rientrassero, nell’interpretazione augurale, in una medesima qualità relativa alla promessa di grandezza e comando. Numericamente sia Remo che Romolo hanno ricevuto un segno solare: il primo ha visto sei uccelli, il secondo dodici. Ciò significava che se avesse governato Remo avrebbe ottenuto quanto prima dei risultati validi per la città (infatti Remo vede gli uccelli prima di Romolo) ma si sarebbero fermati ad una qualità dimezzata rispetto a quella promessa a Romolo, che però avrebbe impiegato più tempo a manifestarsi (Romolo, rispetto al fratello, vide più tardi i dodici uccelli) ed allo stesso tempo avrebbe destato grande stupore e visibili comprovazioni: quando infatti Remo chiese a Romolo dove fossero questi dodici uccelli ch’egli aveva visto, il futuro Re mostrò col dito un angolo di cielo e lì riapparvero alla vista di tutti. Il messaggio celeste dava dunque maggiori favori a Romolo.
L’origine divina di Romolo ed il favore degli dei al suo operato sono ribaditi da Plutarco: “Roma non avrebbe potuto assurgere a tanta potenza se non avesse avuto, in qualche modo, origine divina, tale da offrire, agli occhi degli uomini, qualcosa di grande e di inesplicabile”[1]. All’atto di fondazione, compiuto secondo un rito indoeuropeo che si riscontra spesso in antichissime città iraniane[2] ed anatoliche[3], viene sancita l’idea che dal cielo vuole proiettarsi in terra: la quadratura del cerchio, ovvero l’ordinamento interiore degli uomini. Infatti il pomerio, confine sacro della città, ha forma quadrata, mentre le mura hanno forma rotonda. Il cerchio rappresenta l’essere umano nella sua complessità ed il quadrato la separazione, distinzione e regolarizzazione dei suoi quattro elementi. Questo principio matematico geometrico vale per l’uomo, per la natura, per il Cosmo[4]. Al centro dell’Urbe si inserisce il fuoco sacro, la fiamma che deve ardere nei petti dei cittadini romani che è Amor. Questo Amore divino e supero viene a manifestarsi agli uomini tramite le leggi ed il diritto che Roma crea ed esporta nel suo atto di civilizzazione del mondo: ovvero condurre l’Amore portando la giustizia tra gli uomini[5]. Poiché, più d’ogni altra cosa, l’essere umano ricerca dal profondo del suo animo la giustizia, appare chiaro come mai gli uomini giusti e pii si siano sempre sentiti attrarre da Roma: è il suo fuoco occulto che li richiama a sé.
Per realizzare un così grande progetto, quale il portare la giustizia tra gli uomini, Romolo dovette porre le basi per la creazione di un popolo giusto e spiritualmente evoluto avente il fine di compiere tale opera luminosa[6]. Egli volle procedere per uno sviluppo veloce e sopra ogni cosa, così iniziò i cittadini acquisiti con un battesimo igneo: ordinò loro di accendere dei fuochi e di saltare in essi[7]. Tale rito di catarsi e palingenesi[8] impedì la necessaria preparazione all’iniziazione: essa avrebbe richiesto tempi lunghi ed il re aveva fretta d’incominciare, ora che aveva ricevuto il favore di Giove[9], con un popolo di iniziati[10]. La loro formazione sarebbe avvenuta nel tempo, ma il re era fiducioso nel patto d’impegno e fede a Roma, difatti con questa parola data e coll’avvenuto battesimo del fuoco trasformò il loro spirito in forza ignea da connettersi alla sacra fiamma dell’Amor. Diversamente sarebbe poi avvenuta l’iniziazione per i loro discendenti: essi sarebbero stati formati dai loro padri al percorso dei segreti di Roma, avrebbero svolto al diciassettesimo anno d’età riti catartici a partire da febbraio, per poi essere iniziati al 17 marzo (festa dei Liberalia): loro iniziatore sarebbe stato un sacerdote marziale, che oltre a dargli le istruzioni fondamentali sui sacra a loro pertinenti, li avrebbe vestiti di una toga segnata da una striscia rossa: colore del fuoco e degli dei. Essa si chiamava toga virile perché li distingueva dagli homines (gli uomini comuni fatti dal fango, humus), ma li caratterizzava per la loro forza (vis) acquisita dal fuoco (Ignis). Ognuno di loro diveniva un vir che tramite le sue azioni e le sue offerte rituali d’incenso (thus) sarebbe arrivato ad incarnare la virtus tipica di ogni vero romano.
