Camillo Agrippa ed il Rinascimento esoterico – Giovanni Sessa
Il Rinascimento è inscritto nel DNA spirituale d’Italia. Culla della civiltà europea, fin dalle più lontane origini, questa terra è protesa tra Esperia ed Ausonia, tra la terra della sera, del tramonto e l’heideggeriana terra del mattino. In più fasi della nostra storia abbiamo conosciuto il morso profondo della crisi, il disgregarsi della comunità, la cui prima manifestazione esteriore è da individuarsi nel venir meno del senso della bellezza e della gioia di vivere. Abbiamo creato, comunque, la civiltà della Rinascenza: fenomeno storico-culturale latore, ad un tempo, di grandezza e di ambiguità. Stando alla vulgata tradizionalista, con l’Umanesimo avrebbe avuto inizio la modernità, dimentica del sacro. Ad uno sguardo più attento, il fenomeno del Rinascimento appare meno univoco di quanto si sia creduto. All’affermarsi della visione laica della vita e della scienza profana, con alcune correnti spirituali, afferenti per lo più al neoplatonismo fiorentino, si è tentato di perpetuare, con forza, il ritorno ai misteri antichi. A ricordarcelo, con persuasività di accenti e documentazione significativa, è Nicola Bizzi in un recente lavoro, Camillo Agrippa. La quintessenza del Rinascimento, pubblicato dalle edizioni Aurora Boreale (per ordini: edizioniauroraboreale@gmail.com, pp. 84, euro12,00). Il libro è impreziosito da un saggio introduttivo di Luca Valentini:”Riflessi d’Antico: l’Ermetismo Rinascimentale e la Sacralità dei Numi Pagani“. Camillo Agrippa non è certo uno dei nomi più noti tra quelli dei protagonisti del Nuovo Inizio quattro-cinquecentesco, eppure i suoi meriti sono indubbi. Nacque a Milano agli inizi del 1500 e fu erudito poliedrico, ingegnere di vaglia, astronomo, matematico e, soprattutto, esoterista. Nel 1535 si trasferì a Roma dove elaborò un progetto relativo all’erezione dell’obelisco di Piazza S. Pietro. A suo dire, l’obelisco avrebbe dovuto esser trasportato in posizione verticale. I suoi consigli non furono ascoltati. Realizzò, comunque, al Pincio, il sistema idraulico dell’Acqua Vergine, considerato un’opera idraulica avveniristica. Si occupò, in particolare, di navigazione e di arte militare, dedicando, nel 1553, il Trattato di Scientia d’Arme a Cosimo I dei Medici. Nelle sue pagine, di fatto, propose una modalità di duello totalmente innovativa, centrata sul colpo «di punta» anziché «di taglio», cui pervenne attraverso l’applicazione della teoria geometrica alla scherma. Fu sepolto a Roma, nella basilica di S. Maria del Popolo, il 1 gennaio del 1600. Bizzi rileva che: «come è avvenuto per altri grandi personaggi del passato in certo qual modo “scomodi” per via della loro appartenenza ad antiche Tradizioni misteriche […] anche su Agrippa si è preferito stendere intenzionalmente un velo di oblio» (p. 33).
L’autore ricorda che molti personaggi di primo piano della cultura dell’epoca, così come numerosi esponenti delle principali famiglie principesche italiane, erano affiliati ad organizzazioni iniziatiche. In quel frangente storico, chiosa Bizzi, divennero influenti a tal punto, da riuscire a far eleggere al soglio pontificio dei loro «confratelli». Tra tali organizzazioni si distinsero quelle prossime alla Tradizione misterica Eleusina. Per quanto si riferisce ad Agrippa non vi sono prove atte a chiare, in termini definitivi, la sua appartenenza ad una di tali catene iniziatiche, ma: «abbondanti sono gli indizi al riguardo» (p. 41). Il dialogo filosofico posto in chiusura del Trattato di Scientia d’Arme: «contiene, abilmente dissimulate nel testo, delle particolari terminologie “di passo” che riflettono una piena sintonia con l’appartenenza iniziatica» (p. 42).
E’ comprovata, del resto, la vicinanza fraterna di Camillo alle famiglie degli Estensi e dei Borgia che, come è noto, si posero sulla via iniziatica: i primi si affiliarono alla catena Isiaca, i secondi furono attivi lungo i percorsi eleusinici di Rito Orfico. Recentemente, chiosa l’autore, l’attenzione sull’esoterismo di Camillo Agrippa è riemersa grazie agli studi di Monica Centanni. La studiosa ha compiuto l’esegesi di una medaglia, sul cui dritto campeggia il volto di Agrippa, mentre sul rovescio stanno al centro della scena due personaggi: il primo indossa un’armatura ed è impegnato a trattenere, dalle spalle, una figura nuda femminile afferrandole il lungo ciuffo di capelli che questa presenta sulla fronte.
La figura nuda avanza a passo celere verso sinistra, tenendo con la mano mancina una vela. Sul fondo della rappresentazione appare un edificio che potrebbe essere un tempio o un faro. Intorno alla medaglia corre la scritta Velis Nolisve. La figura femminile con vela simboleggia la Dea Fortuna, mentre: «Nella figura in armi […] era stato identificato un guerriero, da intendersi come ipostasi dello stesso Camillo» (p. 54). In realtà, stando alla interpretazione della Centanni e di Bizzi, la figura in armi dovrebbe essere identificata con Minerva, la Sapienza: «che può governare gli eventi afferrando al volo, per il ciuffo, la mutevole fortuna» (p. 58). La presenza della vela rinvia, inoltre, all’arte del navigare, del saper governare l’azione delle acque impetuose e dei venti, tenendo la rotta convenuta. Non è casuale che, nell’antichità classica, la navigazione fosse considerata momento essenziale del sapere iniziatico. L’intera rappresentazione scenica della medaglia, rinvia, quale fonte prossima, al Somnium de Fortuna contenuto in una lettera che Enea Silvio Piccolomini inviò, nel giugno del 1444, a Procopio di Rabstein, mentre la fonte remota può essere ravvisata in Seneca.
Il motto Velis Nolisve è probabilmente da attribuirsi ad Annibal Caro, straordinario traduttore di Virgilio e, rileva Bizzi, iniziato eleusino amico di Camillo Agrippa. Durante il suo soggiorno romano, Caro lavorò per Alessandro Farnese, ideando il progetto iconografico degli affreschi della Villa di Caprarola e, secondo fonti meno certe, collaborò alla realizzazione del Sacro bosco di Bomarzo. In quanto studioso di numismatica antica, avrebbe di certo potuto coniare il motto della medaglia dedicata ad Agrippa. Questi seppe coniugare, nella propria formazione e nelle proprie opere, l’interesse per le scienze dello spirito con l’osservazione della natura. Come il genio di Leonardo da Vinci, egli mirò all’ideale dell’uomo universale, modello dell’età rinascimentale.
Giovanni Sessa