Romolo figlio di Marte iniziò i primi Romani[11] sotto gli auspici di Giove. Successivamente, a guisa di ciò, i giovani romani seguivano una processione dietro un grande fallo (simbolo marziale e solare) che veniva condotto fino in Campidoglio: qui, in prossimità del tempio di Giove, aveva conclusione il loro rito di iniziazione con l’assunzione della toga virile alla presenza della comunità[12]. Al termine delle feste della giornata una matrona, reputata d’onorevole comportamento e fedeltà coniugale, s’occupava di coprire il grande membro con un telo. Ciò è molto esplicativo sul significato che i Romani legavano a questo simbolo: esso è connesso alla potenza generatrice della forza maschia ed alla necessità di porla sotto un controllo sacrale, pertanto è facile comprendere che non ha un valore di ostentazione delle oscenità. Civis Romanus sum[13] implica essere connessi al sacro fuoco di Roma: ogni anno il fuoco era rinnovato con la nuova primavera, portato dalle matrone in casa e qui custodito. Nella domus romana ci si scaldava col fuoco sacro, si mangiavano gli alimenti cotti su di esso, si versavano in esso le offerte per gli Dei, ci si amava alla sua presenza[14]: ciò dimostra che la vita del romano era profondamente sacralizzata in ogni suo gesto. Il fuoco era Uno ed era Tutti gli Dei allo stesso tempo, consentiva di rapportarsi ad essi e di convivere con loro, legando ogni famiglia alla medesima esperienza magica e all’ideale divino che li concatenava alla fiamma viva dell’Urbe custodita da vergini purissime perché l’idea rimanesse intonsa.
Il riflettere in terra questo Amor celeste e divino era il compito affidato alla società fondata da Romolo: Roma[15]. Ciò venne sancito nel gesto del rito compiuto dopo l’iniziazione dei pastori: “Quanto a lui, postosi a capo dell’intera funzione sacra, presa una tromba sacra -… i Romani sono soliti chiamarla “lituus” da litè, “preghiera”- la fece risuonare sul nome della città. La città ebbe tre nomi, uno iniziatico, uno sacro ed uno politico: quello iniziatico è Amor, ossia Eros, in modo che tutti siano pervasi da un amore divino per la città, motivo per il quale il poeta nei carmi bucolici la chiama enigmaticamente “Amarillide”; quello sacro è Flora, ovvero “fiorente”, da qui la festa dei Floralia in suo onore; quello politico è Roma”[16]. Quell’unico fuoco serbato nel tempio di Vesta e distribuito a tutte le famiglie è dunque il dio unico Amor che si manifesta in numerose forme e Romolo, a tutti gli effetti, fondò la religione dell’Amore[17]. Consci di ciò i più grandi vati dell’antichità osannarono i miracoli dell’Amore e lo scrissero a chiare lettere: dal nihil difficile amanti puto[18] all’ omnia vincit Amor et nos cedamus amori[19]! Nell’erigere la sua città sacra Romolo studia il metodo per la purificazione dalle colpe e fonda l’asilo: il meccanismo del perdono dei propri crimini in cambio del dar fede a Roma ed impegnarsi alla realizzazione della nuova società fondata sulla giustizia e sul suo fuoco occulto e manifesto.
Romolo per primo realizza l’ideale del perdono in cambio dell’impegno alla realizzazione di ciò che è giusto. Egli dimostra così di essere stato un profondo conoscitore delle leggi divine, di sapere che un uomo giusto e pio è in grado, con un semplice impegno volitivo sano, di riscattare i propri errori di fronte al dio Padre della Legge[20]. Leggenda vuole che nella valle tra Campidoglio e Palatino Saturno ebbe asilo concessogli da Giano e che lì, dove poi i Romani erigono il tempio di Saturno, crebbe la Saturnia Tellus caratterizzata dall’età dell’oro: epoca in cui gli uomini divennero tutti uguali, felici e benestanti grazie ai misteri insegnatigli dall’antica divinità. Questi misteri erano fondati sulle analogie comparabili dalla vita vegetale, a noi essi sono giunti nel pieno del loro simbolismo esoterico[21] nelle Bucoliche di Virgilio, non semplice opera letteraria ma grande libro di misteri alchemici[22].
L’Asylum di Romolo pare sorgesse nell’attuale piazza del Campidoglio, sul colle laddove sussisteva una grande quercia[23] consacrata al Dio Ottimo e Massimo[24]: con ciò il primo Re ribadiva la volontà di legare questa istituzione alla legge divina di Giove, divinità tutelare dell’ospitalità e del sussidio. L’attività rituale dei Romani si fondava sui Lari, figli di Mercurio e Lara, rispettivamente dio e ninfa del silenzio. Del legame tra Mercurio, i misteri ed il silenzio non v’è bisogno di far menzione: i testi classici sono colmi di riferimenti a riguardo. Su Lara è sufficiente studiare il mito riportato da Ovidio ne Le metamorfosi, il quale racconta dei motivi per i quali Giove decise di strappare la lingua a Lara e di affidarle la cura di un fiume infernale. Si faccia attenzione alla semantica: infero è inerente a ciò che porto (fero) dentro (in) , nel corpo/terra; si comprenda da ciò che l’accezione antica degli inferi non è necessariamente negativa[25] ma riguarda le anime che vengono a incarnarsi nei corpi[26]. In questi inferi Mercurio s’innamorò di Lara, la fece sua e da lei ebbe due gemelli: i Lari. Questo culto dei Lari è sopravvissuto in alcuni luoghi d’Italia: in Calabria ad esempio vi sono i riti ai lareddri, parola dialettale che significa i piccoli Lari e che implica la necessità di curarli, coltivarli (cultus), perché si accrescano e siano fausti e favorevoli alle famiglie ed alle case[27]. Codesti riti vengono insegnati ai fanciulli in occasione di alcune processioni[28] al termine delle quali i ragazzi vengono poi considerati adulti. Questa tradizione vivente è stata importantissima per i fondatori dell’Associazione Tradizionale Pietas che l’hanno riversata in un tempio eretto a Giove a Roma dal quale si continua a trasmetterla nella sua originalità per salvaguardarla dalla cessazione a causa dei mutamenti della società contemporanea[29].
Sul calendario dei Romani e sul suo reale significato evitiamo di scrivere, poiché già Ovidio, per aver intrapreso tale opera, è stato punito[30]. Purtroppo, come insegna Macrobio nel commento al sogno di Scipione, le divinità non possono essere strappate dal santuario della loro pudicizia ed essere messe per strada a prostituirsi alla mercé di chiunque[31]. Per quel che concerne Romolo rimandiamo allo studio delle fonti classiche, in particolar modo alla splendida biografia dedicatagli da Plutarco[32], per osservare con quanto successo condusse la sua opera in vita.
Politicamente, anticipando Pitagora di due secoli, Romolo creò e definì l’ideale italico fondato sulla libertà dell’individuo tramite terra, fuoco e sangue[33] in contrapposizione all’ideale (in futuro punico) della dipendenza dal sistema monetario e commerciale. Infatti nella guerra contro Veio distribuì personalmente la terra ai soldati e restituì gli ostaggi nemici alle loro famiglie[34]. Da tale gesto del re alcuni senatori si sentirono umiliati, ma egli voleva che il fine di Roma fosse un raggiungimento di libertà e non lo sviluppo di un meccanismo oligarchico con latifondi e sfruttamento di esseri umani. A testimonianza di ciò si consideri che i Romani trasformarono la schiavitù esercitata dagli altri popoli antichi in un meccanismo di servitù dove lo schiavo, con il lavoro, poteva riscattare la sua libertà e divenire un cittadino,[35] formatosi con i valori della famiglia che lo aveva “cresciuto” nella propria dimora. Dopo trentotto anni di regno Romolo ascese in cielo rapito dal turbine di una tempesta mentre stava passando in rassegna le truppe: accaduto ciò di fronte a tutti i suoi soldati, egli venne innalzato al rango di divinità con l’appellativo di Quirinus: Rex, Pater Patriae, filius Martis[36]. Romolo riapparve successivamente al suo compagno albano Proculo Giulio[37] per provare la sua avvenuta divinizzazione, affidandogli inoltre il compito di riferire un suo messaggio al popolo:
“Va e annuncia ai Romani che praticando la temperanza e la fortezza arriveranno al culmine della potenza umana[38]”.
A tale resurrezione del Re seguì l’affermazione di Roma. Il patto era ovviamente relativo al cultus deorum Romae e venne rispettato; quando però fu abbandonato il culto, Roma decadde. E’ fatto storico che ogni volta che i riti agli Dèi vennero leggermente rispolverati, le difese di Roma s’innalzavano invisibilmente con sbalorditiva efficacia: nel 408 Narni scampò all’assedio di Alarico grazie alla devozione della città agli antichi Dei, dopo riti pubblici un temporale scoppiò e spaventò i Goti che scapparono terrorizzati[39]. Nello stesso anno papa Innocenzo diede permesso al Senato di eseguire riti agli Dei di Roma, purchè segretamente[40], affinchè Alarico non devastasse la città: non solo egli accettò un riscatto propostogli dai Romani, ma accolse anche una ambasceria dell’imperatore Onorio ed acconsentì, in cambio di denaro ed alcuni ostaggi, di tornare con i suoi Visigoti al servizio di Roma in qualità di confederati e alleati dell’esercito romano[41].
Per quanto fossero validi i riti romani, dalla tarda antichità in poi non s’è potuto dire lo stesso degli uomini. Roma è eterna ed il suo spirito è sempre pronto a riemergere dalle ceneri, purchè sia un alito di caldo amore fedele al patto con Quirino a ridestarlo; ogni compromesso con entità oppositrici gela quel tenero cuore divino. Solo un Romano dallo spirito ferreo può intendere l’aureo significato di ciò. Non è sufficiente un intento politico a ridestare il fuoco di Roma, serve una vis spirituale incorruttibile, dura e pura come il diamante: la storia lo dimostra. Dar fede a Roma significa superare le logiche del raziocinio moderno e trascendere dal misticismo[42], conquistare il significato intrinseco del valore della Pietas[43] ed essere in grado di incarnarlo: solo così il foedus con Quirino sarà rispettato.
Che lo si creda o meno la risposta a cosa è Roma è questa:
Roma è l’intento amoroso di portare la giustizia tra gli uomini.
Roma esercita un fascino imperituro perché dà agli uomini ciò che più i loro spiriti bramano: la giustizia.
“…per coloro che avranno salvato, difeso, ingrandita la loro patria
c’è nel cielo un posto particolare e ben definito dove,
beati, possono godere di un’eterna felicità ”.
Cicerone.
(Il mito del lupercale nello specchio di Bolsena)
Note:
[1] Plutarco, Vita di Romolo, I, 8.
[2] In Iran sembra essere profondamente tradizionale l’impiego di cinta murarie rotonde sin dalle epoche più antiche. La città di Gōr, distrutta da Alessandro Magno, aveva impianto murario rotondo, poi ricalcato nella nuova Firuzabad. Questa antichissima tipologia di impianti si protrasse fino al III sec. d.C. con la fondazione di Ardashir Khurreh.
[3] Gobleki Tepe, città del 9.600 a.C. presenta strutture murarie tutte a base circolare. Le mura di Hattusa, antica capitale ittita (popolazione indoeuropea), tendono ad una forma quasi circolare, le stesse mura romulee non è detto che avessero una forma circolare perfetta come quella delle mura di Ardashir Khurreh ma più facilmente erano “tendenti” alla forma del cerchio come ad Hattusa.
[4] Del principio della quadratura del cerchio i pitagorici fecero l’obiettivo della loro scuola. Esso è ribadito da Vitruvio nel suo De Architettura quando sviluppa l’origine logica dei canoni per la costruzione dei templi, tutti nascenti dalle considerazioni matematiche sul corpo umano.
[5] Questo ideale di Amor, avente per oggetto il portare la giustizia tra gli uomini come gesto d’amore nei loro confronti, è ribadito da Cicerone nel De Republica. L’implicazione esoterica di tutto ciò, con un ampio apparato escatologico, è trasmessa in maniera celata nell’ultimo capitolo del libro, noto come Somnium Scipionis. A questo Macrobio ha dedicato un notevole saggio, il quale sviscera i significati esoterici trasmessi da Cicerone e dimostra come fossero integrati tra loro l’ideale romuleo e quello pitagorico.
[6] Questo intento è il medesimo di Pitagora a Kroton, il quale fonda una scuola finalizzata all’evoluzione spirituale degli uomini, suddivisa nei seguenti gradi: acusmatici, matematici, amministratori, politici. Questi ultimi, i saggi più evoluti, dovevano poi occuparsi dell’amministrazione delle poleis dell’antica Magna Grecia. Quando Roma venne a contatto con la Magna Grecia, in occasione delle guerre contro Pirro, riscontrò la comunanza ideale tra gli intenti di Romolo e quelli di Pitagora, tanto da elaborare un mito propagandistico secondo il quale il successore di Romolo, Numa Pompilio, si fosse fatto istruire da Pitagora col fine di migliorare e perfezionare l’ordinamento romuleo. Da ciò il Pitagorismo venne acquisito come ideale comune fra Romani e Italioti, ribadito dal collocamento di una statua raffigurante Pitagora all’ingresso della Curia Optimia, sede del senato in età repubblicana.
[7] Dionigi di Alicarnasso, Antichità Romane, I, 88, 1-3.
[8] Ai quali certamente si accompagnavano delle formule rituali delle quali Romolo, in quanto nipote di un re, era indubbiamente a conoscenza. Nello specifico l’archeologo Andrea Carandini definisce Romolo “il re augure”.
[9] La tratta augurale è sempre connessa al favore di Giove. Per tale motivo gli auguri erano consacrati a Giove, tanto da avere maggiori diritti rispetto ad altri sacerdoti, ed erano interpreti innanzitutto del volere del dio che governa nei cieli.
[10] Iniziati sono coloro i quali hanno incominciato un cammino. Accademicamente, in ambito storico-religioso, appare comune a tutti i popoli antichi la necessità di iniziare i giovani all’età adulta, momento dal quale non solo si occupano di vita sociale e politica, ma anche sacrale; non esiste per l’uomo antico la distinzione tra vita pratica quotidiana e sacralità.
[11] Ecco perché un sacerdote marziale era connesso all’iniziazione del civis.
[12] Si noti l’elemento tradizionale ricorrente del pellegrinaggio al tempio per ottenere il riconoscimento pubblico del loro passaggio. In merito al rito iniziatico dei giovani romani suggeriamo la lettura di importanti considerazioni in: Mario Torelli, Riti di passaggio maschili di Roma arcaica, in Mèlanges de l’Ecole française de Rome. Antiquité; 1990, Numero 1, pp. 93-106.
[13] Cicero, In Verrem 11, V, 162
[14] Nelle camere matrimoniali il tripode atto a scaldare la stanza era vivificato col fuoco del focolare domestico.
[15] Il riflesso speculare della parola Amor è Roma !
[16] Giovanni Lido, De Mensibus, IV, 73.
[17] Il cristianesimo quando nacque si presentò come “rivelazione” della “religione dell’amore”, ovvero metteva un nuovo velo alla religione romana ed alla mitologia. Coloro i quali superano il primo velo del cristianesimo volgono infatti il loro sguardo al mito antico: da Giordano Bruno (mirabili i suoi commenti ai miti) alle tante famiglie cardinalizie romane che, nelle loro ville, hanno serenamente eretto templi agli Déi romani mentre al popolo lasciavano la religione rivelata perché fosse più complesso per loro arrivare ai misteri. Così nella villa dei Colonna (poi acquistata dal marchese Torlonia) emerge un tempio di Saturno, in quella dei Borghese uno dedicato a Diana ed uno per Asclepio. Nella camera da letto dei papi, in castel sant’angelo, non v’erano sulle pareti scene bibliche, ma immagini dal mito alchemico di Amore e Psiche. Purtroppo la politica di questa rivelazione non è stata pacifica ma troppo di frequente, nel corso della storia, è ricorsa al sangue per preservarsi da coloro i quali erano contrari ad accettarla.
[18] Cicero, Orator X.
[19] Virgilio, Bucoliche, X, 69.
[20] Scriviamo Legge in maiuscolo quanto la intendiamo come forza divina equilibratrice.
[21] Semanticamente intendiamo il valore platonico di dover leggere il mito con una modalità interpretativa per conquistarne il significato intrinseco.
[22] Con questo termine intendiamo specificatamente argomenti inerenti la chimica comparata dei mondi vegetale, minerale e animale con il corpo umano. Il tutto è inserito nel percorso che condurrà l’ariete ai colori di Roma “ora un delicato rosso porpora, ora giallo zafferano” (Virg. Buc. Egl. IV), premessa necessaria alla nascita del fanciullo divino che deve formarsi in noi.
[23] Si noti i culti umani più antichi si rivolgono alle forme di vita, vegetale ed animale, intese come espressione di forze. La quercia esprime una energia longeva ed imperitura. Nei Romani questa forma arcaica rimane viva per lungo tempo: il fico ruminale, albero sacro a Mercurio ed anche a Giove quando è fico bianco, riceve culto perenne. Uno specchio da Bolsena rappresenta Mercurio e Lara sul fico Ruminale mentre Romolo e Remo allattano dalla Lupa.
In occasione dei Tiberalia (8 dicembre) la città veniva addobbata di alberi sempre verdi posti nei crocicchi e portati dalle montagne tramite il fiume. Questo per arricchirsi una energia che aiutasse a superare le difficoltà invernali. Macrobio nei saturnali ci riferisce che essi venivano adornati di dolci, i quali venivano poi mangiati tra il 5 ed il 6 gennaio in occasione delle feste dedicate ai Lari compitali.
[24] Appellativo di Giove.
[25] L’opera di Claudiano, il rapimento di Proserpina, è un’apologia del mondo infero, dove sono descritti astri e cieli allo stesso modo del mondo esterno. La cognizione microcosmica degli antichi, riferita alla interiorità degli uomini, è ricca della coscienza della dimensione delle anime che portiamo nei nostri corpi e della metempsicosi. L’orfismo italiota ne è testimonianza diretta.
[26] Nell’opera di Porfirio, L’antro delle Ninfe, il corpo è considerato un prodotto che realizza l’anima come involucro per se stessa dal momento in cui entra nel ventre materno. Si deduce facilmente l’importanza dei falli portati avanti alle tante processioni antiche: essi sono l’elemento necessario a riversare le anime nel ventre materno. Religiosamente il fallo veniva sublimato (non a caso i Romani spesso lo rappresentano alato) e non andava visto come qualcosa di osceno e libidinoso, ma come attributo virile, ossia della forza (vis) che consentiva alle anime di andare (ire) a costruire i loro corpi nei ventri materni.
[27] Ricordiamo che la casa simboleggia il corpo umano. Ulisse (eroe simbolo dello spirito dell’iniziato) deve ritornare alla sua casa invasa dai proci (i cattivi pensieri) per riabbracciare Penelope dalle bianche braccia, più bianche dell’avorio tagliato, simbolo dell’anima purificata. Analogicamente la cura degli spiriti domestici corrisponde ad una attività spirituale interiore.
[28] Una in particolare si svolge a Crotone, l’antica città di Pitagora. Qui i giovani che sono reputati cresciuti dai loro genitori, vengono inviati in pellegrinaggio all’antico tempio di Hera Lacinia, passando per la prima volta nella loro vita una notte da soli fuori casa. Nella processione l’intera gioventù crotonese affronta una via sacra lunga sedici kilometri partendo dal centro della città. Nel mentre si fermano lungo le spiagge che costeggiano la via ad accendere fuochi e fare baccano cantando canzoni, mangiando e bevendo. Poche ore prima dell’alba ripartono e si dirigono al tempio da dove saluteranno il Sole. Chi arrivava in anticipo si corica tra le vestigia del tempio in attesa del Sole. Su questo antico rito d’iniziazione all’età adulta il cristianesimo ha provato a sovrapporre una processione cristiana diretta ad una chiesa di una Madonna, reputata dai crotonesi comunque Hera Lacinia, eretta a poche centinaia di metri dal tempio. Nonostante ciò i giovani hanno inconsciamente mantenuto la purezza di questo pellegrinaggio e si muovono in anticipo rispetto alla processione cristiana, creando così due processioni: una pagana ed una cristiana. Quando ancora ero bambino mio padre Gianfranco Barbera (originario di Messina e da pochi anni trasferitosi a Crotone) invitò Placido Procesi ad assistere a questo incredibile evento ed insieme lo commentavano, notando cose che agli occhi comuni passano inosservati e che io stesso impiegai tantissimi anni a comprendere.
[29] Difatti seppure la processione delle nuove generazioni al tempio di Hera continua ininterrottamente, sono sempre meno le famiglie che praticano l’attività di offerte al Lare ed agli antenati, cominciando a considerare tutto ciò più come un corpo di superstizioni inutili che non come riti tradizionali identitari; mentre la processione ad Hera continua a vivere perché in essa i crotonesi si identificano.
[30] Alcuni studiosi sostengono che Ovidio sia stato inviato al confino sul limes danubiano per aver intrapreso l’opera dei Fasti, la quale non portò al termine dopo il suo esilio, durante il quale invece si dedicò ad altre opere. Altri invece lo considerano essere stato punito per essere stato coinvolto in intrighi amorosi alla corte di Augusto.
[31] Macr., Comm. Somn. Scip., I, 2, 19: “Numenio, tra i filosofi uno dei più ardenti investigatori dell’esoterismo, si vide rimproverato in sogno di aver offeso le divinità, avendo divulgato l’interpretazione dei misteri eleusini. Gli sembrò di vedere le dee onorate ad Eleusi rivestite dell’abito delle meretrici […]. Si sentì rispondere da esse, corrucciate, che lui stesso le aveva strappate al santuario della loro pudicizia e le aveva prostituite come donne pubbliche”.
[32] Ricordiamo che Plutarco fu discepolo di Ammonio all’accademia di Atene e sacerdote di Apollo a Delfi. Le sue cognizioni sono pertanto arricchite dalla sapienza templare antica e dalla filosofia platonica.
[33] Si intende la terra come disponibilità di proprietà da distribuire ad ogni uomo, impegnatosi per il fuoco ideale col sangue delle proprie vene, perché abbia l’indipendenza e dunque la libertà.
[34] Plutarco, Vita di Romolo, 27, 3.
[35] Ci riferiamo all’istituto del liberto.
[36] Tito Livio, Ab Urbe condita, I, 16.
[37] Plutarco, Vita di Romolo, 28, 3.
[38] Plutarco, Vita di Romolo, 28, 3; anche Tito Livio in Ab Urbe Condita, I, 16: “Va e annuncia ai Romani che il volere degli Dèi è che la mia Roma divenga Caput Mundi. Che essi diventino pratici nell’arte militare e tramandino ai loro figli che nessuna potenza sulla terra può resistere alle armi romane”.
[39] Sozomeno, IX, 6. Zosimo, V, 41.
[40] Zosimo, V, 41.
[41] Zosio, V, 42.
[42] Ricordiamo la condannata superstizione del sacrificio di Ifigenia.
[43] In origine questo termine significava il doveroso amore che devono avere tra loro due coniugi in pieno rispeto del loro patto d’amore. Questo valore venne poi trasferito anche alla città ed ai suoi Dei.
Giuseppe Barbera – archeologo e Presidente dell’Associazione Tradizionale Pietas
(articolo ampliato ed in versione originale rispetto alla versione pubblicata sul n. 10 della rivista Politica Romana)